Il problema dei 3 corpi: Attraverso continenti e decadi, cinque amici geniali fanno scoperte sconvolgenti mentre le leggi della scienza si sgretolano ed emerge una minaccia esistenziale. Vieni a parlarne su TopManga.

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Enciclica del Papa 18 giugno 2015 “Laudato si’, sulla cura della casa comune”

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2016 15:14
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  In vista dell'Enciclica "verde"
 
di Paolo Togni 11-02-2015


Il papa e l'agnello

In attesa della annunciata Enciclica sui temi ambientali, che si aspetta per i prossimi mesi, il Santo Padre nei giorni scorsi ha lanciato due messaggi che chiariscono molto bene la posizione della Chiesa in materia.

Il primo, indirizzato alla riunione organizzata dall’EXPO per definire la “Carta di Milano” (ne parleremo) ha avuto ad oggetto soprattutto la questione della produzione e distribuzione del cibo; argomento che va inquadrato nel problema, più ampio, della sostenibilità dello sviluppo oltre che elemento essenziale della giustizia sociale.

In linea generale, e nonostante la propaganda in negativo, basata su dati falsi o sull’assenza di dati, che domina i mezzi di comunicazione, possiamo essere abbastanza soddisfatti dell’andamento dei parametri negli ultimi centocinquant’anni: quasi raddoppiata l’aspettativa di vita, diminuita in modo spettacolare la mortalità infantile, al minimo storico la percentuale di cittadini del mondo esposti a rischio alimentare e/o idrico; lo stesso inquinamento globale è in diminuzione, e posso confermare l’opinione già espressa in passato che nel 2050 sarà solo un ricordo.
In definitiva: una politica liberale, come quella verso la quale per fortuna nostra è orientata la grande maggioranza degli Stati, fa aumentare produzione e benessere. Seguitando a percorrere questa via la quale con costanza e coerenza potremo garantire un futuro migliore ai nostri figli ed ai nostri nipoti, ed una maggior equità nella distribuzione delle risorse. 

Un tema di carattere più generale, quello della natura del rapporto tra uomo e creato, è stato affrontato dal Papa nell’omelia dell’ultima domenica a S. Anna. Prendendo spunto dalla Genesi il Sommo Pontefice ha ricordato la missione di custodi fiduciari del Creato per conto delle future generazioni che Dio ha affidato all’umanità e ad ognuno di noi. Ci è stato affidato il compito, ha detto, di lavorare per conservare la terra e farla crescere secondo le sue leggi, dando così la nostra risposta al lavoro del Creatore.

Evidentemente non si può svolgere una funzione delicata come quella ricordata senza conoscere in modo approfondito quali siano le attività da svolgere e come debbano essere svolte; occorre quindi che la cristianità in tutte le sue componenti si impegni nell’approfondire le tematiche ambientali, ponendo così le basi perché il lavoro da svolgere avvenga nel rispetto delle regole della terra, che furono create insieme ad essa e sono ad essa connaturate. Come abbiamo fatto nel passato per tanti altri settori della vita umana, noi cattolici siamo adesso chiamati ad elaborare una scala di valori dei soggetti in gioco e dei comportamenti da tenere verso di loro. Discende direttamente dalle parole della Genesi la primazia dell’uomo nei confronti delle altre componenti del creato. Noi però, come ha detto il Papa, siamo “signori del creato, non padroni”, e dobbiamo “soggiogare la terra facendola crescere e sviluppare secondo le sue leggi”. 

L’omelia del Papa costituisce un’epitome del pensiero e delle parole di San Francesco, che riconosciamo come fondatore dell’ambientalismo antropocentrico. Dalle parole pronunciate da Francesco Papa discende l’obbligo per tutti noi di contribuire all’opera di conservazione e di modifica del creato al fine di garantire all’uomo le migliori possibili condizioni di vita: la terra non deve essere solo conservata, ma anche “soggiogata” e “fatta crescere”. Tutelarla non vuol dire garantire l’invarianza del mezzo ambiente, come proclama l’ambientalismo nelle sue forme più diffuse e stantie, ma promuoverne lo sviluppo.




VIDEO-MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN OCCASIONE DELL'INAUGURAZIONE DI EXPO MILANO 2015

Venerdì, 1° maggio 2015


 

Cari fratelli e sorelle, 
buongiorno!

Sono grato per la possibilità di unire la mia voce a quelle di quanti siete convenuti per questa inaugurazione. E’ la voce del Vescovo di Roma, che parla a nome del popolo di Dio pellegrino nel mondo intero; è la voce di tanti poveri che fanno parte di questo popolo e con dignità cercano di guadagnarsi il pane col sudore della fronte. Vorrei farmi portavoce di tutti questi nostri fratelli e sorelle, cristiani e anche non cristiani, che Dio ama come figli e per i quali ha dato la vita, ha spezzato il pane che è la carne del suo Figlio fatto uomo. Lui ci ha insegnato a chiedere a Dio Padre: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. La Expo è un’occasione propizia perglobalizzare la solidarietà. Cerchiamo di non sprecarla ma di valorizzarla pienamente!

In particolare, ci riunisce il tema: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Anche di questo dobbiamo ringraziare il Signore: per la scelta di un tema così importante, così essenziale… purché non resti solo un “tema”, purché sia sempre accompagnato dallacoscienza dei “volti”: i volti di milioni di persone che oggi hanno fame, che oggi non mangeranno in modo degno di un essere umano. Vorrei che ogni persona – a partire da oggi –, ogni persona che passerà a visitare la Expo di Milano, attraversando quei meravigliosi padiglioni, possa percepire la presenza di quei volti. Una presenza nascosta, ma che in realtà dev’essere la vera protagonista dell’eventoi volti degli uomini e delle donne che hanno fame, e che si ammalano, e persino muoiono, per un’alimentazione troppo carente o nociva.

Il “paradosso dell’abbondanza” – espressione usata da san Giovanni Paolo II parlando proprio alla FAO (Discorso alla I Conferenza sulla Nutrizione, 1992) – persiste ancora, malgrado gli sforzi fatti e alcuni buoni risultati. Anche la Expo, per certi aspetti, fa parte di questo “paradosso dell’abbondanza”, se obbedisce alla cultura dello spreco, dello scarto, e non contribuisce ad un modello di sviluppo equo e sostenibile. Dunque, facciamo in modo che questa Expo sia occasione di un cambiamento di mentalità, per smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane – ad ogni grado di responsabilità – non abbiano un impatto sulla vita di chi, vicino o lontano, soffre la fame. Penso a tanti uomini e donne che patiscono la fame, e specialmente alla moltitudine di bambini che muoiono di fame nel mondo.

E ci sono altri volti che avranno un ruolo importante nell’Esposizione Universale: quelli di tanti operatori e ricercatori del settore alimentare. Il Signore conceda ad ognuno di essi saggezza e coraggio, perché è grande la loro responsabilità. Il mio auspicio è che questa esperienza permetta agli imprenditori, ai commercianti, agli studiosi, di sentirsi coinvolti in un grande progetto di solidarietà: quello di nutrire il pianeta nel rispetto di ogni uomo e donna che vi abita e nel rispetto dell’ambiente naturale. Questa è una grande sfida alla quale Dio chiama l’umanità del secolo ventunesimo: smettere finalmente di abusare del giardino che Dio ci ha affidato, perché tutti possano mangiare dei frutti di questo giardino. Assumere tale grande progetto dà piena dignità al lavoro di chi produce e di chi ricerca nel campo alimentare.

Ma tutto parte da lì: dalla percezione dei volti. E allora non voglio dimenticare i volti di tutti i lavoratori che hanno faticato per la Expo di Milano, specialmente dei più anonimi, dei più nascosti, che anche grazie a Expo hanno guadagnato il pane da portare a casa. Che nessuno sia privato di questa dignità! E che nessun pane sia frutto di un lavoro indegno dell’uomo!

Il Signore ci aiuti a cogliere con responsabilità questa grande occasione. Ci doni Lui, che è Amore, la vera “energia per la vita”: l’amore per condividere il pane, il “nostro pane quotidiano”, in pace e fraternità. E che non manchi il pane e la dignità del lavoro ad ogni uomo e donna.

Grazie.


 

[Modificato da Caterina63 01/05/2015 20:12]
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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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Giustizia e Pace: Enciclica di Francesco incentrata su ecologia umana




Prossima Enciclica del Papa sull'ecologia - RV





14/05/2015 



A margine dei lavori dell’Assemblea generale della Caritas Internationalis,Stefano Leszczynski ha chiesto al cardinale Peter Turkson di soffermarsi sull’ormai imminente pubblicazione dell’Enciclica di Papa Francesco sull’ecologia umana e naturale:


R. - Credo proprio che il Papa resterà fedele al suo progetto originario, cioè quello di fare qualcosa sull’ecologia umana e quella naturale. Quindi, credo che questi due punti saranno presenti sempre nell’Enciclica: preoccupazione per la salvaguardia del Creato e salvaguardia per un’ecologia e un’antropologia sana. Le due vanno insieme: non si può trascurare la salvaguardia del Creato e poi pretendere di prendersi cura della vita umana, il suo benessere, la salute… Le due cose vanno sempre insieme.


D. - Secondo lei perché le persone sono così sensibili nei confronti del tema della prossima Enciclica?


R. - E’ un’esperienza che abbiamo fatto in dicastero… c’è sempre un gruppo di critici … Per questa Enciclica il tema è la salvaguardia del Creato e c’era già nel Pontificato di Paolo VI e Giovanni Paolo II ha promosso questa chiamata alla conversione ecologica che c’è stata già in quegli anni. Quello che ha fatto Papa Francesco è stato amplificare questo argomento e questo tema, visto che abbiamo tantissime prove adesso dell’effetto di questo trattamento abusivo dell’ambiente. Se la Bibbia utilizza il paradigma del “giardino” per la Terra, questo ci invita a conservare la sua bellezza ma anche la sua delicatezza e la possibilità di distruggere questo giardino convertendolo in deserto.


D. - Insomma il riscatto dell’uomo e il riscatto della natura vanno necessariamente di pari passo…


R. - Se non c’è la casa dove vivere, se non c’è un bel posto che si può chiamare casa, come riesco a vivere con questo corpo? La vita dell’uomo e l’ambiente di questa vita sono collegati: se si rovina l’ambiente si rovina la persona stessa.





