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Meditazioni quotidiane per Dicembre e il Tempo di Natale 2014 Epifania 2015

Ultimo Aggiornamento: 06/01/2015 14:08
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Ricordiamo che la prima parte del testo è stata proposta "qui".

Segue ora l'approfondimento di Benedetto XVI sulla Annunciazione, su quelle parole pronunciate dall'Angelo....

3. L’Annunciazione a Maria

«Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1,26s).

L’annuncio della nascita di Gesù è collegato con la storia di Giovanni Battista innanzitutto cronologicamente mediante l’indicazione del tempo trascorso dopo il messaggio dell’arcangelo Gabriele a Zaccaria, cioè «al sesto mese» della gravidanza di Elisabetta. Ambedue gli eventi ed ambedue le missioni, tuttavia, in questo brano vengono collegati anche mediante l’informazione che Maria ed Elisabetta - e quindi anche i loro bambini - sono parenti. La visita di Maria ad Elisabetta, che deriva come conseguenza dal colloquio tra Gabriele e Maria (cfr. Lc 1,36), porta - ancora prima della nascita - ad un incontro, nello Spirito Santo, tra Gesù e Giovanni, e in questo incontro si rende al contempo evidente anche la correlazione delle loro missioni: Gesù è il più giovane, Colui che viene dopo.

Ma è la vicinanza di Lui che fa sussultare Giovanni nel grembo materno e colma Elisabetta di Spirito Santo (cfr. Lc 1,41). Così appare oggettivamente, già nei racconti di san Luca sull’annuncio e sulla nascita, ciò che il Battista dirà nel Vangelo di Giovanni: «Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”» (1,30).

Anzitutto, però, conviene considerare in modo più dettagliato la narrazione dell’annuncio della nascita di Gesù a Maria. Guardiamo prima il messaggio dell’angelo e poi la risposta di Maria.

Nel saluto dell’angelo colpisce il fatto che egli non rivolge a Maria l’usuale saluto ebraico, shalom - la pace sia con te -, ma la formula greca chaîre, che si può tranquillamente tradurre con «ave», come avviene nella preghiera mariana della Chiesa, composta con parole tratte dalla narrazione dell’Annunciazione (cfr. Lc 1,28.42).

Tuttavia è giusto cogliere, a questo punto, il vero significato della parola chaîre: rallégrati! Con questo augurio dell’angelo - possiamo dire inizia, in senso proprio, il Nuovo Testamento. La parola ricompare nella Notte Santa sulle labbra dell’angelo, che dice ai pastori: «Vi annuncio una grande gioia» (2,10). Ricompare - in Giovanni - in occasione dell’incontro con il Risorto: «I discepoli gioirono al vedere il Signore» (20,20). Nei discorsi di addio in Giovanni appare una teologia della gioia che illumina, per così dire, le profondità di questa parola. «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (16,22).

La gioia appare, in questi testi, come il dono proprio dello Spirito Santo, come il vero dono del Redentore. Così, con il saluto dell’angelo viene fatto echeggiare l’accordo che continuerà poi a risuonare attraverso tutto il tempo della Chiesa e che, per quanto riguarda il suo contenuto, può essere percepito anche nella parola fondamentale con la quale si qualifica l’intero annuncio cristiano: il Vangelo - la Buona Novella. 

 

«Rallégrati» è - come abbiamo visto - anzitutto un saluto in lingua greca, e così si apre subito, in questa parola dell’angelo, anche la porta verso i popoli del mondo; si ha un accenno all’universalità del messaggio cristiano. Eppure questa è, al tempo stesso, anche una parola tratta dall’Antico Testamento e sta quindi pienamente nella continuità della storia biblica della salvezza. Soprattutto Stanislas Lyonnet e René Laurentin hanno mostrato che nel saluto di Gabriele a Maria è ripresa ed attualizzata la profezia di Sofonia 3,14- 17, che suona così: «Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele! [...] Il Signore, tuo Dio, è in mezzo a te».

