A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Meditazioni quotidiane per Dicembre e il Tempo di Natale 2014 Epifania 2015

Ultimo Aggiornamento: 06/01/2015 14:08
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27/11/2014 08:59
 
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  dopo avervi offerto tante meditazioni quotidiane nei mesi passati - clicca qui - ora vi offriamo quelle di Dicembre collegate al TEMPO DI AVVENTO, ossia all'inizio del nuovo Anno Liturgico che inizia, appunto con l'Avvento di Nostro Signore Gesù Cristo.

   è interessante osservare che la Bibbia si apre parlando del male nel cuore degli uomini:
"Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male." (Genesi 6,5)
per chiudere il Libro con il progetto di un cuore nuovo e cambiato, convertito:
"Dio infatti ha messo loro in cuore di realizzare il suo disegno e di accordarsi per affidare il loro regno alla bestia, finché si realizzino le parole di Dio." (Apocalisse 17,17)
Davvero interessante   






  Sia lodato Gesù Cristo
+ sempre sia lodato



   




DICEMBRE

 

PREGHIERA A MARIA

da recitarsi durante tutto il mese di Dicembre.

 

1. Vi venero con tutto il cuore. Vergine santissima al disopra di tutti gli Angeli e i Santi del Paradiso, come Figlia dell'Eterno Padre, e vi consacro l'anima mia con tutte le sue potenze. Ave Maria.

2. Vi venero con tutto il cuore, Vergine santissima al disopra di tutti gli Angeli e i Santi del Paradiso, come Madre dell'Unigenito Figlio, e vi consacro il mio corpo con tutti i miei sentimenti. Ave, Maria.

3. Vi venero con tutto il cuore, Vergine Santissima, al disopra di tutti gli Angeli e i Santi del Paradiso, come Sposa diletta del Divino Spirito, e vi consacro il mio cuore con tutti i suoi affetti, pregandovi di ottenermi dalla Santissima Trinità tutti i mezzi per salvarmi. Ave, Maria.

 

Il Bambino Gesù, o Maria Immacolata, o San Giovanni evangelista, o S. Stefano, mi benedica e mi rinfranchi il cuore inondandolo del Suo e Vostro Divin Amore.

 

Sia benedetta la Santa e Immacolata Concezione della beatissima Vergine Maria, Madre di Dio (300 g.  o. v.).

 

Virtù da praticare.

L'amor di Dio.

 

1° Dicembre            

L'ANIMA FEDELE, CON MARIA IMMACOLATA

 

1. Maria, fedele alle grazie di Dio. Piacque al Signore prodigare grazie tanto grandi a Maria, che San Bonaventura scriveva non potere Iddio formare creatura più grande di Maria. Tutto in Lei ha del divino. Immagina pure ogni grazia, ogni favore, ogni dono, ogni privilegio, ogni virtù concessa a tutti i Santi Maria ebbe tutto, e in modo eccellentissimo: fu piena di grazia. — Ma, fedele a Dio, Gli corrispose perfettamente; la Sua vita attrasse a Lei, in ogni istante, il Cuore di Dio.

 

2. L'anima cristiana arricchita di grazie. Se Maria venne privilegiata, perché Madre di Dio, noi cristiani quante e quali grazie abbiamo ottenuto! Medita non solo sui doni di natura: la vita, la sanità, le qualità dell'anima e del corpo; ma anche, e più, sulle grazie del S. Battesimo, del perdono dei peccati, dell'Eucaristia, delle ispirazioni, dei rimorsi, e sulle grazie particolari... Non fu generoso Iddio, con te nei suoi doni?

 

3. L'anima fedele, con Maria. Come hai tu corrisposto all'immensa bontà di Dio? Non hai abusato dei doni ricevuti, contro Dio stesso? Non hai tu apprezzato l'oro, la stima del mondo, il tuo capriccio,.., più della grazia di Dio? Il peccato mortale ti priva della grazia e il veniale la indebolisce in te... Imitando Maria, sii, oggi e sempre, fedele alle buone ispirazioni, fedele nel servizio e nell'amor di Dio, per piacere a Lui e per meritarti grazie maggiori.

 

PRATICA. — Recita tre Ave Maria, con tre volte Sia benedetta ecc.; ascolta oggi le buone ispirazioni.

 

 

2 Dicembre

L'ANIMA RACCOLTA, CON MARIA IMMACOLATA

 

1. Vita raccolta di Maria. il raccoglimento deriva dalla fuga del mondo e dall'abitudine di meditare: Maria lo possedette in modo perfetto. Fuggì il mondo, nascostasi piccina nel tempio; e, più tardi, la stanza di Nazaret fu luogo di solitudine per Lei. Ma, dotata dell'uso di ragione fin dalla sua Concezione, la mente di Lei si levava pura a Dio contemplandone le bellezze, le amabilità; meditava continuamente sul Suo Gesù (Luc. 2, 15), vivendo raccolta in Lui.

 

2. Fonti delta nostra dissipazione. Donde vengono le tue continue distrazioni nel tempo delle preghiere, della Messa, nell'accostarti ai santi Sacramenti? Donde viene che, mentre i Santi e Maria, loro Regina, pensavano sempre a Dio, sospiravano quasi ogni momento a Dio, per te passano le giornate, nonché le ore, senza una giaculatoria?... Non sarà perché ami il mondo, cioè le vanità, le ciance inutili, il mischiarti nei fatti altrui, tutte cose che distraggono?

 

3. L'anima raccolta, con Maria. Persuaditi della necessità della meditazione se vuoi fuggire il peccato e imparare l'unione con Dio, propria delle anime sante. La meditazione concentra lo spirito, insegna a riflettere sulle cose, ravviva la Fede, scuote il cuore, lo infiamma di santo ardore. Oggi prometti di abituarti alla meditazione quotidiana, e vivi raccolto con Maria, pensando se più ti gioverà, in punto di morte. Il raccoglimento con Dio, o la dissipazione con il mondo.

 

PRATICA, - Recita tre Salve Regina; rivolgi sovente il cuore a Dio e a Maria.

 

3 Dicembre               

L'ANIMA AMANTE, CON MARIA IMMACOLATA

 

1. Amore ardente di Maria. Il sospiro dei Santi è amare Iddio, è lamentare la propria incapacità di amare Dio. Maria sola, dicono i Santi, poté in terra adempiere il precetto di amare Dio con tutto il cuore, con tutte le forze. Dio, sempre Dio, solo Dio, voleva, cercava, amava il Cuore di Maria, Non palpitava che per Dio; giovinetta si consacrò a Lui, adulta si sacrificò per amore di Lui. Qual rimprovero alla tua freddezza!

 

2. Amore operoso di Maria. Non bastò a Lei donare a Dio l'affetto del Cuore: con le virtù e con le opere, provò la sincerità del suo Amore. La vita di Maria non fu un tessuto delle più elette virtù? Ammira l'umiltà di fronte alla Sua immensa grandezza, la fede alle parole dell'Angelo, la confidenza nel tempo delle prove, la pazienza, il silenzio, il perdono nelle ingiurie, la rassegnazione, la purezza, il fervore! Avessi io la centesima parte di tanta virtù!

 

3. L'anima amante, con Maria. Qual confusione è per noi il vivere così languidi nell'Amor di Dio! Il cuore nostro sente il bisogno di Dio, conosce la vanità della terra... Perché non ci volgiamo a Colui che, solo, può riempire il vuoto del cuore? Ma, a che serve dire ; Mio Dio. Ti amo, e non praticare la umiltà, la pazienza e le altre virtù, che sono prove del nostro sincero Amor dì Dio? Oggi, con Maria, riscaldiamoci di Amore vero e perseverante.

 

PRATICA. - Recita tre Pater e Ave ai tre Cuori di Gesù, Giuseppe e Maria; passa la giornata in fervore.

 

4 Dicembre

L'ANIMA UMILE, CON MARIA IMMACOLATA

 

1. Umiltà profondissima di Maria. La superbia che è così radicata nella guasta natura dell'uomo, non poté germogliare nel Cuore di Maria Immacolata. Maria elevata sopra tutte le creature, Regina degli Angeli, Madre di Dio stesso, capì la propria grandezza, confessò che l'Onnipotente aveva operato in Lei grandi cose, ma, tutto riconoscendo come dono di Dio, e riferendo tutta la gloria a Lui, null'altro si disse che l’ancella del Signore, sempre disposta a fare la volontà sua: Fiat.

 

2. La nostra superbia. Ai piedi dell'Immacolata,, riconosci la tua superbia! Come ti stimi? Che pensi di te? Che boria, che vanità, che orgoglio nel parlare, nell'operare! Quanta superbia nei pensieri, nei giudizi, nel disprezzo e nella critica degli altri! Che arroganza nel trattare con i superiori, che durezza con gli inferiori! Non ti pare che la superbia cresca con l'avanzarti in età?...

 

3. L'anima umile, con Maria. Era ben grande la Vergine, e si stimò così piccola! Noi, vermi della terra, noi, cosi fiacchi nell'operare il bene e tanto corrivi a commettere peccati: noi, carichi di tante colpe, non ci umilieremo? 1° Teniamoci in guardia contro gli assalti della vanità, dell'amor proprio, contro il desiderio di comparire, di avere gli elogi altrui, di primeggiare. 2° Amiamo di vivere umili, nascosti, sconosciuti. 3° Amiamo le umiliazioni, le mortificazioni, da qualunque parte ci vengano. Oggi sia il principio di una vita umile con Maria,

 

Recita nove Ave Maria per ottenere l'umiltà.

 

5 Dicembre 

L'ANIMA CELESTE, CON MARIA IMMACOLATA

 

1. Distacco di Maria dalla terra. Non siamo fatti per questo mondo; tocchiamo appena con i piedi la terra; il Cielo è la nostra patria, il nostro riposo. Maria Immacolata, non abbagliata dalle apparenze terrene, disprezzò il fango della terra, e visse povera, sebbene tenesse in casa, Figlio ubbidiente, il Creatore di tutte le ricchezze. Dio, Gesù : ecco il tesoro di Maria; vedere, amare, servire Gesù : ecco il desiderio di Maria... Non era una vita celeste in mezzo al mondo?

 

2. Siamo noi terreni o celesti? Chi ama e cerca la terra, diviene terreno, dice S. Agostino; chi ama Dio e il Cielo diviene celeste. Ed io che cosa voglio, che amo? Non sento troppo attacco a quel poco che posseggo? Non tremo forse per paura di perderlo? Non cerco d'accrescerlo? Non invidio la roba altrui? Non mi lamento del mio stato?... Faccio elemosina volentieri? È ben rara la persona, disinteressata! Tu dunque sei anima terrena... Ma che ti gioverà per la vita eterna?

 

3. L'anima celeste, con Maria. Perché affannarci per questo mondo che fugge, per questa terra che domani dovremo lasciare? In punto di morte, che cosa ci consolerà di più, l'essere ricchi o l'essere santi? Non varrà più un atto d'Amor di Dio che non le ricchezze d'un trono? Sursum corda, solleviamoci a Dio, cerchiamo Lui, la sua gloria, il suo Amore. Questo è imitare Maria e divenire celesti. Impariamo a dire: Tutto come Dio vuote.

 

PRATICA. - Recita un atto di Carità; e tre volte Sia benedetta ecc.; privati della cosa a cui ti senti più attaccato.

 

 6 Dicembre

L'ANIMA CASTA, CON MARIA IMMACOLATA

 

1. Purezza immacolata di Maria. Non soggetta al peccato originale, Maria fu pure esente dagli stimoli della concupiscenza, che muove a noi una guerra così aspra, con la passione impura. Spirito, cuore, corpo, tutto era giglio purissimo nella Vergine, dal cui sguardo raggiava una tal luce di candore che invitava a purezza. Maria risponde fedelmente alla Grazia divina; e, Bambina ancora, si consacra vergine a Dio, fugge il mondo, e rinunzierebbe ad esser Madre di Dio, se la verginità ne patisse danno. O Maria, fossi anch'io puro...!

 

2. Amiamo noi la purezza? Chi, nella sua vita, non deve lamentare una o più cadute riguardo alla santa virtù? Chi, nella tremenda battaglia che ci muove la carne, nella molteplicità dei pensieri, dei desideri, delle tentazioni impure, sa sempre combattere e vincere? Iddio ordina, nei comandamenti, di combattere persino i desideri disonesti. S. Paolo vorrebbe che neppur si nominasse l'impurità fra i cristiani; Gesù, il Maestro, mostrò predilezione per la purità; ed io che ho fatto?

 

3. L'anima casta, con Maria Vergine. Come oso dirmi figlio di Maria, se non sono casto? Con quale coraggio La pregherò di aiuto, se il mio cuore è in mano al demonio impuro? - Prometti oggi di voler essere puro nei pensieri, negli sguardi, nelle parole, nelle opere; solo e in compagnia; di giorno e di notte. Prometti di usare i mezzi convenienti per conservare la purità, cioè, la preghiera, la mortificazione, la fuga delle occasioni e il ricorso pronto a Maria.

 

PRATICA. - Recita tre Ave Maria; pratica la purità.

 

7 Dicembre      

L'ANIMA PAZIENTE, CON MARIA IMMACOLATA

 

1. I dolori di Maria. Gesù, sebbene Dio, volle, nella Sua vita mortale, soffrire dolori e tribolazioni; e, se rese la Madre Sua esente dal peccato, non la liberò affatto dal patire e dal patire molto! Maria soffrì nel corpo per la povertà, per i disagi del Suo umile stato; soffrì nel cuore, e le sette spade che La trafissero formarono di Maria la Madre dei Dolori, la Regina dei Martiri. Fra tante pene, come si comportò Maria? Rassegnata, le tollerò con Gesù.

 

2. I nostri dolori. La vita umana è un intreccio di spine; le tribolazioni si succedono senza tregua; la condanna al pane del dolore, pronunziata contro Adamo, pesa sopra di noi; ma gli stessi dolori possono divenire una penitenza per i nostri peccati, una fonte di molti meriti, una corona per il Paradiso, ove siano sofferti con rassegnazione... E noi come li sopportiamo? Purtroppo con quanti lamenti! Ma con quale merito? Le piccole paglie non paiono per noi travi o montagne?

 

3. L'anima paziente, con Maria. I molti peccati commessi meriterebbero castighi ben più gravi! Anche il solo pensiero d'evitare il Purgatorio, non ci dovrebbe animare a scurire volentieri in vita? Siamo fratelli di Gesù paziente: perché non imitarlo? Imitiamo oggi l'esempio di Maria nella Sua rassegnazione. Soffriamo in silenzio con Gesù e per Gesù; sopportiamo con generosità qualunque tribolazione Iddio ci mandi; soffriamo con costanza finché otteniamo la corona. Lo prometti tu?

 

PRATICA. - Recita nove Ave Maria con la giaculatoria: Sia benedetta ecc.; soffri senza lamentarti.

 


8 Dicembre

LA CONCEZIONE
IMMACOLATA DI MARIA VERGINE 

 

I. Maria immacolata e Santa. Quattro privilegi ottenne Maria nella sua concezione: 1° fu preservata dal peccato originale, sebbene fosse figlia d'Adamo; 2° fu liberata dal fomite della concupiscenza, cioè dalla ribellione della carne contro lo spirito; 3° fu confermata in Grazia, sicché non peccò mai in vita sua; 4° fu ripiena dì Grazia e di Carità, e arricchita di doni più che i maggiori Santi e gli Angeli stessi. Maria ne ringraziava il Signore; tu esulta, con Lei, e venerala.

 

2. Grazia di vivere immacolati. Non basta oggi prendere parte alla gioia di Maria, dei Santi, anzi di tutte le anime buone che si infervorano nel pregare, nel lodare, nell'amare Maria : specchiati in Lei. Ella passò la vita intera senza il minimo peccato; tu, che purtroppo pecchi contro tutte le virtù, proponi di evitare il peccato volontario in tutti i giorni della tua vita; ma, affinché il proponimento sia fermo, chiedi grazia a Maria di saper vivere immacolato.

 

3. Grazia di vivere santi. Gloriandoci d'essere figli di Maria, confondiamoci di trovarci tanto diversi dalla Madre nostra. Ella, santa nella Sua Concezione, in ogni istante di vita accrebbe la Sua santità con l'esercizio delle virtù; noi forse non abbiamo neppure principiato a farci santi... Oggi proponi di mettertici davvero; rafforzati nell'umiltà, nella purità, nella pazienza, nel fervore; ma, per riuscire, domanda a Maria la grazia di farti santo.

 

PRATICA. - Ripeti: O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi (100 g.).

 

9 Dicembre               

I LIBRI BUONI

 

1. Utilità delle buone letture. Un buon libro è un amico sincero, è uno specchio di virtù, è una fonte perenne di sante istruzioni. Ignazio, nel leggere le vite dei Santi, trovò la sua conversione. Il Sales nel Combattimento spirituale, Vincenzo de' Paoli e tanti Santi nell’Imitazione di Cristo, attingevano forza per giungere alla perfezione; noi stessi non ci ricordiamo forse quante volte una buona lettura ci ha scossi, edificati, penetrati? Perché non leggiamo, ogni di, qualche brano d'un buon libro?

 

2. Come bisogna leggere. Poco o nulla giova il leggere in fretta, o per curiosità, o per divertimento; giova poco cambiare di frequente il libro, quasi farfalle che svolazzano su tutti i fiori. 1° Prima della lettura, domanda a Dio che con essa ti parli al cuore. 2° Leggi poco, e con riflessione; rileggi quei passi che ti hanno fatto maggior impressione. 3° Dopo la lettura, ringrazia il Signore dei buoni affetti ottenuti. Vi attendi tu così? Forse ti pare quasi inutile, perché fatta male...!

 

3. Non perdere tempo nel leggere. Si perde tempo nel leggere libri cattivi che sono la peste dei buoni costumi! Si perde nel leggere libri indifferenti che nulla giovano alla salute dell'anima! Si perde nel leggere per comparire eruditi nelle cose spirituali e senza il fine di trame profitto! Si perde tempo nel leggere cose buone, ma fuori tempo, a scapito dei doveri del proprio stato... Rifletti se sei colpevole di tali letture. Il tempo è prezioso...

 

PRATICA. - Prometti di fare ogni giorno cinque minuti almeno di lettura spirituale con tranquillità,

 

10 Dicembre

TRE MASSIME FONDAMENTALI

 

1. La vita passa. La fanciullezza è già passata; la gioventù e la virilità forse sono già trascorse; quanto mi rimane di vita? Forse un terzo, due terzi di vita sono già trascorsi; forse tengo già un piede nella fossa; ed io come impiego quel po' di vita che mi rimane? Ogni giorno mi fugge di mano, si dilegua come nebbia a! sole; l'ora passata non ritorna più, ed io perché non me ne curo? Perché dico sempre: Domani mi convertirò, mi emenderò, mi farò santo? E se il domani non vi fosse più per me?

 

2. La morte viene. Quando meno tè lo aspetti, quando più ti pare improbabile, in mezzo ai più fioriti progetti, la morte ti sta dietro le spalle, spia i tuoi passi; in un istante non ci sei più! Indarno la fuggì, indarno ti industrii ad evitare ogni pericolo per la tua sanità, invano t'affatichi a vivere lunghi anni; la morte non fa anticamera, vibra il colpo, e tutto per le è finito. Come ci pensi? Come ti ci prepari? Oggi può giungere; sei tu tranquillo di coscienza?

 

3. L'eternità mi aspetta. Ecco il mare che ingoia ogni fiume, l'eternità... Lascio una vita breve, per gettarmi in una vita eterna, senza fine, senza cambiare, senza uscirne mai più. I giorni del dolore paiono lunghi; interminabili sono per il languente le notti; e se mi aspetta l'eternità dell'Inferno?... Che spavento! Sempre soffrire, sempre... Che fai per fuggire un castigo cosi orrendo? Non vorrai abbracciare la penitenza per giungere all'Eternità beata?

 

PRATICA. - Rifletti spesso : La vita passa, la morte viene, l'eternità mi aspetta.

 

11 Dicembre              

POSSIBILITÀ DI PROGREDIRE

 

1. Nella fuga del peccato. Le passioni incalzano terribili, la debolezza nel resistere è ben grande, la natura corrotta c'inclina al peccato, tutto ci alletta al male: ciò è vero; nondimeno, quante volte si seppe resistere raccomandandoci all'aiuto di Dio! Quante volte, impegnatici sul serio a combattere una passione, a non consentire al male, ne siamo usciti vittoriosi! Prima di dire che non puoi astenerti dalle bugie, dalle impazienze, dalle immodestie, prega, sforzati, fatti violenza: t'accorgerai di poter fare di più di ciò che non credevi.

 

2. Nella pratica del bene. Si tratta di pregare bene: Non posso, si risponde. Si dovrebbe fare un digiuno, un'astinenza; Sono debole, non posso. Per una elemosina, per un'opera di carità." : Non posso, si dice. Per l'esattezza nel dovere, per una vita regolata e un poco più interiore... ; Non posso. Non è forse questo un artifizio dell'amor proprio, della pigrizia, della tiepidezza nostra? Per le cose che ci piacciono, per un capriccio si fa e si soffre ben di più. Provati, e farai, nel bene, di più di ciò che non credi.

 

3. Nella nostra santificazione. Non mi bastano le forze a farmi santo?... Ci vuoi troppo a lasciare il mondo, e pregare sempre, a pensare solo a Dio...; non mi sento capace di levarmi così in alto. - Ma hai tu già provato qualche volta? Lo poterono uomini e donne delicate come S. Genoveffa, S. Isabella, S. Luigi; lo poterono gente d'ogni età, d'ogni condizione; lo poterono tanti martiri... Fa almeno la prova, e vedrai che puoi fare molto di più che non ti credi.

 

PRATICA. - Passa la giornata santamente: recita un Angele Dei.

 

12 Dicembre

CHI HA TEMPO, NON ASPETTI TEMPO

 

1. Perché il tempo vola. Tu lo sai e lo tocchi con mano, quanto sono brevi i giorni dell'uomo: la notte incalza il giorno, la sera incalza il mattino! E le ore in cui speravi, i giorni, gli anni, dove sono? Oggi hai tempo a convertirti, a praticare la virtù, a frequentare la chiesa, a moltiplicare le opere buone; oggi hai tempo a procacciarti un po' di corona pel Cielo... : e tu che fai? Aspetti tempo..,; ma intanto il merito non fu acquistato, le mani sono vuote! La morte giunge, e tu aspetti ancora?

 

2. Perché il tempo tradisce. Esamina gli anni addietro, i proponimenti fatti... Quanti progetti avevi formato per quest'anno, per questo mese! Ma il tempo ti ha tradito, e tu che hai fatto? Nulla. Mentre hai tempo, non aspettare tempo. Non dire domani, non dire a Pasqua, o all'anno venturo, non dire nella vecchiaia, o prima di morire, farò, penserò, aggiusterò... Il tempo tradisce, e nell'ora, da noi non pensata, il tempo viene meno! Tocca a te pensarvi e provvedervi...

 

3. Perché il tempo non ritorna più. Dunque il tempo perduto è perduto per sempre!... Dunque, tutte le opere buone tralasciate, tutti gli atti di virtù omessi, sono meriti perduti, e perduti per sempre! Tanto, il tempo non ritorna più. Ma come? La vita è tanto breve per fabbricarci la Corona Celeste, e noi gettiamo via tanto tempo come se ne avessimo troppo?! Alla morte, sì, che ci pentiremo! Animo! Ora che hai tempo, non aspettare tempo!

 

PRATICA. - Oggi, non perdere tempo: se la tua vita ha bisogno di riforma, non aspettare domani.

 

13 Dicembre 

LA SPERANZA CRISTIANA

 

1. Speranza del perdono dei peccati. Dopo commesso il peccato, perché lasci che la disperazione ti affanni il cuore? È male, certo, la presunzione di salvarti senza merito; ma, quando ti sei pentito, quando il confessore si rassicura, a nome di Dio, del perdono, perché ancora dubiti e diffidi? Iddio stesso si dichiara tuo Padre, ti protende le braccia, ti schiude il Costato... In qualunque abisso tu sia caduto, spera sempre in Gesù.

 

2. Speranza del Cielo. Come non sperarlo se Iddio ce lo volle promettere? Considera pure la tua incapacità per giungere tanto alto: la tua ingratitudine alle chiamate del Ciclo, e ai benefizi divini: gli innumerevoli peccati, la tua vita tiepida che ti rendono indegno di ottenere il Paradiso... Va bene; ma, quando pensi alla bontà di Dio, al Sangue Prezioso di Gesù, agli infiniti suoi Meriti che applica a te per supplire alle tue miserie, non ti nasce m cuore la speranza, anzi, quasi la certezza di giungere al Cielo?

 

3. Speranza d'ogni cosa necessaria. Perché, nelle tribolazioni, dici di essere abbandonato da Dio? Perché dubiti in mezzo alle tentazioni? Perché hai così poca fiducia in Dio nei tuoi bisogni? Uomo di poca fede, perché dubiti? disse Gesù a Pietro. Dio è fedele, né vi permetterà tentazione superiore alle vostre forze. scrisse S, Paolo. Non ricordi che la confidenza fu sempre premiata da Gesù, nella Cananea, nella Samaritana, nel Centurione, ecc.? Quanto più speri, tanto più otterrai.

 

PRATICA. - Ripeti lungo il giorno: Signore, io spero in te. Gesù mio, misericordia!

 

14 Dicembre

LA CONFESSIONE FREQUENTE

 

1. Mantiene l'anima in grazia. Il Sacramento della confessione monda l'anima dal peccato; ma ogni dì manchiamo, e perché troviamo noioso confessarci spesso per averne il perdono? Malgrado le risoluzioni, i proponimenti e le preghiere, senza la confessione frequente e la grazia che la accompagna, senza i rimproveri e i consigli del confessore, noi ricadremo: l'esperienza lo prova! Sai tu mantenerti buono e virtuoso confessandoti di rado?

 

2. Dirige l'anima alla perfezione. Noi siamo ciechi sui nostri vizi e difetti : siamo bambini incapaci di camminare franchi sulla stretta via del Cielo, senza una guida: siamo inesperti e titubanti sulla volontà di Dio sopra di noi!... La confessione frequente ci fa rimediare alle nostre deficienze e debolezze. Il confessore, illuminato da Dio, leggendo sovente nelle nostre coscienze, ci corregge, ci guida, ci esorta alla santità. Non sai che fartene di tali vantaggi?

 

3. Prepara l'anima alla morte. 1° II gran passaggio mette paura per l'incertezza dello stato in cui si troverà l'anima nostra;... ma chi si confessa di frequente è sempre preparato alla morte. 2° La frequente Confessione, ricordandoci le tante nostre cadute quotidiane, ci toglie in parie il ribrezzo della morte, quale mezzo per non più offendere Dio. 3° La confessione inculcandoci la vanità, il nulla della terra, non ci fa desiderare il Cielo? Dunque frequentala di cuore.

 

PRATICA. - Fissati un confessore stabile; apri interamente il cuore a lui. Sei tranquillo sulle tue confessioni?

 

15 Dicembre

RINGRAZIAMENTO DELLA COMUNIONE

 

1. Che cosa fai, dopo la Comunione? Con Gesù in cuore, con Dio unito a te, che cosa fai tu? Gli Angeli invidiano la tua sorte; e tu non sai che dire al tuo Dio, al tuo Padre, al tuo Giudice? Guardalo con viva Fede abbassarsi fino a te, peccatore: umiliati, mostragli la tua riconoscenza, invita le creature a benedirlo per te, offrigli l'amore, il fervore di Maria e dei Santi, donagli il cuore, promettigli di farti santo... Tu, fai cosi?                  ,

 

2. È il più prezioso momento della vita. S. Teresa diceva, che, dopo la santa Comunione, otteneva tutto quanto domandava. Gesù viene in noi portando ogni Grazia; è l'occasione favorevole di chiedere senza paura, senza limitazione. Per il corpo, per l'anima, per la vittoria sulle passioni, per la nostra santificazione; per i parenti, per i benefattori, per il trionfo della Chiesa: quante cose si hanno da chiedere! E noi, distratti, freddi, non sappiamo più dire nulla, dopo cinque minuti?

 

3. Ringraziamento remoto. Non basta al vero amante di Gesù trattenersi pochi momenti con Luì, egli passa tutta la giornata della Comunione in maggiore raccoglimento, in più frequenti atti d'amor di Dio, in unione a Gesù, nel proprio cuore, amandolo... E la tua abitudine? Ma il più bello e utile ringraziamento sarà sempre il mutare vita, il vincere una qualche passione per amore di Gesù, il crescere in santità per piacere a Lui. Perché non lo pratichi tu?

 

PRATICA, - Fa la Comunione sacramentale o spirituale; esamina i tuoi ringraziamenti.





[Modificato da Caterina63 06/12/2014 13:47]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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30/11/2014 14:57
 
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Prime luci di Natale

Edith Stein Il Divino Bambino porta la Pace ma anche la spada

"Quando i giorni si fanno più corti, quando in un normale inverno incominciano a cadere i primi fiocchi di neve, allora, timidi e lievi, fanno capolino i primi pensieri di Natale. La sola parola sa di incanto, un incanto a cui, si può dire, nessun cuore può sottrarsi.

Anche gli uomini di altra fede e quelli che non ne hanno affatto, per i quali la vecchia storia del Bambino di Betlemme non significa niente, fanno preparativi per la festa e pensano come poter accendere qua e là un raggio di gioia. Da settimane e mesi scende su tutta la terra come una calda corrente d'amore. Una festa di amore e di gioia: ecco la Stella, alla quale tutti mirano nei primi mesi dell'inverno.

Ma per il cristiano, e specialmente per il cristiano cattolico, si tratta di ben altro.

La Stella lo guida al presepe, presso il Bambino che porta la pace sulla terra. L'arte cristiana ce lo presenta in innumerevoli soavi immagini, e vecchie nenie, dalle quali risuona tutto l'incanto dell'infanzia, ce lo cantano.

A chi vive con la Chiesa, le campane del "Rorate"(1) e gli inni dell'Avventorisvegliano nel cuore una santa nostalgia, e chi sa attingere copiosamente alla fonte inestinguibile della santa Liturgia, sente bussare giorno per giorno il grande profeta dell'Incarnazione con le sue potenti parole di ammonimento e promessa:

"Stillate o cieli dall'alto la rugiada e le nubi piovano il giusto. Il Signore è già vicino. Invochiamolo! Vieni Signore e non indugiare! Esulta o Gerusalemme con grande gioia, che il tuo Salvatore a te viene".

Dal 17 al 24 dicembre le grandi antifone [...] al Magnificat [O Sapienza; O Adonai, O Radice di Jesse, O Chiave di Davide, O Aurora, O Re dei popoli ...] invocano con sempre maggior desiderio e fervore: "Vieni a liberarci", e sempre più pieno di promessa risuona il "Vedi, tutto è compiuto" dell'ultima domenica di Avvento; infine: "Sappiate oggi che il Signore viene, e domani potrete vedere la sua magnificenza".

La sera poi, quando gli alberi pieni di luce si accendono e i doni vengono scambiati, allora il desiderio non esaudito anela con insistenza verso un'altra luce, finché le campane della Messa di mezzanotte non incominciano a suonare e il miracolo della Notte Santa non si rinnova sugli Altari luminosi e infiorati: "E il Verbo si fece carne". Ecco, adesso è giunta l'ora del beato adempimento.

Certo ognuno di noi ha già gustato questa felicità del Natale. Ma il cielo e la terra non sono ancora divenuti una cosa sola. La Stella di Betlemme è una stella che ancor oggi splende in una notte oscura.

Già al secondo giorno la Chiesa mette da parte i bianchi paramenti per vestire il colore del sangue e al quarto giorno il viola del lutto: Stefano, protomartire, il primo a seguire Dio nella morte, e i bambini innocenti, i piccoli lattanti di Betlemme e di Giuda, ferocemente massacrati dalle rozze mani dei carnefici, fanno da seguito al Bambino nel presepe. 

 

Che vuole dire questo? Dov'è il giubilo delle schiere celesti, dove la silente beatitudine della santa notte? Dov'è la pace sulla terra? Pace sulla terra a coloro che sono di buona volontà: ma non tutti sono di buona volontà.

Fu quindi necessario che il Figlio dell'eterno Padre discendesse dalla magnificenza del cielo, poiché il mistero del male aveva immerso la terra nell'oscurità. Le tenebre coprivano la terra, ed egli venne come luce che brilla tra le tenebre, ma le tenebre non l'hanno compreso.

A coloro che lo accolsero, portò luce e pace: la pace con il Padre che sta nei cieli, la pace con tutti coloro che sono ugualmente figli della luce e figli del Padre che è nei cieli, e infine l'intima pace del cuore; ma non la pace con i figli delle tenebre.

A questi il Principe della pace non porta la pace, ma la spada. Egli è per loro la pietra dello scandalo, contro la quale essi vanno a infrangersi.

Questa è un'autentica severa realtà, che non possiamo permettere venga nascosta dall'incanto poetico del Bambino nel presepe. Il mistero dell'incarnazione e il mistero del male sono strettamente congiunti.

Contro la luce scesa dal cielo spicca, più sinistra e più nera, la notte del peccato.

Il Bambino nel presepe allunga le manine e sembra già voler dirci con il suo sorriso le parole che usciranno un giorno dalle labbra dell'uomo: "Venite a me voi tutti che siete tribolati e oppressi".