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05/06/2015 00:06
 
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Sala Stampa: il 18 giugno la pubblicazione dell’Enciclica del Papa

Il 18 giugno la pubblicazione dell'Enciclica del Papa - ANSA

04/06/2015

Per “evitare confusioni dovute alla diffusione di informazioni non confermate”, la Sala Stampa vaticana “comunica che la data prevista per la pubblicazione dell’attesa Enciclica del Papa è il prossimo 18 giugno, giovedì”. “Le modalità della presentazione pubblica – prosegue la nota – verranno rese note sul Bollettino della Sala Stampa nel corso della prossima settimana”.





 

Papa, titolo Enciclica: “Laudato si’, sulla cura della casa comune”

Si intitolerà "Laudato si', sulla cura della casa comune" la prossima Enciclica del Papa - AFP

10/06/2015 

“Laudato si’, sulla cura della casa comune”. È questo il titolo dell’Enciclica di Papa Francesco sui temi ambientali che verrà presentata il prossimo 18 giugno, alle ore 11.00, nell’Aula Nuova del Sinodo in Vaticano.

In un comunicato si precisa che a illustrare il documento ai media saranno il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, Sua Eminenza il Metropolita di Pergamo John Zizioulas  in rappresentanza del Patriarcato Ecumenico e della Chiesa Ortodossa, e il prof. John Schellnhuber, fondatore e Direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research.

Il testo dell’Enciclica sarà a disposizione in lingua italiana, francese, inglese, tedesca, spagnola, portoghese (in formato cartaceo e/o digitale).



 

Civiltà Cattolica: editoriale su prossima enciclica del Papa


La Civiltà Cattolica

12/06/2015 

Nel magistero di Papa Francesco, “appare chiara sin dall’inizio una visione globale, olistica, in continuità con i suoi predecessori. Essere umano, natura e ambiente, creazione e società sono tra loro collegati”. È quanto si legge nell’editoriale dell’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica”, in cui alla vigilia della pubblicazione dell’enciclica di Papa Francesco sull’ambiente, si espone in sintesi il percorso ecologico che i Pontefici hanno indicato negli ultimi 50 anni fino a Francesco, il quale, all’inizio del suo pontificato, ha detto che “custodire l’intera creazione” è “un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere”. 

Parola chiave è “armonia”, capace di “estendersi a tutte le creature"
”Leggendo i suoi interventi" argomenta la rivista dei gesuiti, ripresa dall'agenzia Sir, si nota che il Papa “ha una visione antropologica, ma non antropocentrica nel senso riduttivo del termine”. Una sua “Parola chiave” è, infatti, “armonia”, più ampia di “riconciliazione” e capace di “estendersi a tutte le creature”, perché è un dono di Dio che “riguarda tutto il creato nel suo insieme e nelle relazioni tra esseri viventi”. “Questa visione ampia, attenta alle relazioni e non solo all’uomo, intesa come centro - si legge nell’editoriale - si interroga su quale impatto il progresso economico, le nuove tecnologie e il sistema finanziario abbiano sugli esseri umani e sull’ambiente”. L’ecologia, per Papa Francesco, “non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia”, e la “vocazione del custodire” non riguarda solo i cristiani, ma “riguarda tutti”, sulla scorta del dettato della Genesi e del Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi. 

Una voce sul cambiamento climatico
La Chiesa, tuttavia, non è “una Ong verde”: pone semplicemente interrogativi sull’attuale evoluzione del mondo, chiedendosi ad esempio: “Il cambiamento climatico è antropogenico, dovuto cioè all’uomo? O è un processo ciclico della natura? O è probabilmente causato da entrambi? E, qualunque sia la causa, si può fare qualcosa?”. Papa Francesco, secondo la rivista dei gesuiti, “affronta la sfida, riconoscendo adeguatamente il punto di vista scientifico sul cambiamento climatico, le sue cause e conseguenze, e i rimedi necessari. Il leader della principale religione del mondo si avvarrà della sua fede, dell’insegnamento della Chiesa, e delle migliori informazioni e dei migliori consigli a disposizione, dimostrando che è nostro compito raccogliere e vagliare informazioni, giudicare, prendere decisioni e agire”. 

Obiettivo dell'Enciclica
Scopo dell’enciclica, è la conclusione dell’editoriale, non è “soltanto fare speculazione né sposare questa o quella teoria, ma invitare gli uomini di buona volontà a considerare bene le loro responsabilità per le generazioni future, e ad agire di conseguenza”. (R.P.)



[Modificato da Caterina63 12/06/2015 16:11]
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17/06/2015 16:37
 
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ENCICLICA

Laudato si'

 

Doveva essere resa pubblica il 18 giugno, ma ieri una copia dell'enciclica «Laudato si'» è stata pubblicata dall'Espresso online. Se correzioni ci sono state successivamente sono secondarie e non intaccano la struttura dell'enciclica. Che quindi qui vi presentiamo in sintesi.

- QUANTO CONTANO CERTE PRESSIONI, di Riccardo Cascioli

di Massimo Introvigne

Doveva essere resa pubblica il 18 giugno, ma ieri una copia dell'enciclica «Laudato si'» è stata pubblicata dall'Espresso online.

Nel tardo pomeriggio il portavoce vaticano padre Federico Lombardi precisava che quella pubblicata dall'Espresso non era ancora la versione definitiva, ma altre fonti indicano che se correzioni ci sono state successivamente sono secondarie e non intaccano la struttura dell'enciclica. Che quindi qui vi presentiamo in sintesi.

Formalmente datata 24 maggio 2015 la seconda enciclica di Papa Francesco, «Laudato si’», a oggi la più lunga enciclica pubblicata da un Pontefice, propone in sei capitoli un vasto affresco della crisi del mondo contemporaneo, di cui la crisi ecologica è insieme segno ed effetto.

L’enciclica rivendica la sua appartenenza al «Magistero sociale della Chiesa» (n. 15), ma precisa opportunamente la diversa natura dei due elementi che contiene: un «percorso etico e spirituale» di natura dottrinale e una breve rassegna preliminare di quelli che il Papa e gli esperti che lo hanno assistito considerano «i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile» (ibid.). A proposito di questo secondo elemento, il Papa tiene a precisare che «ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. Ancora una volta ribadisco che la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito ad un dibattito onesto e trasparente» (n. 188).

L’enciclica si apre con un’introduzione, in cui Francesco ribadisce che la preoccupazione della Chiesa per la crisi ecologica non inizia con il suo pontificato. Elenca gli interventi di san Giovanni XXIII, del beato Paolo VI, di san Giovanni Paolo II – cui si deve l’espressione «conversione ecologica» – e di Benedetto XVI, la cui enciclica del 2009 «Caritas in Veritate» è un punto di riferimento costante della «Laudato si’», e di cui si ricorda fin dall’inizio l’affermazione secondo cui «il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana» (n. 6). In chiave ecumenica, Francesco ricorda anche gli appassionati interventi sul tema del Patriarca Ecumenico ortodosso Bartolomeo. E rende omaggio all’«ecologia integrale» di san Francesco d’Assisi, che «non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale» e «richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte e della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano» (n. 11).

1. Il primo capitolo è una rassegna di conclusioni scientifiche sulla crisi ecologica, alcune largamente condivise e altre controverse. Il Papa parte da una nozione molto diffusa oggi tra i sociologi, quella della «rapidizzazione» o accelerazione, cioè «l’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro» (n. 18) che ci trasmettono la sensazione costante di non avere abbastanza tempo.
Caduta la «fiducia irrazionale nel progresso» (n. 19) tipica di secoli passati, oggi molti avvertono che l’accelerazione sociale si manifesta anche come degrado dell’ambiente. Francesco ne elenca cinque aspetti. Il primo è l’inquinamento e la cattiva gestione di quantità sempre più immani di rifiuti, che trasformano la Terra in un «immenso deposito di immondizia» (n. 21) e si legano a una più generale «cultura dello scarto» che colpisce anche gli esseri umani.
L’inquinamento, secondo l’enciclica, determina anche «un preoccupante riscaldamento del sistema climatico» (n. 23) che potrebbe portare a «cambiamenti climatici inauditi e a una distruzione senza precedenti degli ecosistemi» (n. 24). Il testo adotta la teoria secondo cui il fenomeno è reale e deriva in gran parte dalla «grande concentrazione di gas serra (…) dovuta all’attività umana», anche se precisa che allo stato attuale della ricerca non è possibile «attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno» (n. 23).  

Il secondo aspetto è la crisi dell’acqua, condizionata da numerosi fattori politici ed economici – che rischiano sempre di più di provocare guerre – ma dovuta anche all’«abitudine di sprecare e buttare via [che] raggiunge livelli inauditi» (n. 27). Il terzo è la perdita di biodiversità e l’estinzione di specie animali e vegetali, le quali non solo «contengono geni che possono essere risorse-chiave» (n. 32) per l’umanità ma, per causa nostra, «non daranno gloria a Dio con la loro esistenza» (n. 33).
La tutela della biodiversità è un dovere e un buon investimento per il futuro: ma bisogna diffidare di proposte, come quella della «internazionalizzazione dell’Amazzonia», che sembrano ragionevoli e nobili ma nascondono ideologie o «interessi economici» inconfessati (n. 38).
Il quarto aspetto è il deterioramento della qualità della vita umana, anzitutto con la «smisurata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili» (n. 44). Ma Francesco cita anche i media e Internet «onnipresenti», che «non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza» (n. 47). Il «rumore dispersivo dell’informazione» è «una specie di inquinamento mentale» e l’uso maniacale di Internet «genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali, che hanno a che vedere più con dispositivi e schemi che con le persone e la natura», causando «una profonda e malinconica insoddisfazione nelle relazioni interpersonali» (ibid.). 

Infine, il quinto aspetto della crisi ecologica è la presenza planetaria di «esclusi» globali che di fatto costituiscono «la maggior parte del pianeta, miliardi di persone» (n. 49). Per far fronte alla loro presenza, «invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso» alcuni propongono «la riduzione della natalità» (n. 50).
«Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”», dimenticando in nome dell’ideologia che «la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale» (ibid.).
A patto, beninteso, che la solidarietà sostituisca una logica fondata esclusivamente su «una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto» (n. 56).
Se non si supera questa logica, saranno inevitabili «nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni» (n. 57) e anche con «un’ecologia superficiale e apparente, che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità» (n. 59) e talora degenera in un ecologismo ideologico per cui «la specie umana […] può essere solo una minaccia e compromettere l’ecosistema mondiale, per cui conviene ridurre la sua presenza sul pianeta» (n. 60).
Concludendo il capitolo, il Papa ripete ancora una volta che «su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e capisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto tra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione» (n. 61).

