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DIGNITAS CONNUBII trattazione delle cause di nullità del matrimonio

Ultimo Aggiornamento: 24/01/2015 23:42
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24/01/2015 23:36
 
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Titolo VI


LA CESSAZIONE DELL'ISTANZA


Capitolo I


La sospensione e la perenzione dell'istanza
e la rinuncia alla stessa


Art. 143 – Se uno dei coniugi muore durante il processo:

1o prima della conclusione della causa l'istanza è sospesa fino a quando la sua prosecuzione non sia chiesta dall'altro coniuge o da chiunque altro vi abbia interesse: nel qual caso il legittimo interesse deve essere dimostrato;

2o a causa conclusa a norma dell'art. 237, il giudice deve procedere, citando il procuratore, se vi sia, o altrimenti l'erede o il successore del defunto (cf. cann. 1518; 1675, § 2).

Art. 144 – § 1. Se il curatore, o il procuratore che sia necessario a norma dell'art. 101, § 2 cessano dal loro ufficio, l'istanza è nel frattempo sospesa (cf. can. 1519, § 1).

§ 2. Il presidente o il ponente costituisca quanto prima un altro curatore; così può costituire un nuovo procuratore, se la parte omette di farlo entro un breve termine fissato dal medesimo giudice (cf. can. 1519, § 2).

Art. 145 – § 1. La trattazione della causa principale è sospesa anche ogni qual volta prima di tutto si deve risolvere una questione dalla quale dipende la prosecuzione dell'istanza o la stessa decisione della causa principale.

§ 2. Una tale sospensione ha luogo pure durante la pendenza della querela di nullità contro la sentenza definitiva, o in una causa per l'impedimento del vincolo se, nel contempo, è posta in dubbio l'esistenza del vincolo precedente.

Art. 146 – Se nessun atto processuale sia posto dalle parti per sei mesi senza che si frapponga alcuno impedimento, l'istanza va in perenzione; il tribunale, però, non trascuri di avvertire prima la parte della necessità di agire. Una legge particolare può stabilire termini diversi per la perenzione (cf. can. 1520).

Art. 147 – La perenzione ha effetto ipso iure e deve essere dichiarata anche d'ufficio (cf. can. 1521).

Art. 148 – La perenzione estingue gli atti del processo, ma non gli atti di causa, che, pertanto, conservano il loro valore in una nuova istanza relativa alla dichiarazione di nullità del medesimo matrimonio (cf. can. 1522).

Art. 149 – Le spese dell'istanza perenta restano a carico di ciascuna delle parti, a meno che il giudice per un giusto motivo non disponga altrimenti (cf. can. 1523).

Art. 150 – § 1. La parte attrice può rinunciare all'istanza in ogni fase e grado di giudizio; così pure sia la parte attrice che la parte convenuta possono rinunciare a tutti gli atti del processo o ad alcuni soltanto, dei quali esse stesse abbiano fatto richiesta (cf. can. 1524, § 1).

§ 2. Perché sia valida la rinuncia deve essere fatta per iscritto; deve essere sottoscritta dalla parte o dal suo procuratore, munito di speciale mandato; deve essere comunicata all'altra parte, accettata o almeno non impugnata da quest'ultima, e ammessa dal presidente o dal ponente (cf. can. 1524, § 3).

§ 2. La rinuncia deve essere resa nota al difensore del vincolo, fermo restando l'art. 197.

Art. 151 – La rinuncia ammessa dal giudice, per gli atti ai quali si è rinunciato, ottiene gli stessi effetti della perenzione dell'istanza; essa obbliga il rinunziante a pagare le spese che siano già state sostenute, a meno che il giudice per un giusto motivo non disponga altrimenti (cf. can. 1525).

Art. 152 – In caso di perenzione o di rinuncia la causa può essere riassunta a norma dell'art. 19.