E accolsero il suo invito i poveri pastori: sulle piane di Betlemme la lieta novella venne data loro dalla luce del cielo e dalle voci degli angeli e dissero candidamente: "andiamo a Betlemme" e si misero in viaggio.

E i re che dai lontani paesi dell'oriente con uguale semplice fede seguirono la meravigliosa Stella: dalle mani del Bambino cadde loro copiosa la rugiada della grazia, ed "esultarono con grande gioia".

Ecco le mani che danno e chiedono nello stesso tempo: voi saggi, mettete da parte la vostra saggezza e fatevi semplici come i bambini; voi, re, deponete le vostre corone e donate i vostri tesori e inchinatevi in umiltà davanti al Re dei re, accettate senza esitare fatiche, sofferenze, pene, come richiede il suo servizio.

A voi bambini, che non potete ancor dar nulla spontaneamente, le mani del Bambino portan via la vostra delicata vita prima che sia veramente incominciata, non potendo essa venir usata meglio che in sacrificio al Signore delle lodi. "Seguimi", così dicono le mani del Bambino, come l'avrebbero detto un giorno le labbra dell'uomo. [...] Intorno al presepe s'inginocchiano soltanto creature di luce: i delicati innocenti bambini, i candidi pastori, o gli umili re. [...]

Di fronte a loro sta la notte degli induriti e degli accecati: i sapienti della Scrittura, che sanno informare sul tempo e sul luogo della nascita del Signore nel mondo, ma non arrivano a concludere: "Andiamo a Betlemme"; il re Erode che vuole ammazzare il Signore della vita: Davanti al Bambino nel presepe gli animi già si dividono.

Egli è il Re dei re, il Re della vita e della morte: Egli pronuncia il suo "Seguimi" e chi non è per Lui è contro di Lui.

Egli lo pronuncia anche per noi e ci pone davanti alla scelta tra la luce e le tenebre. [...]

 

Il corpo mistico di Cristo

Dove il Bambino divino intenda condurci sulla terra è cosa che non sappiamo e a proposito della quale non dobbiamo fare domande prima del tempo. Una cosa sola sappiamo, e cioè che a quanti amano il Signore tutte le cose ridondano in bene. E inoltre che le vie, per le quali il Salvatore conduce, vanno al di là di questa terra.

Il Presepe aiuta a contemplare il mistero del Figlio di Dio che si fa uomo, in un mondo anche allora pieno di contraddizioni, tensioni sociali e politiche, lotte di potere. Solo i poveri e gli umili di cuore lo accolgono, sono loro i testimoni dell'evento più importante della storia.

O scambio mirabile! Dio è diventato un figlio degli uomini, affinché gli uomini potessero diventare figli di Dio. Uno di noi aveva lacerato il legame della figliolanza divina, uno di noi doveva di nuovo riannodarlo e pagare per il peccato. Ma nessun discendente di questa progenie antica, malata e imbastardita, era in grado di farlo. Su di essa andava innestato un ramoscello nuovo, sano e nobile. Egli è divenuto uno di noi, anzi di più ancora, una cosa sola con noi.

Questa è infatti la cosa meravigliosa del genere umano, il fatto che siamo tutti una cosa sola. Se le cose stessero diversamente, la caduta dell’uno non si sarebbe tirata dietro la caduta di tutti gli altri. Egli è il nostro capo, noi le sue membra.

Se mettiamo le nostre mani nelle mani del Bambino divino e rispondiamo con un "sì" al suo "Seguimi", allora siamo suoi, è libera la via perché la sua vita divina possa riversarsi in noi.

Non è ancora la contemplazione beata di Dio nella luce della gloria; è ancora l’oscurità della fede, però la nostra vita non è più di questo mondo ed è già un’esistenza nel regno di Dio.

Tale regno sopravvenne in maniera diversa da come ce lo si era immaginato in base ai Salmi e ai profeti.

I romani rimasero i padroni del paese, e i sommi sacerdoti e gli scribi continuarono a tenere il popolo povero sotto il loro giogo. Chiunque apparteneva al Signore portava invisibilmente il regno di Dio in sé. Egli non si vide alleggerito dei pesi dell’esistenza terrena, anzi ne vide aggiungere degli altri; ma dentro era sorretto da una forza alata, che rendeva dolce il giogo e leggero il peso. La vita divina, che viene accesa nell’anima, è la Luce che è venuta nelle tenebre, il miracolo della Notte Santa..."

****

 

A queste parole d'incanto e di una Donna Santa e Compatrona d'Europa, vogliamo associare in una sola meditazione anche le parole di Tertulliano prima e di San Leone Magno per degna conclusione:

«Verbum caro factum est» il Verbo si fece carne, scrive l’evangelista Giovanni e un autore cristiano de III secolo, Tertulliano, afferma: «Caro salutis est cardo», la carne è il cardine della salvezza.

«Infatti se l’anima diventa tutta di Dio è la carne che glielo rende possibile! La carne vien battezzata, perché l’anima venga mondata; la carne viene unta, perché l’anima sia consacrata; la carne viene segnata della croce, perché l’anima ne sia difesa; la carne viene coperta dall’imposizione delle mani, perché l’anima sia illuminata dallo Spirito; la carne si nutre del corpo e del sangue di Cristo, perché l’anima si sazi di Dio. Non saranno separate perciò nella ricompensa, dato che son state unite nelle opere». (De carnis resurrectione, 8, 3: PL 2, 806) (2)

«Carissimi, l’intera disciplina della sapienza cristiana, non consiste nell’abbondanza di parole, né nell’astuzia dell’arte della disputa, e neppure nella brama di lode e di gloria, ma nell’umiltà vera e libera, la stessa che il Signore Gesù Cristo scelse e insegnò dall’utero della madre al supplizio della croce, in alternativa ad ogni atto di forza.

Infatti, mentre i suoi discepoli stavano discutendo tra loro su chi di loro – come dice l’evangelista – fosse il più grande nel regno dei cieli, Egli chiamò un fanciullo, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi dico, se non vi convertirete e vi farete come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli. Chi dunque si farà piccolo come questo fanciullo, costui sarà più grande nel regno dei cieli". […]

Non è dunque che si debba ritornare ai giochi d’infanzia o alle nostre immaturità degli anni leggeri, ma da quelli trarre qualcosa che si addice anche agli anni più gravi: l’oltrepassare con velocità i sentimenti impetuosi, il ritornare rapidamente alla pace, la scarsa memoria delle offese, un’inesistente brama di riconoscimenti, l’amare una comunione socievole e un’uguaglianza naturale. È certo un gran bene non saper nuocere agli altri e non avere il gusto del male, perché fare e restituire l’ingiuria fa parte della furbizia di questo mondo, mentre non rendere a nessuno male per male costituisce l’infanzia di una giustizia cristiana». (Papa Leone I Magno, Settima omelia sull’Epifania)

 

Note

1) Inizio dell'inno latino "Rorate, cæli, desuper": "Piovete, cieli, dall'alto". Inno ispirato al profeta Isaia (41, 13-20). Edith Stein (santa Teresa Benedetta della Croce, Compatrona d'Europa)

2) vedi qui una bella presentazione del testo di Santa Edith Stein






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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01/12/2014 13:45
 
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Ricordiamo che la prima parte del testo è stata proposta "qui".

Segue ora l'approfondimento di Benedetto XVI sulla Annunciazione, su quelle parole pronunciate dall'Angelo....

3. L’Annunciazione a Maria

«Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1,26s).

L’annuncio della nascita di Gesù è collegato con la storia di Giovanni Battista innanzitutto cronologicamente mediante l’indicazione del tempo trascorso dopo il messaggio dell’arcangelo Gabriele a Zaccaria, cioè «al sesto mese» della gravidanza di Elisabetta. Ambedue gli eventi ed ambedue le missioni, tuttavia, in questo brano vengono collegati anche mediante l’informazione che Maria ed Elisabetta - e quindi anche i loro bambini - sono parenti. La visita di Maria ad Elisabetta, che deriva come conseguenza dal colloquio tra Gabriele e Maria (cfr. Lc 1,36), porta - ancora prima della nascita - ad un incontro, nello Spirito Santo, tra Gesù e Giovanni, e in questo incontro si rende al contempo evidente anche la correlazione delle loro missioni: Gesù è il più giovane, Colui che viene dopo.

Ma è la vicinanza di Lui che fa sussultare Giovanni nel grembo materno e colma Elisabetta di Spirito Santo (cfr. Lc 1,41). Così appare oggettivamente, già nei racconti di san Luca sull’annuncio e sulla nascita, ciò che il Battista dirà nel Vangelo di Giovanni: «Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”» (1,30).

Anzitutto, però, conviene considerare in modo più dettagliato la narrazione dell’annuncio della nascita di Gesù a Maria. Guardiamo prima il messaggio dell’angelo e poi la risposta di Maria.

Nel saluto dell’angelo colpisce il fatto che egli non rivolge a Maria l’usuale saluto ebraico, shalom - la pace sia con te -, ma la formula greca chaîre, che si può tranquillamente tradurre con «ave», come avviene nella preghiera mariana della Chiesa, composta con parole tratte dalla narrazione dell’Annunciazione (cfr. Lc 1,28.42).

Tuttavia è giusto cogliere, a questo punto, il vero significato della parola chaîre: rallégrati! Con questo augurio dell’angelo - possiamo dire inizia, in senso proprio, il Nuovo Testamento. La parola ricompare nella Notte Santa sulle labbra dell’angelo, che dice ai pastori: «Vi annuncio una grande gioia» (2,10). Ricompare - in Giovanni - in occasione dell’incontro con il Risorto: «I discepoli gioirono al vedere il Signore» (20,20). Nei discorsi di addio in Giovanni appare una teologia della gioia che illumina, per così dire, le profondità di questa parola. «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (16,22).

La gioia appare, in questi testi, come il dono proprio dello Spirito Santo, come il vero dono del Redentore. Così, con il saluto dell’angelo viene fatto echeggiare l’accordo che continuerà poi a risuonare attraverso tutto il tempo della Chiesa e che, per quanto riguarda il suo contenuto, può essere percepito anche nella parola fondamentale con la quale si qualifica l’intero annuncio cristiano: il Vangelo - la Buona Novella. 

 

«Rallégrati» è - come abbiamo visto - anzitutto un saluto in lingua greca, e così si apre subito, in questa parola dell’angelo, anche la porta verso i popoli del mondo; si ha un accenno all’universalità del messaggio cristiano. Eppure questa è, al tempo stesso, anche una parola tratta dall’Antico Testamento e sta quindi pienamente nella continuità della storia biblica della salvezza. Soprattutto Stanislas Lyonnet e René Laurentin hanno mostrato che nel saluto di Gabriele a Maria è ripresa ed attualizzata la profezia di Sofonia 3,14- 17, che suona così: «Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele! [...] Il Signore, tuo Dio, è in mezzo a te».

Non è necessario entrare qui nei particolari di un confronto testuale tra il saluto dell’angelo a Maria e la parola di promessa del profeta. Il motivo essenziale perché la figlia di Sion può esultare è espresso nell’affermazione: «Il Signore è in mezzo a te» (Sof 3,15.17) - tradotto letteralmente: «è nel tuo grembo».

Con ciò Sofonia riprende parole del Libro dell’Esodo che descrivono il dimorare di Dio nell’arca dell’alleanza come un dimorare «nel grembo di Israele» (cfr. Es 33,3; 34,9; cfr. Laurentin, Structure et Théologie, pp. 64-71).

Proprio questa parola ricompare nel messaggio di Gabriele a Maria: «Concepirai nel grembo» (Lc 1,31). Comunque si valutino i particolari di questi parallelismi, si rende evidente una vicinanza interna dei due messaggi.

Maria appare come la figlia di Sion in persona. Le promesse riguardanti Sion si adempiono in lei in modo inaspettato. Maria diventa l’arca dell’alleanza, il luogo di una vera inabitazione del Signore.

«Rallégrati, piena di grazia!» Un ulteriore aspetto di questo saluto chaîre è degno di riflessione: la connessione tra gioia e grazia. Nel greco, le due parole, gioia e grazia (chará e cháris), sono formate dalla stessa radice. Gioia e grazia vanno insieme.

Dedichiamoci ora al contenuto della promessa. Maria darà alla luce un bambino, al quale l’angelo attribuisce i titoli «Figlio dell’Altissimo» e «Figlio di Dio». Inoltre viene promesso che Dio, il Signore, gli darà il trono di Davide suo padre. Egli regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno (la sua signoria) non avrà fine.

Si aggiunge poi una serie di promesse in riferimento al «come» del concepimento: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Cominciamo con quest’ultima promessa. Stando al suo linguaggio, essa appartiene alla teologia del Tempio e della presenza di Dio nel santuario. La nube sacra - la shekinà - è segno visibile della presenza di Dio. Essa insieme nasconde e mostra il suo dimorare nella sua casa.

La nube che getta la sua ombra sugli uomini ritorna poi nel racconto della Trasfigurazione del Signore (cfr. Lc 9,34; Mc 9,7). Di nuovo essa è segno della presenza di Dio, del mostrarsi di Dio nel nascondimento. Così, con la parola circa l’ombra che scende con lo Spirito Santo, è ripresa la teologia relativa a Sion, contenuta nel saluto.

Ancora una volta Maria appare come la tenda viva di Dio, nella quale, in un modo nuovo, Egli vuole dimorare in mezzo agli uomini.

Al tempo stesso, nell’insieme di queste parole dell’annuncio è percettibile un accenno al mistero del Dio trinitario. Agisce Dio Padre, che aveva promesso stabilità al trono di Davide e ora istituisce l’erede il cui regno non avrà fine, l’erede definitivo di Davide, predetto dal profeta Natan con le parole: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (2 Sam 7,14). Il Salmo 2 lo ripete: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (v. 7).

Le parole dell’angelo rimangono totalmente nella concezione religiosa veterotestamentaria e, tuttavia, la superano. A partire dalla nuova situazione ricevono un nuovo realismo, una densità e una forza prima inimmaginabili. Ancora il mistero trinitario non è stato oggetto di riflessione, ancora non è sviluppato fino alla dottrina definitiva.

Appare da sé, grazie al modo di agire di Dio prefigurato nell’Antico Testamento; appare nell’avvenimento, senza diventare dottrina. E, ugualmente, il concetto dell’essere Figlio, proprio del Bambino, non è approfondito e sviluppato fin nella dimensione metafisica. In questo modo, tutto rimane nell’ambito della concezione religiosa giudaica.

E, tuttavia, le antiche parole stesse, a causa dell’avvenimento nuovo che esprimono e interpretano, sono nuovamente in cammino, vanno al di là di se stesse. Proprio nella loro semplicità ricevono una nuova grandezza quasi sconcertante, che però solo nel cammino di Gesù e nel cammino dei credenti dovrà svilupparsi. 

 

In questo contesto si colloca anche il nome «Gesù» che l’angelo, sia in Luca (1,31) sia in Matteo (1,21), attribuisce al bambino. Nel nome di Gesù, il tetragramma, il nome misterioso dall’Oreb (YHWH; cfr. Es 3,1.13-14; 34,6), è nascostamente contenuto ed allargato fino all’affermazione: Dio salva. Il nome dal Sinai, rimasto - per così dire - incompleto, viene pronunciato fino in fondo. Il Dio che è, è il Dio presente e salvatore. La rivelazione del nome di Dio, iniziata nel roveto ardente, viene portata a compimento in Gesù (cfr. Gv 17,26).

La salvezza, che il Bambino promesso porta, si manifesta nell’instaurazione definitiva del regno di Davide. In effetti, al regno davidico era stata promessa una durata permanente: «La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre grazie a me; il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (2 Sam 7,16), aveva annunciato Natan, per incarico di Dio stesso.

Nel Salmo 89 si riflette in modo sconvolgente la contraddizione tra la definitività della promessa e il crollo di fatto del regno davidico: «Stabilirò per sempre la sua discendenza, il suo trono come i giorni del cielo. Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge [...] punirò con la verga la loro ribellione [...] Ma non annullerò il mio amore e alla mia fedeltà non verrò mai meno» (vv. 30-34).

Perciò il salmista, in modo commovente e con insistenza, ripete davanti a Dio la promessa, bussa al suo cuore e reclama la sua fedeltà. La realtà da lui vissuta, infatti, è totalmente diversa: «Ma tu lo hai respinto e disonorato, ti sei adirato contro il tuo consacrato; hai infranto l’alleanza con il tuo servo, hai profanato nel fango la sua corona. [...] tutti i passanti lo hanno depredato, è divenuto lo scherno dei suoi vicini. [...] Ricorda, Signore, l’oltraggio fatto ai tuoi servi» (vv. 39-42.51). Questo lamento di Israele stava davanti a Dio anche nel momento in cui Gabriele preannunciava alla Vergine Maria il nuovo re sul trono di Davide. Erode era re per grazia di Roma. Era idumeo, non un figlio di Davide.

Ma, soprattutto, per la sua crudeltà inaudita, era una caricatura di quella regalità che era stata promessa a Davide.

L’angelo annuncia che Dio non ha dimenticato la sua promessa; ora, nel bambino che Maria concepirà per opera dello Spirito Santo, essa si avvererà.«Il suo regno non avrà fine», dice Gabriele a Maria.

Nel IV secolo, questa frase è stata assunta nel Credo nicenocostantinopolitano nel momento in cui il regno di Gesù di Nazaret abbracciava ormai l’intero mondo del bacino del Mediterraneo. Noi cristiani sappiamo e professiamo con gratitudine: sì, Dio ha attuato la sua promessa. Il regno del Figlio di Davide, Gesù, si espande «da mare a mare», da continente a continente, da un secolo all’altro.

Certo - resta sempre vera anche la parola che Gesù disse a Pilato: «Il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18,36). A volte, nel corso della storia, i potenti di questo mondo lo attraggono a sé; ma proprio allora esso è in pericolo: essi vogliono collegare il loro potere con il potere di Gesù, e proprio così deformano il suo regno, lo minacciano. Oppure esso è sottoposto all’insistente persecuzione da parte dei dominatori che non tollerano alcun altro regno e desiderano eliminare il re senza potere, il cui potere misterioso, tuttavia, essi temono. Ma «il suo regno non avrà fine»: questo regno diverso non è costruito su un potere mondano, ma si fonda solo sulla fede e sull’amore. È la grande forza della speranza in mezzo a un mondo che così spesso sembra essere abbandonato da Dio.

Il regno del Figlio di Davide, Gesù, non conosce fine, perché in esso regna Dio stesso, perché in esso il regno di Dio entra in questo mondo. La promessa che Gabriele ha trasmesso alla Vergine Maria è vera. Si adempie sempre di nuovo. La risposta di Maria, alla quale ora giungiamo, si sviluppa in tre passi. La prima reazione al saluto dell’angelo è di turbamento e pensosità. La sua reazione è diversa da quella di Zaccaria. Di lui si riferisce che si turbò e «fu preso da timore» (Lc 1,12). Nel caso di Maria, inizialmente è usata la stessa parola (fu turbata), ma poi non segue il timore, bensì una riflessione interiore sul saluto dell’angelo. Maria riflette (entra in dialogo con se stessa) su che cosa significhi il saluto del messaggero di Dio.

Così emerge già qui un tratto caratteristico dell’immagine della Madre di Gesù, un tratto che incontriamo nel Vangelo altre due volte in situazioni analoghe: l’interiore confrontarsi con la Parola (cfr. Lc 2,19.51). Lei non si ferma al primo turbamento per la vicinanza di Dio nel suo angelo, ma cerca di comprendere. Maria appare quindi una donna coraggiosa, che, anche di fronte all’inaudito, mantiene l’autocontrollo. Al tempo stesso, è presentata come donna di grande interiorità, che tiene insieme il cuore e la ragione e cerca di capire il contesto, l’insieme del messaggio di Dio.

In questo modo, diventa immagine della Chiesa che riflette sulla Parola di Dio, cerca di comprenderla nella sua totalità e ne custodisce il dono nella sua memoria. Enigmatica è per noi la seconda reazione di Maria. In seguito alla titubanza pensierosa con cui ella aveva accolto il saluto del messaggero di Dio, l’angelo, infatti, le aveva comunicato la sua elezione a diventare la madre del Messia.

 

Allora Maria pone una breve, incisiva domanda: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34).

Consideriamo di nuovo la differenza rispetto alla risposta di Zaccaria, che aveva reagito con un dubbio circa la possibilità del compito assegnatogli. Lui era, come Elisabetta, in un’età avanzata; non poteva più sperare in un figlio. Maria invece non dubita.

Non pone domande sul «che», ma sul «come» possa realizzarsi la promessa, essendo questo per lei non riconoscibile: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (1,34). Questa domanda appare incomprensibile, perché Maria era fidanzata e, secondo il diritto giudaico, era ritenuta ormai equiparata ad una moglie, anche se non abitava ancora con il marito e la comunione matrimoniale non era ancora iniziata.

A partire da Agostino la questione è stata spiegata nel senso che Maria avrebbe fatto un voto di verginità e avrebbe attuato il fidanzamento solo per avere un protettore della sua verginità.

Ma questa ricostruzione fuoriesce totalmente dal mondo del giudaismo dei tempi di Gesù e sembra impensabile in tale contesto. Ma che cosa significa allora questa parola?

Una risposta convincente non è stata trovata dall’esegesi moderna. Si dice che Maria, non ancora introdotta in casa, in quel momento non avrebbe ancora avuto alcun contatto con un uomo e avrebbe considerato il compito come immediatamente urgente. Questo, però, non convince, perché il tempo della convivenza non poteva più essere molto lontano.

Altri esegeti tendono a considerare la frase come una costruzione puramente letteraria, per sviluppare il dialogo tra Maria e l’angelo. Pure questa non è una vera spiegazione della frase. Si potrebbe anche ricordare che, secondo l’uso giudaico, il fidanzamento veniva espresso unilateralmente dall’uomo, e alla donna non si chiedeva il consenso.

Ma anche questa indicazione non risolve il problema.

Permane quindi l’enigma - o diciamo forse meglio: il mistero - di tale frase.

Maria, per motivi a noi non accessibili, non vede alcun modo di diventare madre del Messia per via del rapporto coniugale.

L’angelo le dà la conferma che lei non sarà madre attraverso il modo normale dopo essere accolta in casa da Giuseppe, ma attraverso «l’ombra della potenza dell’Altissimo», mediante l’arrivo dello Spirito Santo, e attesta con forza: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).

Dopo questo, segue la terza reazione, la risposta essenziale di Maria: il suo semplice «sì». Si dichiara serva del Signore. «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

Bernardo di Chiaravalle, in una sua omelia di Avvento, ha illustrato in modo drammatico l’aspetto emozionante di questo momento. Dopo il fallimento dei progenitori, tutto il mondo è oscurato, sotto il dominio della morte.

Ora Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo. Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana.

Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero «sì» alla sua volontà.

Creando la libertà, Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al «sì» non forzato di una persona umana. Così Bernardo mostra come, nel momento della domanda a Maria, il cielo e la terra, per così dire, trattengono il respiro. Dirà «sì»?

Lei indugia... Forse la sua umiltà le sarà d’ostacolo? Per questa sola volta - le dice Bernardo - non essere umile, bensì magnanima! Dacci il tuo «sì»! È questo il momento decisivo, in cui dalle sue labbra, dal suo cuore esce la risposta: «Avvenga per me secondo la tua parola».

È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si realizza la decisione più elevata della libertà umana. Maria diventa madre mediante il suo «sì».

I Padri della Chiesa a volte hanno espresso tutto ciò dicendo che Maria avrebbe concepito mediante l’orecchio - e cioè: mediante il suo ascolto. Attraverso la sua obbedienza, la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda. In questo contesto, i Padri hanno sviluppato l’idea della nascita di Dio in noi attraverso la fede e il Battesimo, mediante i quali sempre di nuovo il Logos viene a noi, rendendoci figli di Dio. Pensiamo, per esempio, alle parole di sant’Ireneo: «Come l’uomo passerà in Dio, se Dio non è passato nell’uomo?

Come abbandoneranno la nascita per la morte, se non saranno rigenerati mediante la fede in una nuova nascita, donata in modo meraviglioso ed inaspettato da Dio, nella nascita dalla Vergine, quale segno della salvezza?» (Adv. haer. IV 33, 4; cfr. H. Rahner, Symbole der Kirche, p. 23).

Penso che sia importante ascoltare anche l’ultima frase della narrazione lucana dell’Annunciazione: «E l’angelo si allontanò da lei» (Lc 1,38). La grande ora dell’incontro con il messaggero di Dio, nella quale tutta la vita cambia, passa, e Maria resta sola con il compito che, in verità, supera ogni capacità umana. Non ci sono angeli intorno a lei.

Ella deve continuare il cammino che passerà attraverso molte oscurità - a cominciare dallo sconcerto di Giuseppe di fronte alla sua gravidanza fino al momento in cui Gesù viene dichiarato «fuori di sé» (Mc 3,21; cfr. Gv 10,20), anzi, fino alla notte della Croce. Quante volte in queste situazioni Maria si sarà interiormente riportata all’ora in cui l’angelo di Dio le aveva parlato, avrà riascoltato e meditato il saluto: «Rallégrati, piena di grazia!», e la parola di conforto: «Non temere!». L’angelo se ne va, la missione rimane, e insieme con essa matura la vicinanza interiore a Dio, l’intimo vedere e toccare la sua vicinanza.

 

Joseph Ratzinger - Benedetto XVI - L’infanzia di Gesù - RIZZOLI

 
 

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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Riepiloghiamo i precedenti lavori postati dal medesimo libro di Benedetto XVI "L'Infanzia di Gesù di Nazareth" il terzo della trilogia:


Benedetto XVI spiega le parole annunciate a Maria


Ratzinger Benedetto XVI ci accompagna nel Tempo di Avvento


La nascita di Gesù raccontata da Benedetto XVI


(ricordiamo di cliccare sulle immagini per ingrandirle)


4. Concepimento e nascita di Gesù secondo Matteo


Dopo la riflessione sulla narrazione lucana dell’Annunciazione dobbiamo ascoltare ancora la tradizione del Vangelo di Matteo riguardo allo stesso avvenimento.


Al contrario di Luca, Matteo ne parla esclusivamente dalla prospettiva di san Giuseppe che, in quanto discendente di Davide, funge da collegamento della figura di Gesù con la promessa fatta a Davide. Matteo ci informa innanzitutto del fatto che Maria era fidanzata con Giuseppe. Secondo il diritto giudaico allora vigente, il fidanzamento significava ormai un legame giuridico tra i due partner, così che Maria poteva essere chiamata moglie di Giuseppe, anche se l’atto del suo accoglimento in casa, che fondava la comunione matrimoniale, non era ancora avvenuto.


Da fidanzata, «la donna viveva ancora nella casa dei genitori e restava sotto la patria potestas. Dopo un anno si svolgeva poi l’accoglimento in casa ovvero la celebrazione del matrimonio» (Gnilka, Das Matthäusevangelium I/1, p. 17).


Ora Giuseppe dovette constatare che Maria «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» (Mt 1,18).


Ma ciò che Matteo anticipa qui sulla provenienza del bambino, Giuseppe ancora non lo sa. Egli deve supporre che Maria abbia rotto il fidanzamento e secondo la Legge - deve abbandonarla; al riguardo, egli può decidere tra un atto giuridico pubblico e una forma privata: può portare Maria davanti a un tribunale o rilasciarle una lettera privata di ripudio. Giuseppe sceglie la seconda via, per non «accusarla pubblicamente» (1,19).


In questa decisione Matteo vede un segno che Giuseppe era «uomo giusto». La qualificazione di Giuseppe come uomo giusto (zaddik) va ben al di là della decisione di quel momento: offre un quadro completo di san Giuseppe e al contempo lo inserisce tra le grandi figure dell’Antica Alleanza - a cominciare da Abramo, il giusto. Se si può dire che la forma di religiosità presente nel Nuovo Testamento si riassume nella parola «fedele», l’insieme di una vita secondo la Scrittura si compendia, nell’Antico Testamento, nel termine «giusto».


Il Salmo 1 offre l’immagine classica del «giusto». Quindi possiamo considerarlo quasi come un ritratto della figura spirituale di san Giuseppe.Giusto, secondo questo Salmo, è un uomo che vive in intenso contatto con la Parola di Dio; che «nella legge del Signore trova la sua gioia» (v. 2).


È come un albero che, piantato lungo corsi d’acqua, porta costantemente il suo frutto. Con l’immagine dei corsi d’acqua, dei quali esso si nutre, s’intende naturalmente la Parola viva di Dio, in cui il giusto fa calare le radici della sua esistenza. La volontà di Dio per lui non è una legge imposta dall’esterno, ma «gioia».


 La legge gli diventa spontaneamente «vangelo», buona novella, perché egli la interpreta in atteggiamento di apertura personale e piena di amore verso Dio, e così impara a comprenderla e a viverla dal di dentro. Se il Salmo 1 considera come caratteristica dell’«uomo beato» il suo dimorare nella Torà, nella Parola di Dio, il testo parallelo in Geremia 17,7 chiama «benedetto» colui che «confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia».


Qui emerge, in modo più forte che non nel Salmo, il carattere personale della giustizia - il fidarsi di Dio, un atteggiamento che dà speranza all’uomo.


Anche se ambedue i testi non parlano direttamente del giusto, bensì dell’uomo beato o benedetto, possiamo tuttavia considerarli, con Hans-Joachim Kraus, come l’immagine autentica del giusto veterotestamentario e così, a partire da qui, imparare anche che cosa Matteo voglia dirci quando presenta san Giuseppe come «uomo giusto».


Questa immagine dell’uomo, che ha le sue radici nelle acque vive della Parola di Dio, sta sempre nel dialogo con Dio e perciò porta costantemente frutto, questa immagine diventa concreta nell’evento descritto, come pure in tutto ciò che, in seguito, si racconta di Giuseppe di Nazaret. Dopo la scoperta che Giuseppe ha fatto, si tratta di interpretare ed applicare la legge in modo giusto. Egli lo fa con amore: non vuole esporre Maria pubblicamente all’ignominia. Le vuole bene, anche nel momento della grande delusione.


Non incarna quella forma di legalità esteriorizzata che Gesù denuncia in Matteo 23 e contro la quale lotta san Paolo. Egli vive la legge come vangelo, cerca la via dell’unità tra diritto e amore. E così è interiormente preparato al messaggio nuovo, inatteso e umanamente incredibile, che gli verrà da Dio. Mentre l’angelo «entra» da Maria (Lc 1,28), a Giuseppe appare solo nel sogno - in un sogno, però, che è realtà e rivela realtà.


Ancora una volta si mostra a noi un tratto essenziale della figura di san Giuseppe: la sua percettività per il divino e la sua capacità di discernimento.Solo ad una persona intimamente attenta al divino, dotata di una peculiare sensibilità per Dio e per le sue vie, il messaggio di Dio può venire incontro in questa maniera. E la capacità di discernimento è necessaria per riconoscere se si era trattato solo di un sogno, oppure se veramente il messaggero di Dio era venuto da lui e gli aveva parlato. Il messaggio che gli viene partecipato è sconvolgente e richiede una fede eccezionalmente coraggiosa. 


 





È possibile che Dio abbia veramente parlato? Che Giuseppe, nel sogno, abbia ricevuto la verità - una verità che va al di là di tutto ciò che ci si può attendere? Può essere che Dio abbia agito in questo modo in un essere umano? È possibile che Dio abbia realizzato in questo modo l’inizio di una nuova storia con gli uomini?


Matteo aveva detto prima che Giuseppe stava «considerando interiormente» (enthymethéntos) la questione della giusta reazione alla gravidanza di Maria. Possiamo dunque immaginare come egli lotti ora nel suo intimo con questo messaggio inaudito del sogno: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa.


Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Giuseppe viene interpellato esplicitamente come figlio di Davide, e con ciò è indicato, al tempo stesso, il compito che, in questo evento, gli è assegnato: in quanto destinatario della promessa fatta a Davide, egli deve farsi garante della fedeltà di Dio.


«Non temere» di accettare questo compito, che davvero può suscitare timore. «Non temere» - questo aveva detto l’angelo dell’Annunciazione anche a Maria.


Con la stessa esortazione dell’angelo, Giuseppe ora è coinvolto nel mistero dell’Incarnazione di Dio. Alla comunicazione circa il concepimento del bambino per virtù dello Spirito Santo, segue poi un incarico: Maria «darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). Insieme con l’invito di prendere con sé Maria come sua moglie, Giuseppe riceve l’ordine di dare un nome al bambino e così di adottarlo giuridicamente come figlio suo. È lo stesso nome che l’angelo aveva indicato anche a Maria come nome del bambino: Gesù. Il nome Gesù (Yeshua) significa: YHWH è salvezza.


Il messaggero di Dio, che parla a Giuseppe nel sogno, chiarisce in che cosa consiste questa salvezza: «Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati». Con ciò, da una parte, è dato un alto compito teologico, poiché solo Dio stesso può perdonare i peccati.


Il Bambino viene così messo in relazione immediata con Dio, viene collegato direttamente con il potere santo e salvifico di Dio. Dall’altra parte, però, questa definizione della missione del Messia potrebbe apparire anche deludente. L’attesa comune della salvezza è orientata soprattutto verso la concreta situazione penosa di Israele: verso la restaurazione del regno davidico, verso la libertà e l’indipendenza di Israele e con ciò, naturalmente, anche verso il benessere materiale di un popolo in gran parte impoverito.