2. Il secondo capitolo, pure inserito in un’enciclica esplicitamente non rivolta soltanto ai cristiani, mostra il fondamento biblico dell’ecologia integrale. Il Papa afferma che scienza e religione devono mantenere un «dialogo intenso e produttivo per entrambe» e che non è accettabile la posizione di chi considera la religione «una sottocultura che dev’essere semplicemente tollerata» (n. 62). Francesco ripercorre dunque il cammino della sapienza biblica sull’armonia originaria fra l’uomo e il creato, la sua rottura che «è il peccato» (n. 66) e la «riconciliazione universale» (ibid.) che Dio propone prima attraverso i profeti, poi con la rivelazione definitiva di Gesù Cristo.
Certamente, afferma il Pontefice, l’invito di Dio nel libro della Genesi a «soggiogare la terra» non va inteso come incitamento alla distruzione o allo «sfruttamento selvaggio» della natura, perché lo stesso libro sacro invita a «“coltivare e custodire” il giardino del mondo» (n. 67), dunque a prendersene cura con amore e rispetto. 

L’insegnamento biblico ammonisce, contro ogni tentazione panteista, che «non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo, finiremmo per adorare altre potenze del mondo, o ci collocheremmo al posto del Signore» (n. 75). Così «il pensiero ebraico-cristiano ha demitizzato la natura» e «non le ha più attribuito un carattere divino» (n. 78).
Ha anche messo in luce il ruolo unico dell’uomo, il quale, «benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti» (n. 81). Tutte le creature sono «lettere» – secondo l’espressione di san Giovanni Paolo II – del libro di Dio (n. 85), e le altre creature «avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune che è Dio» (n. 83).
Mai, nel valorizzare le altre creature, si dovranno «equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità» o adottare prospettive di «divinizzazione della terra». «Si avverte a volte l’ossessione di negare alla persona umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità fra gli esseri umani» (n. 90), con un grado notevole di «incoerenza» (n. 91). 

Parlare della Terra come «eredità comune» implica pure ricordare che il diritto alla proprietà privata non è mai stato riconosciuto dalla tradizione cristiana «come assoluto o intoccabile»: è un diritto, ma soprattutto san Giovanni Paolo II, in tre diverse encicliche, ne ha sottolineato la «funzione sociale» (n. 92). Tutto questo assume il suo pieno significato nella consapevolezza che «il destino dell’intera creazione passa attraverso il mistero di Cristo, che è presente fin dall’origine» (n. 99). La regalità di Cristo è «signoria universale» su tutto il creato, «misteriosamente» collegato al Signore e «gli stessi fiori del campo e gli uccelli, che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa» (n. 100).

3. Il terzo capitolo presenta la radice umana della crisi ecologica, le cui cause fanno riferimento al relativismo e alla tecnocrazia. Il dominio tecnocratico era un grande tema dell’enciclica di Benedetto XVI «Caritas in veritate», che qui è ripetutamente citata. La Chiesa non condivide la diffidenza acritica di un certo ecologismo verso la tecnologia che, «ben orientata, è in grado non solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano»: «è anche capace di produrre il bello», come mostrano le migliori creazioni del design e anche «preziose opere pittoriche e musicali ottenute mediante il ricorso ai nuovi strumenti tecnici» (n. 103). E in ogni forma di bellezza «si compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana» (ibid.). 

Ma la tecnologia ha anche «un tremendo potere», come mostra il suo grande spiegamento «ostentato dal nazismo, dal comunismo e da altri regimi totalitari al servizio dello sterminio di milioni di persone» (n. 104). Oggi il paradigma tecnocratico si sta globalizzando e considera il mondo intero come «realtà informe totalmente disponibile alla sua manipolazione» (n. 106) e al suo «potere globalizzante e massificante» (n. 108). «Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica»: nella prima, «la finanza soffoca l’economia reale»; nella seconda, pochi poteri forti cercano di emarginare ogni resistenza (n. 109).
Francesco torna sul tema dell’accelerazione, indicandola come strumento del dominio tecnocratico. «L’accumularsi di continue novità consacra una fugacità che ci trascina in superficie in un’unica direzione. Diventa difficile fermarci per recuperare la profondità della vita. Se l’architettura riflette lo spirito di un’epoca, le megastrutture e le case in serie esprimono lo spirito della tecnica globalizzata, in cui la permanente novità dei prodotti si unisce a una pesante noia» (n. 113). 

Alla radice di tutto questo c’è un «antropocentrismo deviato» (n. 118), che non è la vera signoria dell’uomo sulle altre creature insegnata dalla Bibbia, ma un «eccesso», un «sogno prometeico di dominio sul mondo» che ha anche «provocato l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli» (n. 116). Occorre peraltro vigilare perché la critica di questo errato antropocentrismo non generi per reazione un «biocentrismo» ugualmente sbagliato. «Non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia» e il biocentrismo ecologista «non solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri» (n. 118).
Un indizio sicuro che il biocentrismo è all’opera è la «giustificazione dell’aborto»: non è credibile proporre «l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano, benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà» (n. 120).
E dietro l’«antropocentrismo deviato» c’è, come Benedetto XVI già aveva denunciato, la «cultura del relativismo» (n. 123).
Recuperando «qualcosa dalla lunga tradizione monastica», Francesco invita anche a vivere il lavoro come preghiera: «tale maniera di vivere il lavoro ci rende più capaci di cura e di rispetto verso l’ambiente, impregna di sana sobrietà la nostra relazione con il mondo» (n. 126).

Al termine del capitolo, il Papa affronta alcune questioni particolari, rimandando al «Catechismo della Chiesa Cattolica».
Questa, ribadisce, non condanna le sperimentazioni sugli animali, se «si mantengono in limiti ragionevoli e contribuiscono a curare e salvare vite umane» (n. 130). Né condanna gli organismi geneticamente modificati e il loro uso nell’agricoltura, pur studiandone i rischi, che però «non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione» (n. 133).
Certo, nel caso specifico dei «cereali transgenici» alcuni riscontrano «difficoltà che non devono essere minimizzate», sia sanitarie sia economiche (n. 134). «D’altro canto, è preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi princìpi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essere umano va molto oltre il grado del suo sviluppo» (n. 136). 

4. Il quarto capitolo propone i principi di un’ecologia integrale, che deve avere tre dimensioni: una ambientale – e insieme economica e sociale –, una culturale e una della vita quotidiana. L’ecologia ambientale considera tutte le creature che vivono in uno spazio determinato come un sistema, «buono e mirabile in se stesso per il fatto di essere una creatura di Dio» così come lo sono le singole creature sue componenti (n. 140).
Il sistema però comprende anche i «contesti umani» (n. 141) e «lo stato di salute delle istituzioni», a partire dal «gruppo sociale primario, la famiglia» (n. 142).
L’ecologia culturale insegna che, «insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugual¬mente minacciato» (n. 143) e che va protetto, che si tratti di opere d’arte o delle ricchezze tradizionali delle nazioni e dei popoli. «La visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità» (n. 144).  
Infine, l’ecologia della vita quotidiana afferma che «gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire», per il meglio o per il peggio: e oggi in un ambiente «disordinato, caotico o saturo di inquina¬mento visivo e acustico, l’eccesso di stimoli mette alla prova i nostri tentativi di sviluppare un’iden¬tità integrata e felice» (n. 147), danneggiati anche dalla «sensazione di soffocamento prodotta dalle agglomerazioni residenziali e dagli spazi ad alta densità abitativa» (n. 148). 

Ad architetti e urbanisti il Papa ricorda che «non basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone» (n. 150).  Questa è legata anche ai trasporti: «molti specialisti concordano sulla necessità di dare priorità ai trasporti pubblici», per ridurre ingorghi e inquinamento, ma questa soluzione non è realistica «senza un miglioramento sostanziale di tali trasporti, che in molte città comporta un trattamento indegno delle persone a causa dell’affollamento, della scomodità o della scarsa frequenza dei servizi e dell’insicurezza» (n. 153).

Infine – ma non è certo l’aspetto meno importante – l’ecologia umana implica anche «la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale iscritta nella sua propria natura» (n. 155), secondo un cruciale insegnamento di Benedetto XVI che Francesco richiama esplicitamente. Rispettare la natura umana significa pure «apprezzare il proprio corpo nella sua mascolinità e femminilità»: con un trasparente riferimento alla teoria del gender, il Papa afferma che «non è sano un atteggiamento che pretenda di cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa» (n. 155).
Anche queste, come il disprezzo dei poveri e delle generazioni future, cui si lascia in eredità un ambiente poco vivibile, sono manifestazioni di una nozione assente o errata del bene comune.

5. Il quinto capitolo propone linee di orientamento e di azione, introdotte da un «proviamo» (n. 163) che ne mostra il carattere problematico nell’attuale contesto delle organizzazioni internazionali, di cui il testo passa in rassegna documenti, sottolineandone aspetti positivi pur notando come per altro verso essi «non hanno risposto alle aspettative» (n. 166) a causa di vari condizionamenti ideologici e politici. «Non si può pensare a ricette uniformi, perché vi sono problemi e limiti specifici di ogni Paese e regione. È vero anche che il realismo politico può richiedere misure e tecnologie di transizione» (n. 180): e tuttavia qualcosa si può fare in diversi settori, prendendo decisioni condivise e trasparenti.
Non si tratta per principio di «opporsi a qualsiasi innovazione tecnologica che consenta di migliorare la qualità di vita di una popolazione» ma di tenere fermo che «la redditività non può essere l’unico criterio» (n. 187) e che «la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia» (n. 189).
Come aveva visto Benedetto XVI nella «Caritas in veritate», «la crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo» (ibid.). Rileggendo Benedetto XVI, dobbiamo porre attenzione al fatto che lo stesso «discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia» (n. 194). 

Lo aveva affermato Papa Ratzinger: quando alla ragione cognitiva, misurata dal vero, si sostituisce una «razionalità strumentale» misurata dall’utile (n. 195) la politica e l’economia, anziché collaborare secondo il principio di sussidiarietà, entrano in conflitto e «alcuni settori economici esercitano più potere dello Stato stesso» (n, 196). Un segno di questa tecnocrazia è il tentativo di emarginare e discriminare la religione, che si vorrebbe escludere dal «dibattiti pubblico» in nome di una nozione totalitaria della scienza (n. 199).