Capitolo II

La sospensione della causa
in caso di dubbio sull'inconsumazione

Art. 153 – § 1. Se durante l'istruttoria della causa sia emerso un dubbio assai probabile che il matrimonio non sia stato consumato, il tribunale, col consenso delle parti e su richiesta di uno dei coniugi o di entrambi, può con decreto sospendere la causa e istituire il procedimento riguardante l'inconsumazione del matrimonio (cf. can. 1681).

§ 2. In tal caso il tribunale completerà l'istruzione per la dispensa super rato (cf. cann. 1681; 1702-1704)(20).

§ 3Completata l'istruttoria, trasmetta gli atti alla Sede Apostolica con la domanda di dispensa di uno o di entrambi i coniugi, con le osservazioni del difensore del vincolo e il voto del tribunale e del Vescovo (cf. can. 1681).

§ 4. Se una delle due parti si rifiuta di dare il consenso di cui al § 1, sia ammonita delle conseguenze giuridiche che il suo rifiuto comporta.

Art. 154 – § 1. Se la causa di nullità è stata istruita nel tribunale interdiocesano, il voto di cui all'art. 153, § 3 sia emesso dal Vescovo Moderatore del tribunale, il quale avrà cura di consultarsi col Vescovo della parte oratrice, quanto meno circa l'opportunità che la dispensa richiesta sia concessa(21).

§ 2. Nella redazione del voto il tribunale esponga il fatto dell'inconsumazione e la giusta causa della dispensa.

§ 3. Quanto al voto del Vescovo, nulla vieta che esso sia redatto in calce al voto dello stesso tribunale, mediante sottoscrizione di quest'ultimo, con l'assicurazione della giusta e proporzionata causa per la concessione della dispensa e l'assenza di scandalo da parte dei fedeli(22).

Titolo VII

LE PROVE

Art. 155 – § 1. Nella raccolta delle prove si debbono osservare le norme che seguono.

§ 2. Col nome di ‘‘giudice'' nel presente titolo si indicano, a meno che non risulti altrimenti o altro sia richiesto dalla natura della questione, il presidente e il ponente, il giudice del tribunale chiamato a prestare la propria collaborazione in forza dell'art. 29, il loro delegato e l'uditore, salvo l'art. 158, § 2.

Art. 156 – § 1. L'onere di fornire le prove tocca a chi asserisce (can. 1526, § 1).

§ 2. Non necessita di essere provato ciò che si presume per legge (cf. can. 1526, § 2 n. 1).

Art. 157 – § 1. Possono essere addotte prove di qualsiasi genere, sempre che esse appaiano utili per la decisione della causa e siano lecite. Le prove illecite, sia in sé stesse sia quanto al modo della loro acquisizione, non siano addotte né ammesse (cf. can. 1527, § 1).

§ 2. Non si ammettano prove sotto segreto, se non per grave motivo, e assicurando agli avvocati delle parti il diritto di averne comunicazione, salvi gli artt. 230, 234 (cf. can. 1598, § 1).

§ 3. Il giudice limiti il numero troppo grande dei testi e delle prove; così pure non ammetta le prove addotte a scopo dilatorio (cf. can. 1553).

Art. 158 – § 1. Se una parte insiste perché una prova, respinta, sia ammessa, il collegio risolva la questione con la massima sollecitudine (expeditissime) (cf. can. 1527, § 2).

§ 2. L'uditore, a norma dell'art. 50, § 3, può solo nel frattempo decidere la questione concernente l'ammissione di una prova eventualmente sorta.

Art. 159 – § 1. Il difensore del vincolo e gli avvocati delle parti hanno il diritto:

1o di essere presenti all'esame delle parti, dei testi e dei periti, a meno che, limitatamente agli avvocati, il giudice, abbia stabilito per particolari circostanze di cose o di persone doversi procedere segretamente;

2o di prendere visione degli atti giudiziari, benché non ancora pubblicati, e di esaminare i documenti prodotti dalle parti (cf. cann. 1678, § 1; 1559).