La promessa del perdono dei peccati appare troppo poco e insieme troppo: troppo, perché si invade la sfera riservata a Dio stesso; troppo poco, perché sembra che non sia presa in considerazione la sofferenza concreta di Israele e il suo reale bisogno di salvezza.


In fondo, già in queste parole è anticipata tutta la controversia sulla messianicità di Gesù: ha veramente redento Israele o forse non è rimasto tutto come prima?


È la missione, così come Egli l’ha vissuta, la risposta alla promessa o non lo è?


Sicuramente non corrisponde all’attesa immediata della salvezza messianica da parte degli uomini, che si sentivano oppressi non tanto dai loro peccati, quanto piuttosto dalle loro sofferenze, dalla loro mancanza di libertà, dalla miseria della loro esistenza.


Gesù stesso ha sollevato in modo drastico la questione circa la priorità del bisogno umano di redenzione, quando i quattro uomini che, a causa della folla, non poterono far entrare il paralitico attraverso la porta, lo calarono giù dal tetto e Glielo posero davanti. L’esistenza stessa del sofferente era una preghiera, un grido che chiedeva salvezza, un grido a cui Gesù, in pieno contrasto con l’attesa dei portatori e del malato stesso, rispose con le parole:«Figlio, ti sono perdonati i peccati» (Mc 2,5). Proprio questo la gente non si aspettava.


Proprio questo non rientrava nell’interesse della gente.


Il paralitico doveva poter camminare, non essere liberato dai peccati.


Gli scribi contestavano la presunzione teologica delle parole di Gesù; il malato e gli uomini intorno erano delusi, perché Gesù sembrava ignorare il vero bisogno di quest’uomo. Io ritengo tutta la scena assolutamente significativa per la questione circa la missione di Gesù, così come viene descritta per la prima volta nella parola dell’angelo a Giuseppe. Qui viene accolta sia la critica degli scribi che l’attesa silenziosa della gente. Che Gesù sia in grado di perdonare i peccati, lo mostra adesso comandando al malato di prendere la sua barella per andare via guarito.


Con questo, però, rimane salvaguardata la priorità del perdono dei peccati quale fondamento di ogni vera guarigione dell’uomo. 


 





L’uomo è un essere relazionale. Se è disturbata la prima, la fondamentale relazione dell’uomo - la relazione con Dio -, allora non c’è più alcun’altra cosa che possa veramente essere in ordine. Di questa priorità si tratta nel messaggio e nell’operare di Gesù: Egli vuole, in primo luogo, richiamare l’attenzione dell’uomo al nocciolo del suo male e mostrargli: se non sarai guarito in questo, allora, nonostante tutte le cose buone che potrai trovare, non sarai guarito veramente.


In tal senso, nella spiegazione del nome di Gesù data a Giuseppe nel sogno sta già una chiarificazione fondamentale su come sia da concepire la salvezza dell’uomo e in che cosa consista, pertanto, il compito essenziale del portatore della salvezza.


L’annuncio dell’angelo a Giuseppe circa la concezione e nascita verginali di Gesù, in Matteo viene integrato da altre due affermazioni.


Innanzitutto l’evangelista mostra che con ciò si compie quanto aveva predetto la Scrittura. Questo fa parte della struttura fondamentale del suo Vangelo: fornire per tutti gli eventi essenziali una «prova dalla Scrittura» - rendere evidente che parole della Scrittura hanno atteso tali eventi, li hanno preparati dall’interno.


Così Matteo mostra che, nella storia di Gesù, le parole antiche diventano realtà. Ma mostra, al tempo stesso, che la storia di Gesù è vera, proveniente cioè dalla Parola di Dio, sostenuta e tessuta da essa. Dopo la citazione biblica, Matteo porta a termine la narrazione. Riferisce che Giuseppe si alzò dal sonno e fece ciò che gli era stato comandato dall’angelo del Signore. Prese con sé Maria, sua sposa, ma non la «conobbe» prima che ella avesse dato alla luce il Figlio. Così si sottolinea, ancora una volta, che il Figlio non è generato da lui, ma dallo Spirito Santo. Infine, l’evangelista aggiunge: «Egli lo chiamò Gesù» (Mt 1,25).


Ancora una volta, Giuseppe ci viene qui presentato molto concretamente come «uomo giusto»: il suo essere interiormente vigilante per Dio - un atteggiamento grazie al quale può accogliere e comprendere il messaggio - diventa spontaneamente obbedienza. Se prima aveva fatto congetture con le proprie capacità, ora sa che cosa deve fare come cosa giusta. Da uomo giusto egli segue il comando di Dio, come dice il Salmo 1.


Ora, però, dobbiamo ascoltare la prova scritturistica presentata da Matteo, che - come poteva essere diversamente? - è diventata oggetto di ampie discussioni esegetiche.


Il versetto suona così: «Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi» (Mt 1,22s; cfr. Is 7,14). Cerchiamo di comprendere, anzitutto nel suo originario contesto storico, questa frase del profeta, diventata attraverso Matteo un grande e fondamentale testo cristologico, per vedere poi in che maniera si rispecchi in essa il mistero di Gesù Cristo. Eccezionalmente possiamo fissare la datazione di questo versetto di Isaia in modo molto preciso: si colloca nell’anno 733 a.C. Il re assiro Tiglat-Pilèser III, con una campagna militare improvvisa, aveva respinto l’inizio di un’insurrezione degli Stati siro-palestinesi.


Ora, i re Rezin di Damasco/Siria e Pekach di Israele si unirono in una coalizione contro la grande potenza assira. Poiché non erano riusciti a persuadere il re Acaz di Giuda ad aderire alla loro alleanza, decisero di scendere in campo contro il re di Gerusalemme per includere il suo Paese nella loro coalizione. Acaz e il suo popolo - ben comprensibilmente - sono colti da paura di fronte all’alleanza nemica; il cuore del re e del popolo si agita «come si agitano gli alberi della foresta per il vento» (Is 7,2).


Ciononostante, Acaz - evidentemente un politico che calcola con prudenza e freddezza - rimane nella linea già presa: non vuole aderire ad un’alleanza anti-assira alla quale, di fronte all’enorme prevalenza della grande potenza, chiaramente non dà alcuna chance.


Stipula invece un patto di protezione con l’Assiria - cosa che, da un lato, gli garantisce la sicurezza e salva il suo Paese dalla distruzione, dall’altro, però, esige come prezzo l’adorazione delle divinità statali della potenza protettrice. Di fatto, fu dopo la stipulazione del patto, concluso da Acaz con l’Assiria malgrado l’avvertimento del profeta Isaia, che si arrivò alla costruzione di un altare secondo il modello assiro nel Tempio di Gerusalemme (cfr. 2 Re 16,11ss; cfr. Kaiser, Der Prophet Jesaja, p. 73).


Nel momento a cui si riferisce la citazione di Isaia riportata da Matteo non si era ancora giunti fino a questo punto. Una cosa, però, era chiara: se Acaz avesse stipulato il patto con il grande re assiro, ciò avrebbe significato che egli, come uomo politico, si fidava più del potere del re che non della potenza di Dio, la quale, evidentemente, non gli pareva sufficientemente reale. 


 





In ultima analisi, quindi, si trattava qui non di un problema politico, ma di una questione di fede.


Isaia, in tale contesto, dice al re che non deve aver paura di fronte a «quei due avanzi di tizzoni fumanti», Siria ed Israele (Efraim), e che quindi non c’è alcun motivo per il patto di protezione con l’Assiria: deve puntare sulla fede e non su un calcolo politico. In modo del tutto inusuale, invita Acaz a chiedere un segno da Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto.


La risposta del re ebraico sembra devota: non vuole tentare Dio e non vuole chiedere alcun segno (cfr. Is 7,10-12). Il profeta che parla da parte di Dio non si lascia mettere in imbarazzo. Egli sa che la rinuncia del re a un segno non è - come sembra - un’espressione di fede, ma, al contrario, un indice del fatto che non vuol essere disturbato nella sua «realpolitik».


A questo punto, il profeta annuncia che ora il Signore stesso darà un segno: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele [Dio con noi]» (Is 7,14).


Qual è il segno che con ciò viene promesso ad Acaz? Matteo, e con lui tutta la tradizione cristiana, vi vede un annuncio della nascita di Gesù dalla Vergine Maria - Gesù che, veramente, non porta il nome di Emmanuele, bensì è l’Emmanuele, come cerca di illustrare l’intero racconto dei Vangeli. Quest’uomo - ci mostrano i Vangeli - è Egli stesso la permanenza di Dio con gli uomini. È vero uomo e, insieme, Dio, vero Figlio di Dio.


Ma Isaia ha compreso così il segno annunciato?


Su questo, da una parte, anzitutto si obietta - e con ragione - che, appunto, ad Acaz viene annunciato un segno, che in quel momento gli sarebbe stato dato per portarlo alla fede nel Dio di Israele quale vero padrone del mondo. Quindi, il segno dovrebbe essere cercato ed individuato nel contesto storico contemporaneo in cui è stato annunciato dal profeta.


Conformemente, l’esegesi, con grande acribia e con tutte le possibilità dell’erudizione storica, è andata alla ricerca di una spiegazione storica contemporanea allo svolgersi dei fatti - ed ha fallito. Rudolf Kilian, nel suo commento ad Isaia, ha descritto brevemente i tentativi essenziali di questo genere. Ne mostra quattro tipi principali. Il primo dice: con il termine «Emmanuele» ci si riferisce al Messia. L’idea del Messia, però, si è pienamente sviluppata solo nel periodo dell’esilio e poi successivamente.


Qui potrebbe quindi essere trovata tutt’al più un’anticipazione di questa figura; una corrispondenza storica contemporanea non è individuabile.


La seconda ipotesi suppone che il «Dio con noi» sia un figlio del re Acaz, forse Ezechia - una tesi che non trova alcun riscontro.


La terza teoria immagina che si tratti di uno dei figli del profeta Isaia, i quali ambedue portano nomi profetici: Seariasùb: «un resto ritornerà», e Maher-salal-cas-baz: «pronto bottino - veloce saccheggio» (cfr. Is 7,3; 8,3).


Ma anche questo tentativo non risulta convincente.


Una quarta tesi s’impegna per un’interpretazione collettiva: Emmanuele sarebbe il nuovo Israele e la ‘almah («vergine») sarebbe «nient’altro che la figura simbolica di Sion».


Ma il contesto del profeta non offre alcun indizio per una tale concezione, anche perché neppure questo potrebbe essere un segno storico contemporaneo. Kilian conclude la sua analisi dei vari tipi di interpretazione così: «Come esito di questa visione d’insieme, risulta dunque che neanche uno dei tentativi di interpretazione riesce veramente a convincere. Intorno alla madre e al figlio resta il mistero, almeno per il lettore di oggi, ma presumibilmente anche per l’ascoltatore di allora, forse addirittura per il profeta stesso» (Jesaja, p. 62).


Quindi, che cosa dobbiamo dire? L’affermazione circa la vergine che dà alla luce l’Emmanuele, analogamente al grande carme del Servo di YHWH in Isaia 53, è una parola in attesa. Nel suo contesto storico non si trova alcun riscontro. Resta così una questione aperta: non è parola rivolta soltanto ad Acaz. Neppure è rivolta soltanto a Israele. È rivolta all’umanità. Il segno che Dio stesso annuncia non viene offerto per una determinata situazione politica, ma riguarda l’uomo e la sua storia nel suo insieme.


Non dovevano forse i cristiani sentire questa parola come parola per loro? Non dovevano forse, colpiti dalla parola, arrivare alla certezza: la parola, che sempre stava lì in modo così strano e aspettava di essere decifrata, ora è divenuta realtà? Non dovevano essere convinti: nella nascita di Gesù dalla Vergine Maria, Dio ci ha donato ora questo segno?


L’Emmanuele è venuto. Marius Reiser ha riassunto l’esperienza che fecero i lettori cristiani circa questa parola nella frase: «Il vaticinio del profeta è come un buco di serratura miracolosamente predisposto, nel quale la chiave Cristo entra perfettamente» (Bibelkritik, p. 328). Sì, io credo che proprio oggi, dopo tutta la ricerca affannosa dell’esegesi critica, possiamo condividere, in modo del tutto nuovo, lo stupore per il fatto che una parola dell’anno 733 a.C., rimasta incomprensibile, al momento del concepimento di Gesù Cristo si è avverata - che Dio, in effetti, ci ha dato un grande segno che riguarda il mondo intero.


 





5. Il parto verginale - mito o verità storica?


Alla fine, però, dobbiamo ora domandarci con tutta serietà: ciò che i due evangelisti Matteo e Luca, in modi diversi e in base a tradizioni diverse, ci riferiscono sul concepimento di Gesù per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, è una realtà storica, un reale evento storico, oppure è una pia leggenda che, a modo suo, vuole esprimere ed interpretare il mistero di Gesù?


Soprattutto a partire da Eduard Norden († 1941) e Martin Dibelius († 1947) si è cercato di far derivare la narrazione della nascita verginale di Gesù dalla storia delle religioni e, apparentemente, è stata fatta una particolare scoperta nei racconti circa la generazione e la nascita dei faraoni egiziani. Un secondo ambito di idee affini si è trovato nell’antico giudaismo, nuovamente in Egitto, in Filone d’Alessandria († dopo il 40 d.C.).


Questi due ambiti di idee, tuttavia, sono molto diversi tra di loro. Nella descrizione della generazione divina dei faraoni, in cui la divinità si avvicina corporalmente alla madre, si tratta, in ultima analisi, della legittimazione teologica del culto al sovrano, di una teologia politica che vuole collocare il re nella sfera del divino e così legittimare la sua pretesa divina.


La descrizione che Filone fa della generazione dei figli dei Patriarchi da un seme divino, invece, ha un carattere allegorico.


«Le mogli dei Patriarchi [...] diventano allegorie delle virtù. In quanto tali, restano incinte da Dio e partoriscono per i loro mariti le virtù da esse impersonate» (Gnilka, Das Matthäusevangelium I/1, p. 25). Fino a che punto, al di là dell’allegoria, si consideri la cosa anche in modo concreto, è difficile da valutare. Una lettura attenta rende evidente che, né nel primo né nel secondo caso, si ha un vero parallelismo con la narrazione della nascita verginale di Gesù.


La stessa cosa vale per testi provenienti dall’ambiente greco-romano, che si credeva di poter citare come modelli pagani della narrazione del concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo: per l’unione tra Zeus ed Alcmena, dalla quale sarebbe nato Ercole; per quella tra Zeus e Danae, dalla quale sarebbe nato Perseo ecc. La differenza delle concezioni è così profonda che, in effetti, non si può parlare di veri paralleli. Nei racconti dei Vangeli rimangono pienamente conservate l’unicità dell’unico Dio e l’infinita differenza tra Dio e la creatura.


Non esiste alcuna confusione, non c’è alcun semidio.


La Parola creatrice di Dio, da sola, opera qualcosa di nuovo. Gesù, nato da Maria, è totalmente uomo e totalmente Dio, senza confusione e senza divisione, come preciserà il Credo di Calcedonia nell’anno 451. Le narrazioni in Matteo e Luca non sono miti ulteriormente sviluppati.


Secondo la loro concezione di fondo, sono saldamente collocati nella tradizione biblica di Dio Creatore e Redentore.


Quanto al loro contenuto concreto, però, provengono dalla tradizione familiare, sono una tradizione trasmessa che conserva l’accaduto. Vorrei considerare come l’unica vera spiegazione di quei racconti ciò che Joachim Gnilka, riferendosi a Gerhard Delling, esprime sotto forma di domanda: «Il mistero della nascita di Gesù [...] forse è stato premesso al Vangelo in un secondo tempo, o non si dimostra in ciò piuttosto che il mistero era noto?


Solo che non si voleva farne troppe parole e renderlo un avvenimento a portata di mano» (Das Matthäusevangelium I/1, p. 30). Mi sembra normale che solo dopo la morte di Maria il mistero potesse diventare pubblico ed entrare nella comune tradizione del cristianesimo nascente.


Ora poteva essere anche inserito nello sviluppo della dottrina cristologica e collegato con la professione che riconosceva in Gesù il Cristo, il Figlio di Dio - ma non nel senso che da un’idea sarebbe stata sviluppata una narrazione, trasformando un’idea in un fatto, bensì viceversa: l’avvenimento, un fatto ora reso noto, diventava oggetto di riflessione, alla ricerca della sua comprensione.


Dall’insieme della figura di Gesù Cristo cadeva una luce su questo evento e, inversamente, a partire dall’evento si capiva anche più profondamente la logica di Dio.


Il mistero dell’inizio illuminava ciò che seguiva e, inversamente, la fede in Cristo già sviluppata aiutava a comprendere l’inizio, la sua densità di significato. Così si è sviluppata la cristologia. Forse è opportuno menzionare a questo punto un testo che, come un presagio del mistero del parto verginale, ha fatto riflettere la cristianità occidentale fin dai primi tempi.


Penso alla quarta egloga di Virgilio che fa parte delle Bucoliche (poesie pastorali), composte all’incirca quarant’anni prima della nascita di Gesù. In mezzo ai versi giocosi sulla vita di campagna, risuona lì all’improvviso un tono molto diverso: viene annunciato l’avvento di un nuovo grande ordine del mondo a partire da ciò che è «integro» (ab integro). «Iam redit et virgo - già ritorna la vergine.» Una nuova progenie discende dall’alto del cielo. Nasce un Bambino con cui finisce la progenie «di ferro».


Che cosa viene promesso lì? Chi è la vergine? Chi è il bambino di cui si parla? Anche qui - come nel caso di Isaia 7,14 - gli studiosi hanno cercato identificazioni storiche che, però, sono finite altrettanto nel vuoto.


Dunque, che cosa viene detto?


Il quadro immaginativo dell’insieme proviene dall’antica raffigurazione del mondo: sullo sfondo sta la dottrina del ciclo degli eoni e del potere del destino. Ma queste idee antiche acquisiscono un’attualità vivace mediante l’attesa secondo cui sarebbe ormai arrivata l’ora di una grande svolta degli eoni.


Ciò che fino a quel momento era stato soltanto uno schema lontano, all’improvviso si rende presente. Nell’epoca di Augusto, dopo tutti gli sconvolgimenti a causa di guerre e di guerre civili, il Paese è attraversato da un’ondata di speranza: ora dovrebbe finalmente iniziare un grande periodo di pace, dovrebbe spuntare un nuovo ordine del mondo.


Di questa atmosfera di attesa della novità fa parte anche la figura della vergine, immagine della purezza, dell’integrità, della partenza «ab integro». E ne fa parte l’attesa del bambino, del «germoglio divino» (deum suboles). Per questo si può forse dire che la figura della Vergine e quella del Bambino divino fanno, in qualche modo, parte delle immagini primordiali della speranza umana, che emergono in momenti di crisi e di attesa, senza che vi siano in prospettiva figure concrete.


Torniamo ai racconti biblici sulla nascita di Gesù dalla Vergine Maria, che aveva concepito il bambino per opera dello Spirito Santo. Questo, allora, è vero? O forse sono state applicate alle figure di Gesù e di sua Madre idee archetipiche?


Chi legge i racconti biblici e li confronta con le tradizioni affini, delle quali poc’anzi si è parlato brevemente, vede subito la profonda differenza. Non solo il confronto con le idee egizie, di cui abbiamo parlato, ma anche il sogno della speranza, che incontriamo in Virgilio, ci conduce in mondi di carattere molto diverso. In Matteo e Luca non troviamo nulla di una svolta cosmica, nulla di contatti fisici tra Dio e gli uomini: ci viene raccontata una storia molto umile e, tuttavia, proprio per questo, di una grandezza sconvolgente.


È l’obbedienza di Maria ad aprire la porta a Dio. La Parola di Dio, il suo Spirito, crea in lei il Bambino.


Lo crea attraverso la porta della sua obbedienza. Così Gesù è il nuovo Adamo, un nuovo inizio «ab integro» - dalla Vergine che è pienamente a disposizione della volontà di Dio. In questo modo avviene una nuova creazione che, tuttavia, si lega al «sì» libero della persona umana di Maria. Forse si può dire che i sogni segreti e confusi dell’umanità di un nuovo inizio si sono realizzati in questo avvenimento - in una realtà come solo Dio poteva creare.


Quindi, è vero ciò che diciamo nel Credo: «Credo [...] in Gesù Cristo, suo [di Dio] unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine»?


La risposta senza riserve è: sì.


Karl Barth ha fatto notare che nella storia di Gesù ci sono due punti nei quali l’operare di Dio interviene immediatamente nel mondo materiale: la nascita dalla Vergine e la risurrezione dal sepolcro, in cui Gesù non è rimasto e non ha subìto la corruzione. Questi due punti sono uno scandalo per lo spirito moderno.


A Dio viene concesso di operare sulle idee e sui pensieri, nella sfera spirituale - ma non sulla materia. Ciò disturba. Lì non è il suo posto. Ma proprio di questo si tratta: che cioè Dio è Dio, e non si muove soltanto nel mondo delle idee. In questo senso, in ambedue i punti si tratta dello stesso essere-Dio di Dio. È in gioco la domanda: gli appartiene anche la materia?


Naturalmente non si possono attribuire a Dio cose insensate o irragionevoli o in contrasto con la sua creazione.


Ma qui non si tratta di qualcosa di irragionevole e di contraddittorio, bensì proprio di qualcosa di positivo: del potere creatore di Dio, che abbraccia tutto l’essere. Perciò questi due punti - il parto verginale e la reale risurrezione dal sepolcro - sono pietre di paragone per la fede. Se Dio non ha anche potere sulla materia, allora Egli non è Dio. Ma Egli possiede questo potere, e con il concepimento e la Risurrezione di Gesù Cristo ha inaugurato una nuova creazione. Così, in quanto Creatore, è anche il nostro Redentore. Per questo, il concepimento e la nascita di Gesù dalla Vergine Maria sono un elemento fondamentale della nostra fede e un segnale luminoso di speranza.


 


Joseph Ratzinger - Benedetto XVI - L’infanzia di Gesù - RIZZOLI


   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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03/12/2014 16:21
 
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Novena all'Immacolata Concezione. Dal 29 novembre al 7 dicembre

 
  NOVENA ALL’IMMACOLATA CONCEZIONE 

Eterno Divin Padre, io vi adoro profondamente e con tutto il mio cuore vi ringrazio per quella somma potenza con cui avete preservato Maria Vergine, vostra dilettissima Figlia, dal peccato originale
1 Pater e 4 Ave intercalate da: 
Sia Benedetta la Santa e Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria Madre di Dio
Oppure:
O Maria concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi (e per quanti a Voi non ricorrono, specialmente per i poveri peccatori)
3 Gloria 

Eterno Divin Figlio, io vi adoro profondamente e con tutto il mio cuore vi ringrazio per quell’infinita Sapienza con cui avete preservato Maria Vergine, vostra vera e dolcissima Madre, dalla colpa originale
1 Pater e 4 Ave intercalate da:
Sia Benedetta la Santa e Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria Madre di Dio
Oppure:
O Maria concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi
3 Gloria

Eterno Divino Spirito, io vi adoro profondamente, e con tutto il mio cuore vi ringrazio per quell'immenso amore, con cui avete preservata Maria Vergine, vostra purissima sposa, dalla colpa originale.
Santissima Trinità, io vi adoro profondamente, e con tutto il mio cuore vi ringrazio per quel singolarissimo privilegio concesso alla benedetta e gloriosa madre di Maria Vergine, sant'Anna, l'unica fra tutte le madri, umanamente feconda, che abbia concepita e data alla luce una prole del tutto esente dalla colpa d'origine.
solo 3 Gloria 

PREGHIERA COMPOSTA DA SAN PIO X

Vergine santissima che piaceste al Signore e diveniste sua Madre, immacolata nel corpo e nello spirito, nella fede e nell'amore, concepita senza peccato, guardate benigna ai miseri che implorano il vostro potente patrocinio!
Il maligno serpente contro cui fu scagliata la prima maledizione continua, purtroppo, a combattere e ad insidiare i miseri figli di Eva. Voi, o benedetta Madre nostra, nostra Regina e Avvocata, che fin dal primo istante del vostro concepimento schiacciaste il capo del nemico, accogliete le preghiere -- che uniti con Voi in un cuor solo -- Vi scongiuriamo di presentare al trono di Dio, perché non cediamo giammai alle insidie che ci vengono tese, così che tutti arriviamo al porto della salute, e fra tanti pericoli, la Chiesa e la società cristiana cantino ancora una volta l'inno della liberazione, della vittoria e della pace. Così sia
"O Maria, concepita senza peccato pregate per noi che ricorriamo a Voi" ( per tre volte)


Durante la Novena si consiglia di:
1) Pregare ogni giorno una decina del Rosario, o meglio una parte intera,  
2) Fare dei canti in onore della B.V. Maria, 
3) Fare dei fioretti per la gloria di Maria 
4) Vivere la Novena come momento di conversione personale o di gruppo, 
5) Curare il silenzio per la riflessione personale.


Note su una devozione più che millenaria
 
La solennità dell’Immacolata Concezione si lega anche alla consacrazione al Cuore immacolato di Maria che molti fedeli attuano in questo giorno. È una pia pratica che affonda le sue radici nel Medioevo, quando si venerava la Madonna con il titolo di «sovrana». Ma il vero araldo della consacrazione mariana fu san Luigi Maria Grignion de Montfort, che nel Settecento pubblicò ilTrattato della vera devozione a Maria. Si tratta di un testo spirituale tuttora molto apprezzato, nel quale il santo ha tracciato un itinerario di trentatré giorni per prepararsi alla consacrazione.
I primi dodici giorni rappresentano un periodo di preghiera e di raccoglimento per imparare a vincere l’attaccamento alle cose del mondo. Le successive tre settimane sono dedicate, ciascuna, all’offerta a Dio, a Cristo e allo Spirito Santo di ogni momento della giornata. Infine viene recitato l’atto di consacrazione a Maria, con una formula nella quale il devoto rinnova gli impegni del battesimo e dichiara solennemente: «Offro a Maria la mia persona, la mia vita e il valore delle mie buone opere, passate, presenti e future».

Tota pulchra es, Maria.
Et macula originalis non est in Te.
Tu gloria Ierusalem.
Tu laetitia Israel.
Tu honorificentia populi nostri.
Tu advocata peccatorum.
O Maria, O Maria.
Virgo prudentissima.
Mater clementissima.
Ora pro nobis.
Intercede pro nobis.
Ad Dominum Iesum Christum.

https://www.youtube.com/watch?v=K02P3IQYAdM 




CAPITOLO III

da Le Glorie di Maria di Sant'Alfonso M. de Liguori

SPERANZA NOSTRA, SALVE

Maria è la speranza di tutti

Gli eretici moderni non possono sopportare che noi salutiamo e chiamiamo Maria speranza nostra: Spes nostra, salve. Dicono che solo Dio è la nostra speranza e che maledice chi ripone la sua speranza nella creatura: «Maledetto l'uomo che confida nell'uomo» (Ger 17,5). Maria, affermano, è una creatura e come potrebbe una creatura essere la nostra speranza? Questo dicono gli eretici, tuttavia la santa Chiesa vuole che ogni giorno tutti gli ecclesiastici e tutti i religiosi proclamino e a nome di tutti i fedeli invochino e chiamino Maria con questo dolce nome di speranza nostra, speranza di tutti: Spes nostra, salve.

Ci sono due modi, dice san Tommaso, di porre la propria speranza in una persona, come causa principale o come causa di mezzo. Quelli che sperano qualche grazia dal re, la sperano da lui come sovrano; dal suo ministro o dal favorito la sperano come intercessore. Se la grazia è concessa, viene principalmente dal re, ma per il tramite del suo favorito; perciò chi chiede la grazia ha ragione di dire che il suo intercessore è la sua speranza. Il re del cielo, essendo bontà infinita, desidera grandemente arricchirci delle sue grazie; ma poiché da parte nostra è necessaria la fiducia, per accrescere in noi questa fiducia ci ha donato per madre e avvocata la sua Madre stessa, a cui ha dato tutto il potere di aiutarci. Perciò vuole che riponiamo in lei la speranza della nostra salvezza e di ogni nostro bene. Certamente quelli che pongono la loro speranza solo nelle creature indipendentemente da Dio, come fanno i peccatori, e che per ottenere l'amicizia e il favore di un uomo arrivano a offendere Dio, questi sono maledetti da Dio, come dice Geremia. Ma quelli che sperano in Maria, come Madre di Dio, tanto potente da ottenere loro le grazie e la vita eterna, questi sono benedetti da Dio e rallegrano il suo cuore, desideroso di vedere così onorata l'incomparabile creatura che più di tutti gli uomini e di tutti gli angeli lo ha amato e onorato in questo mondo.

Perciò giustamente noi chiamiamo la Vergine la nostra speranza, sperando, come dice il cardinale Bellarmino, di ottenere per la sua intercessione quello che non otterremmo con le sole nostre preghiere. Noi la preghiamo, dice sant'Anselmo, «affinché la dignità di chi intercede supplisca alla nostra povertà». Sicché, aggiunge il santo, «il supplicare la Vergine con tale speranza non è diffidare della misericordia di Dio, ma temere la propria indegnità».

Con ragione dunque la santa Chiesa applica a Maria le parole dell'Ecclesiastico con cui la chiama «Madre della santa speranza» (Sir 24,24 Vulg.), la madre che fa nascere in noi non già la speranza vana dei beni miserabili e transitori di questa vita, ma la speranza santa dei beni immensi ed eterni della vita del cielo. Sant'Efrem, rivolgendosi alla divina Madre, esclamava: «Dio ti salvi, o speranza dell'anima mia, salvezza certa dei cristiani, aiuto dei peccatori, difesa dei fedeli e salvezza del mondo». San Basilio afferma che dopo Dio non abbiamo altra speranza che Maria e perciò la proclama «la nostra unica speranza dopo Dio». Sant'Efrem, riflettendo sull'ordine stabilito dalla Provvidenza secondo il quale, come dice san Bernardo e come dimostreremo a lungo più avanti, tutti quelli che si salvano si debbono salvare per mezzo di Maria, così le parla: «In te sola è riposta la nostra fiducia, o Vergine purissima; proteggici e custodiscici sotto le ali della tua compassione». Lo stesso le dice san Tommaso da Villanova, chiamandola unico nostro rifugio, aiuto e asilo.

San Bernardo mostra la fondatezza di questa verità dicendo: «Guarda, o uomo, il disegno di Dio, disegno di pietà», per poter dispensare a noi con più abbondanza la sua misericordia: «volendo redimere il genere umano, egli ha posto tutto il valore della redenzione nelle mani di Maria», affinché ella lo dispensi a suo piacimento.

Dio ordinò a Mosè: «Farai il propiziatorio d'oro puro... È di là che ti dirò tutto quello che ti ordino» (Es 25,17.22). «Questo propiziatorio, dice un autore, è Maria, ed è dato da Dio a tutto il mondo. Da lì il nostro clementissimo Signore parla al cuore, da lì dà risposte di bontà e di perdono, da lì largisce i doni, da lì ci viene ogni bene». Perciò, dice sant'Ireneo, il Verbo divino, prima d'incarnarsi nel seno di Maria, mandò l'arcangelo a chiedere il suo consenso, perché volle che da Maria derivasse al mondo il mistero dell'Incarnazione: «Perché senza il consenso di Maria non si compie il mistero dell'Incarnazione? Perché Dio vuole che ella sia il principio di tutti i beni». L'Idiota dice dunque: «Per mezzo di lei il mondo ha e avrà ogni bene». Ogni bene, ogni aiuto, ogni grazia che gli uomini hanno ricevuto e riceveranno da Dio sino alla fine del mondo, tutto è venuto e verrà loro per intercessione e per mezzo di Maria. Aveva dunque ragione il devoto Blosio di esclamare: «O Maria, chi sarà quello stolto e infelice che non amerà te» che sei così amabile e così grata con chi ti ama? «Nei dubbi» e nelle perplessità in cui la nostra mente si confonde «tu sei la luce» di coloro che a te ricorrono; «nelle afflizioni, tu consoli» chi in te confida; «nei pericoli, tu soccorri» chi ti chiama. «Tu dopo il tuo divino Figlio sei la salvezza sicura dei tuoi servi fedeli. Dio ti salvi, o speranza dei disperati, o soccorso degli abbandonati». Maria, tu sei onnipotente, poiché, «per onorarti, tuo Figlio vuole fare subito quello che tu vuoi».

San Germano, riconoscendo in Maria la fonte di ogni nostro bene e la liberazione da ogni male, così la invoca: «Mia Signora, tu sola sei la consolazione che Dio mi ha donato, la guida del mio pellegrinaggio, la forza della mia debolezza, la ricchezza della mia miseria, la guarigione delle mie ferite, il sollievo dei miei dolori, la liberazione dalle mie catene, la speranza della mia salvezza; esaudisci le mie suppliche, abbi pietà dei miei sospiri, tu che sei la mia regina, il rifugio, la vita, l'aiuto, la speranza e la mia forza».