Non è necessario entrare qui nei particolari di un confronto testuale tra il saluto dell’angelo a Maria e la parola di promessa del profeta. Il motivo essenziale perché la figlia di Sion può esultare è espresso nell’affermazione: «Il Signore è in mezzo a te» (Sof 3,15.17) - tradotto letteralmente: «è nel tuo grembo».

Con ciò Sofonia riprende parole del Libro dell’Esodo che descrivono il dimorare di Dio nell’arca dell’alleanza come un dimorare «nel grembo di Israele» (cfr. Es 33,3; 34,9; cfr. Laurentin, Structure et Théologie, pp. 64-71).

Proprio questa parola ricompare nel messaggio di Gabriele a Maria: «Concepirai nel grembo» (Lc 1,31). Comunque si valutino i particolari di questi parallelismi, si rende evidente una vicinanza interna dei due messaggi.

Maria appare come la figlia di Sion in persona. Le promesse riguardanti Sion si adempiono in lei in modo inaspettato. Maria diventa l’arca dell’alleanza, il luogo di una vera inabitazione del Signore.

«Rallégrati, piena di grazia!» Un ulteriore aspetto di questo saluto chaîre è degno di riflessione: la connessione tra gioia e grazia. Nel greco, le due parole, gioia e grazia (chará e cháris), sono formate dalla stessa radice. Gioia e grazia vanno insieme.

Dedichiamoci ora al contenuto della promessa. Maria darà alla luce un bambino, al quale l’angelo attribuisce i titoli «Figlio dell’Altissimo» e «Figlio di Dio». Inoltre viene promesso che Dio, il Signore, gli darà il trono di Davide suo padre. Egli regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno (la sua signoria) non avrà fine.

Si aggiunge poi una serie di promesse in riferimento al «come» del concepimento: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Cominciamo con quest’ultima promessa. Stando al suo linguaggio, essa appartiene alla teologia del Tempio e della presenza di Dio nel santuario. La nube sacra - la shekinà - è segno visibile della presenza di Dio. Essa insieme nasconde e mostra il suo dimorare nella sua casa.

La nube che getta la sua ombra sugli uomini ritorna poi nel racconto della Trasfigurazione del Signore (cfr. Lc 9,34; Mc 9,7). Di nuovo essa è segno della presenza di Dio, del mostrarsi di Dio nel nascondimento. Così, con la parola circa l’ombra che scende con lo Spirito Santo, è ripresa la teologia relativa a Sion, contenuta nel saluto.

Ancora una volta Maria appare come la tenda viva di Dio, nella quale, in un modo nuovo, Egli vuole dimorare in mezzo agli uomini.

Al tempo stesso, nell’insieme di queste parole dell’annuncio è percettibile un accenno al mistero del Dio trinitario. Agisce Dio Padre, che aveva promesso stabilità al trono di Davide e ora istituisce l’erede il cui regno non avrà fine, l’erede definitivo di Davide, predetto dal profeta Natan con le parole: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (2 Sam 7,14). Il Salmo 2 lo ripete: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» (v. 7).

Le parole dell’angelo rimangono totalmente nella concezione religiosa veterotestamentaria e, tuttavia, la superano. A partire dalla nuova situazione ricevono un nuovo realismo, una densità e una forza prima inimmaginabili. Ancora il mistero trinitario non è stato oggetto di riflessione, ancora non è sviluppato fino alla dottrina definitiva.

Appare da sé, grazie al modo di agire di Dio prefigurato nell’Antico Testamento; appare nell’avvenimento, senza diventare dottrina. E, ugualmente, il concetto dell’essere Figlio, proprio del Bambino, non è approfondito e sviluppato fin nella dimensione metafisica. In questo modo, tutto rimane nell’ambito della concezione religiosa giudaica.