§ 2. Le parti non possono assistere all'esame di cui al § 1, n. 1 (can. 1678, § 2).

Art. 160 – Fermo restando l'art. 120, il tribunale non proceda se non per grave motivo alla raccolta delle prove, prima che a norma dell'art. 135 sia stato concordato il dubbio, dal momento che quest'ultimo determina la materia che deve essere oggetto d'indagine (cf. can. 1529).

Art. 161 – § 1. Se una parte o un teste si rifiuta di sottoporsi all'esame giudiziale a norma degli articoli che seguono, è consentito interrogarli tramite una persona idonea designata dal giudice, o far attestare le loro dichiarazioni da un pubblico notaio o in qualsiasi altro modo legittimo (cf. can. 1528).

§ 2. Ogni qual volta nell'acquisizione delle prove non è possibile uniformarsi agli articoli che seguono, ci si deve sempre preoccupare che consti dell'autenticità e dell'integrità delle prove medesime, evitando qualsiasi pericolo di frode, collusione o corruzione.

Capitolo I

L'esame giudiziale

Art. 162 – § 1. Le parti, i testi e, se occorre, i periti, siano interrogati nella sede del tribunale, a meno che il giudice per giusto motivo non ritenga altrimenti (cf. can. 1558, § 1).

§ 2. I Cardinali, i Patriarchi, i Vescovi e quelli che secondo il diritto del loro paese godono di egual beneficio siano uditi nel luogo da loro stessi prescelto (can. 1558, § 2).

§ 3. Il giudice stabilisca dove devono essere interrogati coloro ai quali, per la distanza, la malattia o altro impedimento, sia impossibile o difficile raggiungere la sede del tribunale, ferme restando le disposizioni degli artt. 29, 51, 85 (cf. can. 1558, § 3).

Art. 163 – § 1. La citazione per l'esame giudiziale è fatta con decreto del giudice, legittimamente notificato a colui che deve essere interrogato (cf. can. 1556).

§ 2. Colui che è stato legittimamente citato compaia o renda nota al giudice sollecitamente la causa della mancata comparizione (cf. can. 1557).

Art. 164 – Le parti, personalmente o per il tramite degli avvocati, e il difensore del vincolo, debbono presentare entro il temine stabilito dal giudice i punti degli argomenti sui quali si chiede l'interrogatorio delle parti, dei testi o dei periti, salvo l'art. 71 (cf. can. 1552, § 2).

Art. 165 – § 1. Le parti, i testi e i periti debbono essere esaminati uno ad uno separatamente (cf. can. 1560, § 1).

§ 2. Se tuttavia essi forniscono versioni contrastanti su questioni di rilevante gravità, il giudice può metterli a confronto su ciò su cui divergono, evitando per quanto è possibile dissidi e scandali (cf. can. 1560, § 2).

Art. 166 – L'interrogatorio è fatto dal giudice con la presenza del notaio; pertanto, fermo restando l'art. 159, il difensore del vincolo e gli avvocati che intervengono all'esame, se hanno altre domande da formulare, le debbono proporre al giudice o a chi ne fa le veci, affinché egli le ponga all'interrogando, a meno che una legge particolare non stabilisca altrimenti (cf. can. 1561).

Art. 167 – § 1. Il giudice ricordi alle parti ed ai testi il grave obbligo di dire tutta la verità e solo la verità, salvo l'art. 194, § 2 (cf. can. 1562, § 1)(23).

§ 2. Il giudice li faccia, inoltre giurare di dire la verità o almeno di aver detto la verità, a meno che un grave motivo non suggerisca altrimenti; se qualcuno si rifiuta di emettere tale giuramento, dovrà impegnarsi a dire la verità con una promessa (cf. cann. 1532; 1562, § 2).

§ 3. Il giudice può anche deferire a costoro il giuramento, o se del caso la promessa, di obbligarsi al vincolo del segreto.