Con ragione dunque sant'Antonino applica a Maria questo passo della Sapienza: «Tutti i beni mi sono venuti insieme con essa» (Sap 7,11). «Ella è la madre» e la dispensatrice «di tutti i beni. Ben può dire il mondo», specialmente chi nel mondo è devoto a questa regina, che «insieme con la devozione a Maria, egli ha ottenuto ogni bene». Perciò l'abate di Selles afferma senza riserve: «Chi trova Maria trova ogni bene», trova tutte le grazie, tutte le virtù, poiché per mezzo della sua potente intercessione ella gli ottiene tutto ciò che gli occorre per essere ricco della divina grazia. La santa Vergine stessa ci fa sapere: «Ricchezza e gloria sono con me», tutte le ricchezze di Dio, cioè le divine misericordie, «per arricchire coloro che mi amano» (Prv 8,18.21). Perciò san Bonaventura diceva che noi tutti dobbiamo tenere sempre gli occhi fissi sulle mani di Maria, al fine di ricevere per mezzo suo quel bene che desideriamo.

Quanti superbi hanno trovato l'umiltà nella devozione a Maria! Quanti iracondi hanno trovato la mansuetudine! Quanti ciechi la luce! Quanti disperati la fiducia! Quanti perduti la salvezza! È quel che Maria aveva predetto quando in casa di Elisabetta proruppe nel suo sublime cantico: «D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). San Bernardo riprende: «Tutte le generazioni ti chiameranno beata, perché a tutte le genti hai dato la vita e la gloria; poiché in te i peccatori trovano il perdono e i giusti trovano la perseveranza nella grazia divina». Il devoto Lanspergio fa parlare così il Signore: Uomini, poveri figli di Adamo, che vivete in mezzo a tanti nemici e a tante miserie, «abbiate cura di venerare con particolare affetto la Madre mia» e vostra. «Io l'ho data al mondo come esempio di purezza» affinché da lei impariate a vivere come si deve; «e come rifugio sicuro affinché ricorriate a lei nelle vostre afflizioni. Questa mia figlia l'ho fatta tale che nessuno possa temerla o possa esitare a ricorrere a lei. Perciò l'ho creata di natura così benigna e pietosa che non sa disprezzare nessuno e non sa negare il suo favore a nessuno che lo domanda. Ella tiene aperto a tutti il manto della sua misericordia e non permette che nessuno parta sconsolato dai suoi piedi». Sia dunque sempre lodata e benedetta la bontà immensa del nostro Dio che ci ha dato una madre così grande e un'avvocata così tenera e amorevole.

Quanto sono commoventi i sentimenti di fiducia che il serafico san Bonaventura aveva verso il nostro redentore Gesù e verso la nostra avvocata Maria così pieni di amore! «Per quanto il Signore mi abbia riprovato, io so che egli non può negarsi» a chi lo ama e lo cerca con cuore sincero. «Io lo abbraccerò con il mio amore e finché non mi avrà benedetto non lo lascerò ed egli senza me non potrà andarsene». Se altro non potrò, almeno «mi nasconderò dentro le sue piaghe, vi resterò e fuori di sé egli non potrà trovarmi». Infine se il mio Redentore per le mie colpe mi scaccia dai suoi piedi, «mi butterò ai piedi della sua Madre Maria e vi resterò prostrato finché ella non mi ottenga il perdono. Infatti» la nostra Madre di misericordia «non sa e non ha saputo mai non compatire le miserie e non contentare i miseri che a lei ricorrono per aiuto. Perciò», se non per obbligo, almeno «per compassione, indurrà il Figlio a perdonarmi».

Concludiamo dunque dicendo con Eutimio: «Guardaci, o Madre nostra misericordiosa, guardaci poiché siamo tuoi servi e in te abbiamo riposto tutta la nostra speranza».


   

 

[Modificato da Caterina63 05/12/2014 12:11]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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   Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI seconda parte 


SECONDA PARTE,

per la prima parte cliccare qui:

Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI prima parte

(ricordiamo anche di cliccare sulle immagini per ingrandirle)

7 dicembre

Finché viviamo in questo mondo, il nostro credere e il nostro amare sono in cammino, e sempre incombe la minaccia che possano inaridirsi.

Ciò è un vero e proprio avvento. Nessuno può dire di sé: io sono definitivamente salvo.

Nel tempo della vita terrena la salvezza non si dà come una grandezza passata, già definita e compiuta, né come un presente stabile e definitivo, bensì solo nella forma della speranza.

La luce di Dio risplende in questo mondo non altrimenti che nei segnali di speranza che la sua bontà ha disposto lungo la nostra via.

Quanto spesso ci rattrista il fatto che noi vorremmo di più, che desidereremmo una presenza piena, completa e indefettibile. Ma in fondo dobbiamo pur ammettere: potrebbe esserci una modalità più umana di redenzione di quella che dice a noi — a noi, che siamo in cammino lungo il divenire del tempo, del mondo e persino di noi stessi — che possiamo sperare? Potrebbe darsi una luce migliore per noi viandanti, di quella che ci dà la libertà di procedere senza timore, perché sappiamo che alla fine della strada c'è la luce dell’amore eterno?

Nella liturgia della Santa Messa, il quarto mercoledì di Avvento ci viene incontro proprio il mistero della speranza. In questo giorno, la Chiesa ce lo dischiude nella figura della madre del Signore, la santa Vergine Maria.

In tutte le settimane d’Avvento, Maria ci appare come la donna che custodisce nel suo seno la speranza del mondo, e così ci precede sul nostro cammino come segno di speranza.

Ella si presenta a noi come quella donna nella quale quanto è umanamente impossibile è diventato, per la misericordia redentrice di Dio, possibile.

E in questo modo ella diviene un segno per tutti noi: perché se dipendesse da noi, dalla fiamma ben misera della nostra buona volontà e dalla pochezza del nostro fare, non riusciremmo a salvarci. Non basterebbe. Resterebbe impossibile. Ma, nella sua misericordia, Dio ha reso possibile l’impossibile. Così che noi abbiamo soltanto bisogno di dire, in tutta umiltà: « Ecco, sono l’ancella del Signore» (cfr. Le 2,37s; Me 10,27). (Vom Sinn des Christseins, pp. 69s)

 

8 dicembre

Maria, la pura ancella del Signore. Il suo messaggio è quello della totale e femminile disponibilità a ricevere.

Ogni giorno, nel « Rorateamt », viene letto il vangelo dell’annunciazione a Maria e della miracolosa concezione del Figlio: « L'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea che ha nome Nazaret, a una vergine fidanzata a un uomo di nome Giuseppe, della casa di David, e il nome della vergine era Maria. Entrato da lei, disse: “Ti saluto, piena di grazia...!”» (Lc.1,26-         28).

È un’ora fatale per la storia del mondo; qui, in questo punto, infatti, è incominciata in senso pieno la presenza di Dio tra gli uomini. Qui si è verificato realmente un «avvento».

Ma riflettiamo: quest’ora fatale della storia mondiale è stata, al tempo stesso, una delle sue ore più silenziose e quiete. Un'ora dimenticata, che nessun giornale ha segnalato e della quale nessuna rivista ha fatto o avrebbe fatto menzione, se già allora ci fosse stato qualcosa del genere.

Pertanto, quanto qui ci vien detto è, innanzi tutto, un mistero di silenzio. Ciò che è veramente grande cresce inosservato, e il silenzio è più fruttuoso, a suo tempo, di un ininterrotto attivismo, che troppo facilmente si riduce a un insulso correre a vuoto.

Noi tutti, in quest’epoca di americanizzazione della vita pubblica, siamo ossessionati da una strana irrequietezza, che subodora una perdita di tempo a ogni momento di silenzio e di tranquillità.

Ogni grammo di tempo viene calcolato e ponderato, e così noi dimentichiamo il vero segreto del tempo, il vero segreto della crescita è dell'azione: la quiete.

Anche in campo religioso è così: attendiamo e speriamo tutto dalla nostra opera; con ogni sorta di imprese e di progetti scansiamo, senza accorgercene, quello che è il vero segreto della crescita interiore dinanzi a Dio. Eppure, anche in ambito religioso il ricevere ha un'importanza per lo meno uguale al fare. (Dogma e predicazione, p. 308)

9 dicembre

La corretta devozione mariana garantisce alla fede la convivenza dell’indispensabile ragione con le altrettanto indispensabili « ragioni del cuore », come direbbe Pascal. Per la Chiesa l’uomo non è solo ragione né solo sentimento, è l’unione di queste due dimensioni. La testa deve riflettere con lucidità ma il cuore deve essere riscaldato: la devozione a Maria [...] assicura alla fede la sua dimensione umana completa.

Per usare le espressioni stesse del Vaticano II, Maria è «figura», «immagine», «modello» della Chiesa.

Allora, guardando a lei, la Chiesa è messa al riparo da quel modello maschilista che la vede come strumento di un programma d'azione socio-politico.

In Maria, sua figura e modello, la Chiesa ritrova il suo volto di Madre [...]. Se in certe teologie ed ecclesiologie Maria non trova più posto, la ragione è semplice: esse hanno ridotto la fede a un’astrazione.

E un’astrazione non ha bisogno di una madre.

Con il suo destino, che è insieme di vergine e di madre, Maria invece continua a proiettare luce su ciò che il Creatore ha inteso per la donna di ogni tempo, il nostro compreso. Anzi, forse soprattutto il nostro, dove l’essenza stessa della femminilità è minacciata. La sua verginità e la sua maternità radicano il mistero della donna in un destino altissimo da cui non può essere scardinata.

Maria è l’intrepida annunciatrice del Magnificat; ma è anche Colei che rende fecondi il silenzio e il raccoglimento. È Colei che non teme di stare sotto la croce, che è presente alla nascita della Chiesa; ma è anche Colei che, come sottolinea più volte l’evangelista, « serba e medita nel suo cuore » ciò che le avviene intorno.

Creatura del coraggio e dell’obbedienza, ella è (ancora e sempre) un esempio al quale ogni cristiano — uomo e donna — può, deve guardare.

(Rapporto sulla fede, pp. 108s)

 

10     dicembre

La decisione con cui oggi viene contestata e respinta la nascita verginale di Gesù non si capisce partendo dai problemi storici. La ragione principale, che sottende le questioni storiche, è altrove: nella differenza tra la nostra visione del mondo e il messaggio biblico, e nell'idea che quest’ultimo non possa trovare posto in un mondo visto con l’occhio delle scienze naturali.

Una visione del mondo è sempre una sintesi di sapere e di valutazioni [...]. Proprio su questo fatto si basa anche la sua problematicità [...].

Ora, a proposito della visione del mondo e dei suoi presupposti che vorrebbero obbligarci psicologicamente a considerare impossibile la nascita verginale, è chiaro che essa non deriva da sapere, ma da giudizi di valore.Oggi come allora, la nascita verginale è l’improbabile, ma non l’assolutamente impossibile; non c’è prova della sua impossibilità e nessun serio studioso di scienze naturali affermerebbe una cosa del genere [...].

Ora, qui non è in gioco qualcosa di accidentale, bensì piuttosto una delle questioni tra le più fondamentali: Chi era questo Gesù? Chi è o che cos’è l’uomo? E, da ultimo, la questione di tutte le questioni: Chi è, o che cosa è Dio?

Da essa, in definitiva, dipende ancor sempre come vanno le cose per l’uomo: anche in una visione atea del mondo, il problema di Dio è decisivo — in senso negativo — peri il problema dell’uomo.

La testimonianza della nascita di Gesù dalla Vergine Maria non è un angolo idillico di devozione nella struttura della fede neotestamentaria; non è la cappellina privata di due evangelisti, che si potrebbe alla fin fine anche trascurare.

Si tratta del problema di Dio: Dio è, non so dove, è una profondità dell’essere che per dir così dilava ogni cosa, non si sa bene come, oppure Egli è l’agente che ha potenza, che conosce e che ama la sua creazione, le è presente, opera in essa, sempre, anche oggi? [...].

In ultima istanza, il « natus ex Maria virgine » è una proposizione rigorosamente teologica: essa testimonia il Dio che non ha abbandonato a se stessa la creazione. Qui si fondano la speranza, la libertà, la tranquillità e la responsabilità del cristiano. (La figlia di Sion, pp. 54-58)

11 dicembre

La Chiesa ha proclamato i dogmi mariani — prima la verginità perpetua e la maternità divina, e poi, dopo una lunga maturazione e riflessione, il concepimento senza la macchia del peccato originale e l’assunzione al cielo — come atto direttamente funzionale alla fede in Cristo e non, in prima battuta, per devozione verso Maria, sua madre.

Questi dogmi mettono al riparo la fede autentica in Cristo, come vero Dio e vero uomo: due nature in una sola persona. Mettono al riparo anche l’indispensabile tensione escatologica, indicando in Maria assunta il destino immortale che tutti ci attende.

E mettono al riparo pure la fede, oggi minacciata, in Dio creatore che (questo è tra l’altro uno dei significati della più che mai incompresa verità sulla verginità perpetua di Maria) può liberamente intervenire anche sulla materia.

Insomma, come ricorda ancora il concilio, « Maria, per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce in certa misura e riverbera i massimi dati della fede» (Lumen gentium, n. 65).

La mariologia della Chiesa suppone il giusto rapporto, la necessaria integrazione tra Bibbia e tradizione.

I quattro dogmi mariani hanno la loro base indispensabile nella sacra Scrittura.

Ma qui vi è come un germe che cresce e dà frutto nella vita calda della tradizione così come si esprime nella liturgia, nell’intuizione del popolo credente e nella riflessione della teologia guidata dal magistero.

Nella sua persona stessa di fanciulla ebrea divenuta madre del Messia, Maria lega insieme in modo vitale e inestricabile antico e nuovo popolo di Dio, Israele e cristianesimo, Sinagoga e Chiesa. È come il punto di giunzione senza il quale la fede (come oggi succede) rischia di sbilanciarsi o sull’Antico Testamento o soltanto sul Nuovo. In Maria possiamo invece vivere la sintesi della Scrittura intera. (Rapporto sulla fede, pp. 107ss)

Sia lodato Gesù Cristo +  sempre sia lodato

Fonte:  Conferenze, Omelie, Discorsi del cardinale Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) raccolta di testi "365 giorni con il Papa" - Ed.paoline 2006

Riepiloghiamo i precedenti lavori postati dal medesimo libro di Benedetto XVI "L'Infanzia di Gesù di Nazareth" il terzo della trilogia:

Benedetto XVI spiega le parole annunciate a Maria

Ratzinger Benedetto XVI ci accompagna nel Tempo di Avvento

La nascita di Gesù raccontata da Benedetto XVI

Benedetto XVI spiega il Concepimento del Verbo nei Vangeli

QUI per tornare all'indice dei Testi di Ratzinger Benedetto XVI

***


   


[Modificato da Caterina63 06/12/2014 13:49]
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  Angelus di Papa Francesco - Testo integrale


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2014-12-07 Radio Vaticana



Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Questa domenica segna la seconda tappa del Tempo di Avvento, un tempo stupendo che risveglia in noi l’attesa del ritorno di Cristo e la memoria della sua venuta storica. La liturgia di oggi ci presenta un messaggio pieno di speranza. È l’invito del Signore espresso per bocca del profeta Isaia: «Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio» (40,1). Con queste parole si apre il Libro della consolazione, nel quale il profeta rivolge al popolo in esilio l’annuncio gioioso della liberazione. Il tempo della tribolazione è terminato; il popolo di Israele può guardare con fiducia verso il futuro: lo attende finalmente il ritorno in patria. E per questo è l’invito a lasciarsi consolare dal Signore.

Isaia si rivolge a gente che ha attraversato un periodo oscuro, che ha subito una prova molto dura; ma ora è venuto il tempo della consolazione. La tristezza e la paura possono fare posto alla gioia, perché il Signore stesso guiderà il suo popolo sulla via della liberazione e della salvezza. In che modo farà tutto questo? Con la sollecitudine e la tenerezza di un pastore che si prende cura del suo gregge. Egli infatti darà unità e sicurezza al gregge, lo farà pascolare, radunerà nel suo sicuro ovile le pecore disperse, riserverà particolare attenzione a quelle più fragili e deboli (v. 11). Questo è l’atteggiamento di Dio verso di noi sue creature. Perciò il profeta invita chi lo ascolta – compresi noi, oggi – a diffondere tra il popolo questo messaggio di speranza: messaggio che il Signore ci consola. E fare posto alla consolazione che viene dal Signore.

Ma non possiamo essere messaggeri della consolazione di Dio se noi non sperimentiamo noi per primi la gioia di essere consolati e amati da Lui. Questo avviene specialmente quando ascoltiamo la sua Parola, il Vangelo, che dobbiamo portare in tasca: non dimenticare questo, eh! Il Vangelo in tasca o nella borsa, per leggerlo continuamente. E questo ci dà consolazione: quando rimaniamo in preghiera silenziosa alla sua presenza, quando lo incontriamo nell’Eucaristia o nel sacramento del Perdono. Tutto questo ci consola.

Lasciamo allora che l’invito di Isaia - «Consolate, consolate il mio popolo» - risuoni nel nostro cuore in questo tempo di Avvento. Oggi c’è bisogno di persone che siano testimoni della misericordia e della tenerezza del Signore, che scuote i rassegnati, rianima gli sfiduciati, accende il fuoco della speranza.Lui accende il fuoco della speranza! Non noi.  Tante situazioni richiedono la nostra testimonianza consolatrice. Essere persone gioiose, consolate. Penso a quanti sono oppressi da sofferenze, ingiustizie e soprusi; a quanti sono schiavi del denaro, del potere, del successo, della mondanità.Poveretti! Hanno consolazioni truccate, non la vera consolazione del Signore! Tutti siamo chiamati a consolare i nostri fratelli, testimoniando che solo Dio può eliminare le cause dei drammi esistenziali e spirituali. Lui può farlo! E’ potente!

Il messaggio di Isaia, che risuona in questa seconda domenica di Avvento, è un balsamo sulle nostre ferite e uno stimolo a preparare con impegno la via del Signore. Il profeta, infatti, parla oggi al nostro cuore per dirci che Dio dimentica i nostri peccati e ci consola. Se noi ci affidiamo a Lui con cuore umile e pentito, Egli abbatterà i muri del male, riempirà le buche delle nostre omissioni, spianerà i dossi della superbia e della vanità e aprirà la strada dell’incontro con Lui. E’ curioso, ma tante volte abbiamo paura della consolazione, di essere consolati. Anzi ci sentiamo più sicuri nella tristezza e nella desolazione. Sapete perché? Perché nella tristezza ci sentiamo quasi protagonisti. Invece nella consolazione è lo Spirito Santo il protagonista! E’ Lui che ci consola, è Lui che ci dà il coraggio di uscire da noi stessi. E’ Lui è che ci porta alla fonte di ogni vera consolazione, cioè il Padre. E questa è la conversione. Per favore, lasciatevi consolare dal Signore! Lasciatevi consolare dal Signore!

La Vergine Maria è la “via” che Dio stesso si è preparato per venire nel mondo. Affidiamo a Lei l’attesa di salvezza e di pace di tutti uomini e le donne del nostro tempo.



   


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Gubbio: il Papa accende l'albero. Luce di Natale, luce di Gesù

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2014-12-07 Radio Vaticana

"Noi vogliamo che la luce di Cristo sia in noi". Sono le parole del videomessaggio con il quale Papa ha salutato stasera gli abitanti di Gubbio, durante la cerimonia di accensione dell’albero di Natale, il più grande del mondo, disegnato con le luci sul monte Ingino. Francesco ha inviato alle 18.30 un impulso che  ha acceso l’albero, che resterà illuminato sino alla sera del 6 gennaio. Ascoltiamo le parole del Papa:

"Un Natale senza luce non è Natale. Che ci sia la luce nell’anima, nel cuore; che ci sia il perdono agli altri; che non ci siano inimicizie, che sono tenebre. Che ci sia la luce di Gesù, tanto bella. Questo desidero per tutti voi. Tante grazie del vostro dono, è bello. Anche io dono a voi i miei più calorosi auguri, di pace e felicità.

Se voi avete qualcosa scura nell’anima, chiedete perdono al Signore. E’ una bella opportunità questa del Natale per fare pulita l’anima, eh! Non avete paura, il prete è misericordioso, perdona tutti in nome di Dio, perché Dio perdona tutto. Che la luce sia nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, nelle vostre città. E adesso, con questo augurio, accendiamo la luce.

Vi benedica Dio Onnipotente: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.  Buon Natale e pregate per me".

(Da Radio Vaticana)









SOLENNITÀ DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE 
DELLA BEATA VERGINE MARIA

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Lunedì, 8 dicembre 2014

[Multimedia]


 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Buona festa!

Il messaggio dell’odierna festa dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria si può riassumere con queste parole: tutto è dono gratuito di Dio, tutto è grazia, tutto è dono del suo amore per noi. L’Angelo Gabriele chiama Maria «piena di grazia» (Lc 1,28): in lei non c’è spazio per il peccato, perché Dio l’ha prescelta da sempre quale madre di Gesù e l’ha preservata dalla colpa originale. E Maria corrisponde alla grazia e vi si abbandona dicendo all’Angelo: «Avvenga per me secondo la tua parola» (v. 38). Non dice: “Io farò secondo la tua parola”: no! Ma: «Avvenga per me…». E il Verbo si è fatto carne nel suo grembo. Anche a noi è chiesto di ascoltare Dio che ci parla e di accogliere la sua volontà; secondo la logica evangelica niente è più operoso e fecondo che ascoltare e accogliere la Parola del Signore, che viene dal Vangelo, dalla Bibbia. Il Signore ci parla sempre!

L’atteggiamento di Maria di Nazareth ci mostra che l’essere viene prima del fare, e che occorre lasciar fare a Dio per essereveramente come Lui ci vuole. E’ Lui che fa in noi tante meraviglie. Maria è ricettiva, ma non passiva. Come, a livello fisico, riceve la potenza dello Spirito Santo ma poi dona carne e sangue al Figlio di Dio che si forma in Lei, così, sul piano spirituale, accoglie la grazia e corrisponde ad essa con la fede. Per questo sant’Agostino afferma che la Vergine «ha concepito prima nel cuore che nel grembo» (Discorsi, 215, 4). Ha concepito prima la fede e poi il Signore. Questo mistero dell’accoglienza della grazia, che in Maria, per un privilegio unico, era senza l’ostacolo del peccato, è una possibilità per tutti. San Paolo, infatti, apre la sua Lettera agli Efesini con queste parole di lode: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo» (1,3). Come Maria viene salutata da santa Elisabetta quale «benedetta fra le donne» (Lc 1,42), così anche noi siamo stati da sempre “benedetti”, cioè amati, e perciò «scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati» (Ef 1,4). Maria è stata pre-servata, mentre noi siamo stati salvati grazie al Battesimo e alla fede. Tutti però, sia lei che noi, per mezzo di Cristo, «a lode dello splendore della sua grazia» (v. 6), quella grazia di cui l’Immacolata è stata ricolmata in pienezza.

Di fronte all’amore, di fronte alla misericordia, alla grazia divina riversata nei nostri cuori, la conseguenza che s’impone è una sola: la gratuità. Nessuno di noi può comperare la salvezza! La salvezza è un dono gratuito del Signore, un dono gratuito di Dio che viene in noi e abita in noi. Come abbiamo ricevuto gratuitamente, così gratuitamente siamo chiamati a dare (cfr Mt 10,8); ad imitazione di Maria, che, subito dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo, va a condividere il dono della fecondità con la parente Elisabetta. Perché, se tutto ci è stato donato, tutto dev’essere ridonato. In che modo? Lasciando che lo Spirito Santo faccia di noi un dono per gli altri. Lo Spirito è dono per noi e noi, con la forza dello Spirito, dobbiamo essere dono per gli altri e lasciare che lo Spirito Santo ci faccia diventare strumenti di accoglienza, strumenti di riconciliazione, strumenti di perdono. Se la nostra esistenza si lascia trasformare dalla grazia del Signore, perché la grazia del Signore ci trasforma, non potremo trattenere per noi la luce che viene dal suo volto, ma la lasceremo passare perché illumini gli altri. Impariamo da Maria, che ha tenuto costantemente lo sguardo fisso sul Figlio e il suo volto è diventato «la faccia che a Cristo più si somiglia» (Dante, Paradiso, XXXII, 87). E a lei ci rivolgiamo ora con la preghiera che richiama l’annuncio dell’Angelo.


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

vi saluto tutti con affetto, specialmente le famiglie e i gruppi parrocchiali. Saluto i fedeli di Rocca di Papa, il parroco, i maratoneti, i ciclisti, e benedico la loro fiaccola. Saluto il gruppo di Felline (Lecce), l’associazione “Completamente tuoi” e i ragazzi di Carugate.

In questa festa dell’Immacolata Concezione l’Azione Cattolica Italiana vive il rinnovo dell’adesione. Rivolgo un pensiero speciale a tutte le sue associazioni diocesane e parrocchiali. La Vergine Immacolata benedica l’Azione Cattolica e la renda sempre più scuola di santità e di generoso servizio alla Chiesa e al mondo.

Oggi pomeriggio mi recherò a Santa Maria Maggiore per salutare la Salus Populi Romani e poi in Piazza di Spagna per rinnovare il tradizionale atto di omaggio e di preghiera ai piedi del monumento all’Immacolata. Sarà un pomeriggio tutto dedicato alla Madonna. Vi chiedo di unirvi spiritualmente a me in questo pellegrinaggio, che esprime la devozione filialealla nostra Madre celeste. E non dimenticatevi: la salvezza è gratuita. Noi abbiamo ricevuto questa gratuità, questa grazia di Dio e dobbiamo darla; abbiamo ricevuto il dono e dobbiamo ridonarlo agli altri. Non dimenticare questo!

A tutti auguro buona festa e buon cammino di Avvento con la guida della Vergine Maria. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!

 


La visita del Papa all'Immacolata in Piazza di Spagna




Roma: la preghiera del Papa all'Immacolata - RV

08/12/2014 

Una tradizione cara al Papa e ai romani. Nella visita alla Statua dell’Immacolata in Piazza di Spagna, preceduta da una sosta nella Basilica di Santa Maria Maggiore, come annunciato all’Angelus, Papa Francesco ha voluto venerare la Vergine con una preghiera composta da lui stesso. 

SOLENNITÀ DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

 

ATTO DI VENERAZIONE ALL’IMMACOLATA IN PIAZZA DI SPAGNA

 

PREGHIERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

 

Lunedì, 8 dicembre 2014

[Multimedia]


 

 

O Maria, Madre nostra,
oggi il popolo di Dio in festa
ti venera Immacolata,
preservata da sempre dal contagio del peccato.

 

Accogli l'omaggio che ti offro
a nome della Chiesa che è in Roma
e nel mondo intero.

 

Sapere che Tu, che sei nostra Madre, sei totalmente libera dal peccato
ci dà grande conforto.
Sapere che su di te il male non ha potere,
ci riempie di speranza e di fortezza
nella lotta quotidiana che noi dobbiamo compiere
contro le minacce del maligno.

 

Ma in questa lotta non siamo soli, non siamo orfani, perché Gesù, prima di morire sulla croce,
ci ha dato Te come Madre.
Noi dunque, pur essendo peccatori, siamo tuoi figli, figli dell'Immacolata,
chiamati a quella santità che in Te risplende
per grazia di Dio fin dall'inizio.

 

Animati da questa speranza,
noi oggi invochiamo la tua materna protezione per noi, per le nostre famiglie,
per questa Città, per il mondo intero.

 

La potenza dell'amore di Dio,
che ti ha preservata dal peccato originale,
per tua intercessione liberi l’umanità da ogni schiavitù spirituale e materiale,
e faccia vincere, nei cuori e negli avvenimenti, i1 disegno di salvezza di Dio.

 

Fa' che anche in noi, tuoi figli, la grazia prevalga sull'orgoglio
e possiamo diventare misericordiosi
come è misericordioso il nostro Padre celeste.

 

In questo tempo che ci conduce
alla festa del Natale di Gesù,
insegnaci ad andare controcorrente:
a spogliarci, ad abbassarci, a donarci, ad ascoltare, a fare silenzio,
a decentrarci da noi stessi,
per lasciare spazio alla bellezza di Dio, fonte della vera gioia.

 

O Madre nostra Immacolata, prega per noi!




 

[Modificato da Caterina63 09/12/2014 13:47]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI terza parte

 

per la prima parte cliccare qui:

Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI prima parte

per la seconda parte cliccare qui:

Giorno per giorno verso Betlemme con Benedetto XVI seconda parte

(ricordiamo anche di cliccare sulle immagini per ingrandirle)

 

12 dicembre

Giovanni il Battista e Maria sono le due grandi figure tipiche dell’esistenza umana così come essa si modella in riferimento all'Avvento: perciò essi dominano la liturgia di questo periodo.

Ecco per primo Giovanni il Battista.

Esigente e attivo, egli sta dinanzi a noi come simbolo dell’uomo che sa di avere un compito.

Chiama severamente alla metànoia, al cambiamento della mentalità.

Chi vuol diventare cristiano deve continuamente « cambiare opinione ».

La nostra inclinazione naturale ci porta a voler affermare noi stessi, a rendere pan per focaccia, a porci sempre in mezzo. Chi vuol trovare Dio, deve continuamente convertirsi interiormente, andare controcorrente.

E questo vale per l’intero modo di concepire la vita. Ogni giorno ci imbattiamo nel mondo del visibile: esso ci invade, dai manifesti, dalla radio, nel traffico, in tutte le circostanze della vita quotidiana, con una potenza tale che siamo tentati di pensare che non ci sia altro che questo.

Ma, in realtà, l’invisibile è più grande e vale più di tutto il visibile. Una sola anima — ci dice una meravigliosa espressione di Pascal — vale più di tutto l’universo visibile.

Ma, per sperimentare nella vita questa verità, è necessario convertirsi, capovolgersi per così dire interiormente, superare l’illusione del visibile e farsi sensibili, attenti e delicati nei confronti dell’invisibile; considerarlo più importante di tutto ciò che ci assale così prepotentemente tutti i giorni.

Metanoieite: cambiate modo di pensare, affinché la presenza di Dio nel mondo resti visibile al vostro sguardo; cambiate modo di pensare, affinché Dio divenga presente in voi e, per mezzo di voi, nel mondo.

Neppure a Giovanni fu risparmiato questo pesante processo del cambiare modo di pensare, del dovere della conversione. Questo è anche il destino del sacerdote, di ogni cristiano che annuncia Cristo: anche noi lo conosciamo e non lo conosciamo!

(Dogma e predicazione, p. 305)

 

13     dicembre

Se finora non si è deciso di rendere pubblico il contenuto del terzo segreto di Fatima, non è perché i papi vogliano nascondere qualcosa di terribile.

Ma da Fatima è stato lanciato un segnale severo, che va contro la faciloneria imperante, un richiamo alla serietà della vita e della storia, ai pericoli che incombono sull'umanità.

È quanto Gesù stesso ricorda assai spesso, non temendo di dire: « Se non vi convertite, tutti perirete» (Le 13,3).

La conversione, e Fatima lo ricorda in pieno, è un'esigenza perenne della vita cristiana. Dovremmo già saperlo da tutta quanta la Scrittura. Il Santo Padre giudica che quel segreto non aggiungerebbe nulla a quanto un cristiano deve sapere dalla rivelazione e, anche, dalle apparizioni mariane approvate dalla Chiesa nei loro contenuti noti, che non fanno che riconfermare l’urgenza di penitenza, di conversione, di perdono, di giudizio.

Pubblicare il « terzo segreto » significherebbe anche esporsi al pericolo di utilizzazioni sensazionaliste del contenuto [...].

Nessuna apparizione è indispensabile alla fede, la rivelazione è terminata con Gesù Cristo, egli stesso è la Rivelazione. Ma non possiamo certo impedire a Dio di parlare a questo nostro tempo, attraverso persone semplici e anche per mezzo di segni straordinari che denuncino l’insufficienza delle culture che ci dominano, marchiate di razionalismo e di positivismo.

Le apparizioni che la Chiesa ha approvato ufficialmente — innanzitutto Lourdes e ancora Fatima — hanno un loro posto preciso nello sviluppo della vita della Chiesa nell'ultimo secolo. Mostrano tra l’altro che la rivelazione — pur essendo unica, conchiusa e dunque non superabile — non è cosa morta, è viva e vitale. (Rapporto sulla fede, pp. 110s)

 

14     dicembre

Tra i significati della parola «Avvento» vi è anche quello di visitatio, che significa di per sé semplicemente «visita», ma che da tempo in molte lingue — tra cui il tedesco e l’italiano — viene reso con vocaboli che propriamente significano «visitazione».

A questo proposito si è compiuta una curiosa oscillazione del nostro pensiero: la parola « visitazione » ha quasi del tutto perduto il contenuto gioioso delle espressioni « visita » e « visitare », e ora noi — non prestando più per niente attenzione al suo significato originario — la intendiamo per lo più nel senso di disgrazie e tribolazioni, che interpretiamo come punizioni di Dio.

A dire il vero, dovrebbe essere esattamente il contrario: la parola « visitazione » dovrebbe aiutarci a discernere che persino nei momenti difficili può nascondersi qualcosa della bellezza dell’Avvento.

Sofferenza e malattia possono essere — allo stesso modo che una grande gioia — qualcosa come un avvento del tutto personale: una visita che Dio fa alla mia vita, volendosi rivolgere proprio a me.

Anche se ci risulta difficile, tuttavia dovremmo per una volta cercare di comprendere i giorni della malattia in questo modo: il Signore ha interrotto per un po’ la mia attività, per riportarmi un momento alla calma e alla tranquillità.