E, tuttavia, le antiche parole stesse, a causa dell’avvenimento nuovo che esprimono e interpretano, sono nuovamente in cammino, vanno al di là di se stesse. Proprio nella loro semplicità ricevono una nuova grandezza quasi sconcertante, che però solo nel cammino di Gesù e nel cammino dei credenti dovrà svilupparsi. 

 

In questo contesto si colloca anche il nome «Gesù» che l’angelo, sia in Luca (1,31) sia in Matteo (1,21), attribuisce al bambino. Nel nome di Gesù, il tetragramma, il nome misterioso dall’Oreb (YHWH; cfr. Es 3,1.13-14; 34,6), è nascostamente contenuto ed allargato fino all’affermazione: Dio salva. Il nome dal Sinai, rimasto - per così dire - incompleto, viene pronunciato fino in fondo. Il Dio che è, è il Dio presente e salvatore. La rivelazione del nome di Dio, iniziata nel roveto ardente, viene portata a compimento in Gesù (cfr. Gv 17,26).

La salvezza, che il Bambino promesso porta, si manifesta nell’instaurazione definitiva del regno di Davide. In effetti, al regno davidico era stata promessa una durata permanente: «La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre grazie a me; il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (2 Sam 7,16), aveva annunciato Natan, per incarico di Dio stesso.

Nel Salmo 89 si riflette in modo sconvolgente la contraddizione tra la definitività della promessa e il crollo di fatto del regno davidico: «Stabilirò per sempre la sua discendenza, il suo trono come i giorni del cielo. Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge [...] punirò con la verga la loro ribellione [...] Ma non annullerò il mio amore e alla mia fedeltà non verrò mai meno» (vv. 30-34).

Perciò il salmista, in modo commovente e con insistenza, ripete davanti a Dio la promessa, bussa al suo cuore e reclama la sua fedeltà. La realtà da lui vissuta, infatti, è totalmente diversa: «Ma tu lo hai respinto e disonorato, ti sei adirato contro il tuo consacrato; hai infranto l’alleanza con il tuo servo, hai profanato nel fango la sua corona. [...] tutti i passanti lo hanno depredato, è divenuto lo scherno dei suoi vicini. [...] Ricorda, Signore, l’oltraggio fatto ai tuoi servi» (vv. 39-42.51). Questo lamento di Israele stava davanti a Dio anche nel momento in cui Gabriele preannunciava alla Vergine Maria il nuovo re sul trono di Davide. Erode era re per grazia di Roma. Era idumeo, non un figlio di Davide.

Ma, soprattutto, per la sua crudeltà inaudita, era una caricatura di quella regalità che era stata promessa a Davide.

L’angelo annuncia che Dio non ha dimenticato la sua promessa; ora, nel bambino che Maria concepirà per opera dello Spirito Santo, essa si avvererà.«Il suo regno non avrà fine», dice Gabriele a Maria.

Nel IV secolo, questa frase è stata assunta nel Credo nicenocostantinopolitano nel momento in cui il regno di Gesù di Nazaret abbracciava ormai l’intero mondo del bacino del Mediterraneo. Noi cristiani sappiamo e professiamo con gratitudine: sì, Dio ha attuato la sua promessa. Il regno del Figlio di Davide, Gesù, si espande «da mare a mare», da continente a continente, da un secolo all’altro.

Certo - resta sempre vera anche la parola che Gesù disse a Pilato: «Il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18,36). A volte, nel corso della storia, i potenti di questo mondo lo attraggono a sé; ma proprio allora esso è in pericolo: essi vogliono collegare il loro potere con il potere di Gesù, e proprio così deformano il suo regno, lo minacciano. Oppure esso è sottoposto all’insistente persecuzione da parte dei dominatori che non tollerano alcun altro regno e desiderano eliminare il re senza potere, il cui potere misterioso, tuttavia, essi temono. Ma «il suo regno non avrà fine»: questo regno diverso non è costruito su un potere mondano, ma si fonda solo sulla fede e sull’amore. È la grande forza della speranza in mezzo a un mondo che così spesso sembra essere abbandonato da Dio.