Art. 168 – Il giudice si accerti anzitutto dell'identità di colui che deve essere interrogato; gli domandi in quale rapporto sia con le parti e quando gli rivolge le domande che hanno riferimento specifico all'oggetto della causa si informi sulle fonti della sua conoscenza e sul tempo preciso in cui è venuto a conoscenza di quanto asserisce (cf. can. 1563).

Art. 169 – Le domande siano brevi, appropriate all'intelligenza di colui che deve essere interrogato, non includano più elementi insieme, non siano capziose, non siano subdole, non suggeriscano la risposta, escludano qualunque offesa e riguardino la causa di cui si tratta (can. 1564).

Art. 170 – § 1. Le domande non debbono essere comunicate in anticipo agli interrogandi (cf. can. 1565, § 1).

§ 2. Tuttavia, se si tratta di fatti così lontani nella memoria da non consentire di deporre con certezza senza che prima questi siano richiamati alla mente, il giudice può prevenirli con qualche particolare, se ritiene che ciò possa essere fatto senza pericolo (cf. can. 1565, § 2).

Art. 171 – Gli interrogandi debbono rispondere oralmente, senza leggere alcuno scritto, a meno che non si tratti di spiegare il contenuto di una perizia: in questo caso il perito può consultare gli appunti che abbia portato con sé (cf. can. 1566).

Art. 172 – Se una persona da interrogare parla una lingua sconosciuta al giudice, si ricorra ad un interprete giurato, designato dal giudice. Tuttavia le dichiarazioni siano verbalizzate nella lingua originale, e vi si alleghi la traduzione. Si ricorra all'interprete anche se si deve interrogare un sordo o un muto, a meno che il giudice non preferisca che costoro rispondano per iscritto alle domande che egli pone loro (cf. can. 1471).

Art. 173 – § 1. La risposta deve essere subito redatta per iscritto dal notaio sotto la direzione del giudice e deve riferire le stesse parole della deposizione, almeno per quanto si riferisce direttamente alla materia del giudizio (cf. can. 1567, § 1).

§ 2. È permesso l'uso del magnetofono o di altro analogo strumento, purché le risposte vengano poi trascritte e, se possibile, firmate da coloro che hanno deposto (cf. can. 1567, § 2).

Art. 174 – Il notaio riferisca in atti sul giuramento fatto, sulla promessa di dire la verità fatta, dispensata o rifiutata, sulla presenza del difensore del vincolo e degli avvocati; sulle domande aggiunte d'ufficio, e in generale su tutti i fatti degni di menzione eventualmente accaduti durante l'interrogatorio (cf. can. 1568).

Art. 175 – § 1. Al termine della deposizione, a colui che è stato interrogato si deve leggere quanto della sua deposizione è stato scritto dal notaio, o fargli ascoltare la sua deposizione così come è stata registrata al magnetofono, dandogli la facoltà di aggiungere, correggere, sopprimere, variare (cf. can. 1569, § 1).

§ 2. Fermo restando l'art. 89, l'atto deve essere sottoscritto dall'interrogato, dal giudice e dal notaio; così pure dal difensore del vincolo e, se sono stati presenti, dal promotore di giustizia e dagli avvocati (cf. can. 1569, § 2).

§ 3. Se si è fatto uso dello strumento di cui all'art. 175, § 2, deve essere redatto un atto che lo attesti, munito delle sottoscrizioni di cui al § 2. Il notaio, inoltre, deve munire la registrazione del sigillo di autenticità e far sì che essa sia conservata in modo sicuro e integralmente.

Art. 176 – Gli interrogati, benché già escussi, possono essere chiamati a un nuovo esame su richiesta del difensore del vincolo o di una parte, oppure d'ufficio, se il giudice lo ritiene necessario o utile, purché non vi sia pericolo alcuno di collusione o di corruzione (cf. can. 1570).

Capitolo II

Le prove in specie

1. Le dichiarazioni delle parti

Art. 177 – Il giudice, per venire a conoscere più adeguatamente la verità, provveda ad interrogare le parti (cf. can. 1530).