Una visita del Signore: forse la malattia può rivelarci un altro suo volto, quando la consideriamo come un pezzo d’Avvento. Noi non ci ribelliamo a essa solo perché ci fa soffrire, perché lo star fermi e la solitudine ci sono pesanti: ci ribelliamo perché avremmo tante cose importanti da fare e perché essa ci sembra senza senso.

Ma la malattia non è affatto senza senso. Essa riveste una sua grande importanza nell’insieme della vita umana. Può essere il momento di Dio nella nostra vita: il tempo in cui ci apriamo a lui e così impariamo a ritrovare nuovamente noi stessi.(Licht, das uns leuchtet, pp. 13ss)

 

15     dicembre

L’amore si riferisce alla persona come essa è, anche con le sue debolezze. Ma un amore reale, al contrario del breve incanto di un momento, ha a che fare con la verità e si rivolge in tal modo alla verità di questa persona, che può essere anche non sviluppata o nascosta o deformata.

Certamente l’amore include una disponibilità inesauribile al perdono, ma il perdono presuppone il riconoscimento del peccato come peccato. Il perdono è guarigione, mentre l’approvazione del male sarebbe distruzione, sarebbe accettazione della malattia e proprio in tal modo non bontà per l’altro.

Ciò lo si vede subito se consideriamo l’esempio di un tossicodipendente, divenuto prigioniero del suo vizio.

Chi realmente ama non segue la distorta volontà di questo malato, il suo desiderio di autoavvelenamento, ma lavora per la sua vera felicità: farà di tutto per guarire l’amato dalla sua malattia, anche se costa dolore e anche contro la cieca volontà del malato.

Un altro esempio. In un sistema totalitario un tale ha salvato la sua pelle e forse anche la sua posizione, ma al prezzo del tradimento di un amico e del tradimento delle sue convinzioni, della sua anima. Il vero amore è pronto a comprendere, ma non ad approvare, dichiarando buono ciò che non si può approvare e non è buono.

Il perdono ha una sua strada interiore: perdono è guarigione, cioè esige il ritorno alla verità. Quando non lo fa, il perdono diventa un’approvazione dell’autodistruzione, si mette in contraddizione con la verità e in tal modo con l’amore. (Guardare Cristo, p. 75)

 

16     dicembre

Oggi è quasi un punto d’onore per chi voglia stimarsi buon predicatore o buon teologo sottoporre a critica più o meno pungente lo stile della nostra convenzionale celebrazione del Natale e, al placido e soddisfatto benessere dell’odierna festività, contrapporre a tinte forti la dura realtà del primo Natale.

La solennità del Natale, sentiamo dire, sarebbe stata deplorevolmente commercializzata, degenerando a rumoroso affare di compravendita e guastando la sua valenza religiosa [...].

Indubbiamente questa critica ha buone ragioni di esistere, sebbene non consideri forse abbastanza che, dietro la facciata del commercio e del sentimentalismo, non è andata totalmente perduta la nostalgia per ciò che di originario e di grande vi è nel Natale; anzi, la cornice sentimentale rappresenta spesso il rifugio nel quale si nasconde un sentimento grande e puro, trop-po timido per offrirsi allo sguardo altrui [...].

Dietro, però, a quel febbrile commercio che ci disgusta e che, in effetti, è così inadatto a ricordare il timido mistero di Betlemme — il mistero del Dio che si è fatto bisognoso per noi (cfr. 2Cor 8,9) — non vi è forse e pur sempre, come punto di partenza, il pensiero e l'intento del donare, e quindi quella profondissima esigenza dell’amore che costringe a comunicare, a uscire da se stessi e andare agli altri?

E con questa idea della donazione non ci troviamo forse già nel cuore del mistero del Natale?

La preghiera sulle offerte della Messa della vigilia di Natale chiede a Dio che noi riusciamo a ricevere con gioia i doni eterni, che ci giungono dalla celebrazione della nascita di Cristo.

Ciò àncora profondamente l’intenzione del donare nel nucleo della liturgia ecclesiale e richiama così alla nostra coscienza il gesto originario di quel dono che è il Natale: in questa Notte Santa Dio stesso ha voluto farsi dono per gli uomini, ha consegnato se stesso a noi.

Il vero dono natalizio all’umanità, alla storia, a ciascuno di noi è Gesù Cristo stesso. Persino chi non crede che egli sia il Dio incarnato dovrà ammettere che, di generazione in generazione, pure egli ha arricchito e realizzato uomini.(Dogma e predicazione, pp. 311ss)

 

17     dicembre

Nella Messa della vigilia di Natale, si eleva il canto del Salmo 24 (23), che celebra il Signore come re che viene: « Alzate, o porte, i vostri frontali, alzateli ancora, o porte antichissime, ed entri il re della gloria » (Sal. 24 [23];7; offertorio).

In origine quest'inno venne cantato quando l’arca santa fu portata nel tempio di Gerusalemme; forse apparteneva a una liturgia, nella quale le porte del tempio erano simbolicamente invitate ad aprirsi al re, a Dio.

Nella liturgia di Natale, l’evento di Betlemme viene visto come questo solenne ingresso del re, e il mondo stesso, tutto l’universo, che è il suo santuario, viene invitato a spalancare le sue porte, per lasciare entrare il suo Creatore. L’antifona d’ingresso e il canto al vangelo riprendono la potente promessa di Mosè, con la quale egli annunciava al popolo, che mormorava, il prodigio della manna nel deserto:

« Questa sera conoscerete che il Signore vi ha tratti fuori della terra d’Egitto e domattina vedrete la gloria del Signore» (Es 16,6s).

Analogamente, l’evento di Betlemme non è un commovente idillio familiare, ma una svolta storica che abbraccia cielo e terra: Dio non è più separato da noi dalla cortina di ferro della sua inviolabile trascendenza, egli ha oltrepassato il limite, per essere uno di noi.

D’ora innanzi, egli incontra me stesso nel mio prossimo e un’adorazione che dimenticasse il prossimo trascurerebbe anche Dio, che ha assunto volto umano. Pertanto, se ripensassimo fino in fondo questo concetto, ci accorgeremmo che, dietro la minimizzata felicità per Dio che si è fatto bambino, si trova una grande verità cristiana, che in effetti ci introduce nel vero e proprio nucleo centrale del mistero natalizio.

Si tratta del paradosso per cui la gloria di Dio non ha voluto manifestarsi nel trionfo di un sovrano, che assoggetta con potenza il mondo, ma nella povertà di un bambino che, ignorato dalla grande società, viene al mondo in una stalla. L’impotenza di un bambino è diventata l’espressione vera dell’onnipotenza di Dio, che non adopera altro potere se non quello della potenza silenziosa della verità e dell'amore. La bontà salvifica di Dio ha voluto venirci incontro nell’indifesa impotenza di un fanciullo.

E in effetti com'è consolante, in mezzo a tutto l’esibizionismo dei poteri del mondo, vedere questa calma serena di Dio e sperimentare così la sicurezza della sua potenza, che alla fine sarà superiore a tutte le altre potenze e che sopravviverà a tutti i chiassosi trionfi del mondo. Quale libertà deriva da un simile sapere e quale umanità vi è in esso! (Dogma e predicazione, pp. 313s)

 

18     dicembre

È purtroppo vero che per molti la religione si è dissolta in uno stato d’animo dietro al quale non vi è più alcuna realtà, perché è spenta la fede dalla quale era sgorgato un giorno quel sentimento.

Ma, per un certo aspetto, forse è molto più pericolosa ancora la condizione di coloro che si ritengono dei buoni credenti, ma che limitano la loro religione all’ambito del sentimento e non le permettono intromissione alcuna nel sistema della vita quotidiana, dove essi si comportano solo ed esclusivamente secondo il principio del loro utile personale.

È chiaro che una condotta del genere rappresenta soltanto una caricatura di ciò che la fede è in verità; l’inaudito realismo dell’amore divino, di cui parla il Natale — l’agire di Dio non si accontenta di parole, ma assume su di sé il bisogno e il peso della vita umana —         ci dovrebbe di anno in anno stimolare a interrogarci sul realismo della nostra fede e a cercare di andare oltre il puro sentimentalismo dell’emozione.

Una volta riconosciuto questo, dovrà essere facile anche liberarci da un’ingiusta diffamazione del sentimento..

Ancora nella Messa della vigilia di Natale troviamo un’espressione che ci deve far riflettere. Nella preghiera conclusiva, i fedeli chiedono a Dio che conceda loro di respirare per la celebrazione della nascita del Figlio suo. In rapporto a che cosa, e in che senso essi vogliano respirare e sentirsi sollevati non è specificato e così noi siamo liberi di prendere la parola come suona, sotto il profilo semplicemente e più completamente umano.

La festa ci deve far respirare. Certo, così come oggigiorno l’abbiamo colmala di cose da fare, essa piuttosto ci toglie il respiro e ci soffoca completamente con i suoi impegni prefissati. Ma, proprio in questo caso, ci viene detto che la festa ci è data per trovare un po’ di tranquillità e di gioia: dobbiamo accogliere come dono di Dio e senza timore il bel sentimento di festività offerto da questo giorno.

Forse, in quel respirare, ci toccherà persino di provare qualcosa del respiro dell’amore divino, della pace santa, della quale il Natale ci fa dono. Di conseguenza, a coloro che ritengono di non saper più credere, non dovremmo voler togliere quel sentimento che è rimasto forse come un'ultima risonanza della loro fede e che li fa partecipare a quel respirare della Notte Santa, per il quale arriva l’alito della pace divina. Dovremmo piuttosto esser grati che sia loro restato un ultimo frammento del dono divino del Natale, e dovremmo cercare di celebrare con tutti loro un Natale benedetto. (Dogma e predicazione, pp. 314s) 

 

19  dicembre

«Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» (Le 3,6; Is 40,5).

Qui viene alla luce fin dal principio la sottolineatura particolare che Luca ha voluto porre: la luce di Gesù risplende per tutti i popoli; la sua salvezza è essenzialmente destinata all'universo intero e a tutti gli uomini, e perciò essa è sempre presente in ogni singolo individuo ma sempre con l'accento sul «per», cioè come destinata a essere comunicata ad altri.

Si possiede questo Dio solo se lo si possiede con gli altri; si parla con lui, soltanto quando lo si nomina Padre « nostro » e lo si fa nel noi di tutti i figli di Dio.

Gesù non appartiene solo a un popolo o a un'associazione, quanto piuttosto alla ecumene, cui si fa riferimento nell'accenno al mondo dell'impero romano. La fede è una strada aperta a tutti i popoli.

Per questo il tempo di Gesù, il tempo della Chiesa sono il tempo della missione. Noi siamo credenti al fianco di Gesù soltanto quando crediamo e viviamo in modo missionario: quando vogliamo che ogni uomo veda la salvezza di Dio.

Così questa parola di promessa e di gioia è anche una domanda rivolta a noi, che rende visibili il compito e il senso dell'Avvento. Solo quando tutti gli uomini lo vedranno, la venuta di Dio sarà compiuta; poiché potranno esserci « i nuovi cieli e la terra nuova» soltanto se ci saranno per tutti.

Quest'annuncio perciò vuole allargare ininterrottamente il cuore della cristianità, il nostro proprio cuore.

Recitiamo dunque bene l'invocazione che chiede la sua venuta — Adveniat regnum tuum — e che il Signore stesso ha posto sulle nostre labbra, quando da essa ci lasciamo aprire a tutti i figli di Dio: « ogni uomo vedrà la salvezza di Dio». (Gottes Angesicht suchen, pp. 59s)

 

Sia lodato Gesù Cristo +  sempre sia lodato

 

Fonte:  Conferenze, Omelie, Discorsi del cardinale Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) raccolta di testi "365 giorni con il Papa" - Ed.paoline 2006

Riepiloghiamo i precedenti lavori postati dal medesimo libro di Benedetto XVI "L'Infanzia di Gesù di Nazareth" il terzo della trilogia:

Benedetto XVI spiega le parole annunciate a Maria

Ratzinger Benedetto XVI ci accompagna nel Tempo di Avvento

La nascita di Gesù raccontata da Benedetto XVI

Benedetto XVI spiega il Concepimento del Verbo nei Vangeli

 

QUI per tornare all'indice dei Testi di Ratzinger Benedetto XVI

 

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   Ratzinger spiega bue e asinello nel Presepio

 

(clicca sull'immagine per ingrandirla)

"Il bue e l’asino del presepe non sono semplici prodotti della pietà e della fantasia, ma sono diventati ingredienti dell’evento natalizio a motivo della fede della Chiesa nell’unità dell’Antico e del Nuovo Testamento.

In Isaia leggiamo: “il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone; ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende”. 

I padri della Chiesa videro in queste parole una profezia che fa riferimento al nuovo popolo di Dio, alla Chiesa composta di giudei e pagani. Davanti a Dio tutti gli uomini, giudei e pagani, erano come buoi ed asini, privi di intelligenza e conoscenza. Ma il Bambino nella mangiatoia ha aperto loro gli occhi, cosicché ora essi riconoscono la voce del proprietario, la voce del loro Signore.

Nelle rappresentazioni medioevali del Natale vediamo come i due animali abbiano quasi volti umani, come si inchinino consapevoli e rispettosi davanti al mistero del Bambino.

Ciò era perfettamente logico, perché essi avevano il valore di segno profetico dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, secondo il quale noi che di fronte all’eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella Notte Santa sono stati aperti gli occhi, si chè ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore.

Ma lo riconosciamo realmente? Quando collochiamo nel presepio il bue e l’asino, dobbiamo rammentarci tutte le parole di Isaia, che non sono solo vangelo - cioè promessa della futura conoscenza -, bensì anche giudizio sull’accecamento attuale. Il bue e l’asino riconoscono, ma “Israele non conosce e il mio popolo non comprende”.

Chi sono oggi il bue e l’asino, chi “il mio popolo” che non comprende? Da che cosa si riconoscono il bue e l’asino, da che cosa si riconosce “il mio popolo”?

Perché mai gli esseri privi di ragione riconoscono e la ragione è cieca?

Per trovare una risposta dobbiamo tornare ancora una volta con i Padri della Chiesa al primo Natale.

Chi non riconobbe? Chi riconobbe? E perché ciò si verificò?

Orbene, il primo a non riconoscere fu Erode.

Egli non comprese nulla quando gli parlarono del Bambino, anzi, fu ancora più accecato dalla sua sete di potere e dalla conseguente mania di persecuzione(Mt 2,3).

A non riconoscere fu poi “tutta Gerusalemme con lui” (ivi). A non riconoscere furono i dotti, i conoscitori delle Scritture, gli specialisti dell’interpretazione che conoscevano con esattezza il passo biblico giusto e tuttavia non compresero nulla (Mt 2,6).

A riconoscere furono invece “il bue e l’asino” - se paragonati con queste persone rinomate - i pastori, i magi, Maria e Giuseppe. Poteva mai essere diversamente? Nella stalla, dove è Lui, non abitano le persone raffinate, quelle che si sentono sapienti, lì sono di casa appunto il bue e l’asino.

 

E la nostra posizione qual è? Siamo tanto lontani dalla stalla appunto perché siamo troppo raffinati e intelligenti per questo?

Non ci perdiamo anche noi, troppo spesso, in una dotta esegesi biblica, nei tentativi di dimostrare l’inautenticità o l’autenticità storica di un certo passo, al punto da divenire ciechi nei confronti del Bambino e non percepire più nulla di Lui?

Non viviamo anche noi troppo in “Gerusalemme”, nel palazzo, racchiusi in noi, nella nostra autonomia, nella nostra paura di persecuzione, sì da non riuscire più a percepire di notte la voce degli angeli, unirci ad essa e adorare il Bambino?

In questa notte i volti del bue e dell’asino ci rivolgono perciò questa domanda:il mio popolo non comprende: comprendi tu la voce del tuo Signore?

Quando collochiamo le statuine nel presepio, dovremmo pregare Dio di concedere al nostro cuore quella semplicità che riconosce nel Bambino il Signore, come fece una volta San Francesco a Greccio. Allora potrebbe succedere anche a noi quanto Tommaso da Celano, quasi con le stesse parole di San Luca relative ai pastori del primo Natale (Lc 2,20), dice dei partecipanti alla Messa di mezzanotte di Greccio: tutti se ne tornarono a casa pieni di gioia."

(Joseph Ratzinger, "Immagini di speranza: Le feste cristiane in compagnia del Papa")

 

Ricordiamo, qui, una raccolta di testi per l'Avvento di Ratzinger-Benedetto XVI

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  Maria, Madre e accompagnatrice del Signore



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Il 10 dicembre la Chiesa celebra la festa della Madonna di Loreto. Nella cittadina marchigiana il santuario che custodisce le mura della casa di Nazaret si illumina per le celebrazioni. In particolare la sera prima, il 9, con l’accensione di fuochi in tutta la campagna circostante si celebra ” la venuta” , l’arrivo miracoloso della “Santa Casa”. Anche a Roma si festeggia in modo speciale questo evento. Nella Chiesa di San Salvatore in Lauro, sede da secoli del Pio Sodalizio dei Piceni, si accendono le candele della Macchina barocca dell’ altare maggiore che circondano la immagine lauretana.


Quest’anno a celebrare la Santa Messa è stato il Prefetto della casa Pontificia e segretario particolare del Papa emerito Benedetto XVI l’arcivescovo Georg Gänswein legato alle Marche dal suo titolo: Urbisaglia.Per l’occasione ha pronunciato una omelia dedicata a Maria, Madre e accompagnatrice del Signore.


Ecco il testo completo della omelia: 


Celebriamo oggi la Festa della Madonna di Loreto. È un’ottima occasione per ricordare il ruolo di Maria come accompagnatrice del Signore. I teologi insegnano che una sana cristologia è sempre accompagnata da una sana mariologia. Per conoscere il Signore dobbiamo conoscere anche sua Madre. L’incarnazione di Dio in Gesù Cristo si manifesta nella maternità divina di Maria. Perciò chi vuole essere cristiano, e chi vuole rimanere cristiano, deve guardare alla Madre del Signore, Maria Santissima. Tutte le sue azioni, dal momento dell’annunciazione attraverso l’Angelo, sono orientate verso Cristo. Maria non solo ha dato la vita terrena a Gesù, lo ha anche seguito e lo ha accompagnato nel suo cammino.


Maria è il prototipo di ogni vocazione cristiana, di ogni chiamata a partecipare all’opera che Dio si aspetta dagli uomini. Maria è imparentata con noi perché intercede per noi presso il suo Figlio. Tutto ciò che fa’, lo fa in vista di Cristo.


Maria introduce Gesù nella vita terrena. Ma non si limita a questo. Lei stessa è la sua prima accompagnatrice. Nascosta, senza nessun rumore, senza cercare applausi e meriti, lo accompagna nella vita. Quanto più silenziosamente lo fa’, tanto più forte e percettibile diventa la sua parola e la sua azione.


Maria, da prima, ha imparato che il Verbo eterno del Padre abita nel silenzio, non nel rumore. Perciò Maria conserva e medita silenziosamente nel suo cuore tutto ciò che ha percepito dal Verbo incarnato. Lei sa: all’inizio era il Verbo, la Parola e non le chiacchiere; e alla fine non ci saranno le parole vane, ma di nuovo il Verbo. Grazie alla sua contemplazione, la sua attività non diventa una attività vuota ma un’azione poderosa e efficace. Perciò non soltanto la sua parola, ma anche il suo agire ha una importanza esemplare per tutti coloro che vogliono seguire suo Figlio.


Maria ci fa vedere e comprendere una importante regola cristiana: “La parola che ti aiuta, tu non la puoi dire da te stesso”, essa viene dall’alto.


Maria chiede all’Angelo, dopo che ha ascoltato il suo messaggio incredibile: “Come potrà avvenire questo, se io non conosco uomo?” (Lc 1,34).


La risposta è: “Lo Spirito Santo scenderà su di te” (Lc 1,35).


La parola che aiuta Maria, la dice l’Angelo. Memore di questa esperienza dirà anni dopo ai servitori alle nozze di Cana: “Fate tutto quello che egli vi dirà” (Gv 2,5). Anche loro non possono dire a se stessi la parola che li aiuta. È detta a loro da Maria.


Cari fratelli e sorelle!


Maria è come Giovanni il Battista, Precursore di Cristo sulla sua via nel mondo. Maria questo lo sa bene. Nelle grandi Icone di Cristo, nelle Chiese Orientali, il Signore rappresentato viene accompagnato sempre da Maria e da Giovanni il Battista. Ma Maria e Giovanni sono solo il suono, non la Parola. Tutti e due lasciano risuonare a modo loro la “Parola”. Affinché la parola di Cristo non diventi muta, andiamo da Maria. Non dimentichiamo: “La parola che ti aiuta, tu non la puoi dire da te stesso”. E la parola che aiuta la nostra società e la nostra Chiesa, non la possiamo dire da noi stessi. Ma d’altra parte, come Maria, tutti noi siamo chiamati a non rimanere muti, là dove sia necessario dire la parola che aiuta, cioè confessare coraggiosamente la nostra fede.


Maria accompagna Gesù nella sua vita terrena. In tutta la sua vita Lei è con Lui, per Lui e accanto a Lui. Maria è la prima con–pellegrina sulle strade del mondo. Ciò non è una passeggiata priva di significato per il Paese della Cuccagna, ma un coraggioso camminare con il Signore per accompagnarlo fino alla croce. Perché il suo Figlio è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. Maria accompagna Gesù nella povertà della grotta di Betlemme, lo accompagna quando è ancora un bambino nel Tempio di Gerusalemme, e poi nella fuga in Egitto. Poi lo accompagna alle nozze di Cana e lì si comporta come serva, attenta a che non manchi il necessario per la festa di nozze.


Cari fratelli e sorelle!


Il camminare di Maria accanto al Signore fa scuola. Dopo poco tempo anche altre donne e altri uomini accompagnano Gesù per servirlo sulle vie della Galilea e della Giudea. Il Signore si lascia aiutare nel cercare e salvare ciò che era perduto. Gesù ha dato anche a tutti noi una responsabilità grande per la salvezza di tanti uomini. Come i primi discepoli, accanto a Maria, anche noi vogliamo accompagnare il Signore per le vie del mondo.


Come al tempo di Gesù, anche oggi ci sono uomini che abbandonano la compagnia del Signore. Dopo il discorso sul pane della vita l’Evangelista annota: “Da allora molti dei suoi discepoli si ritrassero e non andavano più con lui.” (Gv 6,66). Oggi come allora ci sono uomini e donne che abbandonano la compagnia di Gesù. Di Giuda è scritto: “Egli, preso il boccone, uscì subito”. (Gv 13,30). Giuda era uno dei dodici, ma è andato via da Gesù verso la rovina! Abbandonare, lasciare, andare via sono purtroppo parole chiave del nostro tempo presente, nella Chiesa di oggi.


Gesù abbandonato non è frutto di una fervida immaginazione, o di una pietà esagerata, ma è una realtà seria. Maria è andata fino al Calvario per accompagnare Gesù. Come Maria, fedelmente, la Chiesa accompagna il suo Maestro per tutti i secoli e lo porta a tutti i popoli. La storia ci insegna che il Signore ha dovuto “emigrare” dove i discepoli lo hanno abbandonato. Tanti paesi e tante regioni fiorenti sono andate perdute nella Chiesa, in Europa, in Asia, in Africa, nel Medio Oriente nell’ottavo e nel nono secolo.


Chi accompagna Gesù fino alla fine, viene assunto da lui sul Golgota, ma così partecipa anche alla sua vittoria pasquale. Maria, la con-pellegrina sulle vie del Signore, diventa, nello stesso tempo, Madre dolorosa e vittoriosa. La Madonna ha preso con sé sempre altri uomini e li ha portati a Cristo: Giuseppe, Elisabetta, Zaccaria, Simeone, Anna, gli Apostoli, i suoi parenti e i suoi amici. Maria non vuole ammiratori, ma conpellegrini, accompagnatori di Gesù.


Maria segue il suo Figlio. Il seguire diventa un passaggio dal Credere al Vedere, ma anche dal Vedere al Credere. Elisabetta le dice: “Beata sei tu perché hai creduto”. In seguito il Verbo diventa Carne. Maria la vede, la tocca, la porta, sente la Parola diventata carne. Maria fa il passo dal Credere al Vedere. Ciò si manifesta in occasione del pellegrinaggio al Tempio di Giuseppe e Maria con Gesù dodicenne. Maria e Giuseppe fanno un pellegrinaggio a Gerusalemme accompagnati da Gesù. Sono pellegrini tutti e tre insieme. Al loro ritorno Gesù rimane indietro. Maria e Giuseppe vanno incontro a Gesù, cercandolo per tre giorni. Adesso il Figlio non è più accanto a loro, ma davanti a loro. È diventato la meta comune della loro via. Il Verbo si nasconde a Maria. Non i vincoli del sangue sono decisivi ma i vincoli dello Spirito Santo: “Non sapevate che io mi devo occupare di quanto riguarda mio Padre?” Non la parentela biologica con Gesù garantisce la salvezza, ma la fede in Lui: “Beata sei tu perché hai creduto.” Seguire Cristo per Maria è la via dal Vedere al Credere, dal suo Figlio verso il Figlio del Dio vivente, dalla casa di Nazareth verso la Chiesa di Cristo. Perciò, sulla croce, il Signore volge lo sguardo di Maria via da sé, e lo rivolge verso il discepolo, e volge lo sguardo del discepolo che ama, via da sé, e lo rivolge verso Maria: “Ecco tua Madre!”


Il Signore crea un nuovo legame, una nuova alleanza: la Chiesa. A Pentecoste dona alla Chiesa lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo copre la Chiesa con la sua ombra, come a Nazareth ha coperto Maria. Così Maria è diventata, prima, la Madre di Gesù e, poi, la Madre della Chiesa.


Come noi percorriamo la nostra via nella fede, così Maria ci ha preceduto in questa via nella fede. Maria da accompagnatrice, maestra e guida invita tutti a metterci insieme in cammino verso Cristo, la luce del mondo. Amen.


   

ANGELUS

Piazza San Pietro
III Domenica di Avvento "Gaudete", 14 dicembre 2014

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Cari fratelli e sorelle, cari bambini, cari ragazzi, buongiorno!

Già da due settimane il Tempo di Avvento ci ha invitato alla vigilanza spirituale per preparare la strada al Signore che viene. In questa terza domenica la liturgia ci propone un altro atteggiamento interiore con cui vivere questa attesa del Signore, cioè la gioia. La gioia di Gesù, come dice quel cartello: “Con Gesù la gioia è di casa”. Ecco, ci propone la gioia di Gesù!

Il cuore dell’uomo desidera la gioia. Tutti desideriamo la gioia, ogni famiglia, ogni popolo aspira alla felicità. Ma qual è la gioia che il cristiano è chiamato a vivere e a testimoniare? E’ quella che viene dalla vicinanza di Dio, dalla sua presenza nella nostra vita. Da quando Gesù è entrato nella storia, con la sua nascita a Betlemme, l’umanità ha ricevuto il germe del Regno di Dio, come un terreno che riceve il seme, promessa del futuro raccolto. Non occorre più cercare altrove! Gesù è venuto a portare la gioia a tutti e per sempre. Non si tratta di una gioia soltanto sperata o rinviata al paradiso: qui sulla terra siamo tristi ma in paradiso saremo gioiosi. No! Non è questa ma una gioia già reale e sperimentabile ora, perché Gesù stesso è la nostra gioia, e con Gesù la gioia di casa, come dice quel vostro cartello: con Gesù la gioia è di casa. Tutti, diciamolo: “Con Gesù la gioia è di casa”. Un’altra volta: “Con Gesù la gioia è di casa”. E senza Gesù c’è la gioia? No! Bravi! Lui è vivo, è il Risorto, e opera in noi e tra noi specialmente con la Parola e i Sacramenti.

Tutti noi battezzati, figli della Chiesa, siamo chiamati ad accogliere sempre nuovamente la presenza di Dio in mezzo a noi e ad aiutare gli altri a scoprirla, o a riscoprirla qualora l’avessero dimenticata. Si tratta di una missione bellissima, simile a quella di Giovanni Battista: orientare la gente a Cristo – non a noi stessi! – perché è Lui la meta a cui tende il cuore dell’uomo quando cerca la gioia e la felicità.

Ancora san Paolo, nella liturgia di oggi, indica le condizioni per essere “missionari della gioia”: pregare con perseveranza, rendere sempre grazie a Dio, assecondare il suo Spirito, cercare il bene ed evitare il male (cfr 1 Ts 5,17-22). Se questo sarà il nostro stile di vita, allora la Buona Novella potrà entrare in tante case e aiutare le persone e le famiglie a riscoprire che in Gesù c’è la salvezza. In Lui è possibile trovare la pace interiore e la forza per affrontare ogni giorno le diverse situazioni della vita, anche quelle più pesanti e difficili. Non si è mai sentito di un santo triste o di una santa con la faccia funebre. Mai si è sentito questo! Sarebbe un controsenso. Il cristiano è una persona che ha il cuore ricolmo di pace perché sa porre la sua gioia nel Signore anche quando attraversa i momenti difficili della vita. Avere fede non significa non avere momenti difficili ma avere la forza di affrontarli sapendo che non siamo soli. E questa è la pace che Dio dona ai suoi figli.

Con lo sguardo rivolto al Natale ormai vicino, la Chiesa ci invita a testimoniare che Gesù non è un personaggio del passato; Egli è la Parola di Dio che oggi continua ad illuminare il cammino dell’uomo; i suoi gesti – i Sacramenti – sono la manifestazione della tenerezza, della consolazione e dell’amore del Padre verso ogni essere umano. La Vergine Maria, “Causa della nostra gioia”, ci renda sempre lieti nel Signore, che viene a liberarci da tante schiavitù interiori ed esteriori.


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle, io ho dimenticato com’era quella frase. Ecco, vediamo: “Con Gesù la gioia è di casa”. Tutti insieme: “Con Gesù la gioia è di casa”.

Saluto tutti voi, famiglie, gruppi parrocchiali e associazioni, che siete venuti da Roma, dall’Italia e da tante parti del mondo.

E ora saluto con affetto i bambini venuti per la benedizione dei “Bambinelli”, organizzata dal Centro Oratori Romani. Complimenti! Voi siete stati bravi, siete stati gioiosi qui in piazza, complimenti! E adesso portate il presepio benedetto. Cari bambini, vi ringrazio della vostra presenza e vi auguro buon Natale! Quando pregherete a casa, davanti al vostro presepe, ricordatevi anche di pregare per me, come io mi ricordo di voi. La preghiera è il respiro dell’anima: è importante trovare dei momenti nella giornata per aprire il cuore a Dio, anche con le semplici e brevi preghiere del popolo cristiano. Per questo, oggi ho pensato di fare un regalo a tutti voi che siete qui in piazza, una sorpresa, un regalo: vi darò un piccolo libretto tascabile che raccoglie alcune preghiere, per i vari momenti della giornata e per le diverse situazioni della vita. E’ questo. Alcuni volontari lo distribuiranno. Prendetene uno ciascuno e portatelo sempre con voi, come aiuto a vivere tutta la giornata con Dio. E perché non dimentichiamo quel messaggio tanto bello che voi avete fatto qui con il cartello: “Con Gesù la gioia è di casa”. Un’altra volta: “Con Gesù la gioia è di casa”. Bravi!

A tutti voi un cordiale augurio di buona domenica e  Non dimenticate, per favore, di pregare per me. Arrivederci! E tanta gioia!





   

 

[Modificato da Caterina63 14/12/2014 14:25]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  Il Tempo stringe  stamani all'omelia della Messa il nostro parroco ci ha lasciato questo pensiero che vi condivido:
"tutti che parlano più volentieri della seconda venuta di Gesù, ne parlano come di una apocalisse tenebrosa e violenta, asfissiante e poco cristiana, anzi che nulla ha di cristiano perchè la venuta ultima di Gesù sarà gloriosa e maestosa, liberatrice tanto che suscita l'invocazione gioiosa del Cristiano: "Maranathà, Vieni Signore Gesù e non tardare!"
Ma quello che mi preoccupa è che pochi, davvero pochi si preoccupano della prima venuta già avvenuta, la nascita prodigiosa di Gesù....
Se uno NON accoglie questa nascita e non prepara il proprio cuore a ricevere Gesù Bambino, come si può pensare di parlare poi con sapienza della sua seconda venuta?"











Un premuroso sermone di San Leone Magno Papa, sulle verità di fede che potremmo definire profetico, vista l'attualità dei moniti contenuti per noi oggi.

SUL NATALE DEL SIGNORE (1)

1.1.   Come voi sapete, carissimi, abbiamo spesso adempiuto il nostro ministero della parola di salvezza spiegandovi l’eccellenza della solennità odierna, e non abbiamo alcun dubbio che la potenza della bontà divina abbia talmente illuminato il vostro cuore da far capire anche alla vostra intelligenza ciò che dentro di voi la fede aveva piantato.

1.2. Ma la nascita del Signore e Salvatore nostro, che ha origine dal Padre quanto alla divinità ma anche dalla madre quanto alla carne, è talmente superiore alle capacità del discorso umano che giustamente si riferisce ad ambedue le origini quanto dice la Scrittura: «Chi potrà narrare la sua generazione?» (Is.53,8).

Per questo ciò che non si può adeguatamente spiegare conserva sempre abbondanti motivi per parlarne, non certo nel senso che se ne possano avere opinioni contrarie, ma perché nessuna parola può esaurire la nobiltà del soggetto.