6. Di grande densità teologica e spirituale è il sesto capitolo, ampiamente ispirato a un teologo prediletto da Francesco come già da Benedetto XVI, Romano Guardini. Il teologo tedesco di origine italiana aveva già denunciato il rischio spirituale di una tecnocrazia dove l’essere umano «accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che questo sia ragionevole e giusto» (n. 203). La tecnocrazia non si limita più al mero dominio: pretende il consenso, determinando confusione, «precarietà e insicurezza» (n. 204).
Per ribellarsi a questa situazione è indispensabile cambiare il proprio stile di vita. «Educazione ecologica» non può essere uno slogan: parte dal «coltivare solide virtù» (n. 211) attraverso il sacrificio, la rinuncia, i piccoli sforzi che si apprendono in famiglia – a partire dalla buona educazione, che è pure educazione a non sprecare – e anche una «adeguata educazione estetica» (n. 215). Il riferimento all’estetica di fronte alla gravità dei problemi potrebbe sembrare incongruo. Ma «quando non si impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scru¬poli» (ibid.).

Francesco cita una frase dell’omelia di Benedetto XVI per l’inizio del suo pontificato: «i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi» (217). Qui c’è il senso profondo della conversione ecologica, che è quello di ogni vera conversione. «La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo.
Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione di piaceri» (n. 222). La sobrietà ha goduto di cattiva stampa negli ultimi secoli, nota Francesco: ma va rilanciata nell’ascetica individuale come anche nella vita civile e politica, dove può diventare principio di concordia e solidarietà civile. «L’amore pieno di piccoli gesti, di cura reciproca, è anche civile e politico» (n. 231). Ai politici Francesco ricorda ancora una volta che, per chi la riconosce e l’accoglie, la vocazione politica «fa parte della sua spiritualità, che è esercizio della carità, e che in tal modo matura e santifica» (n. 231). 

Naturalmente, per i politici come per tutti gli altri, rimane centrale la vita spirituale attraverso i sacramenti e in particolare l’Eucarestia. A proposito di quest’ultimo, il Papa ricorda pure la valenza insieme ecologica e spirituale del riposo della domenica. «Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana» (n. 237). In unione con la Trinità, con Maria Regina che è anche regina del creato, e in marcia insieme a tutto l’universo verso un compimento escatologico. Per questo, a conclusione dell’enciclica, Francesco innalza la lode a Dio cui chiede: «Riversa in noi la forza del tuo amore affinché ci prendiamo cura della vita e della bellezza» (n. 246).


Si legga anche:

- QUANTO CONTANO CERTE PRESSIONI, di Riccardo Cascioli



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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LAUDATO SII
 

Il Papa che ha preso il nome dal santo di Assisi ce lo propone oggi come “modello” per «una sana relazione col creato come una dimensione della conversione integrale della persona». Così si legge nell'enciclica Laudato sii. In effetti, quella di S. Francesco fu una vera e propria conversione integrale. 

di Lorenzo Bertocchi
San Francesco d'Assisi



Sui sentieri del bosco che incornicia il convento francescano della Verna è praticamente impossibile restare indifferenti. Capita anche al turista più svagato, lì la natura parla. Era l'estate del 1224 e frate Francesco si ritirò sul monte aretino per stare in silenzio e in preghiera con il Signore. Là «detergeva dall'anima ogni più piccolo grano di polvere», dice la Leggenda maggiore, e visse quella meraviglia per cui «il verace amore di Cristo» trasformò «l'amante nell'immagine stessa dell'amato». Preso dal desiderio di seguire fino in fondo il suo Signore, ricevette il dono delle stimmate. Francesco d'Assisi è stato quello che si dice un alter Christus, fin nella sua carne viva.

Il Papa che ha preso il nome dal santo di Assisi ce lo propone oggi come “modello” per «una sanarelazione col creato come una dimensione della conversione integrale della persona». Così si legge nell'enciclica Laudato sii. In effetti, quella di S. Francesco fu una vera e propria conversione integrale, dellCantico delle Creature, fino alle stimmate a La Verna, la sua è stata una sinfonia senza interruzione di continuità. «E proprio la sua inclinazione a vedere in Cristo il modello e il fine di ogni creazione», ha scritto il cardinale Giacomo Biffi, «lo porta a leggere il mondo come una serie di segni che gli parlano del suo unico amore, il Salvatore crocifisso». Per tutti gli uomini di buona volontà questo “modello” rimane come una figura colossale dentro le tante pagine dell'enciclica papale, e saltarlo a piè pari, come un pezzo di racconto un po' noioso, vuol dire non comprendere fino in fondo il senso delle parole del Papa. La figura di San Francesco d'Assisi deve interrogarci, perché, non a caso, lui conclude il Cantico delle Creature scrivendo: «Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali!».

La prima parte dell'enciclica, in cui il Papa fa un excursus di «quello che sta accadendo alla nostracasa», è interessante perché passa in rassegna i guai che la natura sta passando oggi. Le cause di questi guai spesso trovano fonte nell'egoismo che abita il cuore dell'uomo, il quale fatica a rispettare il suo prossimo e quindi anche il creato. Per fare un esempio di quale sia il livello di confusione a cui si può arrivare seguendo l'egoismo del cuore, il Papa scrive che «non è compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto» (n°120). Su alcuni argomenti dell'enciclica di carattere più strettamente scientifico, la scienza e la capacità di innovazione potranno fornire risposte, e bisogna rifuggire vagheggiamenti di un improbabile ritorno alla caverna, né strane ipotesi di stili di vita che finiscono per fare della natura quell'idolo che non è.

«Il culto ateo della natura», scrive ancora il cardinale Biffi nelle sue memorie, «finisce troppo spessocoll'essere disumano e disumanizzante», infatti, porta l'uomo a confondersi le idee su Dio, su sé stesso e perfino sulla scienza. A questo proposito Papa Francesco scrive in Laudato sii che «non si può sostenere che le scienze empiriche spieghino completamente la vita, l’intima essenza di tutte le creature e l’insieme della realtà. Questo vorrebbe dire superare indebitamente i loro limitati confini metodologici».

In fondo anche la questione sociale dettata dalla crisi ecologica, così come la definisce il Papanell'enciclica, può trovare soluzione solo se c'è quella conversione integrale che passa dal «riconoscere i propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi di cuore, cambiare dal di dentro» (n°218). Su questo punto l'enciclica papale, tutti potranno convenire, è consonante e in continuità con l'insegnamento tradizionale della dottrina sociale della Chiesa. Lo ha scritto Benedetto XVI in Caritas in Veritate, lo ha scritto più volte San Giovanni Paolo II, lo ha scritto anche Leone XIII nella famosissima enciclica sociale Rerum novarum: il dolore non mancherà mai sulla terra; perché aspre, dure, difficili a sopportarsi sono le ree conseguenze del peccato, le quali, si voglia o no, accompagnano l'uomo fino alla tomba. (n°14). Ecco perché, a conclusione del meraviglioso Cantico delle Creature, troviamo quel finale insolito del guai «a quelli che morranno ne le peccata mortali», ed ecco perché S. Francesco non può essere confinato al ruolo di una bella cornice dell'enciclicaLaudato sii.

«La giustizia sociale», scriveva nel lontano 1945 il grande don Divo Barsotti, «deve essere la metacui tende lo sforzo, la volontà di ogni cristiano che sinceramente voglia l'avvento del Regno di Cristo», ma troppo spesso «ci culliamo nel vano tentativo e nella speranza illusoria di un vero avvento della giustizia sopra la terra». Per questo «prima di volere e affaticarsi per una soluzione del problema sociale che, nel presente ordine umano, non potrà mai essere perfetta e definitiva, noi dovremmo volere e affaticarci per possedere una piena disponibilità di fronte a Dio». «Un San Francesco d'Assisi», concludeva Barsotti, «vale da solo infinitamente di più di molti riformatori sociali, non per quelle riforme sociali che più o meno direttamente può avere ispirato o compiuto, ma proprio per aver insegnato agli uomini (…) il cammino che conduce a Dio». Questo è il “modello” proposto nell'enciclica sulla custodia del creato, speriamo di non dimenticarlo.













[Modificato da Caterina63 18/06/2015 13:02]
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"Laudato si'": il pianeta ha bisogno di un'"ecologia integrale"

La presentazione dell'Enciclica "Laudato si'" nell'Aula Nuova del Sinodo - AFP

18/06/2015 

L’ecologia integrale diventi un nuovo paradigma di giustizia, perché la natura non è una “mera cornice” della vita umana: questo il cuore della seconda Enciclica di Papa Francesco, “Laudato si’ sulla cura della casa comune”, pubblicata oggi. Il documento prende il titolo dall’invocazione di San Francesco d’Assisi nel “Cantico delle creature”. Suddivisa in sei capitoli, l’Enciclica raccoglie, in un’ottica di collegialità, anche diverse riflessioni delle Conferenze episcopali del mondo e si conclude con due preghiere, una interreligiosa ed una cristiana, per la salvaguardia del Creato. Il servizio diIsabella Piro:

“Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra”: Francesco di Roma si pone sulla scia di Francesco d’Assisi per spiegare l’importanza di un’ecologia integrale che diventi un nuovo paradigma di giustizia, in cui la preoccupazione per la natura, l’equità verso i poveri, l’impegno nella società, ma anche la gioia e la pace interiore risultano inseparabili. Nei sei capitoli dell’Enciclica, il Papa evidenzia che la nostra terra, maltrattata e saccheggiata, richiede una “conversione ecologica”, un “cambiamento di rotta” affinché l’uomo si assuma la responsabilità di un impegno per “la cura della casa comune”. Impegno che include anche lo sradicamento della miseria, l’attenzione per i poveri, l’accesso equo, per tutti, alle risorse del Pianeta.