Art. 178 – La parte legittimamente interrogata deve rispondere e dire integralmente la verità. Se rifiuta di rispondere, spetta al giudice valutare cosa se ne possa dedurre in ordine alla prova dei fatti (cf. cann. 1531; 1534; 1548, § 2).

Art. 179 – § 1. L'asserzione di un fatto circa la materia stessa del giudizio resa per iscritto o oralmente da una parte contro di sé avanti al giudice competente, sia spontaneamente sia a domanda del giudice, è una confessione giudiziale (can. 1535).

§ 2. Tuttavia nelle cause di nullità di matrimonio si intende per confessione giudiziale la dichiarazione con cui una parte, oralmente o per iscritto, afferma davanti al giudice competente, sia di sua spontanea volontà che a domanda del giudice, un fatto suo proprio contrario alla validità del matrimonio.

Art. 180 – § 1. Le confessioni e le altre dichiarazioni rese in giudizio dalle parti possono avere forza probante da valutarsi dal giudice insieme a tutte le altre circostanze della causa; ma non può essere loro attribuita forza di prova piena, se ad esse non si aggiungano altri elementi di prova in grado di avvalorarle pienamente (cf. can. 1536, § 2).

§ 2. Tranne il caso in cui la prova piena sia stata raggiunta altrimenti, il giudice per valutare le deposizioni delle parti si serva, se possibile, di testimonianze circa la loro credibilità, oltre ad altri elementi (cf. can. 1679).

Art. 181 – Quanto alle confessioni extragiudiziali delle parti contro la validità del matrimonio e alle loro dichiarazioni extragiudiziali dedotte in giudizio, spetta al giudice valutare, considerate tutte le circostanze, quale valore sia loro da attribuire (cf. can. 1537).

Art. 182 – La confessione o qualsiasi altra dichiarazione della parte manca assolutamente di forza probante se consti che essa fu pronunciata per errore di fatto o fu estorta con la violenza o con timore grave (can. 1538).

2. La prova documentale

Art. 183 – Nelle cause di nullità di matrimonio è ammessa anche la prova mediante documenti, sia pubblici sia privati (cf. can. 1539).

Art. 184 – § 1. Sono documenti pubblici ecclesiastici quelli rilasciati da una persona pubblica nell'esercizio del suo compito nella Chiesa, osservate le formalità stabilite nel diritto (can. 1540, § 1)

§ 2. Sono documenti pubblici civili quelli che sono ritenuti tali secondo le leggi di ciascun luogo (can. 1540, § 2).

§ 3. Tutti gli altri documenti sono privati (can. 1540, § 3).

Art. 185 – § 1. Salvo che non si dimostri irrefragabilmente altro con argomenti contrari ed evidenti, i documenti pubblici fanno fede di ciò che in essi è direttamente e principalmente affermato (can. 1541).

§ 2. L'autenticazione di un documento privato, fatta da un notaio con l'osservanza delle disposizioni di legge, è di per sé pubblica, ma il documento in sé stesso resta privato.

§ 3. Nelle cause di nullità di matrimonio, a qualsiasi scritto di proposito predisposto al fine di provare la nullità di matrimonio va attribuito il valore probatorio di un documento privato, anche se esso è stato depositato presso un pubblico notaio.

Art. 186 – § 1. Tra i documenti privati di non poco valore possono essere le lettere che, o i fidanzati prima del matrimonio, o i coniugi dopo, ma in tempo non sospetto, si sono scambiate o hanno spedito ad altri, purché consti in modo evidente della loro autenticità e del tempo in cui sono state scritte.

§ 2. Le lettere, così come gli altri documenti privati, hanno quel peso probatorio che deve essere giudicato dalle circostanze e soprattutto dal tempo in cui sono state redatte.

Art. 187 – Il documento privato riconosciuto davanti al giudice ha la stessa efficacia probatoria di una confessione o dichiarazione extragiudiziale (cf. can. 1542).