1.3. La grandezza dunque del mistero (1Tim.3,16), stabilito prima dei secoli eterni (Tit.1,2) per la salvezza del genere umano e svelato alla fine dei tempi (1Cor.10,11), non consente né di aggiungere né di togliere alcunché alla sua integrità, e come non può perdere alcuna delle sue proprietà, così non può accogliere quelle che gli sono estranee.

1.4. Molti però, con il loro attaccamento alle proprie idee, e più disposti a insegnare che a imparare quel che non hanno ancora capito, come dice l'Apostolo, «hanno fatto naufragio nella fede» (1Tim.1,19). Riassumerò ora con rapido cenno le loro opinioni perverse e contraddittorie, perché, una volta separate le tenebre dell’errore dalla luce della verità, si renda onore con animo devoto ai benefici di Dio e si evitino con piena consapevolezza le menzogne umane.

2.1.   Alcuni infatti, basandosi sulle testimonianze concernenti la nascita del Signore Gesù Cristo, che lo indicavano chiaramente come figlio dell’uomo, lo hanno creduto nient'altro che uomo, pensando che non si doveva attribuire la divinità a colui che sia la prima infanzia, sia le crescite del corpo, sia la sua condizione di dolore fino alla croce e alla morte attestavano per nulla diverso da tutti gli altri mortali. (2)

2.2. Altri invece, impressionati nell’ammirazione delle sue virtù e intuendo che la novità della sua nascita e la potenza delle sue parole e delle sue azioni appartenevano alla natura divina, pensarono che nulla fosse in lui della nostra sostanza, e che tutto quanto esprimeva attività e condizione corporale o    provenisse da una materia di natura più elevata o avesse avuto una parvenza simulata della carne, in modo che i sensi di chi lo vedeva e lo toccava erano ingannati da un'apparenza illusoria.

2.3. Vi furono anche certi eretici convinti di poter affermare che un qualcosa della sostanza del Verbo si era cambiato in carne, e che il Gesù nato dalla Vergine Maria non aveva nulla della natura della madre (3), ma che il fatto di essere Dio e il fatto di essere uomo dipendevano ambedue dall’essere Verbo: ovviamente così nel Cristo vi era un’umanità falsa a causa della sostanza diversa dalla nostra, e una divinità non vera perché soggetta all’imperfezione della mutabilità.

3.1.   Tali empietà, carissimi, e altre ancora ideate sotto l’ispirazione diabolicae diffuse a danno di molti da uomini strumenti di perdizione, le ha annientate già in passato la fede cattolica di cui Dio è maestro e sostegno.

È infatti lo Spirito Santo che ci esorta e ci istruisce con la testimonianza della Legge, con i vaticini dei profeti, con il messaggio del vangelo e l’insegnamento degli apostoli, perché con perseveranza e con intelligenza crediamo che, come dice il beato Giovanni: «Il Verbo di Dio si è fatto carne e abitò fra noi» (Gv.1,14).

3.2. Fra noi, certo, perché la divinità del Verbo ci ha uniti a sé, la cui carne assunta dal grembo della Vergine siamo noi. E se questa carne non fosse la nostra, cioè realmente umana, il Verbo fatto carne non avrebbe abitato fra noi. Ma egli ha abitato fra noi (Gv.1,14), perché fece sua la natura del nostro corpo, «quando la Sapienza si edificò un’abitazione» (Prov.9,1), fatta non di una qualsiasi materia, ma della sostanza propriamente nostra, la cui assunzione è dichiarata nelle parole: «Il Verbo si è fatto carne e abitò in mezzo a noi»

 3.3. Con questa santa dottrina è in consonanza l’insegnamento del beato Paolo apostolo quando dice: «Badate che qualcuno non abbia a sedurvi con la filosofia e con vani inganni, secondo la tradizione degli uomini, secondo gli elementi del mondo, e non secondo Cristo; perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate in lui a questa pienezza». (Col.2,8)

3.4. L’intera divinità dunque riempie tutto quanto il corpo, e come nulla manca di quella maestà che abitandolo riempie di sé il corpo divenuto sua dimora, così non c'è nulla in quel corpo che non sia riempito dal suo abitatore. Quanto poi alle parole: «E voi siete partecipi in lui di questa pienezza» (Col.2,10), con esse viene indicata certo la nostra natura, ma quella pienezza non apparterrebbe a noi, se il verbo di Dio non avesse unito a sé e l’anima e il corpo propri della nostra umana stirpe.

4.1.   Bisogna riconoscere, carissimi, e professare con tutto il cuore che questa generazione per cui sia il Verbo che la carne, cioè Dio e l’uomo, divengono un solo Figlio di Dio e un unico Cristo è assolutamente superiore a ogni origine nella creazione umana. Né infatti la formazione di Adamo dal fango della terra (Gn.2,7), né la creazione di Eva dalla carne dell'uomo (Gn.2,21), né la generazione degli altri uomini mediante l'unione sessuale possono essere paragonate alla nascita di Gesù Cristo.

4.2.   Abramo nella sua vecchiaia generò l’erede della divina promessa, e la sterile Sara concepì, pur avendo oltrepassati gli anni della fecondità (Gn.21,2). Giacobbe fu amato da Dio (Mal.1,2 e Rom.9,13), prima ancora di nascere, e per opera della grazia che previene le azioni responsabili fu distinto dal rude e irsuto fratello gemello (Gn.25,25 e Os.12,3). A Geremia viene detto: «Prima che io ti plasmassi nel grembo materno, ti ho conosciuto, e prima che uscissi dal ventre ti ho santificato» (Ger.1,5).

4.3. Anna, da tanto tempo infeconda, diede alla luce il profeta Samuele che volle offrire a Dio, così da divenire in tal modo famosa sia per il parto che per il suo voto (1Re 1,11-20). Il sacerdote Zaccaria ebbe un figlio santo da Elisabetta che era sterile (Lc.1,24) e Giovanni, il futuro precursore del Cristo, aveva ricevuto lo spirito di profezia ancora nel seno della madre (Lc. 1,15) e non ancora nato aveva indicato la madre del Signore con un sobbalzo di gioia nel chiuso del grembo (Lc.1,41).

4.4. Sono tutte cose grandi, queste, e piene di miracoli che segnano le opere di Dio, ma lo stupore che suscitano in noi si fa tanto più moderato quanto più sono numerose. La nascita del Signore nostro Gesù Cristo, però, supera ogni intelligenza e trascende tutti gli esempi, né può essere paragonata ad alcuno di essi essendo fra tutti tanto singolare.

4.5. A una vergine scelta, e già da tempo promessa dalla voce dei profeti e dalle prefigurazioni simboliche come discendente dalla stirpe di Abramo e dal ceppo di lesse, viene annunciata da un arcangelo una beata fecondità, che non avrebbe intaccato la sua integrità né avrebbe violata la sua verginità sia nel concepimento che nel parto.

4.6. Nel momento in cui scese su di lei lo Spirito Santo e la potenza dell’Altissimo la ricoprì con la sua ombra (Lc.1,35), l’immutabile verbo di Dio si rivestì della carne umana assunta dal suo corpo immacolato, carne che non avrebbe contratto alcuna macchia dalla concupiscenza, e tuttavia nulla le sarebbe mancato di quanto attiene alla natura dell'anima e del corpo.

 

5.1.   Si allontanino da noi e se ne fuggano nelle loro tenebre le mostruosità delle teorie eretiche e le sacrileghe invenzioni di errori insensati; i nostri maestri sono la moltitudine degli spiriti celesti (Lc.2,13) esultanti nella lode a Dio e i pastori istruiti dagli angeli: da loro abbiamo imparato a riconoscere i caratteri distintivi delle due nature, e quindi a adorare il Verbo nel Cristo uomo e Cristo uomo nel Verbo.

5.2. Se, come dice l’Apostolo, «chi si unisce a Dio, forma con liti un solo spirito» (1Cor.6,17), quanto più il Verbo che si è fatto carne sarà un solo Cristo, quando nulla vi è in una natura che non appartenga ad ambedue le nature! Non perdiamoci d'animo dunque dinanzi al disegno della misericordia di Dio, che ci rinnova donandoci l'innocenza e la vita, e poiché abbiamo riconosciuto nel nostro Salvatore i caratteri evidenti delle due nature, non dubitiamo né della realtà della carne nella sua gloria divina, né della maestà divina nell’umile condizione dell’uomo.

5.3.   La stessa persona che ha assunto la natura di servo è anche nella natura di Dio (Filip.2,6-7). È la stessa persona che rimane incorporea e assume un corpo. La stessa persona è inattaccabile nella sua potenza e passibile nella debolezza della nostra natura. È la stessa persona che, non distaccata dal trono del Padre, è crocifissa dagli empi sul legno della croce. È lo stesso che ascende sopra le altezze dei cieli vincitore della morte, ma restando nella sua Chiesa universale «sino alla fine del mondo» (Mt.28,20).

5.4. È infine la medesima persona che, ritornando nella stessa carne nella quale è ascesa, come si è assoggettata al giudizio degli empi, così giudicherà anche le azioni di tutti i mortali. E per non indugiare nelle numerosissime testimonianze, ci basti riferirne una dal Vangelo del beato Giovanni, dove lo stesso nostro Signore dice: «In verità in verità vi dico che viene l’ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato anche il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo» (Gv.5,25-27).

5.5. Con una sola dichiarazione dunque egli dimostra che la stessa persona è Figlio di Dio e figlio dell'uomo. Appare chiara perciò la ragione per cui dobbiamo credere che Cristo Signore sussiste nell’unità della persona: essendo Figlio di Dio, per il quale siamo stati creati, è divenuto anche figlio dell'uomo mediante l’assunzione della carne, allo scopo di morire, come dice l’Apostolo, «per i nostri peccati e di risorgere per la nostra giustificazione» (Rom.4,25).

6.1.   Questa professione di fede, carissimi, non teme alcuna obiezione, non si arrende ad alcun errore. Noi infatti conosciamo la misericordia di Dio promessa fin dal principio e preparata prima dei secoli: soltanto per essa si poterono spezzare le catene della schiavitù umana, con le quali il padre del peccato, perfido consigliere, aveva avvinto il primo uomo e tutta la sua posterità, e rivendicava per sé, in forza della sentenza di condanna emessa alle origini, questa posterità che gli si era arresa.

6.2. L'aiuto principale per la giustificazione degli uomini sta nel fatto che l'Unigenito di Dio si è degnato di essere anche il figlio dell'uomo, affinché colui che è Dio "homousios" al Padre, lui stesso fosse anche vero uomo consustanziale alla madre secondo la carne. Per questo noi esultiamo di gioia per la presenza delle due nature in Cristo, perché possiamo ottenere salvezza soltanto da ambedue le nature insieme, senza minimamente separare quella visibile dall'invisibile, quella corporale da quella incorporea, la passibile dall’impassibile, quella che si può toccare da quella che sfugge al tatto, la natura di servo dalla natura divina (Filip.2,6-7).

6.3. Perché, sebbene l'una resti immutabile fin dall’eternità e l'altra abbia avuto un inizio nel tempo, una volta però congiunte in unità, non possono più avere né separazione né fine: poiché colui che esalta e colui che è esaltato, colui che glorifica e colui che è glorificato si sono talmente uniti fra loro che nel Cristo, sia nel momento dell’onnipotenza, sia nel momento degli oltraggi, né gli attributi divini sono privi di quelli umani, né le prerogative umane sono prive di quelle divine.

7.1.   Se crediamo a queste verità, carissimi, noi siamo cristiani, veri israeliti(Gv.1,47), realmente adottati per aver parte alla sorte dei figli di Dio: di fatto anche tutti i santi che vissero prima del nostro Salvatore furono giustificati mediante questa fede e divennero corpo di Cristo grazie a questo mistero, nell’attesa della redenzione universale dei credenti nella discendenza di Abramo, di cui l'Apostolo dice: «Ora, ad Abramo furono fatte le promesse, e alla sua discendenza. La Scrittura non dice: "E alle discendenze”, come se volesse riferirsi a molte, ma con riferimento a una sola: “E alla tua discendenza, cioè Cristo”» (Gal.3,16).

7.2. È per questo motivo che l’evangelista Matteo, volendo far vedere che la promessa fatta ad Abramo si era adempiuta in Cristo, ha narrato la sua genealogia, e ha indicato in chi era stata riposta la benedizione per tutti i popoli (Mt.1,16).

7.3.   Anche Luca, partendo dalla nascita del Signore, ha narrato la genealogia di Gesù risalendo a ritroso nel tempo (Lc.3,23-38), per insegnare che anche quei secoli precedenti al diluvio erano connessi con questo mistero, e che tutti gli anelli delle successioni a cominciare dall’inizio portavano a colui nel quale soltanto c’era la salvezza di tutti. Nessun dubbio dunque che «sotto il cielo non c'è altro nome dato agli uomini, mediante il quale si debba essere salvati» (Att.4,12) all’infuori di Cristo, che insieme al Padre e allo Spirito Santo nell’uguaglianza della Trinità vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

 

Note

1) da I Sermoni natalizi di San Leone Magno Papa - ed. EDB classici -

San Leone I, Santo appunto, Dottore e Padre della Chiesa, riconosciuto come Magno (390 circa +461), è il primo Papa del quale si conservi una raccolta sistematica di sermoni ed epistolari, documenti pregiatissimi per lo studio della vita ecclesiastica di quei tempi e della vita stessa del V secolo. Nel suo lungo pontificato Papa Leone dovette far fronte ad una decadenza morale e dottrinale sia a livello politico del suo tempo, quanto della vita ecclesiale. Si battè tenacemente per l'unità della Chiesa e fu il primo Papa a rivendicare il primato del Vescovo di Roma su tutta la Chiesa universale.

2) come si può osservare siamo ad una denuncia (anche profetica) verso una eresia per nulla scomparsa e che si è ripresentata prepotentemente nel nostro tempo con il sostegno della teologia modernista degli anni '60 ad oggi.

3) questa denuncia la riscontriamo oggi nel mondo Pentecostale che nega alla Vergine la maternità divina per combattere ciò che loro accusano ai Cattolici: la venerazione alla "Madre di Dio", termine bandito dalle loro catechesi, per loro Maria è "solo" la Madre di Gesù e non la Madre di Dio....

Si legga anche: LETTERA DI SANT'AGOSTINO AI PENTECOSTALI A.D.2014

   


[Modificato da Caterina63 17/12/2014 10:35]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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DISCORSO DEL SANTO PADRE PIO XI
ALLA CURIA ROMANA 
PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI

«BENEDETTO IL NATALE»

Aula Concistoriale del Palazzo Apostolico Vaticano 
Mercoledì, 24 dicembre 1930


 

Venerabili fratelli e dilettissimi figli in Cristo,

Benedetto il Natale del Signore, che, insieme alle altre squisite consolazioni spirituali che suole arrecare a tutte le anime fedeli e non del tutto disattente al rinnovarsi ed al suonare delle ore di Dio, a Noi porta di nuovo anche questa sempre desideratissima ora di cuore a cuore con voi.

La voce del vostro cuore ha trovato tanta affettuosa espressione in quella del nuovo Decano del Sacro Collegio Cardinalizio, e Noi Ci affrettiamo a ringraziarvi dei vostri fraterni e filiali auguri, della. preziosa strenna delle preghiere che avete fatte per Noi e che Ci promettete di fare anche nelle sante feste e nel nuovo anno che sta per cominciare.

Noi pure vi portiamo (e non a voi soltanto) un augurio che risponde al desiderio universale, e che possiamo ben dire magnifico, perchè non è Nostro, ma del Cielo e del Dio di pace che torna in questo conturbato e tribolato mondo, e vi portiamo pure (e di nuovo non soltanto a voi), una strenna che speriamo benefica a molti.

Ma prima di presentarvi e l'augurio e la strenna, secondiamo volentieri il discreto invito rivoltoci dal vostro Eminentissimo interprete, di dare un memore sguardo ai tanti argomenti di consolazione, e purtroppo anche di pena e dolore vero, di cui è seminato l'anno che sta per chiudersi. Ci è caro presentare di nuovo e insieme con voi a Dio benedetto, da una parte l'inno della Nostra riconoscenza, dall'altra il gemito delle Nostre pene, che vuole essere pure l'espressione della Nostra inconcussa ed illimitata fiducia nei soccorsi e nei rimedi di quella Sua infinita misericordia che ha fatto sanabili gli individui e i popoli.

Non erano ancora spenti gli splendori santi e santificanti del centenario Francescano ed ecco celebrarsi ed affacciarsi i centenari di S. Agostino, di S. Emerico, di S. Antonio, della Medaglia Miracolosa, del Concilio di Efeso, che già si viene preparando in operoso silenzio: gloriose rievocazioni e quasi risurrezione e rinnovazione di magnifiche figure e memorandi fatti del passato; presentissimo e larghissimo risveglio di fede e di vita cristiana. E possiamo appena accennare ai succedutisi Congressi Eucaristici di Budapest, di Cartagine, di Loreto, che, con le loro meraviglie di fede, di pietà, di santificazione Ci fanno desiderare più vivamente quelli di Bari e d'Irlanda che già si profilano all'orizzonte e magnificamente si annunciano; appena accennare a , quegli splendidi astri, anzi a quelle vere costellazioni, che la divina Bontà Ci ha concesso di aggiungere al cielo della santità glorificata.

Di tutte queste grandi e veramente ineffabili consolazioni, e di tutte le altre che le accompagnarono e ne furono i preziosi frutti, non cesseremo mai di ringraziare la infinita bontà del Signore. Poniamo in prima fila tra quei frutti il meraviglioso perseverare e continuo crescere dell'operoso e generoso zelo di tutti i fedeli, ed in tutti i paesi, per le Missioni, per l'Azione Cattolica, per le opere e le istituzioni intese a promuovere ed elevare sempre più l'istruzione religiosa ed il culto della scienza, delle scienze sacre e di tutte le scienze armonizzate con la Fede; e tutto questo nonostante le straordinarie difficoltà dei tempi.

E qui cominciano le dolenti note, dolenti davvero, e quali la storia non ha mai registrato; fors'anche perchè mai il mondo si è trovato in quelle, che Noi vediamo e viviamo, condizioni di rapporti materiali e morali, privati e pubblici, individuali e collettivi, che rendono inevitabili le più vaste e più lontane ripercussioni di tutte le scosse che si producono nei diversi paesi e nei diversi ambienti politici, sociali, finanziari, economici, industriali.

Diciamo questo generale anzi universale disagio finanziario ed economico, il quale è così penosamente risentito nella loro stessa compagine dagli Stati e dai popoli anche i più ricchi e i più forti, come dalle più piccole ed umili famiglie, da queste (s'intende) ben più dolorosamente. Diciamo questa così largamente difiusa disoccupazione che toglie lavoro e pane a tanti operai ed alle loro famiglie, e fa sentire sempre più vivamente il bisogno di un più giusto rapporto fra produzione e consumo, fra macchine e mano d'opera., e sovratutto di un migliore assetto sociale ed internazionale ispirato a maggior giustizia e carità cristiana, e che, senza sovvertire l'ordine stabilito dalla divina Provvidenza, renda possibile ed effettiva fra le diverse classi e fra i diversi popoli la collaborazione fraterna utile a tutti, invece della lotta e della concorrenza dura e sfrenata, a tutti nociva ed a più o meno breve andare disastrosa. Benedette tutte le iniziative intese ad alleviare le tante sofferenze del presente ed a preparare un migliore avvenire. Diciamo questi vaghi timori coi quali molti guardano all'avvenire quasi vedendo in più d'un settore dell'orizzonte nubi minacciose, timori (diciamo subito) per Noi eccessivi, e nubi (speriamo sempre) non tutte foriere di tempeste, ma che intanto tengono gli animi sospesi e turbati. E diciamo non tutte, perchè universali e spaventevoli tempeste certamente preparano una propaganda sovversiva d'ogni ordine e nemica di ogni religione nonchè il dilagare del malcostume, se disastrose ideologie, deplorevoli debolezze e più deplorevoli connivenze, e la ricerca troppo avida dei materiali interessi continueranno a troppo avida dei materiali interessi continueranno a troppo poco tentare per combatterle, anzi a venire in loro favore.

Ed a tutti i guai accennati sono venuti ad aggiungersi un po' dappertutto, ma più rovinosi e micidiali in Italia, i tanti disastri tellurici, sismici, marittimi, fluviali, atmosferici. Sempre e dovunque le pene dei figli sono e saranno le pene del Padre, che al generale ricorso ha risposto e risponde prima con la preghiera di ogni giorno e col conforto della parola paterna, poi anche secondo le possibilità sue (accresciute da molte filiali e commoventi generosità) con qualche materiale soccorso; preferita fra tutte, anche da Noi, e fra tutte più insistentemente richiestaci e più volentieri concessa, la carità del lavoro, di molti lavori.

Posti dalla mano di Dio a capo di tutta la Chiesa Sua, dovunque essa soffre, combatte e prega, ivi è il Nostro cuore, ivi le Nostre sollecitudini, ivi le Nostre preci, per pregare, combattere e soffrire con essa. E questa santa Chiesa di Dio soffre, pregando, indicibili sofferenze e pregando combatte le più aspre lotte in più d'un paese. Bisogna ancora molto pregare (almeno questo) per i nostri fratelli e figli del Messico, per i mirabili campioni che nel nome e per l'amore di Gesù Cristo soffrono e muoiono nelle Russie, nella Siberia, preparando colle loro sofferenze la rinascita in Cristo di quelle immense regioni e di quegli innumerevoli popoli.
Bisogna inoltre pregare per i bravi e valorosi Nostri missionari e per le Nostre care Missioni della Cina che ancora in molte parti dello sterminato paese hanno attraversato e tuttavia attraversano durissime prove non senza gloria di veri martirii; non per fatto di quelle popolazioni, generalmente buone e pacifiche, ma per fatto di pochi (relativamente pochi) violenti, sospinti spesso dall'istessa nefasta propaganda antisociale e antireligiosa che minaccia tutto il mondo civile.

Posti dalla stessa divina mano sulla Sede episcopale del Principe degli Apostoli e Vescovo di questa Roma da Gesù Cristo prescelta a centro e capo di tutta la Chiesa Sua, la Chiesa cattolica, dobbiamo vedere con quotidiano cordoglio il proselitismo acattolico anzi anticattolico spiegare in Italia, e più in questa stessa Roma, un'azione sempre più intensa e sempre più vasta, dove subdola e insidiosa, dove audace e sfrontata, coprendo il pericolo ed il danno delle scienze con l'attrattiva di molteplici vantaggi gratuiti o quasi, approfittando per lo più dell'ignoranza e dell'ingenuità, congiunte spesso alla miseria ed alla fame; e tutto ciò in presenza d'una legge che ammette bensì acattolici all'esercizio di culti diversi dal cattolico, ma non li dice punto ammessi al proselitismo, e tanto meno al proselitismo sfrenato, contro la Religione cattolica, la sola Religione dello Stato [1]; e tutto ciò come se vi possa essere qualche cosa di più offensivo e ingiurioso contro la persona del Sommo Pontefice che appunto un tale proselitismo [2], o più in contrasto col carattere sacro della Città Eterna, Sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e mèta di pellegrinaggi [3].

Il tenore della legge e delle solenni Convenzioni è tanto chiaro e persuasivo, da farci pensare a dimenticanza di esse o ad ignorazione del lamentato proselitismo, per spiegarci ciò che avviene: per questo abbiamo creduto necessario di farne qui chiaro richiamo e chiara segnalazione. E nutriamo fiducia che non sarà senza buon effetto, non potendo, d'altra parte, Noi dubitare di quelle buone disposizioni, che anche l'interesse del Paese reclama, del Paese minacciato nel suo tesoro più prezioso, la Fede dei padri, e nella sua unità più profonda ed essenziale, l'unità religiosa. Amiamo vedere un segno ed una prova di tali buone disposizioni nel decreto, testè da Noi letto, che riconosce personalità giuridica agli effetti civili in Italia all'Opera da Noi nuovamente istituita per la preservazione della Fede.

Ed ora il Nostro augurio a voi, venerabili fratelli e dilettissimi figli. Ce lo mette nel cuore e sulle labbra la solenne e cara festività che ancora una volta Ci prepariamo a celebrare: in terra pax.  E' l'augurio venuto dal Cielo e primamente cantato dagli Angeli sopra la culla del neonato Re dei secoli immortale, venuto a pacificare gli uomini a Dio, gli uomini agli uomini, per tutti sacrificandosi, tutti richiamando alla universale paternità divina ed alla universale fraternità umana, al concetto ed alla pratica della fraterna carità, alla giusta estimazione ed al distacco dei beni terreni, alla ricerca prima e precipua dei beni spirituali. Quale augurio più opportuno e più rispondente a questo universale invocarsi pace, pace? Ed appunto per questo il Nostro augurio non soltanto a voi si rivolge, ma a tutto il mondo.

A tutto il mondo, perchè per tutto salvarlo Gesù ci veniva, ma in particolar modo a tutti i diletti figli della grande famiglia cattolica della Chiesa che Gesù veniva a fondare: si tratta della pace da Cristo portata, della pace di Cristo, e non si è con Cristo e di Cristo se non essendo nella Chiesa cattolica e con la Chiesa cattolica: Ubi Ecclesia ibi Christus. Per questo i cattolici non sono chiamati soltanto al più largo e perfetto godimento della pace di Cristo, ma, come alla consolidazione ed alla dilatazione del regno di Cristo, così alla dilatazione e consolidazione della Sua pace; e questo mediante il molteplice apostolato della buona parola, dell'operosità benefica, della preghiera, a tutti così facile e così potente anzi onnipotente presso Dio.

La gloria ed il dovere di questo apostolato di pace appartiene principalmente a Noi ed a tutti i chiamati ad essere ministri del Dio della pace; ma ecco un vasto e magnifico campo anche per tutto il laicato cattolico che non cessiamo di invitare e di chiamare alla partecipazione dell'apostolato gerarchico. È ai cattolici di tutto il mondo e massime a quelli che studiano, lavorano e pregano nell'Azione Cattolica, che oggi rivolgiamo più caldo questo invito e richiamo. Che essi si uniscano tutti nella pace e per la pace di Cristo in pieno consenso di pensieri e di sentimenti, di desideri e di preghiere, di opere e di parola — parola parlata, parola scritta, parola stampata — e sarà una calda e certamente benefica atmosfera, di vera pace che avvolgerà il mondo intero.

Ma «pace di Cristo» vuol essere, e non soltanto un pacifismo sentimentale, confuso, indiscreto nè scevro di pericoli; perchè quella sola è la pace vera che viene da Dio, e che della vera pace ha i caratteri essenziali ed indispensabili ed i frutti preziosi.

Ce lo ricordava la Chiesa, incomparabile Maestra, or sono pochi giorni, facendoci rileggere nella santità del divino sacrificio la bella e profonda parola dell'Apostolo delle Genti [4]: Pax Dei quae exsuperat omnem, sensum custodiat corda vestra et intelligentias vestras in Christo Iesu Domino Nostro.

Trascende dunque il senso la pace di Cristo, la pace vera, ed è grave errore credere che pace vera e durevole possa regnare fra gli uomini e fra i popoli finchè questi rivolgono le prime, precipue e più avide ricerche ai beni sensibili, materiali, terreni, i quali, per essere finiti, difficilmente possono bastare a tutti, anche se nessuno (difficile ad avverarsi) si voglia prendere la parte del leone, e necessariamente, quanto più grande è il numero dei partecipanti, tanto minore la parte di ciascuno; onde quei beni sono quasi inevitabilmente sorgenti, come di cupidigie e di invidie, così di discordie e di contrasti. Avviene il contrario dei tesori spirituali — la verità, il bene, la virtù — che, quanto più largamente vengono comunicati, e più abbondano e fruttificano a vantaggio dei singoli e delle collettività.

Altro errore, dal quale la parola apostolica divinamente ispirata vuol premunire, è quello di chi crede potersi dare vera pace esterna tra gli uomini e tra i popoli ove non è pace interna, ove cioè lo spirito di pace non possiede le intelligenze ed i cuori, ossia le anime tutte quante; le intelligenze per riconoscere e rispettare le ragioni della giustizia, i cuori perchè alla giustizia si associ, anzi prevalga, la carità; giacchè se la pace, secondo il profeta deve essere opera e frutto di giustizia [5], essa, come luminosamente insegna S. Tommaso [6] e com'è nella natura delle cose, appartiene piuttosto alla carità che alla giustizia. Purtroppo è difficile che regni e duri la pace interna delle intelligenze e dei cuori fra cittadini e classi sociali, se forti motivi di contrasto son fatti sorgere e mantenersi fra i cittadini e fra le classi sociali da non equa distribuzione e proporzione dei vantaggi e dei pesi, dei diritti e dei doveri, del contributo di capitale, direzione, lavoro e della partecipazione a quei frutti, che solo dalla loro amica cooperazione possono prodursi. Più difficile, per non dire impossibile, che duri la pace fra i popoli e fra gli Stati, se in luogo del vero e genuino amor patrio regni ed imperversi un egoistico e duro nazionalismo, che è dire odio ed invidia in luogo del mutuo desiderio di bene, diffidenza e sospetto in luogo di fraterna fiducia, concorrenza e lotta in luogo di concorde cooperazione, ambizione di egemonia e di predominio in luogo del rispetto e della tutela di tutti i diritti, siano pur quelli dei deboli e dei piccoli.

Assolutamente impossibile poi che i popoli posseggano e godano quella tranquillità nell'ordine e nella, libertà che è l'essenza stessa della pace, finchè dall'interno e dall'esterno incombono minacce e pericoli, non fronteggiati da sufficienti misure e provvedimenti di difesa. E certamente minacce e pericoli sono inseparabili dalla già accennata propaganda antisociale e antireligiosa; ma non è con le sole difese materiali che si potranno allontanare e vincere.
Quanto a minacce di nuove guerre, mentre i popoli ancora sentono cosi dolorosamente il flagello dell'ultima immane, Noi non vogliamo, non possiamo credere alla loro realtà, non potendo credere alla presenza di uno Stato civile, che voglia divenire così mostruosamente omicida e quasi certamente suicida; quando di una tale presenza dovessimo anche solo positivament.e dubitare, dovremmo rivolgerei a Dio colla ispirata preghiera del re profeta, che pur conosceva la guerra e la vittoria: dissipa gentes quae bella volunt [7] e con quella quotidiana e universale della Chiesa: dona nobis pacem.

Ma venga ormai la strenna dopo l'augurio di pace, di pace vera, di pace intima, di pace tranquilla e sicura. Dobbiamo dir subito che di poterla oggi stesso presentare la Nostra strenna, in natura, a voi qui, dilettissimi figli e venerabili fratelli, ed all'orbe cattolico, abbiamo vivamente desiderato e sperato, ma dobbiamo invece limitarci ad annunciarvela; sarà pronta fra pochi giorni e potrà, dovrà anzi, ancora datarsi da questo anno 1930. Diciamo datarsi, perchè si tratta di un'enciclica, della quale ancora nessuno sa niente... Come vedete è quella che vi facciamo un'anticipazione confidenziale di padre a figli, ai figli più vicini e prediletti, coi quali, venuti a trovarlo, non può tenere più oltre il segreto.
Sarà un'enciclica di soggetto importantissimo e che interessa quant'altro mai la famiglia, gli Stati, anzi l'umanità intera; un argomento di perenne attualità, attualità che oggi presenta aspetti quanto mai lacrimevoli e preoccupanti; tanto preoccupanti da farci ritenere in coscienza il Nostro intervento non soltanto opportuno e necessario, ma anche urgente.
L'enciclica tratterà del Matrimonio cristiano in ordine alle condizioni, ai bisogni, ai disordini presenti della famiglia e della società.

E' evidente, e lo sarà ancora più dopo la lettura, che per la sua gravità ed importanza essa ha necessariamente richiesto una lunga meditazione e preparazione ed aveva già fatto molto cammino nel Nostro spirito ancor prima che un connubio regale venissé a renderla e più opportuna e più necessaria che già non la facessero le condizioni generali del mondo. Più opportuna, diciamo, perchè della dottrina e delle leggi divine ed ecclesiastiche, delle quali Dio benedetto nell'arcano del Suo consiglio Ci ha voluto custodi, interpreti e maestri, siamo debitori a tutti quanti, poveri e ricchi, deboli e potenti, piccoli e grandi, ed a quelle dottrine e leggi appartiene pure quanto la Chiesa insegna ed ordina circa il matrimonio e precisamente circa i matrimoni misti. Diciamo pure più necessaria per le gravi sopravvenienze alle quali il connubio stesso ha dato luogo.

Diciamo così, perchè intorno all'importante avvenimento (importante in se stesso e nelle possibili sue conseguenze private e pubbliche), del quale abbiamo pesato davanti a Dio tutta la gravità e con questa, la responsabilità che a Noi pure ne derivava, Noi non avevamo nè potevamo avere altre difficoltà, fuori quelle inerenti alle cose ed alle persone, difficoltà che giustificano pienamente l'atteggiamento della Chiesa cattolica sempre in massima contraria ai matrimoni misti e la sua intransigenza circa le condizioni e cauzioni prescritte dai sacri canoni, senza le quali, anche in concorso di gravi motivi, l'offesa di Dio ed il pericolo delle anime rendono impossibile ogni permesso e concessione.