1° capitolo: no alla cultura dello scarto. Tutelare diritto all’acqua
Il Papa mette in guardia dalle gravi conseguenze dell’inquinamento e da quella “cultura dello scarto” che sembra trasformare la terra, “nostra casa, in un immenso deposito di immondizia”. Dinamiche che si possono contrastare adottando modelli produttivi diversi, basati sul riutilizzo, il riciclo, l’uso limitato di risorse non rinnovabili. Anche i cambiamenti climatici sono “un problema globale”, spiega l’Enciclica, così come l’accesso all’acqua potabile, che va tutelato in quanto “diritto umano essenziale, fondamentale ed universale”, “radicato nell’inalienabile dignità” dell’uomo. Centrale, inoltre, la tutela della biodiversità perché ogni anno, a causa nostra, “scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che i nostri figli non potranno vedere”. E “non ne abbiamo il diritto”, sottolinea Francesco, evidenziando poi l’esistenza di un “debito ecologico”, soprattutto tra il Nord e il Sud del mondo, connesso a squilibri commerciali. “Il debito estero dei Paesi poveri – infatti – si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico”.

Creare sistema normativo per proteggere ecosistemi
“Il deterioramento dell’ambiente e quello della società - afferma il Papa - colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta”, spesso considerati “un mero danno collaterale”. Per questo, un vero approccio ecologico deve essere anche sociale. La soluzione, allora, non è la riduzione della natalità, ma il contrasto ad un consumismo “estremo e selettivo” di una parte della popolazione mondiale. Di fronte, poi, ad un certo intorpidimento e ad una “spensierata irresponsabilità” nell’uomo contemporaneo, urge “creare un sistema normativo” per assicurare la protezione degli ecosistemi.

 

2° capitolo: ambiente è dono di Dio, eredità comune da non distruggere
Si ribadisce la “tremenda responsabilità” dell’essere umano nei confronti del Creato e si ricorda che “l’ambiente è un dono collettivo, patrimonio di tutta l’umanità”, “eredità comune” da amministrare e non da distruggere. Seguendo il racconto biblico della Creazione, Papa Francesco evidenzia le tre relazioni fondamentali dell’uomo: con Dio, con il prossimo e con la terra. Ogni creatura ha una sua funzione, nessuna è superflua e tutto è “carezza di Dio”, scrive il Pontefice, ricordando che “ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura è contrario alla dignità umana”. Tuttavia, la cura degli altri esseri viventi va sempre accompagnata dalla “compassione e preoccupazione” per l’uomo. Ed è per questo che serve la consapevolezza di una comunione universale. In quest’ottica, rientra il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni: la tradizione cristiana, infatti, “non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, ed ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata”.

 

3° capitolo: no a tecnocrazia. Essere amministratori responsabili del Creato
Tecnologia, antropocentrismo, lavoro ed ogm: l’Enciclica si snoda lungo questi quattro percorsi. Innanzitutto, pur riconoscendo i benefici del progresso tecnologico per lo sviluppo sostenibile, mette in guardia dalla tecnocrazia che dà “a coloro che detengono la conoscenza ed il potere economico di sfruttarla, un dominio impressionante sul mondo intero”. Allo stesso tempo, l’antropocentrismo moderno, che non riconosce la natura come norma, perde la possibilità di riconoscere il posto dell’essere umano nel mondo ed il suo ruolo di “amministratore responsabile” dell’universo.

Difesa della natura incompatibile con la giustificazione dell’aborto
Ne deriva una logica “usa e getta” che giustifica ogni tipo di scarto, che porta a sfruttare i bambini, ad abbandonare gli anziani, a ridurre altri in schiavitù, a sopravvalutare la capacità del mercato di autoregolarsi, a praticare la tratta di esseri umani ed il commercio di “diamanti insanguinati”. È la stessa logica di molte mafie, dei trafficanti di organi, del narcotraffico e dello scarto dei nascituri perché non corrispondono ai progetti dei genitori. Di fronte a tutto questo, occorre una “coraggiosa rivoluzione culturale” che mantenga in primo piano il valore delle relazioni tra le persone e la tutela di ogni vita umana, perché la difesa della natura “non è compatibile con la giustificazione dell’aborto”.

Proteggere il lavoro. Dibattito su ogm sia ampio e responsabile
Quindi, il Papa ribadisce la necessità di difendere il lavoro: tutti devono potervi accedere, perché esso “è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano”. “Rinunciare ad investire sulle persone in nome di un profitto immediato è un pessimo affare per la società”, afferma il Pontefice, evidenziando la necessità, a volte, di “porre limiti a coloro che detengono grandi risorse e potere finanziario”, affinché tutti possano beneficiare davvero della libertà economica. Quanto agli ogm, definiti “una questione di carattere complesso”, il Papa ne mette in luce, da una parte, il contributo alla soluzione di problemi economici, ma dall’altra le difficoltà legate alla “concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi”. Per questo, afferma, serve “un dibattito scientifico e sociale responsabile ed ampio, in grado di chiamare le cose con il loro nome”.

 

4° capitolo: ecologia integrale è inseparabile da bene comune
L’ecologia integrale divenga, dunque, un nuovo paradigma di giustizia, perché l’uomo è connesso alla natura ed essa non è “una mera cornice” della nostra vita. “Non ci sono due crisi separate, una ambientale ed un’altra sociale – scrive il Papa – bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. Di qui, il richiamo alla “amicizia civica” ed alla solidarietà, sia intra- che inter-generazionale, la cui lesione “provoca danni ambientali”. L’ecologia integrale “è inseparabile dalla nozione di bene comune” e ciò implica il compiere scelte solidali sulla base di “una opzione preferenziale per i più poveri”.

Tutelare ricchezze culturali dell’umanità. Accettare proprio corpo, dono di Dio
Non solo: la vera ecologia riguarda anche la cura delle “ricchezze culturali dell’umanità”, come ad esempio delle “comunità aborigene”, e dell’ambiente urbano, per migliorare la qualità della vita umana negli spazi pubblici, nelle abitazioni, nei trasporti che in molte città, scrive il Papa, comportano “un trattamento indegno delle persone”. Centrale è anche l’accettazione del proprio corpo come dono di Dio per accogliere il mondo intero come casa comune donata dal Padre e vincere, così, la logica del dominio. In quest’ottica, il Papa esorta ad “apprezzare il proprio corpo nella sua  femminilità o mascolinità, poiché “non è sano un atteggiamento che pretenda di cancellare la differenza sessuale”, con la quale non sa più confrontarsi. 

 

5° capitolo: Vertici mondiali sull’ambiente hanno deluso le aspettative
Cosa possiamo e dobbiamo fare, dunque? chiede Francesco. E la risposta è “dialogare ed agire”. Certo, spiega, “la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica”, ma l’esortazione è comunque “ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità o le ideologie non ledano il bene comune”. Il dialogo è ineludibile tra economia e politica, sottolinea il Pontefice, affinché “si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana”.  Il Pontefice chiama quindi in causa la politica internazionale e non risparmia un giudizio severo sui vertici mondiali relativi all’ambiente che, negli ultimi anni, “non hanno risposto alle aspettative” per una “mancanza di decisione politica”.

Serve governance globale. Dominio assoluto della finanza non ha futuro
Al contrario, serve una governance globale che si occupi dei beni comuni globali, perché spesso “sotto il rivestimento della cura per l’ambiente”, si aggiungono nuove ingiustizie per i Paesi più bisognosi di sviluppo e finisce per “piovere sempre sul bagnato”. Non solo: Francesco pone l’accento sulle criticità di un sistema che mira al “salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione”, e di un “dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi”.

No alla corruzione. Ridefinire il progresso per migliorare vita delle persone
Al livello nazionale, invece, la politica e l’economia devono uscire dalla logica di corto respiro, focalizzata sul profitto e sul successo elettorale a breve termine, dando spazio a processi decisionali onesti e trasparenti, lontani dalla corruzione che, in cambio di favori, “nasconde il vero impatto ambientale” dei progetti. Ciò che occorre, in sostanza, è “una nuova economia più attenta ai principi etici”, una “nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa”, un ritmo di produzione e di consumo più lento, così da “ridefinire il progresso”, legandolo al “miglioramento della qualità reale della vita delle persone”. Anche i diversi movimenti ecologisti e le religioni, in dialogo con la scienza, devono orientarsi alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità. E non è un caso se Francesco cita il Patriarca ortodosso Bartolomeo, il filosofo protestante Paul Ricœur, il mistico islamico Ali A-Khawas. Numerose anche le citazioni del teologo Romano Guardini.

 

6° capitolo: la sobrietà è liberante. Vale la pena di essere buoni e onesti
Educazione e formazione restano dunque, le sfide centrali da affrontare. Di qui, il richiamo a “puntare su un altro stile di vita” perché “non tutto è perduto” e “l’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune”. Bastano piccoli gesti quotidiani, spiega il Papa: fare la raccolta differenziata dei rifiuti, ridurre il consumo di acqua, spegnere le luci inutili, coprirsi un po’ invece di accendere il riscaldamento e soprattutto “spezzare la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo”. “La sobrietà – scrive il Pontefice – vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante” e “la felicità richiede di saper limitare quelle necessità che ci stordiscono”, lasciandoci invece aperti alle “molteplici possibilità che offre la vita”.  In questo modo, diventa possibile sentire che “abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti”.

L’Eucaristia unisce cielo e terra. Al di là del sole, c’è la bellezza di Dio
Il Papa invita, infine, a guadare ai Sacramenti, esempi di come la natura sia stata assunta da Dio. In particolare, spiega, l’Eucaristia “unisce cielo e terra” e “ci orienta ad essere custodi di tutto il Creato”. Le lotte e le preoccupazioni per questo pianeta “non ci tolgano la gioia e la speranza” perché nel cuore del mondo c’è sempre l’amore del Signore.  E allora “Laudato si’!”, scrive Francesco in una delle due preghiere che concludono l’Enciclica e che fa eco all’invocazione del Poverello di Assisi: “Camminiamo cantando!” perché “al di là del sole, alla fine, ci incontreremo faccia a faccia con la bellezza di Dio”. 





 

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"Laudato si'", una "mappa" per la lettura dell'Enciclica

L'Enciclica di Papa Francesco "Laudato si' - sulla cura della casa comune" - AFP

18/06/2015 

Questo testo offre uno strumento di supporto per una prima lettura dell’Enciclica, aiutando a coglierne lo sviluppo d’insieme e a individuarne le linee di fondo. Le prime due pagine presentano la Laudato si’ nel suo insieme, poi ogni pagina corrisponde a un capitolo, ne indica l’obiettivo e ne riproduce alcuni passaggi chiave. I numeri tra parentesi rinviano ai paragrafi dell’Enciclica. Nelle ultime due pagine è riportato per intero il sommario.