Art. 188 – Alle cosiddette lettere anonime e agli altri documenti anonimi di qualsiasi genere, di per sé non può essere attribuito neppure valore indiziario, a meno che riferiscano fatti che possono essere provati da altre fonti.

Art. 189 – Se i documenti appaiono cancellati, corretti, interpolati o guasti per altro difetto, spetta al giudice decidere se ed in qual conto tali documenti si debbano tenere (can. 1543).

Art. 190 – I documenti non hanno efficacia probatoria in giudizio, se non sono originali o esibiti in copia autentica, e non sono depositati presso la cancelleria del tribunale, così da poter essere esaminati dal giudice, dal difensore del vincolo e dalle parti nonché dai loro avvocati (cf. can. 1544).

Art. 191 – Il giudice può ordinare che sia esibito nel processo un documento comune ad entrambe le parti, ossia che le riguarda entrambe (cf. can. 1545).

Art. 192 – § 1. Nessuno è tenuto ad esibire i documenti, anche se comuni, che non possono essere resi noti senza pericolo di danno a norma dell'art. 194, § 2, n. 3, o senza pericolo di violare un segreto (cf. can. 1546, § 1).

§ 2. Se tuttavia è possibile descrivere almeno una piccola parte del documento e produrla in esemplare senza gli inconvenienti menzionati, il giudice può ordinarne l'esibizione (can. 1546, § 2).

3. I testi

Art. 193 – La prova per testi ha luogo sotto la direzione del giudice a norma degli artt. 162-176 (cf. can. 1547).

Art. 194 – § 1. – I testi devono confessare la verità al giudice che legittimamente li interroghi (can. 1548, § 1).

§ 2. Salvo il disposto dell'art. 196, § 2, n. 2, sono esenti dall'obbligo di rispondere:

1o i chierici, per quanto sia stato loro manifestato in ragione del sacro ministero;

2o i pubblici magistrati civili, i medici, le ostetriche, gli avvocati, i notai e chiunque altro è tenuto al segreto d'ufficio, anche per aver prestato una consulenza, relativamente alle questioni sottoposte al vincolo di tale segreto;

3o coloro i quali temono che dalla propria testimonianza possano derivare infamia, pericolose molestie o altri gravi danni a se stessi, al coniuge, ai parenti prossimi od affini (cf. can. 1548, § 2).

Art. 195 – Tutti possono essere testi, a meno che non siano espressamente riprovati dal diritto in tutto o in parte (can. 1549).

Art. 196 – § 1. Non siano ammessi a fare da testi i minori al di sotto dei quattordici anni e i deboli di mente; potranno tuttavia essere uditi per decreto del giudice, con il quale se ne dichiari l'opportunità (can. 1550, § 1).

§ 2. Si considerano incapaci:

1o coloro che sono parti in causa o stanno in giudizio a nome delle parti, il giudice e i suoi assistenti, gli avvocati e chiunque altro assiste o ha assistito le parti nella medesima causa; pertanto bisogna evitare che assumano nella causa questi uffici coloro i quali con la loro deposizione possono giovare in qualche modo all'accertamento della verità;

2o i sacerdoti per quanto concerne tutto ciò che fu loro rivelato nella confessione sacramentale, anche se il penitente ne richieda la manifestazione; anzi, tutto ciò che da chiunque ed in qualunque modo fu udito in occasione della confessione non può essere recepito neppure come indizio di verità (cf. can. 1550, § 2).

Art. 197 – La parte che ha indotto un teste può rinunciare alla sua escussione, ma l'altra parte e il difensore del vincolo possono fare richiesta che egli, malgrado ciò, sia interrogato (cf. can. 1551).

Art. 198 – Quando si chiede l'audizione dei testi, si indichino al tribunale i loro nomi e il loro domicilio o il luogo in cui abitano (cf. can. 1552, § 1).