Il regno del Figlio di Davide, Gesù, non conosce fine, perché in esso regna Dio stesso, perché in esso il regno di Dio entra in questo mondo. La promessa che Gabriele ha trasmesso alla Vergine Maria è vera. Si adempie sempre di nuovo. La risposta di Maria, alla quale ora giungiamo, si sviluppa in tre passi. La prima reazione al saluto dell’angelo è di turbamento e pensosità. La sua reazione è diversa da quella di Zaccaria. Di lui si riferisce che si turbò e «fu preso da timore» (Lc 1,12). Nel caso di Maria, inizialmente è usata la stessa parola (fu turbata), ma poi non segue il timore, bensì una riflessione interiore sul saluto dell’angelo. Maria riflette (entra in dialogo con se stessa) su che cosa significhi il saluto del messaggero di Dio.

Così emerge già qui un tratto caratteristico dell’immagine della Madre di Gesù, un tratto che incontriamo nel Vangelo altre due volte in situazioni analoghe: l’interiore confrontarsi con la Parola (cfr. Lc 2,19.51). Lei non si ferma al primo turbamento per la vicinanza di Dio nel suo angelo, ma cerca di comprendere. Maria appare quindi una donna coraggiosa, che, anche di fronte all’inaudito, mantiene l’autocontrollo. Al tempo stesso, è presentata come donna di grande interiorità, che tiene insieme il cuore e la ragione e cerca di capire il contesto, l’insieme del messaggio di Dio.

In questo modo, diventa immagine della Chiesa che riflette sulla Parola di Dio, cerca di comprenderla nella sua totalità e ne custodisce il dono nella sua memoria. Enigmatica è per noi la seconda reazione di Maria. In seguito alla titubanza pensierosa con cui ella aveva accolto il saluto del messaggero di Dio, l’angelo, infatti, le aveva comunicato la sua elezione a diventare la madre del Messia.

 

Allora Maria pone una breve, incisiva domanda: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34).

Consideriamo di nuovo la differenza rispetto alla risposta di Zaccaria, che aveva reagito con un dubbio circa la possibilità del compito assegnatogli. Lui era, come Elisabetta, in un’età avanzata; non poteva più sperare in un figlio. Maria invece non dubita.

Non pone domande sul «che», ma sul «come» possa realizzarsi la promessa, essendo questo per lei non riconoscibile: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (1,34). Questa domanda appare incomprensibile, perché Maria era fidanzata e, secondo il diritto giudaico, era ritenuta ormai equiparata ad una moglie, anche se non abitava ancora con il marito e la comunione matrimoniale non era ancora iniziata.

A partire da Agostino la questione è stata spiegata nel senso che Maria avrebbe fatto un voto di verginità e avrebbe attuato il fidanzamento solo per avere un protettore della sua verginità.

Ma questa ricostruzione fuoriesce totalmente dal mondo del giudaismo dei tempi di Gesù e sembra impensabile in tale contesto. Ma che cosa significa allora questa parola?

Una risposta convincente non è stata trovata dall’esegesi moderna. Si dice che Maria, non ancora introdotta in casa, in quel momento non avrebbe ancora avuto alcun contatto con un uomo e avrebbe considerato il compito come immediatamente urgente. Questo, però, non convince, perché il tempo della convivenza non poteva più essere molto lontano.

Altri esegeti tendono a considerare la frase come una costruzione puramente letteraria, per sviluppare il dialogo tra Maria e l’angelo. Pure questa non è una vera spiegazione della frase. Si potrebbe anche ricordare che, secondo l’uso giudaico, il fidanzamento veniva espresso unilateralmente dall’uomo, e alla donna non si chiedeva il consenso.

Ma anche questa indicazione non risolve il problema.

Permane quindi l’enigma - o diciamo forse meglio: il mistero - di tale frase.