 

Uno sguardo d’insieme
«Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?» (160). Questo interrogativo è al cuore della Laudato si’, l’attesa Enciclica sulla cura della casa comune di Papa Francesco. Che prosegue: «Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre la questione in maniera parziale», e questo conduce a interrogarsi sul senso dell’esistenza e sui valori alla base della vita sociale: «Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?»: se non ci poniamo queste domande di fondo – dice il Pontefice – «non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti».

L’Enciclica prende il nome dall’invocazione di san Francesco, «Laudato si’, mi’ Signore», che nel Cantico delle creature ricorda che la terra, la nostra casa comune, «è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia» (1). Noi stessi «siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora» (2).

Ora, questa terra, maltrattata e saccheggiata si lamenta e i suoi gemiti si uniscono a quelli di tutti gli abbandonati del mondo. Papa Francesco invita ad ascoltarli, sollecitando tutti e ciascuno – singoli, famiglie, collettività locali, nazioni e comunità internazionale – a una «conversione ecologica», secondo l’espressione di san Giovanni Paolo II, cioè a «cambiare rotta», assumendo la bellezza e la responsabilità di un impegno per la «cura della casa comune». Allo stesso tempo Papa Francesco riconosce che «Si avverte una crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e matura una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta» (19), legittimando uno sguardo di speranza che punteggia l’intera Enciclica e manda a tutti un messaggio chiaro e pieno di speranza:«L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune» (13); «l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente» (58); «non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi» (205).

Papa Francesco si rivolge certo ai fedeli cattolici, riprendendo le parole di san Giovanni Paolo II: «i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede» (64), ma si propone «specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune» (3): il dialogo percorre tutto il testo, e nel cap. 5 diventa lo strumento per affrontare e risolvere i problemi. Fin dall’inizio Papa Francesco ricorda che anche «altre Chiese e Comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato una profonda preoccupazione e una preziosa riflessione» sul tema dell’ecologia (7). Anzi, ne assume esplicitamente il contributo, a partire da quello del «caro Patriarca Ecumenico Bartolomeo» (7), ampiamente citato ai nn. 8-9. A più riprese, poi, il Pontefice ringrazia i protagonisti di questo impegno – tanto singoli quanto associazioni o istituzioni –, riconoscendo che «la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali [ha] arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni» (7) e invita tutti a riconoscere «la ricchezza che le religioni possono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano» (62).

L’itinerario dell’Enciclica è tracciato nel n. 15 e si snoda in sei capitoli. Si passa da un ascolto della situazione a partire dalle migliori acquisizioni scientifiche oggi disponibili (cap. 1), al confronto con la Bibbia e la tradizione giudeo-cristiana (cap. 2), individuando la radice dei problemi (cap. 3) nella tecnocrazia e in un eccessivo ripiegamento autoreferenziale dell’essere umano. La proposta dell’Enciclica (cap. 4) è quella di una «ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali» (137), inscindibilmente legate con la questione ambientale. In questa prospettiva, Papa Francesco propone (cap. 5) di avviare a ogni livello della vita sociale, economica e politica un dialogo onesto, che strutturi processi decisionali trasparenti, e ricorda (cap. 6) che nessun progetto può essere efficace se non è animato da una coscienza formata e responsabile, suggerendo spunti per crescere in questa direzione a livello educativo, spirituale, ecclesiale, politico e teologico. Il testo termina con due preghiere, una offerta alla condivisione con tutti coloro che credono in «un Dio creatore onnipotente» (246), e l’altra proposta a coloro che professano la fede in Gesù Cristo, ritmata dal ritornello «Laudato si’», con cui l’Enciclica si apre e si chiude.

Il testo è attraversato da alcuni assi tematici, affrontati da una varietà di prospettive diverse, che gli conferiscono una forte unitarietà: «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita» (16).

 

Capitolo primo – Quello che sta accadendo alla nostra casa
Il capitolo assume le più recenti acquisizioni scientifiche in materia ambientale come modo per ascoltare il grido della creazione, «trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare» (19). Si affrontano così «vari aspetti dell’attuale crisi ecologica» (15).

I mutamenti climatici: «I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità» (25). Se «Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti» (23), l’impatto più pesante della sua alterazione ricade sui più poveri, ma molti «che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i problemi o nasconderne i sintomi» (26): «la mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile» (25).

La questione dell’acqua: il Pontefice afferma a chiare lettere che «l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani». Privare i poveri dell’accesso all’acqua significa negare «il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità» (30).

La tutela della biodiversità: «Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre» (33). Non sono solo eventuali “risorse” sfruttabili, ma hanno un valore in sé stesse. In questa prospettiva «sono lodevoli e a volte ammirevoli gli sforzi di scienziati e tecnici che cercano di risolvere i problemi creati dall’essere umano», ma l’intervento umano, quando si pone a servizio della finanza e del consumismo, «fa sì che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia» (34).

Il debito ecologico: nel quadro di un’etica delle relazioni internazionali, l’Enciclica indica come esista «un vero “debito ecologico”» (51), soprattutto del Nord nei confronti del Sud del mondo. Di fronte ai mutamenti climatici vi sono «responsabilità diversificate» (52), e quelle dei Paesi sviluppati sono maggiori.

Nella consapevolezza delle profonde divergenze rispetto a queste problematiche, Papa Francesco si mostra profondamente colpito dalla «debolezza delle reazioni» di fronte ai drammi di tante persone e popolazioni. Nonostante non manchino esempi positivi (58), segnala «un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità» (59). Mancano una cultura adeguata (53) e la disponibilità a cambiare stili di vita, produzione e consumo (59), mentre urge «creare un sistema normativo che [...] assicuri la protezione degli ecosistemi» (53).

 

Capitolo secondo – Il Vangelo della creazione
Per affrontare le problematiche illustrate nel capitolo precedente, Papa Francesco rilegge i racconti della Bibbia, offre una visione complessiva che viene dalla tradizione ebraico-cristiana e articola la «tremenda responsabilità» (90) dell’essere umano nei confronti del creato, l’intimo legame tra tutte le creature e il fatto che «l’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti» (95).

Nella Bibbia, «il Dio che libera e salva è lo stesso che ha creato l’universo» e «in Lui affetto e forza si coniugano» (73). Centrale è il racconto della creazione per riflettere sul rapporto tra l’essere umano e le altre creature e su come il peccato rompa l’equilibrio di tutta la creazione nel suo insieme: «Questi racconti suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato» (66).

Per questo, anche se «qualche volta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature» (67). All’essere umano spetta la responsabilità di «“coltivare e custodire” il giardino del mondo (cfr Gen 2,15)» (67), sapendo che «lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio» (83).

Che l’essere umano non sia il padrone dell’universo, «non significa equiparare tutti gli esseri viventi e toglier[gli] quel valore peculiare» che lo caratterizza; e «nemmeno comporta una divinizzazione della terra, che ci priverebbe della chiamata a collaborare con essa e a proteggere la sua fragilità» (90). In questa prospettiva, «Ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura “è contrario alla dignità umana”» (92), ma «Non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani» (91). Serve la consapevolezza di una comunione universale: «creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, […] che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile» (89).

Conclude il capitolo il cuore della rivelazione cristiana: «Gesù terreno» con la «sua relazione tanto concreta e amorevole con il mondo» è «risorto e glorioso, presente in tutto il creato con la sua signoria universale» (100).

 

Capitolo terzo – La radice umana della crisi ecologica
Questo capitolo presenta un’analisi della situazione attuale, «in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde» (15), in un dialogo con la filosofia e le scienze umane.

Un primo fulcro del capitolo sono le riflessioni sulla tecnologia: ne viene riconosciuto con gratitudine l’apporto al miglioramento delle condizioni di vita (102-103), tuttavia essa dà «a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero» (104). Sono proprio le logiche di dominio tecnocratico che portano a distruggere la natura e a sfruttare le persone e le popolazioni più deboli. «Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica» (109), impedendo di riconoscere che «Il mercato da solo [...] non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale» (109).

Alla radice si diagnostica nell’epoca moderna un eccesso di antropocentrismo (116): l’essere umano non riconosce più la propria giusta posizione rispetto al mondo e assume una posizione autoreferenziale, centrata esclusivamente su di sé e sul proprio potere. Ne deriva una logica «usa e getta» che giustifica ogni tipo di scarto, ambientale o umano che sia, che tratta l'altro e la natura come semplice oggetto e conduce a una miriade di forme di dominio. È la logica che porta a sfruttare i bambini, ad abbandonare gli anziani, a ridurre altri in schiavitù, a sopravvalutare la capacità del mercato di autoregolarsi, a praticare la tratta di esseri umani, il commercio di pelli di animali in via di estinzione e di “diamanti insanguinati”. È la stessa logica di molte mafie, dei trafficanti di organi, del narcotraffico e dello scarto dei nascituri perché non corrispondono ai progetti dei genitori. (123)

In questa luce l’Enciclica affronta due problemi cruciali per il mondo di oggi. Innanzitutto il lavoro: «In qualunque impostazione di ecologia integrale, che non escluda l’essere umano, è indispensabile integrare il valore del lavoro» (124), così come «Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società» (128).

La seconda riguarda i limiti del progresso scientifico, con chiaro riferimento agli OGM (132-136), che sono «una questione di carattere complesso» (135). Sebbene «in alcune regioni il loro utilizzo ha prodotto una crescita economica che ha contribuito a risolvere alcuni problemi, si riscontrano significative difficoltà che non devono essere minimizzate» (134), a partire dalla «concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi» (134). Papa Francesco pensa in particolare ai piccoli produttori e ai lavoratori rurali, alla biodiversità, alla rete di ecosistemi. È quindi necessario «un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome» a partire da «linee di ricerca autonoma e interdisciplinare» (135).

 

Capitolo quarto – Un’ecologia integrale
Il cuore della proposta dell’Enciclica è l’ecologia integrale come nuovo paradigma di giustizia; un’ecologia «che integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda» (15). Infatti, non possiamo «considerare la natura come qualcosa separato da noi o come una mera cornice della nostra vita» (139). Questo vale per quanto viviamo nei diversi campi: nell’economia e nella politica, nelle diverse culture, in particolar modo in quelle più minacciate, e persino in ogni momento della nostra vita quotidiana.