Art. 199 – Prima che i testi siano interrogati, dei loro nominativi siano informate le parti; che se ciò, a prudente valutazione del giudice non sia possibile senza grave difficoltà, lo si faccia prima della pubblicazione delle deposizioni testimoniali (can. 1554).

Art. 200 – Fermo restando il disposto dell'art. 196, una parte può chiedere che un teste sia escluso, se sia dimostrata una giusta causa per l'esclusione prima dell'escussione del medesimo (cf. can. 1555).

Art. 201 - Nella valutazione delle deposizioni il giudice, previa richiesta, se necessario, delle lettere testimoniali, deve tener presente:

1o quali siano la condizione e l'onestà del teste;

2o se depone per scienza propria, soprattutto per avere visto e udito egli stesso, o per una sua opinione, per voce di popolo o per notizie avute da altri;

3o quando precisamente è venuto a conoscenza di ciò che riferisce, e soprattutto se ciò è avvenuto in tempo non sospetto, ossia quando le parti non stavano ancora pensando di introdurre la causa;

4o se il teste sia costante nelle sue affermazioni e fermamente coerente, o invece sia mutevole, insicuro od esitante;

5o se ha altri testi a comprova della sua deposizione, e se è confermato o meno da altri elementi di prova (cf. can. 1572).

Art. 202 – La deposizione di un solo teste non può fare fede piena, a meno che non si tratti di un teste qualificato che deponga su cose fatte d'ufficio, o le circostanze di cose o di persone suggeriscano altro (can. 1573).

4. I periti

Art. 203 – § 1. Nelle cause per impotenza, o difetto di consenso causato da infermità mentale, per le incapacità di cui nel can. 1095, il giudice si serva dell'opera di uno o più periti, a meno che, dalle circostanze, ciò non risulti palesemente inutile (cf. can. 1680)(24).

§ 2Nelle altre cause si deve ricorrere all'opera dei periti ogniqualvolta, per ordine del giudice, sono richiesti il loro giudizio e voto fondati sulle regole della tecnica e della scienza, per provare un determinato fatto o per appurare la vera natura di una certa realtà, come ad esempio se si deve indagare sull'autenticità di uno scritto (cf. cann. 1574; 1680).

Art. 204 – § 1. È compito del presidente o del ponente nominare i periti e, se del caso, acquisire agli atti le relazioni già fatte da altri periti (cf. can. 1575).

§ 2. La nomina del perito deve essere resa nota alle parti e al difensore del vincolo, fermo restando l'art. 164.

Art. 205 – § 1. All'incarico peritale siano deputati coloro che, non soltanto possiedono un'abilitazione professionale, ma sono anche ben qualificati per la loro scienza ed esperienza, e godano di buona reputazione per onestà e religiosità.

§ 2. Affinché l'opera del perito, nelle cause concernenti l'incapacità di cui al can. 1095, risulti realmente utile, si deve prestare la massima attenzione a scegliere periti che aderiscono ai principi dell'antropologia cristiana.

Art. 206 – I periti possono essere esclusi o ricusati per le stesse ragioni per le quali lo possono essere i testi (cf. can. 1576).

Art. 207 – § 1. Il giudice, tenuto conto delle eventuali deduzioni delle parti e del difensore del vincolo, stabilisca con suo decreto i singoli punti o argomenti circa i quali il perito dovrà svolgere il suo incarico (cf. can. 1577, § 1).

§ 2. Al perito devono essere trasmessi gli atti di causa e gli altri documenti e sussidi di cui può aver bisogno per eseguire correttamente e fedelmente il suo compito (can. 1577, § 2).

§ 3. Il giudice, sentito il perito, stabilisca il tempo entro il quale dovrà essere espletato l'esame e presentata la relazione, evitando che la causa subisca dilazioni non necessarie (cf. can. 1577, § 3).