Di tali condizioni e cauzioni Noi abbiamo trattato, non con personalità politiche di paese o di Governo alcuno, ma con gli stessi regali contraenti, i quali ne assumevano formale e scritto impegno esplicitamente ricordante i canoni relativi, ed in tali termini espresso da ispirarci piena ed assoluta fiducia (già, come è chiaro, dovuta alla qualità delle loro auguste persone) che essi pienamente intendevano e misuravano la portata dell'impegno preso, e con la perfetta lealtà, che a sovrani si conviene, assumevano pure l'obbligo di mantenerli.

Ma ecco che sullo storico avvenimento, sulle cauzioni richieste e date, sugli impegni presi, sulla stessa celebrazione del sacro rito si è venuta stendendo una vera nube di false notizie circa immaginarie trattative ed assurde transazioni, di commenti quali confusi ed incerti quali contrari alla verità dei fatti e del loro contenuto morale e religioso, nè soltanto da private persone e da privato luogo, e più che tutto di solenni celebrazioni confessionali studiosamente preparate perchè avessero presso il gran pubblico tutta l'apparenza di rinnovare od almeno completare un matrimonio, che era già un fatto compiuto e completo; con manifesta offesa di Dio stesso inonorato in un Sacramento da Lui istituito e particolarmente onorato; con inevitabile inganno ed errore di moltissimi, e con scandalo vero e non meno colpevole per essere lo scandalo di quelli che ingenuità ed ignoranza assimilano ai pusilli, a quei pusilli, dei quali Gesù Cristo ha preso, proprio contro lo scandalo, così terribili difese [8].

E appunto e solo per l'onore di Dio e per il bene delle anime che, come esigevano il dovere e la responsabilità dell'apostolico ministero, abbiamo approfittato di questa solenne adunanza per rimettere in piena luce la verità delle cose e dei fatti. I cari e fedeli figli che abbiamo in Bulgaria, tutto il popolo bulgaro ed i suoi Sovrani sanno l'amore che in Gesù Cristo loro portiamo; quell'amore di cui, pur mantenendo vigore alla legge, abbiamo dato riconosciute prove, quell'amore che secondo le Nostre possibilità Ci muoveva al soccorso nei disastri che percossero il loro paese, quell'amore che Ci fa e farà sempre pregare l'onnipotente e misericordioso Iddio per ogni loro vera prosperità e temporale e spirituale. 

Avete, venerabili fratelli e dilettissimi figli, avete il Nostro augurio, avete la Nostra strenna natalizia; non Ci resta più se non impartirvi, come di tutto cuore facciamo, l'apostolica benedizione: benedizione grande e copio sa che basti a voi tutti e singoli che Ci allietate colla vostra cara presenza, che basti anche per tutto quello e per tutti quelli che ciascuno di voi ha nella mente e nel cuore; benedizione che vuol pur essere augurio di buone ed ottime sante feste, di buono e felice anno, di ogni bene.

 


*A.A.S., vol. XXII (1930), n. 13, pp. 529-539

[1] Trattato Lateranense, art. 1.

[2] Tratt. Lat., art. 8.

[3] Concord. Lat., art. 1.

[4Philip., 4, 7.

[5Isaia, 32, 17.

[6] 2a 2ae q. 29. III ad 3um 

[7Ps. 67, 31.

[8Matt., 18, 6, ecc.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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SANTA MESSA DELLA NOTTE


SOLENNITÀ DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Basilica Vaticana
Mercoledì, 24 dicembre 2014

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«Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is9,1). «Un angelo del Signore si presentò [ai pastori] e la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9). Così la liturgia di questa santa notte di Natale ci presenta la nascita del Salvatore: come luce che penetra e dissolve la più densa oscurità. La presenza del Signore in mezzo al suo popolo cancella il peso della sconfitta e la tristezza della schiavitù, e instaura la gioia e la letizia.

Anche noi, in questa notte benedetta, siamo venuti alla casa di Dio attraversando le tenebre che avvolgono la terra, ma guidati dalla fiamma della fede che illumina i nostri passi e  animati dalla speranza di trovare la “grande luce”. Aprendo il nostro cuore, abbiamo anche noi la possibilità di contemplare il miracolo di quel bambino-sole che rischiara l’orizzonte sorgendo dall’alto.

L’origine delle tenebre che avvolgono il mondo si perde nella notte dei tempi. Ripensiamo all’oscuro momento in cui fu commesso il primo crimine dell’umanità, quando la mano di Caino, accecato dall’invidia, colpì a morte il fratello Abele (cfr Gen 4,8). Così, il corso dei secoli è stato segnato da violenze, guerre, odio, sopraffazione. Ma Dio, che aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, aspettava. Dio aspettava. Egli ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe dovuto rinunciare. Invece non poteva rinunciare, non poteva rinnegare sé stesso (cfr 2 Tm 2,13). Perciò ha continuato ad aspettare con pazienza di fronte alla corruzione di uomini e popoli. La pazienza di Dio. Quanto è difficile capire questo: la pazienza di Dio verso di noi!

Lungo il cammino della storia, la luce che squarcia il buio ci rivela che Dio è Padre e che la sua paziente fedeltà è più forte delle tenebre e della corruzione. In questo consiste l’annuncio della notte di Natale. Dio non conosce lo scatto d’ira e l’impazienza; è sempre lì, come il padre della parabola del figlio prodigo, in attesa di intravedere da lontano il ritorno del figlio perduto; e tutti i giorni, con pazienza. La pazienza di Dio.

La profezia di Isaia annuncia il sorgere di una immensa luce che squarcia il buio. Essa nasce a Betlemme e viene accolta dalle mani amorevoli di Maria, dall’affetto di Giuseppe, dallo stupore dei pastori. Quando gli angeli annunciarono ai pastori la nascita del Redentore, lo fecero con queste parole: «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Il “segno” è proprio l’umiltà di Dio, l’umiltà di Dio portata all’estremo; è l’amore con cui, quella notte, Egli ha assunto la nostra fragilità, la nostra sofferenza, le nostre angosce, i nostri desideri e i nostri limiti. Il messaggio che tutti aspettavano, quello che tutti cercavano nel profondo della propria anima, non era altro che la tenerezza di Dio: Dio che ci guarda con occhi colmi di affetto, che accetta la nostra miseria, Dio innamorato della nostra piccolezza.

In questa santa notte, mentre contempliamo il Bambino Gesù appena nato e deposto in una mangiatoia, siamo invitati a riflettere. Come accogliamo la tenerezza di Dio? Mi lascio raggiungere da Lui, mi lascio abbracciare, oppure gli impedisco di avvicinarsi? “Ma io cerco il Signore” – potremmo ribattere. Tuttavia, la cosa più importante non è cercarlo, bensì lasciare che sia Lui a cercarmi, a trovarmi e ad accarezzarmi con amorevolezza. Questa è la domanda che il Bambino ci pone con la sua sola presenza: permetto a Dio di volermi bene?

E ancora: abbiamo il coraggio di accogliere con tenerezza le situazioni difficili e i problemi di chi ci sta accanto, oppure preferiamo le soluzioni impersonali, magari efficienti ma prive del calore del Vangelo? Quanto bisogno di tenerezza ha oggi il mondo! Pazienza di Dio, vicinanza di Dio, tenerezza di Dio.

La risposta del cristiano non può essere diversa da quella che Dio dà alla nostra piccolezza. La vita va affrontata con bontà, con mansuetudine. Quando ci rendiamo conto che Dio è innamorato della nostra piccolezza, che Egli stesso si fa piccolo per incontrarci meglio, non possiamo non aprirgli il nostro cuore, e supplicarlo: “Signore, aiutami ad essere come te, donami la grazia della tenerezza nelle circostanze più dure della vita, donami la grazia della prossimità di fronte ad ogni necessità, della mitezza in qualsiasi conflitto”.

Cari fratelli e sorelle, in questa notte santa contempliamo il presepe: lì «il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce» (Is 9,1). La vide la gente semplice, la gente disposta ad accogliere il dono di Dio. Al contrario, non la videro gli arroganti, i superbi, coloro che stabiliscono le leggi secondo i propri criteri personali, quelli che assumono atteggiamenti di chiusura. Guardiamo il presepe e preghiamo, chiedendo alla Vergine Madre: “O Maria, mostraci Gesù!”.

   

 











MESSAGGIO URBI ET ORBI
DEL SANTO PADRE FRANCESCO

NATALE 2014

Giovedì, 25 dicembre 2014

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Cari fratelli e sorelle, buon Natale!

Gesù, il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, è nato per noi. E’ nato a Betlemme da una vergine, realizzando le antiche profezie. La vergine si chiama Maria, il suo sposo Giuseppe.

Sono le persone umili, piene di speranza nella bontà di Dio, che accolgono Gesù e lo riconoscono. Così lo Spirito Santo ha illuminato i pastori di Betlemme, che sono accorsi alla grotta e hanno adorato il Bambino. E poi lo Spirito ha guidato gli anziani Simeone e Anna, umili, nel tempio di Gerusalemme, e loro hanno riconosciuto in Gesù il Messia. «I miei occhi hanno visto la tua salvezza» - esclama Simeone - «salvezza preparata da [Dio] davanti a tutti i popoli» (Lc 2,30).

Sì, fratelli, Gesù è la salvezza per ogni persona e per ogni popolo!

A Lui, Salvatore del mondo, domando oggi che guardi i nostri fratelli e sorelle dell’Iraq e della Siria che da troppo tempo soffrono gli effetti del conflitto in corso e, insieme con gli appartenenti ad altri gruppi etnici e religiosi, patiscono una brutale persecuzione. Il Natale porti loro speranza, come ai numerosi sfollati, profughi e rifugiati, bambini, adulti e anziani, della Regione e del mondo intero; muti l’indifferenza in vicinanza e il rifiuto in accoglienza, perché quanti ora sono nella prova possano ricevere i necessari aiuti umanitari per sopravvivere alla rigidità dell’inverno, fare ritorno nei loro Paesi e vivere con dignità. Possa il Signore aprire alla fiducia i cuori e donare la sua pace a tutto il Medio Oriente, a partire dalla Terra benedetta dalla sua nascita, sostenendo gli sforzi di coloro che si impegnano fattivamente per il dialogo fra Israeliani e Palestinesi.

Gesù, Salvatore del mondo, guardi quanti soffrono in Ucraina e conceda a quell’amata terra di superare le tensioni, vincere l’odio e la violenza e intraprendere un nuovo cammino di fraternità e riconciliazione.

Cristo Salvatore doni pace alla Nigeria, dove altro sangue viene versato e troppe persone sono ingiustamente sottratte ai propri affetti e tenute in ostaggio o massacrate. Pace invoco anche per altre parti del continente africano. Penso in particolare alla Libia, al Sud Sudan, alla Repubblica Centroafricana e a varie regioni della Repubblica Democratica del Congo; e chiedo a quanti hanno responsabilità politiche di impegnarsi attraverso il dialogo a superare i contrasti e a costruire una duratura convivenza fraterna.

Gesù salvi i troppi fanciulli vittime di violenza, fatti oggetto di mercimonio e della tratta delle persone, oppure costretti a diventare soldati; bambini, tanti bambini abusati. Dia conforto alle famiglie dei bambini uccisi in Pakistan la settimana scorsa. Sia vicino a quanti soffrono per le malattie, in particolare alle vittime dell’epidemia di Ebola, soprattutto in Liberia, in Sierra Leone e in Guinea. Mentre di cuore ringrazio quanti si stanno adoperando coraggiosamente per assistere i malati ed i loro familiari, rinnovo un pressante invito ad assicurare l’assistenza e le terapie necessarie.

Gesù Bambino. Il mio pensiero va a tutti i bambini oggi uccisi e maltrattati, sia a quelli che lo sono prima di vedere la luce, privati dell’amore generoso dei loro genitori e seppelliti nell’egoismo di una cultura che non ama la vita; sia a quei bambini sfollati a motivo delle guerre e delle persecuzioni, abusati e sfruttati sotto i nostri occhi e il nostro silenzio complice; e ai bambini massacrati sotto i  bombardamenti, anche là dove il figlio di Dio è nato. Ancora oggi il loro silenzio impotente grida sotto la spada di tanti Erode. Sopra il loro sangue campeggia oggi l’ombra degli attuali Erode. Davvero tante lacrime ci sono in questo Natale insieme alle lacrime di Gesù Bambino!

Cari fratelli e sorelle, che lo Spirito Santo illumini oggi i nostri cuori, perché possiamo riconoscere nel Bambino Gesù, nato a Betlemme dalla Vergine Maria, la salvezza donata da Dio ad ognuno di noi, ad ogni uomo e a tutti i popoli della terra. Il potere di Cristo, che è liberazione e servizio, si faccia sentire in tanti cuori che soffrono guerre, persecuzioni, schiavitù. Che con la sua mansuetudine questo potere divino tolga la durezza dai cuori di tanti uomini e donne immersi nella mondanità e nell’indifferenza, nella globalizzazione dell’indifferenza. Che la sua forza redentrice trasformi le armi in aratri, la distruzione in creatività, l’odio in amore e tenerezza. Così potremo dire con gioia: “I nostri occhi hanno visto la tua salvezza”.

Con questi pensieri, buon Natale a tutti!





FESTA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Venerdì, 26 dicembre 2014

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi la liturgia ricorda la testimonianza di santo Stefano. Scelto dagli Apostoli, insieme ad altri sei, per la diaconia della carità, cioè per assistere i poveri, gli orfani, le vedove nella comunità di Gerusalemme, egli diviene il primo martire della Chiesa. Con il suo martirio, Stefano onora la venuta nel mondo del Re dei re, dà testimonianza di Lui e offre in dono la sua stessa vita, come faceva nel servizio ai più bisognosi. E così ci mostra come vivere in pienezza il mistero del Natale.

Il Vangelo di questa festa riporta una parte del discorso di Gesù ai suoi discepoli nel momento in cui li invia in missione. Dice tra l’altro: «Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato» (Mt 10,22).
Queste parole del Signore non turbano la celebrazione del Natale, ma la spogliano di quel falso rivestimento dolciastro che non le appartiene. Ci fanno comprendere che nelle prove accettate a causa della fede, la violenza è sconfitta dall’amore, la morte dalla vita. E per accogliere veramente Gesù nella nostra esistenza e prolungare la gioia della Notte Santa, la strada è proprio quella indicata da questo Vangelo, cioè dare testimonianza a Gesù nell’umiltà, nel servizio silenzioso, senza paura di andare controcorrente e di pagare di persona. E se non tutti sono chiamati, come santo Stefano, a versare il proprio sangue, ad ogni cristiano però è chiesto di essere coerente in ogni circostanza con la fede che professa. E la coerenza cristiana è una grazia che dobbiamo chiedere al Signore. Essere coerenti, vivere come cristiani e non dire: “sono cristiano”, e vivere come pagano. La coerenza è una grazia da chiedere oggi.

Seguire il Vangelo è di certo un cammino esigente, ma bello, bellissimo, e chi lo percorre con fedeltà e coraggio riceve il dono promesso dal Signore agli uomini e alle donne di buona volontà. Come cantavano gli angeli il giorno di Natale: “Pace! Pace!”. Questa pace donata da Dio è in grado di rasserenare la coscienza di coloro che, attraverso le prove della vita, sanno accogliere la Parola di Dio e si impegnano ad osservarla con perseveranza sino alla fine (cfr Mt 10,22).

Oggi, fratelli e sorelle, preghiamo in modo particolare per quanti sono discriminati, perseguitati e uccisi per la testimonianza resa a Cristo. Vorrei dire a ciascuno di loro: se portate questa croce con amore, siete entrati nel mistero del Natale, siete nel cuore di Cristo e della Chiesa.

Preghiamo inoltre perché, grazie anche al sacrificio di questi martiri di oggi - sono tanti, tantissimi! -, si rafforzi in ogni parte del mondo l’impegno per riconoscere e assicurare concretamente la libertà religiosa, che è un diritto inalienabile di ogni persona umana.

Cari fratelli e sorelle, vi auguro di trascorrere serenamente le Feste natalizie. Santo Stefano, diacono e primo martire, ci sostenga nel nostro cammino quotidiano, che speriamo di coronare, alla fine, nella festosa assemblea dei santi in Paradiso.


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

vi saluto nella gioia del Natale e rinnovo a tutti voi l’augurio di pace: pace nelle famiglie, pace nelle comunità parrocchiali e religiose, pace nei movimenti e nelle associazioni. Saluto tutte le persone che si chiamano Stefano o Stefania: tanti auguri!

In queste settimane ho ricevuto tanti messaggi augurali da Roma, e da altre parti. Non essendomi possibile rispondere a ciascuno, esprimo oggi a tutti il mio sentito ringraziamento, specialmente per il dono della preghiera. Grazie di cuore! Il Signore vi ricompensi con la sua generosità!

E non dimenticate: coerenza cristiana, cioè pensare, sentire e vivere come cristiano, e non pensare come cristiano e vivere come pagano: questo no! Oggi chiediamo a Stefano la grazia della coerenza cristiana. E per favore continuate a pregare per me, non lo dimenticate.






[Modificato da Caterina63 26/12/2014 17:27]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
ALL'ASSOCIAZIONE NAZIONALE DELLE FAMIGLIE NUMEROSE

Aula Paolo VI 
Domenica, 28 ottobre 2014

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Ma prima di tutto una domanda e una curiosità. Ditemi: a che ora vi siete alzati oggi? Alle 6? Alle 5? E non avete sonno? Ma io con questo discorso vi farò dormire!

Sono contento di incontrarvi nel decennale dell’associazione che riunisce in Italia le famiglie numerose. Si vede che voi amate la famiglia e amate la vita! Ed è bello ringraziare il Signore per questo nel giorno in cui celebriamo la Santa Famiglia.

Il Vangelo oggi ci mostra Maria e Giuseppe che portano il Bambino Gesù al tempio, e lì trovano due anziani, Simeone e Anna, che profetizzano sul Bambino. E’ l’immagine di una famiglia “larga”, un po’ come sono le vostre famiglie, dove le diverse generazioni si incontrano e si aiutano. Ringrazio Mons. Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, - specialista nel fare queste cose - che ha tanto desiderato questo momento, e Mons. Beschi, che ha fortemente collaborato a far nascere e crescere la vostra Associazione, sbocciata nella città del beato Paolo VI, Brescia.

Siete venuti con i frutti più belli del vostro amore. Maternità e paternità sono dono di Dio, ma accogliere il dono, stupirsi della sua bellezza e farlo splendere nella società, questo è il vostro compito. Ognuno dei vostri figli è una creatura unica che non si ripeterà mai più nella storia dell’umanità. Quando si capisce questo, ossia che ciascuno è stato voluto da Dio, si resta stupiti di quale grande miracolo sia un figlio! Un figlio cambia la vita! Tutti noi abbiamo visto – uomini, donne – che quando arriva  un figlio la vita cambia, è un’altra cosa. Un figlio è un miracolo che cambia una vita. Voi, bambini e bambine, siete proprio questo: ognuno di voi è frutto unico dell’amore, venite dall’amore e crescete nell’amore. Siete unici, ma non soli! E il fatto di avere fratelli e sorelle vi fa bene: i figli e le figlie di una famiglia numerosa sono più capaci di comunione fraterna fin dalla prima infanzia. In un mondo segnato spesso dall’egoismo, la famiglia numerosa è una scuola di solidarietà e di condivisione; e questi atteggiamenti vanno poi a beneficio di tutta la società.

Voi, bambini e ragazzi, siete i frutti dell’albero che è la famiglia:  siete frutti buoni quando l’albero ha buone radici – che sono i nonni – e un buon tronco – che sono i genitori. Diceva Gesù che ogni albero buono porta frutti buoni e ogni albero cattivo frutti cattivi (cfr Mt 7,17). La grande famiglia umana è come una foresta, dove gli alberi buoni portano solidarietà, comunione, fiducia, sostegno, sicurezza, sobrietà felice, amicizia. La presenza delle famiglie numerose è una speranza per la società. E per questo è molto importante la presenza dei nonni: una presenza preziosa sia per l’aiuto pratico, sia soprattutto per l’apporto educativo. I nonni custodiscono in sé i valori di un popolo, di una famiglia, e aiutano i genitori a trasmetterli ai figli. Nel secolo scorso, in tanti Paesi dell’Europa, sono stati i nonni a trasmettere la fede: loro portavano di nascosto il bambino a ricevere il Battesimo e trasmettevano la fede.

Cari genitori, vi sono grato per l’esempio di amore alla vita, che voi custodite dal concepimento alla fine naturale, pur con tutte le difficoltà e i pesi della vita, e che purtroppo le pubbliche istituzioni non sempre vi aiutano a portare. Giustamente voi ricordate che la Costituzione Italiana, all’articolo 31, chiede un particolare riguardo per le famiglie numerose; ma questo non trova adeguato riscontro nei fatti. Resta nelle parole. Auspico quindi, anche pensando alla bassa natalità che da tempo si registra in Italia, una maggiore attenzione della politica e degli amministratori pubblici, ad ogni livello, al fine di dare il sostegno previsto a queste famiglie. Ogni famiglia è cellula della società, ma la famiglia numerosa è una cellula più ricca, più vitale, e lo Stato ha tutto l’interesse a investire su di essa!

Ben vengano perciò le famiglie riunite in associazione – come questa italiana e come quelle di altri Paesi europei, qui rappresentate –; e ben venga una rete di associazioni familiari capace di essere presente e visibile nella società e nella politica. San Giovanni Paolo II, a tale proposito, scriveva: «Le famiglie devono crescere nella coscienza di essere protagoniste della cosiddetta politica familiare e devono assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le vittime di quei mali che si sono limitate ad osservare con indifferenza» (Esort. ap. Familiaris consortio, 44). L’impegno che le associazioni familiari svolgono nei diversi “Forum”, nazionali e locali, è proprio quello di promuovere nella società e nelle leggi dello Stato i valori e le necessità della famiglia.

Ben vengano anche i movimenti ecclesiali, nei quali voi membri delle famiglie numerose siete particolarmente presenti e attivi. Sempre ringrazio il Signore nel vedere papà e mamme di famiglie numerose, insieme ai loro figli, impegnati nella vita della Chiesa e della società. Per parte mia vi sono vicino con la preghiera, e vi pongo sotto la protezione della Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria. E una bella notizia è che proprio a Nazareth si sta realizzando una casa per le famiglie del mondo che si recano pellegrine là dove Gesù è cresciuto in età, sapienza e grazia (cfr Lc 2,40).

Prego in particolare per le famiglie più provate dalla crisi economica, quelle dove il papà o la mamma hanno perso il lavoro, - e questo è duro -  dove i giovani non riescono a trovarlo; le famiglie provate negli affetti più cari e quelle tentate di arrendersi alla solitudine e alla divisione.

Cari amici, cari genitori, cari ragazzi, cari bambini, cari nonni, buona festa a tutti voi! Ognuna delle vostre famiglie sia sempre ricca della tenerezza e della consolazione di Dio. Con affetto vi benedico. E voi, per favore, continuate a pregare per me, che io sono un po’ il nonno di tutti voi. Pregate per me! Grazie.

 


FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA DI NAZARETH

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 28 dicembre 2014

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questa prima domenica dopo Natale, mentre siamo ancora immersi nel clima gioioso della festa, la Chiesa ci invita a contemplare la Santa Famiglia di Nazaret. Il Vangelo oggi ci presenta la Madonna e san Giuseppe nel momento in cui, quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, si recano al tempio di Gerusalemme. Lo fanno in religiosa obbedienza alla Legge di Mosè, che prescrive di offrire al Signore il primogenito (cfr Lc 2,22-24).

Possiamo immaginare questa piccola famigliola, in mezzo a tanta gente, nei grandi cortili del tempio. Non risalta all’occhio, non si distingue… Eppure non passa inosservata! Due anziani, Simeone e Anna, mossi dallo Spirito Santo, si avvicinano e si mettono a lodare Dio per quel Bambino, nel quale riconoscono il Messia, luce delle genti e salvezza d’Israele (cfr Lc 2,22-38). È un momento semplice ma ricco di profezia: l’incontro tra due giovani sposi pieni di gioia e di fede per le grazie del Signore; e due anziani anch’essi pieni di gioia e di fede per l’azione dello Spirito. Chi li fa incontrare? Gesù. Gesù li fa incontrare: i giovani e gli anziani. Gesù è Colui che avvicina le generazioni. E’ la fonte di quell’amore che unisce le famiglie e le persone, vincendo ogni diffidenza, ogni isolamento, ogni lontananza. Questo ci fa pensare anche ai nonni: quanto è importante la loro presenza, la presenza dei nonni! Quanto è prezioso il loro ruolo nelle famiglie e nella società! Il buon rapporto tra i giovani e gli anziani è decisivo per il cammino della comunità civile ed ecclesiale. E guardando a questi due anziani, questi due nonni – Simeone ed Anna –salutiamo di qua, con un applauso, tutti i nonni del mondo.

Il messaggio che proviene dalla Santa Famiglia è anzitutto un messaggio di fede. Nella vita familiare di Maria e Giuseppe Dio è veramente al centro, e lo è nella Persona di Gesù. Per questo la Famiglia di Nazaret è santa. Perché? Perché è centrata su Gesù.

Quando genitori e figli respirano insieme questo clima di fede, possiedono un’energia che permette loro di affrontare prove anche difficili, come mostra l’esperienza della Santa Famiglia, ad esempio nell’evento drammatico della fuga in Egitto: una dura prova.

Il Bambino Gesù con sua Madre Maria e con san Giuseppe sono un’icona familiare semplice ma tanto luminosa. La luce che essa irradia è luce di misericordia e di salvezza per il mondo intero, luce di verità per ogni uomo, per la famiglia umana e per le singole famiglie. Questa luce che viene dalla Santa Famiglia ci incoraggia ad offrire calore umano in quelle situazioni familiari in cui, per vari motivi, manca la pace, manca l’armonia, manca il perdono. La nostra concreta solidarietà non venga meno specialmente nei confronti delle famiglie che stanno vivendo situazioni più difficili per le malattie, la mancanza di lavoro, le discriminazioni, la necessità di emigrare… E qui ci fermiamo un po’ e in silenzio preghiamo per tutte queste famiglie in difficoltà, siano difficoltà di malattia, mancanza di lavoro, discriminazione, necessità di emigrare, siano difficoltà a capirsi e anche di disunione. In silenzio preghiamo per tutte queste famiglie… (Ave Maria..).

Affidiamo a Maria, Regina e madre della famiglia, tutte le famiglie del mondo, affinché possano vivere nella fede, nella concordia, nell’aiuto reciproco, e per questo invoco su di esse la materna protezione di Colei che fu madre e figlia del suo Figlio.


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

il mio pensiero va, in questo momento, ai passeggeri dell’aereo malese scomparso mentre era in viaggio fra Indonesia e Singapore, come pure ai passeggeri delle navi in transito nelle ultime ore nelle acque del mare Adriatico coinvolte in alcuni incidenti. Sono vicino con l’affetto e la preghiera ai familiari e a quanti vivono con apprensione e sofferenza queste difficili situazioni e a quanti sono impegnati nelle operazioni di soccorso.

Oggi il primo saluto va a tutte le famiglie presenti! La Santa Famiglia vi benedica e vi guidi nel vostro cammino.

Saluto tutti voi, romani e pellegrini; in particolare, i numerosi ragazzi delle Diocesi di Bergamo e di Vicenza che hanno ricevuto o stanno per ricevere la Cresima. Saluto le famiglie dell’Oratorio della Cattedrale di Sarzana, i fedeli di San Lorenzo in Banale (Trento), i ministranti di Sambruson (Venezia), gli scout di Villamassargia e i collaboratori della Fraterna Domus.

A tutti auguro una buona domenica. Vi ringrazio ancora dei vostri auguri e delle vostre preghiere: continuate a pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!






[Modificato da Caterina63 28/12/2014 13:22]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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04/01/2015 22:34
 
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CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI
DELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Mercoledì, 31 dicembre 2014

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La Parola di Dio ci introduce oggi, in modo speciale, nel significato del tempo, nel capire che il tempo non è una realtà estranea a Dio, semplicemente perché Egli ha voluto rivelarsi e salvarci nella storia, nel tempo. Il significato del tempo, la temporalità, è l'atmosfera dell'epifania di Dio, ossia della manifestazione del mistero di Dio e del Suo amore concreto. Infatti, il tempo è il messaggero di Dio, come diceva San Pietro Favre.

La liturgia di oggi ci ricorda la frase dell'apostolo Giovanni: «Figlioli, è giunta l'ultima ora» (1 Gv 2,18), e quella di San Paolo che ci parla della «pienezza del tempo» (Gal 4,4). Dunque, il giorno di oggi ci manifesta come il tempo che è stato - per così dire - "toccato" da Cristo, il Figlio di Dio e di Maria, e da Lui ha ricevuto significati nuovi e sorprendenti: è diventato il “tempo salvifico”, cioè il tempo definitivo di salvezza e di grazia.

E tutto questo ci induce a pensare alla fine del cammino della vita, alla fine del nostro cammino. Ci fu un inizio e ci sarà un termine, «un tempo per nascere e un tempo per morire» (Qo 3,2). Con questa verità, alquanto semplice e fondamentale e alquanto trascurata e dimenticata, la santa madre Chiesa ci insegna a concludere l'anno e anche le nostre giornate con un esame di coscienza, attraverso il quale ripercorriamo quello che è accaduto; ringraziamo il Signore per ogni bene che abbiamo ricevuto e che abbiamo potuto compiere e, in pari tempo, ripensiamo alle nostre mancanze e ai nostri peccati. Ringraziare e chiedere perdono.

È quello che facciamo anche oggi al termine di un anno. Lodiamo il Signore con l'inno Te Deum e nello stesso tempo Gli chiediamo perdono. L'atteggiamento del ringraziare ci dispone all'umiltà, a riconoscere e accogliere i doni del Signore.

L’apostolo Paolo riassume, nella Lettura di questi Primi Vespri, il motivo fondamentale del nostro rendere grazie a Dio: Egli ci ha fatti suoi figli, ci ha adottati come figli. Questo dono immeritato ci riempie di una gratitudine colma di stupore! Qualcuno potrebbe dire: "Ma non siamo già tutti suoi figli, per il fatto stesso di essere uomini?". Certamente perché Dio è Padre di ogni persona che viene al mondo. Ma senza dimenticare che siamo da Lui allontanati a causa del peccato originale che ci ha separati dal nostro Padre: la nostra relazione filiale è profondamente ferita. Per questo Dio ha mandato suo Figlio a riscattarci a prezzo del Suo sangue. E se c'è un riscatto, è perché c'è una schiavitù. Noi eravamo figli, ma siamo diventati schiavi, seguendo la voce del Maligno. Nessun altro ci riscatta da quella schiavitù sostanziale se non Gesù, che ha assunto la nostra carne dalla Vergine Maria ed è morto sulla croce per liberarci, liberarci dalla schiavitù del peccato e restituirci la perduta condizione filiale.

La liturgia di oggi ricorda anche che, “nel principio (prima del tempo) c’era il Verbo … e il Verbo si è fatto uomo” e per questo afferma Sant’Ireneo: «Questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell’uomo: perché l’uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio» (Adversus haereses, 3,19,1: PG 7,939; cfrCatechismo della Chiesa Cattolica, 460).

Contemporaneamente il dono stesso per cui ringraziamo è anche motivo di esame di coscienza, di revisione della vita personale e comunitaria, del domandarci: com’è il nostro modo di vivere? Viviamo da figli o viviamo da schiavi? Viviamo da persone battezzate in Cristo, unte dallo Spirito, riscattate, libere? Oppure viviamo secondo la logica mondana, corrotta, facendo quello che il diavolo ci fa credere sia il nostro interesse? Esiste sempre nel nostro cammino esistenziale una tendenza a resistere alla liberazione; abbiamo paura della libertà e, paradossalmente, preferiamo più o meno inconsapevolmente la schiavitù. La libertà ci spaventa perché ci pone davanti al tempo e di fronte alla nostra responsabilità di viverlo bene. La schiavitù, invece, riduce il tempo a "momento" e così ci sentiamo più sicuri, e cioè ci fa vivere momenti slegati dal loro passato e dal nostro futuro. In altre parole, la schiavitù ci impedisce di vivere pienamente e realmente il presente, perché lo svuota del passato e lo chiude di fronte al futuro, di fronte all’eternità. La schiavitù ci fa credere che non possiamo sognare, volare, sperare.

Diceva qualche giorno fa un grande artista italiano che per il Signore fu più facile togliere gli israeliti dall'Egitto che togliere l'Egitto dal cuore degli israeliti. Erano stati, “sì”, liberati “materialmente” dalla schiavitù, ma durante la marcia nel deserto con le varie difficoltà e con la fame cominciarono allora a provare nostalgia per l'Egitto e ricordavano quando "mangiavano ... cipolle e aglio" (cfr Nm 11,5); ma si dimenticavano però che ne mangiavano al tavolo della schiavitù. Nel nostro cuore si annida la nostalgia della schiavitù, perché apparentemente più rassicurante, più della libertà, che è molto più rischiosa. Come ci piace essere ingabbiati da tanti fuochi d'artificio, apparentemente belli ma che in realtà durano solo pochi istanti! E questo è il regno, questo è il fascino del momento!

Da questo esame di coscienza dipende anche, per noi cristiani, la qualità del nostro operare, del nostro vivere, della nostra presenza nella città, del nostro servizio al bene comune, della nostra partecipazione alle istituzioni pubbliche ed ecclesiali.