La prospettiva integrale mette in gioco anche una ecologia delle istituzioni: «Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana: “Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali”» (142).

Con molti esempi concreti, Papa Francesco non fa che ribadire il proprio pensiero: c’è un legame tra questioni ambientali e questioni sociali e umane che non può mai essere spezzato. Così «l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa» (141), in quanto «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» (139).

Questa ecologia integrale «è inseparabile dalla nozione di bene comune»(156), da intendersi però in maniera concreta: nel contesto di oggi, in cui «si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone che vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali», impegnarsi per il bene comune significa fare scelte solidali sulla base di «una opzione preferenziale per i più poveri» (158). È questo anche il modo migliore per lasciare un mondo sostenibile alle prossime generazioni, non a proclami, ma attraverso un impegno di cura per i poveri di oggi, come già aveva sottolineato Benedetto XVI: «oltre alla leale solidarietà intergenerazionale, occorre reiterare l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intragenerazionale» (162).

L'ecologia integrale investe anche la vita quotidiana, a cui l’Enciclica riserva un’attenzione specifica in particolare in ambiente urbano. L’essere umano ha una grande capacità di adattamento ed «è ammirevole la creatività e la generosità di persone e gruppi che sono capaci di ribaltare i limiti dell’ambiente, [...] imparando ad orientare la loro esistenza in mezzo al disordine e alla precarietà» (148). Ciononostante, uno sviluppo autentico presuppone un miglioramento integrale nella qualità della vita umana: spazi pubblici, abitazioni, trasporti, ecc. (150-154).

Anche «il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio» (155).

 

Capitolo quinto – Alcune linee di orientamento e di azione
Questo capitolo affronta la domanda su che cosa possiamo e dobbiamo fare. Le analisi non possono bastare: ci vogliono proposte «di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale» (15), e «che ci aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando» (163). Per Papa Francesco è imprescindibile che la costruzione di cammini concreti non venga affrontata in modo ideologico, superficiale o riduzionista. Per questo è indispensabile il dialogo, termine presente nel titolo di ogni sezione di questo capitolo: «Ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. […] la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma [io] invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune» (188).

Su questa base Papa Francesco non teme di formulare un giudizio severo sulle dinamiche internazionali recenti: «i Vertici mondiali sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali realmente significativi ed efficaci» (166). E si chiede «Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?» (57). Servono invece, come i Pontefici hanno ripetuto più volte a partire dallaPacem in terris, forme e strumenti efficaci di governance globale (175): «abbiamo bisogno di un accordo sui regimi di governance per tutta la gamma dei cosiddetti beni comuni globali» (174), visto che «“la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente”» (190, che riprende le parole del Compendio della dottrina sociale della Chiesa).

Sempre in questo capitolo, Papa Francesco insiste sullo sviluppo di processi decisionali onesti e trasparenti, per poter «discernere» quali politiche e iniziative imprenditoriali potranno portare «ad un vero sviluppo integrale» (185). In particolare, lo studio dell’impatto ambientale di un nuovo progetto «richiede processi politici trasparenti e sottoposti al dialogo, mentre la corruzione che nasconde il vero impatto ambientale di un progetto in cambio di favori spesso porta ad accordi ambigui che sfuggono al dovere di informare ed a un dibattito approfondito» (182).

Particolarmente incisivo è l’appello rivolto a chi ricopre incarichi politici, affinché si sottragga «alla logica efficientista e “immediatista”» (181) oggi dominante: «se avrà il coraggio di farlo, potrà nuovamente riconoscere la dignità che Dio gli ha dato come persona e lascerà, dopo il suo passaggio in questa storia, una testimonianza di generosa responsabilità» (181).

 

Capitolo sesto – Educazione e spiritualità ecologica
Il capitolo finale va al cuore della conversione ecologica a cui l’Enciclica invita. Le radici della crisi culturale agiscono in profondità e non è facile ridisegnare abitudini e comportamenti. L’educazione e la formazione restano sfide centrali: «ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo» (15); sono coinvolti tutti gli ambiti educativi, in primis «la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi» (213).

La partenza è «puntare su un altro stile di vita» (203-208), che apre anche la possibilità di «esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale» (206). È ciò che accade quando le scelte dei consumatori riescono a «modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione» (206).

Non si può sottovalutare l’importanza di percorsi di educazione ambientale capaci di incidere su gesti e abitudini quotidiane, dalla riduzione del consumo di acqua, alla raccolta differenziata dei rifiuti fino a «spegnere le luci inutili» (211): «Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo» (230). Tutto ciò sarà più semplice a partire da uno sguardo contemplativo che viene dalla fede: «Per il credente, il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro, riconoscendo i legami con i quali il Padre ci ha unito a tutti gli esseri. Inoltre, facendo crescere le capacità peculiari che Dio ha dato a ciascun credente, la conversione ecologica lo conduce a sviluppare la sua creatività e il suo entusiasmo» (220).

Ritorna la linea proposta nell’Evangelii Gaudium: «La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante» (223), così come «La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici possibilità che offre la vita» (223); in questo modo diventa possibile «sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti» (229).

I santi ci accompagnano in questo cammino. San Francesco, più volte citato, è «l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia» (10), modello di come «sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore (10). Ma l’enciclica ricorda anchesan Benedettosanta Teresa di Lisieux e il beato Charles de Foucauld.

Dopo la Laudato si’l’esame di coscienza, lo strumento che la Chiesa ha sempre raccomandato per orientare la propria vita alla luce della relazione con il Signore, dovrà includere una nuova dimensione, considerando non solo come si è vissuta la comunione con Dio, con gli altri e con se stessi, ma anche con tutte le creature e la natura.







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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19/06/2015 12:43
 
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FOCUSdi Francesco Ramella
povertà e inquinamento
 

Osservando i dati, appare chiaro che le emissioni di anidride carbonica sono dovute più ai paesi emergenti che non ai paesi ricchi. E i problemi ambientali più gravi sono correlati alla povertà, non alla ricchezza. Così le politiche di mitigazione stanno avendo effetti negativi sui paesi poveri. E l'enciclica sbaglia obiettivo.


Nel suo intervento di presentazione della bozza pubblicata da l'Espresso online lo scorso 16 giugno,  Massimo Introvigne evidenzia come l'Enciclica "Laudato Si''" contenga due elementi: "un «percorso etico e spirituale» di natura dottrinale e una breve rassegna preliminare di quelli che il Papa e gli esperti che lo hanno assistito considerano «i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile» (ibid.). A proposito di questo secondo elemento, il Papa tiene a precisare che «ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. Ancora una volta ribadisco che la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito ad un dibattito onesto e trasparente» (n. 188)".  

Proviamo di seguito a fornire qualche elemento di riflessione su questo secondo aspetto, con particolare riferimento al tema dei cambiamenti climatici, a partire da quanto il Pontefice scrive nella parte dell'Enciclica dedicata al tema OGM: "c’è bisogno di un’attenzione costante, che porti a considerare tutti gli aspetti etici implicati. A tal fine occorre assicurare un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome. A volte non si mette sul tavolo l’informazione completa, ma la si seleziona secondo i propri interessi, siano essi politici, economici o ideologici. Questo rende difficile elaborare un giudizio equilibrato e prudente sulle diverse questioni, tenendo presenti tutte le variabili in gioco" (n. 135).

Spesso, a parere di chi scrive, la discussione in tema di riscaldamento globale non risponde a questo requisito ed appare viziata da un approccio semplicistico che non consente di apprezzare tutte le sfaccettature del problema.

Partiamo dalla responsabilità delle emissioni. Si legge nell'Enciclica che il "riscaldamento [è stato] causato dall'enorme consumo di alcuni Paesi ricchi" (n. 51). 

Ora: se guardiamo al periodo che va dall'inizio della rivoluzione industriale fino ai primi decenni dopo la seconda guerra mondiale, non vi è dubbio che che la maggior parte delle emissioni fosse attribuibile ad un novero limitato di Paesi. Negli ultimi quaranta anni si è però assistito ad una radicale evoluzione di tale quadro: se nel 1971 le tre aree più ricche del Pianeta - America del Nord, Europa occidentale e Giappone - emettevano circa  il 60% della anidride carbonica, negli anni seguenti si è registrata una progressiva riduzione della loro quota che nel 2011 si è attestata a meno di 1/3 del totale.

 

Grafico emissioni

 

Pressoché l'intero aumento delle emissioni, che ha conosciuto un'accelerazione negli ultimi due decenni, è quindi da ricondursi allo sviluppo dei Paesi che partivano da livelli di reddito molto bassi, sviluppo che ha determinato, secondo i dati forniti dalla Banca Mondiale, una  riduzione della popolazione mondiale che vive in condizioni di povertà assoluta dal 52% del 1980 al 21% del 2010. Per citare ancora l'Enciclica: "la tecnologia ha posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano e limitavano l’essere umano" (n. 102).

Molto è stato fatto, ma certo non abbastanza. Quindi, come scrive Papa Francesco, ancora oggi "per i Paesi poveri le priorità devono essere lo sradicamento della miseria e lo sviluppo sociale dei loro abitanti" (n. 172). Per questo: "in attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per il male minore o ricorrere a soluzioni transitorie" (n. 165).

È questo il punto centrale delle politiche del clima: se ed in quale misura porre degli ostacoli alla crescita dei Paesi poveri al fine di ridurre le emissioni. Il contributo di quelli "ricchi" non potrà essere risolutivo: anche una radicale riduzione della quantità di gas a effetto serra ad essi riconducibile non potrebbe che avere effetti limitati; ad esempio: se le tre grandi aree sopra citate dimezzassero la CO2 prodotta, a livello mondiale le emissioni farebbero un salto all'indietro di soli pochi anni. L'intera Unione Europea che nel 1990 rappresentava un quinto delle emissioni mondiali vedrà nel 2020 il proprio peso ridotto al 7%. Ogni anno le emissioni della sola Cina crescono di una quantità analoga a quella totale di un Paese come il Regno Unito. 

"Una certa decrescita in alcune parti del mondo" (n.193) non avrebbe come conseguenza la possibilità di "crescere in modo sano in altre parti".