Art. 208 – Nelle cause concernenti l'impotenza, il giudice chieda di quale natura sia l'impotenza, se assoluta o relativa, anteriore o successiva al matrimonio, perpetua o temporanea e, se sanabile, con quali mezzi.

Art. 209 – § 1. Nelle cause per l'incapacità, secondo il can. 1095, il giudice non ometta di chiedere al perito se una o entrambe le parti, al tempo del matrimonio fossero affette da una particolare anomalia abituale o transitoria; quale ne fosse la gravità; quando, per quali cause e in quali circostanze tale anomalia abbia avuto origine e si sia manifestata.

§ 2. Specificamente:

1o nelle cause per difetto dell'uso di ragione, chieda se l'anomalia abbia perturbato gravemente l'uso di ragione al tempo del matrimonio; con quale intensità e attraverso quali sintomi essa si sia manifestata;

2o nelle cause per difetto di discrezione di giudizio, chieda quale sia stato l'influsso dell'anomalia sulla facoltà critica ed elettiva, in relazione a gravi decisioni, particolarmente per quanto attiene alla libera scelta dello stato di vita;

3o nelle cause poi per incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, chieda quale sia la natura e la gravità della causa psichica che provoca nella parte non solo una grave difficoltà, ma anche l'impossibilità di far fronte ai compiti inerenti agli obblighi matrimoniali.

§ 3. Il perito nel suo voto deve rispondere secondo i dettami della propria tecnica e della propria scienza ai singoli quesiti posti nel decreto del giudice; eviti peraltro di dare giudizi che eccedono i limiti del suo incarico e spettano al giudice (cf. cann. 1577, § 1; 1574).

Art. 210 – § 1. I periti facciano ciascuno la propria relazione distinta da quella degli altri, a meno che il giudice non ordini che se ne faccia una sola che i singoli periti dovranno sottoscrivere; se ciò avvenga, si annotino, diligentemente le differenze dei pareri, se ce ne fossero (can. 1578, § 1).

§ 2. I periti debbono indicare con chiarezza in base a quali documenti o altri mezzi idonei abbiano accertato l'identità delle persone o delle cose; secondo quale metodo e criterio abbiano proceduto nell'espletamento del compito loro demandato; e soprattutto su quali argomenti si fondino e quale grado di certezza godano le conclusioni formulate nella relazione (cf. can. 1578, § 2).

Art. 211 – Il perito può essere chiamato dal giudice per confermare le sue conclusioni e fornire le ulteriori spiegazioni che appaiano necessarie (cf. can. 1578, § 3).

Art. 212 – § 1. Il giudice valuti attentamente non soltanto le conclusioni dei periti, anche se concordi, ma anche tutte le circostanze della causa (can. 1579, § 1).

§ 2. Quando espone le ragioni della decisione, deve esprimere quali argomenti lo hanno indotto ad ammettere o respingere le conclusioni dei periti (can. 1579, § 2).

Art. 213 – § 1. Le parti possono designare periti privati, i quali devono essere approvati dal giudice (can. 1581, § 1).

§ 2. Questi, se il giudice li ammette, possono prendere visione degli atti di causa nella misura in cui sia necessario e prendere parte all'esecuzione delle perizie. In ogni caso possono sempre esibire una relazione (cf. can. 1581, § 2).

5. Le presunzioni

Art. 214 La presunzione è la deduzione probabile da un fatto certo di una cosa incerta; è detta iuris la presunzione che viene stabilita dalla legge stessa; è detta hominis quella che è formulata dal giudice (can. 1584).

Art. 215 – Chi ha dalla sua parte una presunzione iuris è liberato dall'onere della prova, che ricade sull'altra parte (cf. can. 1585).

Art. 216 – § 1. Il giudice non formuli presunzioni che non sono stabilite dal diritto, se non sulla base di un fatto certo e determinato, direttamente connesso con il fatto che è oggetto della controversia (can. 1586).

§ 2. Parimenti non formuli presunzioni discordanti da quelle elaborate nella giurisprudenza della Rota Romana.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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