Per tale motivo, ed essendo Vescovo di Roma, vorrei soffermarmi sul nostro vivere a Roma che rappresenta un grande dono, perché significa abitare nella città eterna, significa per un cristiano soprattutto far parte della Chiesa fondata sulla testimonianza e sul martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. E pertanto anche di questo ringraziamo il Signore. Ma al tempo stesso rappresenta una grande responsabilità. E Gesù ha detto: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto» (Lc 12, 48). Dunque domandiamoci: in questa città, in questa Comunità ecclesiale, siamo liberi o siamo schiavi, siamo sale e luce? Siamo lievito? Oppure siamo spenti, insipidi, ostili, sfiduciati, irrilevanti e stanchi?

Senz’altro le gravi vicende di corruzione, emerse di recente, richiedono una seria e consapevole conversione dei cuori per una rinascita spirituale e morale, come pure per un rinnovato impegno per costruire una città più giusta e solidale, dove i poveri, i deboli e gli emarginati siano al centro delle nostre preoccupazioni e del nostro agire quotidiano. È necessario un grande e quotidiano atteggiamento di libertà cristiana per avere il coraggio di proclamare, nella nostra Città, che occorre difendere i poveri, e non difendersi dai poveri, che occorre servire i deboli e non servirsi dei deboli!

L'insegnamento di un semplice diacono romano ci può aiutare. Quando chiesero a San Lorenzo di portare e mostrare i tesori della Chiesa, portò semplicemente alcuni poveri. Quando in una città i poveri e i deboli sono curati, soccorsi e aiutati a promuoversi nella società, essi si rivelano il tesoro della Chiesa e un tesoro nella società. Invece, quando una società ignora i poveri, li perseguita, li criminalizza, li costringe a “mafiarsi”, quella società si impoverisce fino alla miseria, perde la libertà e preferisce "l'aglio e le cipolle" della schiavitù, della schiavitù del suo egoismo, della schiavitù della sua pusillanimità e quella società cessa di essere cristiana.

Cari fratelli e sorelle, concludere l'anno è tornare ad affermare che esiste un'“ultima ora” e che esiste la “pienezza del tempo”. Nel concludere questo anno, nel ringraziare e nel chiedere perdono, ci farà bene domandare la grazia di poter camminare in libertà per poter così riparare i tanti danni fatti e poter difenderci dalla nostalgia della schiavitù, difenderci dal non “nostalgiare” la schiavitù.

La Vergine Santa, la Santa Madre di Dio che è proprio al cuore del tempio di Dio, quando il Verbo – che era nel principio – si è fatto uno di noi nel tempo; Ella che ha dato al mondo il Salvatore, ci aiuti ad accoglierLo con cuore aperto, per essere e vivere veramente liberi, come figli di Dio. Così sia.





SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
XLVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica Vaticana
Giovedì
, 1° gennaio 2015

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Tornano oggi alla mente le parole con le quali Elisabetta pronunciò la sua benedizione sulla Vergine Santa: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1,42-43).

Questa benedizione si pone in continuità con la benedizione sacerdotale che Dio aveva suggerito a Mosè perché la trasmettesse ad Aronne e a tutto il popolo: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26). Celebrando la solennità di Maria Santissima, la Santa Madre di Dio, la Chiesa ci ricorda che Maria è la prima destinataria di questa benedizione. In Lei essa trova compimento: infatti, nessun’altra creatura ha visto brillare su di sé il volto di Dio come Maria, che ha dato un volto umano al Verbo eterno, così che tutti lo possiamo contemplare.

Oltre alla contemplazione del volto di Dio, noi possiamo anche lodarlo e glorificarlo come i pastori, che se ne tornarono da Betlemme con un canto di ringraziamento dopo aver visto il Bambino e la sua giovane mamma (cfr Lc 2,16). Erano insieme, come sono stati insieme al Calvario, perché Cristo e la sua Madre sono inseparabili: tra loro esiste un rapporto strettissimo, come tra ogni figlio e la sua madre. La carne di Cristo – che è cardine della nostra salvezza (Tertulliano) – è stata intessuta nel grembo di Maria (cfr Sal 139,13). Tale inseparabilità è significata anche dal fatto che Maria, prescelta per essere Madre del Redentore, ne ha condiviso intimamente tutta la missione rimanendo accanto al Figlio fino alla fine sul calvario.

Maria è così unita a Gesù perché ha avuto di Lui la conoscenza del cuore, la conoscenza della fede, nutrita dall’esperienza materna e dal legame intimo con il suo Figlio. La Vergine Santa è la donna di fede, che ha fatto posto a Dio nel suo cuore, nei suoi progetti; è la credente capace di cogliere nel dono del Figlio l’avvento di quella «pienezza del tempo» (Gal 4,4) nella quale Dio, scegliendo l’umile via dell’esistenza umana, è entrato personalmente nel solco della storia della salvezza. Per questo non si può capire Gesù senza sua Madre.

Altrettanto inseparabili sono Cristo e la Chiesa, perché la Chiesa e Maria vanno sempre insieme e questo è proprio il mistero della donna nella comunità ecclesiale, e non si può capire la salvezza operata da Gesù senza considerare la maternità della Chiesa. Separare Gesù dalla Chiesa sarebbe voler introdurre una «dicotomia assurda», come scrisse il beato Paolo VI (cfr Esort. ap.Evangelii nuntiandi, 16). Non è possibile «amare il Cristo, ma non la Chiesa, ascoltare il Cristo, ma non la Chiesa, appartenere al Cristo, ma al di fuori della Chiesa» (Ibid.) Infatti è proprio la Chiesa, la grande famiglia di Dio, che ci porta Cristo. La nostra fede non è una dottrina astratta o una filosofia, ma è la relazione vitale e piena con una persona: Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio fattosi uomo, morto e risorto per salvarci e vivo in mezzo a noi. Dove lo possiamo incontrare? Lo incontriamo nella Chiesa, nella nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica. È la Chiesa che dice oggi: “Ecco l’agnello di Dio”; è la Chiesa che lo annuncia; è nella Chiesa che Gesù continua a compiere i suoi gesti di grazia che sono i Sacramenti.

Questa azione e missione della Chiesa esprime la sua maternità. Infatti essa è come una madre che custodisce Gesù con tenerezza e lo dona a tutti con gioia e generosità. Nessuna manifestazione di Cristo, neanche la più mistica, può mai essere staccata dalla carne e dal sangue della Chiesa, dalla concretezza storica del Corpo di Cristo. Senza la Chiesa, Gesù Cristo finisce per ridursi a un’idea, a una morale, a un sentimento. Senza la Chiesa, il nostro rapporto con Cristo sarebbe in balia della nostra immaginazione, delle nostre interpretazioni, dei nostri umori.

Cari fratelli e sorelle! Gesù Cristo è la benedizione per ogni uomo e per l’intera umanità. La Chiesa, donandoci Gesù, ci offre la pienezza della benedizione del Signore. Proprio questa è la missione del popolo di Dio: irradiare su tutti popoli la benedizione di Dio incarnata in Gesù Cristo. E Maria, la prima e perfetta discepola di Gesù, la prima e perfetta credente, modello della Chiesa in cammino, è Colei che apre questa strada di maternità della Chiesa e ne sostiene sempre la missione materna rivolta a tutti gli uomini. La sua testimonianza discreta e materna cammina con la Chiesa fin dalle origini. Ella, Madre di Dio, è anche Madre della Chiesa e, per mezzo della Chiesa, è Madre di tutti gli uomini e di tutti i popoli.

Che questa Madre dolce e premurosa ci ottenga la benedizione del Signore per l’intera famiglia umana. In modo speciale oggi, Giornata Mondiale della Pace, invochiamo la sua intercessione perché il Signore doni pace a questi nostri giorni: pace nei cuori, pace nelle famiglie, pace tra le Nazioni. Quest’anno, in particolare, il messaggio per la Giornata della Pace è: «Non più schiavi, ma fratelli». Tutti siamo chiamati a essere liberi, tutti a essere figli e ciascuno secondo le proprie responsabilità, a lottare contro le moderne forme di schiavitù. Da ogni popolo, cultura e religione, uniamo le nostre forze. Ci guidi e ci sostenga Colui che, per renderci tutti fratelli, si è fatto nostro servo.

Guardiamo Maria, contempliamo la Santa Madre di Dio. E vorrei proporvi di salutarla insieme, come ha fatto quel coraggioso popolo di Efeso, che gridava davanti ai suoi pastori quando entravano in Chiesa: “Santa Madre di Dio!”. Che bel saluto per la nostra Madre… Dice una storia, non so se è vera, che alcuni, fra quella gente, avevano i bastoni in mano, forse per far capire ai Vescovi cosa sarebbe accaduto loro se non avessero avuto il coraggio di proclamare Maria “Madre di Dio”. Invito tutti voi, senza bastoni, ad alzarvi e per tre volte salutarla, in piedi, con questo saluto della primitiva Chiesa: “Santa Madre di Dio!”.



SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
XLVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

PAPA FRANCESCO

ANGELUS

Piazza San Pietro
Giovedì, 1° gennaio 2015

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buon anno!

In questo primo giorno dell’anno, nel clima gioioso - anche se freddo - del Natale, la Chiesa ci invita a fissare il nostro sguardo di fede e di amore sulla Madre di Gesù. In Lei, umile donna di Nazaret, «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Per questo è impossibile separare la contemplazione di Gesù, il Verbo della vita che si è fatto visibile e tangibile (cfr 1 Gv 1,1), dalla contemplazione di Maria, che gli ha donato il suo amore e la sua carne umana.

Oggi ascoltiamo le parole dell’apostolo Paolo: «Dio mandò suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4). Quel «nato da donna» dice in maniera essenziale e per questo ancora più forte la vera umanità del Figlio di Dio. Come afferma un Padre della Chiesa, sant’Atanasio: «Il nostro Salvatore fu veramente uomo e da ciò venne la salvezza di tutta l’umanità» (Lettera a EpittetoPG 26).

Ma san Paolo aggiunge anche: «nato sotto la legge» (Gal 4,4). Con questa espressione sottolinea che Cristo ha assunto la condizione umana liberandola dalla chiusa mentalità legalistica La legge infatti, privata della grazia, diventa un giogo insopportabile, e invece di farci bene ci fa male. Gesù diceva: “Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato. Ecco allora il fine per cui Dio manda il suo Figlio sulla terra a farsi uomo: una finalità di liberazione, anzi di rigenerazione. Di liberazione «per riscattare coloro che erano sotto la legge» (v. 5); e il riscatto avvenne con la morte di Cristo sulla croce. Ma soprattutto di rigenerazione: «perché ricevessimo l’adozione a figli» (v. 5). Incorporati in Lui, gli uomini diventano realmente figli di Dio. Questo passaggio stupendo avviene in noi con il Battesimo, che ci innesta come membra vive in Cristo e ci inserisce nella sua Chiesa.

All’inizio di un nuovo anno ci fa bene ricordare il giorno del nostro Battesimo: riscopriamo il regalo ricevuto in quel Sacramento che ci ha rigenerato a vita nuova: la vita divina. E questo attraverso la Madre Chiesa, che ha come modello la Madre Maria. Grazie al Battesimo siamo stati introdotti nella comunione con Dio e non siamo più in balia del male e del peccato, ma riceviamo l’amore, la tenerezza, la misericordia del Padre celeste. Vi domando nuovamente: “Chi di voi ricorda il giorno in cui è stato battezzato? Per quelli che non ricordano la data del loro Battesimo, dò un compito da fare a casa: cercare tale data e custodirla bene nel cuore. Potete anche chiedere l’aiuto dei genitori, del padrino, della madrina, degli zii, dei nonni… Il giorno nel quale siamo stati battezzati è un giorno di festa! Ricordate o ricercate la data del vostro Battesimo, sarà molto bello per ringraziare Dio del dono del Battesimo.

Questa prossimità di Dio alla nostra esistenza ci dona la vera pace: il dono divino che vogliamo implorare specialmente oggi, Giornata Mondiale della Pace. Io leggo lì: “La pace è sempre possibile”. Sempre è possibile la pace! Dobbiamo cercarla… E di là leggo: “Preghiera alla radice della pace”. La preghiera è proprio la radice della pace. La pace è sempre possibile e la nostra preghiera è alla radice della pace. La preghiera fa germogliare la pace. Oggi Giornata Mondiale della Pace, “Non più schiavi, ma fratelli”: ecco il Messaggio di questa Giornata. Perché le guerre ci fanno schiavi, sempre! Un messaggio che ci coinvolge tutti. Tutti siamo chiamati a combattere ogni forma di schiavitù e a costruire fraternità. Tutti, ciascuno secondo la propria responsabilità. E ricordate bene: la pace è possibile! E alla radice della pace, sempre c’è la preghiera. Preghiamo per la pace. Ci sono anche quelle belle scuole di pace, scuole per la pace: dobbiamo andare avanti con questa educazione alla pace.

A Maria, Madre di Dio e Madre nostra, presentiamo i nostri propositi di bene. A Lei chiediamo di stendere su di noi e su tutti i giorni del nuovo anno il manto della tua materna protezione: «Santa Madre di Dio, non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta».

E vi invito tutti a salutare oggi la Madonna come Madre di Dio. Salutarla con quel saluto: “Santa Madre di Dio!”. Come è stata acclamata dai fedeli della città di Efeso, all’inizio del cristianesimo, quando all’entrata della Chiesa gridavano ai loro pastori questo saluto rivolto alla Madonna: “Santa Madre di Dio!”. Tutti insieme, tre volte, ripetiamo: “Santa Madre di Dio”.


Dopo l'Angelus:

 

In questo momento siamo collegati con Rovereto, nel Trentino, dove si trova la grande campana denominata "Maria Dolens", realizzata in onore dei caduti di tutte le guerre e benedetta dal beato Paolo VI nel 1965. Tra poco sentiremo risuonare i rintocchi di quella campana. Che sia l’auspicio che mai più vi siano guerre – mai più le guerre! - ma sempre desiderio e impegno di pace e di fraternità tra i popoli.

Buon anno a tutti. Sia un anno di pace nell’abbraccio di tenerezza del Signore e con la protezione materna di Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Saluto tutti e vedo che ci sono tanti messicani: li saluto...Sono rumorosi i messicani!

Buon Anno e per favore non dimenticate di pregare per me.




ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 4 gennaio 2015

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Bella domenica ci regala il nuovo anno! Bella giornata!

Dice san Giovanni nel Vangelo che abbiamo letto oggi: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta … Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (1,4-5.9). Gli uomini parlano tanto della luce, ma spesso preferiscono la tranquillità ingannatrice del buio. Noi parliamo tanto della pace, ma spesso ricorriamo alla guerra o scegliamo il silenzio complice, oppure non facciamo nulla di concreto per costruire la pace. Infatti dice san Giovanni che “venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11); perché “il giudizio è questo: la luce – Gesù – è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene la luce perché le sue opere non vengano riprovate” (Gv 3,19-20). Così dice nel Vangelo san Giovanni. Il cuore dell’uomo può rifiutare la luce e preferire le tenebre, perché la luce mette a nudo le sue opere malvagie. Chi fa il male, odia la luce. Chi fa il male, odia la pace.

Abbiamo iniziato da pochi giorni il nuovo anno nel nome della Madre di Dio, celebrando la Giornata Mondiale della Pace sul tema “Non più schiavi, ma fratelli”. Il mio auspicio è che si superi lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Questo sfruttamento è una piaga sociale che mortifica i rapporti interpersonali e impedisce una vita di comunione improntata a rispetto, giustizia e carità. Ogni uomo e ogni popolo hanno fame e sete di pace; pertanto è necessario e urgente costruire la pace!

La pace non è soltanto assenza di guerra, ma una condizione generale nella quale la persona umana è in armonia con sé stessa, in armonia con la natura e in armonia con gli altri. Questa è la pace. Tuttavia, far tacere le armi e spegnere i focolai di guerra rimane la condizione inevitabile per dare inizio ad un cammino che porta al raggiungimento della pace nei suoi differenti aspetti. Penso ai conflitti che insanguinano ancora troppe regioni del Pianeta, alle tensioni nelle famiglie e nelle comunità - ma in quante famiglie, in quante comunità, anche parrocchiali, c’è la guerra! - come pure ai contrasti accesi nelle nostre città e nei nostri paesi tra gruppi di diversa estrazione culturale, etnica e religiosa. Dobbiamo convincerci, nonostante ogni contraria apparenza, che la concordia è sempre possibile, ad ogni livello e in ogni situazione. Non c’è futuro senza propositi e progetti di pace! Non c’è futuro senza pace!

Dio, nell’Antico Testamento, ha fatto una promessa. Il profeta Isaia diceva: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is2,4). E’ bello! La pace è annunciata, come dono speciale di Dio, nella nascita del Redentore: «Pace in terra agli uomini che Dio ama» (Lc 2,14). Tale dono richiede di essere implorato incessantemente nella preghiera. Ricordiamo, qui in Piazza, quel cartello: “Alla radice della pace c’è la preghiera”. Deve essere implorato questo dono e dev’essere accolto ogni giorno con impegno, nelle situazioni in cui ci troviamo. Agli albori di questo nuovo anno, tutti noi siamo chiamati a riaccendere nel cuore un impulso di speranza, che deve tradursi in concrete opere di pace. “Tu non vai bene con questa persona? Fa’ la pace!”; ”A casa tua? Fa’ la pace!”; “Nella tua comunità? Fa’ la pace!”; ”Nel tuo lavoro? Fa’ la pace!”. Opere di pace, di riconciliazione e di fraternità. Ognuno di noi deve compiere gesti di fraternità nei confronti del prossimo, specialmente di coloro che sono provati da tensioni familiari o da dissidi di vario genere. Questi piccoli gesti hanno tanto valore: possono essere semi che danno speranza, possono aprire strade e prospettive di pace.

Invochiamo ora Maria, Regina della Pace. Lei, durante la sua vita terrena, ha conosciuto non poche difficoltà, legate alla quotidiana fatica dell’esistenza. Ma non hai mai smarrito la pace del cuore, frutto dell’abbandono fiducioso alla misericordia di Dio. A Maria, nostra tenera Madre, chiediamo di indicare al mondo intero la via sicura dell’amore e della pace.


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, cari pellegrini venuti dall’Italia e da vari Paesi per prendere parte a questo incontro di preghiera.

In particolare, saluto i fedeli di Casirate d’Adda, Alfianello, Val Brembilla e Verona.

A ciascuno formulo l’augurio di trascorrere nella pace e nella serenità questa seconda domenica dopo Natale, in cui poi si prolunga la gioia della nascita di Gesù.

Come è stato già annunciato, il prossimo 14 febbraio avrò la gioia di tenere un Concistoro, durante il quale nominerò 15 nuovi Cardinali, che, provenienti da 13 nazioni di ogni continente, manifestano l’inscindibile legame fra la Chiesa di Roma e le Chiese particolari presenti nel mondo.

Domenica 15 febbraio presiederò una solenne concelebrazione con i nuovi Cardinali, mentre il 12 e 13 febbraio terrò un Concistoro con tutti i Cardinali per riflettere sugli orientamenti e le proposte per la riforma della Curia Romana.

I nuovi Cardinali sono:

1 – Mons. Dominique Mamberti, Arcivescovo titolare di Sagona, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
2 – Mons. Manuel José Macário do Nascimento Clemente, Patriarca di Lisboa (Portogallo).
3 – Mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel, C.M., Arcivescovo di Addis Abeba (Etiopia).
4 – Mons. John Atcherley Dew, Arcivescovo di Wellington (Nuova Zelanda).
5 – Mons. Edoardo Menichelli, Arcivescovo di Ancona-Osimo (Italia).
6 – Mons. Pierre Nguyên Văn Nhon, Arcivescovo di Hà Nôi (Viêt Nam).
7 – Mons. Alberto Suárez Inda, Arcivescovo di Morelia (Messico).
8 – Mons. Charles Maung Bo, S.D.B., Arcivescovo di Yangon (Myanmar).
9 – Mons. Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, Arcivescovo di Bangkok (Thailandia).
10 – Mons. Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento (Italia).
11 – Mons. Daniel Fernando Sturla Berhouet, S.D.B., Arcivescovo di Montevideo (Uruguay).
12 – Mons. Ricardo Blázquez Pérez, Arcivescovo di Valladolid (Spagna).
13 – Mons. José Luis Lacunza Maestrojuán, O.A.R., Vescovo di David (Panamá).
14 – Mons. Arlindo Gomes Furtado, Vescovo di Santiago de Cabo Verde (Arcipelago di Capo Verde).
15 – Mons. Soane Patita Paini Mafi, Vescovo di Tonga (Isole di Tonga).

Unirò, inoltre, ai Membri del Collegio Cardinalizio 5 Arcivescovi e Vescovi Emeriti che si sono distinti per la loro carità pastorale nel servizio alla Santa Sede e alla Chiesa. Essi rappresentano tanti Vescovi che, con la stessa sollecitudine di pastori, hanno dato testimonianza di amore a Cristo e al Popolo di Dio sia nelle Chiese particolari, sia nella Curia Romana, sia nel Servizio Diplomatico della Santa Sede. Essi sono:

1 – Mons. José de Jesús Pimiento Rodríguez, Arcivescovo emerito di Manizales.
2 – Mons. Luigi De Magistris, Arcivescovo titolare di Nova, Pro-Penitenziere Maggiore emerito.
3 – Mons. Karl-Joseph Rauber, Arcivescovo titolare di Giubalziana, Nunzio Apostolico.
4 – Mons. Luis Héctor Villalba, Arcivescovo emerito di Tucumán.
5 – Mons. Júlio Duarte Langa, Vescovo emerito di Xai-Xai.

Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché, rinnovando il loro amore a Cristo, siano testimoni del suo Vangelo nella Città di Roma e nel mondo e con la loro esperienza pastorali mi sostengano più intensamente nel mio servizio apostolico.

Buona domenica a tutti! 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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06/01/2015 14:08
 
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SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA DEL SIGNORE


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Basilica Vaticana 
Martedì, 6 gennaio 2015

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Quel Bambino, nato a Betlemme dalla Vergine Maria, è venuto non soltanto per il popolo d’Israele, rappresentato dai pastori di Betlemme, ma anche per l’intera umanità, rappresentata oggi dai Magi, provenienti dall’Oriente. Ed è proprio sui Magi e sul loro cammino alla ricerca del Messia che la Chiesa ci invita oggi a meditare e pregare.

Questi Magi venuti dall’Oriente sono i primi di quella grande processione di cui ci ha parlato il profeta Isaia nella prima Lettura (cfr 60,1-6): una processione che da allora non si interrompe più, e che attraverso tutte le epoche riconosce il messaggio della stella e trova il Bambino che ci indica la tenerezza di Dio. Ci sono sempre nuove persone che vengono illuminate dalla luce della stella, che trovano la strada e giungono fino a Lui.

I Magi, secondo la tradizione, erano uomini sapienti: studiosi degli astri, scrutatori del cielo, in un contesto culturale e di credenze che attribuiva alle stelle significati e influssi sulle vicende umane. I Magi rappresentano gli uomini e le donne in ricerca di Dio nelle religioni e nelle filosofie del mondo intero: una ricerca che non ha mai fine. Uomini e donne in ricerca.

I Magi ci indicano la strada sulla quale camminare nella nostra vita. Essi cercavano la vera Luce: «Lumen requirunt lumine», dice un inno liturgico dell’Epifania, riferendosi proprio all’esperienza dei Magi; «Lumen requirunt lumine». Seguendo una luce essi ricercanola luce. Andavano alla ricerca di Dio. Visto il segno della stella, lo hanno interpretato e si sono messi in cammino, hanno fatto un lungo viaggio.

È lo Spirito Santo che li ha chiamati e li ha spinti a mettersi in cammino; e in questo cammino avverrà anche il loro personale incontro con il vero Dio.

Nel loro cammino i Magi incontrano tante difficoltà. Quando arrivano a Gerusalemme loro vanno al palazzo del re, perché considerano ovvio che il nuovo re sarebbe nato nel palazzo reale. Là perdono la vista della stella. Quante volte si perde la vista della stella! E incontrano una tentazione, messa lì dal diavolo: è l’inganno di Erode. Il re Erode si mostra interessato al bambino, ma non per adorarlo, bensì per eliminarlo. Erode è l’uomo di potere, che nell’altro riesce a vedere soltanto il rivale. E in fondo egli considera anche Dio come un rivale, anzi come il rivale più pericoloso. Nel palazzo i Magi attraversano un momento di oscurità, di desolazione, che riescono a superare grazie ai suggerimenti dello Spirito Santo, che parla mediante le profezie della Sacra Scrittura. Queste indicano che il Messia nascerà a Betlemme, la città di Davide.

A quel punto riprendono il cammino e rivedono la stella: l’evangelista annota che provarono «una gioia grandissima» (Mt 2,10), una vera consolazione. Giunti a Betlemme, trovarono «il bambino con Maria sua madre» (Mt 2,11). Dopo quella di Gerusalemme, questa per loro fu la seconda, grande tentazione: rifiutare questa piccolezza. E invece: «si prostrarono e lo adorarono», offrendogli i loro doni preziosi e simbolici. È sempre la grazia dello Spirito Santo che li aiuta: quella grazia che, mediante la stella, li aveva chiamati e guidati lungo il cammino, ora li fa entrare nel mistero.

Quella stella che ha accompagnato il camino li fa entrare nel mistero. Guidati dallo Spirito, arrivano a riconoscere che i criteri di Dio sono molto diversi da quelli degli uomini, che Dio non si manifesta nella potenza di questo mondo, ma si rivolge a noi nell’umiltà del suo amore. L’amore di Dio è grande, sì. L’amore di Dio è potente, sì. Ma l’amore di Dio è umile, tanto umile! I Magi sono così modelli di conversione alla vera fede perché hanno creduto più nella bontà di Dio che non nell’apparente splendore del potere.

E allora ci possiamo chiedere: qual è il mistero in cui Dio si nasconde? Dove posso incontrarlo? Vediamo attorno a noi guerre, sfruttamento di bambini, torture, traffici di armi, tratta di persone… In tutte queste realtà, in tutti questi fratelli e sorelle più piccoli che soffrono per tali situazioni, c’è Gesù (cfr Mt 25,40.45). Il presepe ci prospetta una strada diversa da quella vagheggiata dalla mentalità mondana: è la strada dell’abbassamento di Dio, quell’umiltà dell’amore di Dio si abbassa, si annienta, la sua gloria nascosta nella mangiatoia di Betlemme, nella croce sul calvario, nel fratello e nella sorella che soffre.

I Magi sono entrati nel mistero. Sono passati dai calcoli umani al mistero: e questa è stata la loro conversione. E la nostra? Chiediamo al Signore che ci conceda di vivere lo stesso cammino di conversione vissuto dai Magi.

Che ci difenda e ci liberi dalle tentazioni che nascondono la stella. Che abbiamo sempre l’inquietudine di domandarci: dov’è la stella?, quando – in mezzo agli inganni mondani – l’abbiamo persa di vista. Che impariamo a conoscere in modo sempre nuovo il mistero di Dio, che non ci scandalizziamo del “segno”, dell’indicazione, quel segno detto dagli Angeli: «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12), e che abbiamo l’umiltà di chiedere alla Madre, alla nostra Madre, che ce lo mostri. Che troviamo il coraggio di liberarci dalle nostre illusioni, dalle nostre presunzioni, dalle nostre “luci”, e che cerchiamo questo coraggio nell’umiltà della fede e possiamo incontrare la Luce, Lumen, come hanno fatto i santi Magi. Che possiamo entrare nel mistero. Così sia.









ad maiorem Dei Gloriam

 Sequenza
ANNUNZIO DEL GIORNO DELLA PASQUA  Anno Domini 2015
Dopo la proclamazione del Vangelo, il diacono o il sacerdote o un altro ministro idoneo può dare l’annunzio del giorno della Pasqua. 

Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. 
Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza. 
Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua il 5 aprile. 
In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte. 
Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: 
Le Ceneri, inizio della Quaresima, il 18 febbraio. 
L’Ascensione del Signore, il 17 maggio. 
La Pentecoste, il 24 maggio. 
La prima domenica di Avvento, il 29 novembre. 
Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore. 

A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli. 
Amen.


ANGELUS

Piazza San Pietro 
Martedì, 6 gennaio 2015

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Buona festa!

Nella notte di Natale abbiamo meditato l’accorrere alla grotta di Betlemme di alcuni pastori appartenenti al popolo d’Israele; oggi, solennità dell’Epifania, facciamo memoria dell’arrivo dei Magi, che giunsero dall’Oriente per adorare il neonato Re dei Giudei e Salvatore universale e offrirgli doni simbolici. Con il loro gesto di adorazione, i Magi testimoniano che Gesù è venuto sulla terra per salvare non un solo popolo, ma tutte le genti. Pertanto, nella festa odierna il nostro sguardo si allarga all’orizzonte del mondo intero per celebrare la “manifestazione” del Signore a tutti i popoli, cioè la manifestazione dell’amore e della salvezza universale di Dio. Egli non riserva il suo amore ad alcuni privilegiati, ma lo offre a tutti. Come di tutti è il Creatore e il Padre, così di tutti vuole essere il Salvatore. Per questo, siamo chiamati a nutrire sempre grande fiducia e speranza nei confronti di ogni persona e della sua salvezza: anche coloro che ci sembrano lontani dal Signore sono seguiti – o meglio “inseguiti” – dal suo amore appassionato, dal suo amore fedele e anche umile. Perché l’amore di Dio è umile, tanto umile!

Il racconto evangelico dei Magi descrive il loro viaggio dall’Oriente come un viaggio dell’anima, come un cammino verso l’incontro con Cristo. Essi sono attenti ai segni che ne indicano la presenza; sono instancabili nell’affrontare le difficoltà della ricerca; sonocoraggiosi nel trarre le conseguenze di vita derivanti dall’incontro con il Signore. La vita è questa: la vita cristiana è camminare, ma essendo attenti, instancabili e coraggiosi. Così cammina un cristiano. Camminare attento, instancabile e coraggioso. L’esperienza dei Magi evoca il cammino di ogni uomo verso Cristo. Come per i Magi, anche per noi cercare Dio vuol dire camminare - e come dicevo: attento, instancabile e coraggioso - fissando il cielo e scorgendo nel segno visibile della stella il Dio invisibile che parla al nostro cuore. La stella che è in grado di guidare ogni uomo a Gesù è la Parola di Dio, Parola che è nella Bibbia, nei Vangeli. La Parola di Dio è luce che orienta il nostro cammino, nutre la nostra fede e la rigenera. È la Parola di Dio che rinnova continuamente i nostri cuori, le nostre comunità. Pertanto non dimentichiamo di leggerla e meditarla ogni giorno, affinché diventi per ciascuno come una fiamma che portiamo dentro di noi per rischiarare i nostri passi, e anche quelli di chi cammina accanto a noi, che forse stenta a trovare la strada verso Cristo. Sempre con la Parola di Dio! La Parola di Dio a portata di mano: un piccolo Vangelo in tasca, nella borsa, sempre, per leggerlo. Non dimenticatevi di questo: sempre con me la Parola di Dio!

In questo giorno dell’Epifania, il nostro pensiero va anche ai fratelli e alle sorelle dell’Oriente cristiano, cattolici e ortodossi, molti dei quali celebrano domaniil Natale del Signore. Ad essi giunga il nostro affettuoso augurio.

Mi piace poi ricordare che oggi si celebra la Giornata Mondiale dell’Infanzia Missionaria. È la festa dei bambini che vivono con gioia il dono della fede e pregano perché la luce di Gesù arrivi a tutti i fanciulli del mondo. Incoraggio gli educatori a coltivare nei piccoli lo spirito missionario. Che non siano bambini e ragazzi chiusi, ma aperti; che vedano un grande orizzonte, che il loro cuore vada avanti verso l’orizzonte, affinché nascano tra loro testimoni della tenerezza di Dio e annunciatori del Vangelo.

Ci rivolgiamo ora alla Vergine Maria e invochiamo la sua protezione sulla Chiesa universale, affinché diffonda nel mondo intero il Vangelo di Cristo, la luce delle genti, luce di tutti i popoli. E che Lei ci faccia essere sempre più in cammino; ci faccia camminare e nel cammino essere attenti, instancabili e coraggiosi.


Dopo l'Angelus:

Cari fratelli e sorelle,

saluto tutti voi, romani e pellegrini, rinnovando l’augurio di pace e di ogni bene nel Signore.

Saluto i fedeli venuti da Aachen (Germania), da Kilbeggan (Irlanda), e gli studenti di Northfield – Minnesota (Stati Uniti d’America); i cresimandi di Romano di Lombardia e i loro genitori; i fedeli di Biassono, Verona, Arzignano, Acerra e di alcune Diocesi della Puglia; e i giovani dell’Opera Don Orione.

Un saluto speciale a quanti danno vita al Corteo storico-folcloristico, che quest’anno è dedicato al territorio dei Comuni di Segni, Artena, Carpineto Romano, Gorga e Montelanico.

E ricordatevi bene: la vita è un camminare, camminare sempre, cercando Dio. Camminare attenti, instancabili e coraggiosi. E manca una cosa, manca una cosa: attenti, instancabili, coraggiosi… e che cosa manca? Camminare con la luce! E cos’è è la luce? Il Vangelo, la Parola di Dio. Sempre col Vangelo: in tasca, nella borsa, per leggerlo, sempre con noi. Camminare, attenti, instancabili, coraggiosi e con la luce della Parola di Dio.

A tutti auguro una buona festa. Non dimenticatevi di pregare per me.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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