Maria, per motivi a noi non accessibili, non vede alcun modo di diventare madre del Messia per via del rapporto coniugale.

L’angelo le dà la conferma che lei non sarà madre attraverso il modo normale dopo essere accolta in casa da Giuseppe, ma attraverso «l’ombra della potenza dell’Altissimo», mediante l’arrivo dello Spirito Santo, e attesta con forza: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).

Dopo questo, segue la terza reazione, la risposta essenziale di Maria: il suo semplice «sì». Si dichiara serva del Signore. «Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

Bernardo di Chiaravalle, in una sua omelia di Avvento, ha illustrato in modo drammatico l’aspetto emozionante di questo momento. Dopo il fallimento dei progenitori, tutto il mondo è oscurato, sotto il dominio della morte.

Ora Dio cerca un nuovo ingresso nel mondo. Bussa alla porta di Maria. Ha bisogno della libertà umana.

Non può redimere l’uomo, creato libero, senza un libero «sì» alla sua volontà.

Creando la libertà, Dio, in un certo modo, si è reso dipendente dall’uomo. Il suo potere è legato al «sì» non forzato di una persona umana. Così Bernardo mostra come, nel momento della domanda a Maria, il cielo e la terra, per così dire, trattengono il respiro. Dirà «sì»?

Lei indugia... Forse la sua umiltà le sarà d’ostacolo? Per questa sola volta - le dice Bernardo - non essere umile, bensì magnanima! Dacci il tuo «sì»! È questo il momento decisivo, in cui dalle sue labbra, dal suo cuore esce la risposta: «Avvenga per me secondo la tua parola».

È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si realizza la decisione più elevata della libertà umana. Maria diventa madre mediante il suo «sì».

I Padri della Chiesa a volte hanno espresso tutto ciò dicendo che Maria avrebbe concepito mediante l’orecchio - e cioè: mediante il suo ascolto. Attraverso la sua obbedienza, la Parola è entrata in lei e in lei è diventata feconda. In questo contesto, i Padri hanno sviluppato l’idea della nascita di Dio in noi attraverso la fede e il Battesimo, mediante i quali sempre di nuovo il Logos viene a noi, rendendoci figli di Dio. Pensiamo, per esempio, alle parole di sant’Ireneo: «Come l’uomo passerà in Dio, se Dio non è passato nell’uomo?

Come abbandoneranno la nascita per la morte, se non saranno rigenerati mediante la fede in una nuova nascita, donata in modo meraviglioso ed inaspettato da Dio, nella nascita dalla Vergine, quale segno della salvezza?» (Adv. haer. IV 33, 4; cfr. H. Rahner, Symbole der Kirche, p. 23).

Penso che sia importante ascoltare anche l’ultima frase della narrazione lucana dell’Annunciazione: «E l’angelo si allontanò da lei» (Lc 1,38). La grande ora dell’incontro con il messaggero di Dio, nella quale tutta la vita cambia, passa, e Maria resta sola con il compito che, in verità, supera ogni capacità umana. Non ci sono angeli intorno a lei.

Ella deve continuare il cammino che passerà attraverso molte oscurità - a cominciare dallo sconcerto di Giuseppe di fronte alla sua gravidanza fino al momento in cui Gesù viene dichiarato «fuori di sé» (Mc 3,21; cfr. Gv 10,20), anzi, fino alla notte della Croce. Quante volte in queste situazioni Maria si sarà interiormente riportata all’ora in cui l’angelo di Dio le aveva parlato, avrà riascoltato e meditato il saluto: «Rallégrati, piena di grazia!», e la parola di conforto: «Non temere!». L’angelo se ne va, la missione rimane, e insieme con essa matura la vicinanza interiore a Dio, l’intimo vedere e toccare la sua vicinanza.

 

Joseph Ratzinger - Benedetto XVI - L’infanzia di Gesù - RIZZOLI

 
 

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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