Peraltro, sia l'Europa che gli Stati Uniti nell'ultimo decennio hanno già intrapreso, seppure lungo direttrici diverse come vedremo più avanti, un percorso di contenimento delle emissioni. Tale evoluzione positiva interessa anche altri aspetti ambientali. Negli Stati Uniti - ed in molti  Paesi ad elevato reddito - la qualità dell'aria è radicalmente migliorata negli ultimi cinquanta anni. Oltre oceano, pur in presenza di un aumento della popolazione pari a 80 milioni di persone, la quantità di acqua consumata è diminuita rispetto al 1970, dal 1990 si è ridotto il consumo di plastica e negli ultimi anni quello di carta; il consumo procapite di petrolio è oggi inferiore del 25% rispetto al 1980.

I problemi ambientali più gravi, primo fra tutti l'inquinamento all'interno delle abitazioni, sono oggi correlati alla povertà, non alla ricchezza.

La necessità di non frapporre in capo ai Paesi più poveri ostacoli allo sviluppo sociale trova  un'analogia nell'impatto che hanno avuto molte misure adottate dai Paesi occidentali.

Come sopra anticipato, nell'ultimo decennio sia gli Stati Uniti che l'Europa hanno ridotto le proprie emissioni di anidride carbonica. Al di là dell' Atlantico ciò è avvenuto grazie allo sviluppo tecnologico "nel mercato": il gas di scisto estratto localmente è andato infatti a rimpiazzare parzialmente il più inquinante carbone nella produzione di energia elettrica. In Europa le minori emissioni sono da un lato da ricondurre alla recessione economica e dall'altro al maggior ricorso, "pianificato dall'alto", alle energie rinnovabili. Tale approccio ha fatto sì che il prezzo dell'energia elettrica crescesse rapidamente anche a causa del prelievo fiscale imposto per finanziare solare ed eolico. Nei due Paesi ove maggiore è il ricorso a tali fonti il costo dell'energia è pari a quasi quattro volte quello degli Stati Uniti. Ed a pagare il prezzo più alto di questa politica sono state le famiglie a minor reddito che hanno visto le loro bollette lievitare.

Non è peraltro questo l'unico caso di politiche di mitigazione che hanno avuto ricadute negative per i più poveri. Un'altra forma di intervento pubblico dannosa per coloro che vivono in condizioni più disagiate è stata il sussidio ai biocarburanti che ha incentivato la conversione di parte della produzione agricola destinata alla alimentazione aumentando così il prezzo del cibo e con benefici ambientali modesti se non nulli. 

 Prezzi elettricità

 

Un ulteriore esempio di politiche "benintezionate" ma che rischiano di provocare più danni che benefici ai meno abbienti sono quelle relative alla mobilità. Nella stessa Enciclica si legge "molti specialisti concordano sulla necessità di dare la priorità ai trasporti pubblici". Non vi è dubbio che nelle aree urbane centrali ad elevata densità abitativa, metropolitane, tram ed autobus possano giocare un ruolo di primo piano ma, se si allarga lo sguardo all'infuori di tale ambito, si comprende come solo l'automobile possa efficacemente rispondere alle necessità di spostamento delle persone, in particolare di quelle che appartengono alle fasce sociali più modeste che vivono e lavorano nelle periferie.

È significativa a tal riguardo la chiusura di un recente articolo sul New York Times dedicato alla relazione tra povertà e trasporti: si racconta la vicenda di una famiglia che vive a Frederick nel Maryland e che grazie all'acquisto di una vecchia, inquinante auto, pagata 1.700 dollari, ha visto cambiare radicalmente in meglio la propria routine quotidiana.

Rendere più difficoltoso l'accesso all'auto può significare impedire a molte persone di uscire da una condizione di povertà: a tal riguardo è da segnalare la rapida crescita della motorizzazione - oltre 250 milioni di veicoli in più solo negli ultimi dieci anni - all'infuori dei Paesi più ricchi nei quali si è ormai raggiunta una situazione stazionaria. 

Oltre agli effetti diretti negativi sui poveri delle politiche volte a ridurre le emissioni, ve n'è un altro, più nascosto, ma non meno rilevante.

Sia l'incentivazione delle rinnovabili che dei trasporti pubblici (solo una parte minoritaria dei costi viene coperta con la vendita di biglietti ed abbonamenti) consuma risorse pubbliche che non possono essere destinate al perseguimento di altri obiettivi socialmente più meritevoli; nel caso dell'Europa, ove il prelievo fiscale sui carburanti è molto elevato, un minore uso dell'auto comporta inoltre la diminuzione delle entrate per il settore pubblico e, quindi, ancora una volta, una minor possibilità di intervenire a favore di chi si trova in maggiore difficoltà.

L'Unione Europea si è posta l'obiettivo di ridurre le proprie emissioni del 20% entro il 2020: il costo per conseguire tale risultato che porterà ad una riduzione di temperatura a fine secolo di meno di 0,1 °C  è stato stimato pari a 210 miliardi di euro. Tali risorse avrebbero potuto essere impiegate assai più utilmente per migliorare le condizioni di vita dei più svantaggiati.

Vi è infine da sottolineare come i Paesi più ricchi siano anche quelli più efficienti nello sfruttare le risorse energetiche: per ogni dollaro di ricchezza prodotto negli Stati Uniti si emettono 0,40 kg di anidride carbonica, in Europa 0,20. Nelle altre aree (che si trovano in condizioni analoghe a quelle dei Paesi ricchi alcuni decenni fa) le emissioni unitarie sono molto più elevate. Questo fa sì che sia preferibile ridurre con "l'aiuto dei Paesi che sono cresciuti molto" ( n. 172) le loro emissioni piuttosto che le nostre: a parità di risorse impiegate si potranno conseguire risultati molto migliori.

Ma, la strada maestra, come per altri problemi ambientali generati dallo sviluppo e poi brillantemente risolti, sembra anche nel caso del riscaldamento globale quella di puntare sulla tecnologia. Investire più risorse nella ricerca affinché l'energia prodotta da fonti a basso / nullo contenuto di carbonio divenga economicamente più conveniente rispetto a quella da combustibili fossili; in tale prospettiva occorrerebbe anche riconsiderare il ricorso all'energia nucleare che presenta rischi assai meno rilevanti di quanto generalmente ritenuto. Solo così potremo superare la contraddizione fra miglioramento delle condizioni di vita dei più poveri e minori emissioni.

Concludiamo, tornando a qualche decennio addietro. Verso la fine degli anni '60, prospettive "apocalittiche" molto simili a quelle che oggi vengono da alcuni proposte con riferimento al riscaldamento del pianeta, vennero ampiamente diffuse e trovarono ascolto presso molti decisori politici. Tra i più ascoltati "esperti" dell'epoca vi era il biologo Paul R. Ehrlich che pubblicò "The population bomb", bestseller nel quale sosteneva che "la battaglia per fornire cibo sufficiente all'umanità è perduta", che centinaia di milioni di persone - tra cui 65 milioni di americani - sarebbero morte a causa della fame, che vi erano buone probabilità che nel 2000 la Gran Bretagna fosse cancellata dalla faccia della Terra e che fosse dunque necessario intervenire con urgenza, anche con mezzi coercitivi, per ridurre le nascite.

Nulla di tutto questo è accaduto. La crescita economica è proseguita, la popolazione è aumentata fino a raggiungere i 7 miliardi e la malnutrizione è stata radicalmente ridimensionata. Minoritaria all'epoca fu la posizione di un economista statunitense, Julian L. Simon,  che vedeva la crescita della popolazione come un elemento positivo e correttamente previde che le condizioni materiali dell'umanità avrebbero continuato a migliorare nel futuro non "nonostante" ma anche grazie all'ulteriore crescita della popolazione.

La sua lezione sembra oggi particolarmente attuale e dovrebbe metterci in guardia dal seguire le raccomandazioni degli odierni profeti di sventura. Possiamo confidare che "la tecnoscienza, ben orientata", come già accaduto in passato sarà ancora "in grado di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano" (n. 103).

 


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EDITORIALE
Laudato si'
 

 

 Il paradigma tecnocratico e il rapporto con la natura sono le due tematiche - già presenti in Caritas in Veritate - che papa Francesco sviluppa nell'enciclica Laudato si’,sistematizzando il magistero pontificio più recente.  

di Gianpaolo Crepaldi - Arcivescovo di Trieste

L’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco è la prima enciclica interamente dedicata alla cura del Creato secondo la visione cristiana. Dobbiamo essere grati al Santo Padre per averci dato questo insegnamento di grande ampiezza e sistematicità. Questa enciclica rappresenta una organica sistemazione della sapienza accumulata dal magistero pontificio più recente, sulla scorta naturalmente dell’insegnamento biblico ed evangelico e alla luce delle verità della fede cattolica. Non può non essere notato, in particolare, che l’enciclica Laudato si’ si collega espressamente in più punti alla Caritas in veritate di Benedetto XVI, che viene ripetutamente citata. Ed infatti era stata questa enciclica ad affrontare per la prima volta in modo ampio e culturalmente approfondito due tematiche che ora Papa Francesco ulteriormente sviluppa. 

La prima di queste due tematiche è quella della tecnica. La Caritas in veritate vi aveva dedicato un intero capitolo e la Laudato si’ la affronta con completezza, parlandone in modo diffuso. Lo sviluppo della tecnica ha portato i suoi frutti, ma anche ha rivelato le debolezze dello spirito di tecnicità, che ora Papa Francesco chiama il paradigma tecnocratico. É un paradigma di possesso e di autoesaltazione individualistica che dà agli uomini il senso del potere senza però quello della responsabilità. Papa Francesco utilizza molto, qui, il pensiero di Romano Guardini, pensatore molto caro anche a Benedetto XVI. Il secondo tema della Caritas in veritate che transita nella Laudato si’ per esservi sviluppato è quello del rapporto con la natura. Comunemente viene detto il problema ambientale o ecologico. La prospettiva della Laudato si’, però, è più ampia, come dirò meglio più avanti, come più ampia era la prospettiva della Caritas in veritate. Non esiste un problema solamente ecologico, o della natura intesa unicamente in senso ambientale. Il problema ecologico è prima di tutto un problema antropologico e, infine, un problema teologico, ossia del rapporto della creatura col Creatore. C’è, quindi, una chiara linea di sviluppo tra le due encicliche.

Papa Francesco dice che la sua prima enciclica va ad arricchire l’insegnamento sociale della Chiesa. Il motivo non è dato solo dal fatto che oggi la questione ecologica è percepita da molti come un problema sociale emergente. Certo, anche questo ha la sua importanza. Dipende però soprattutto dal fatto che la tutela del creato, nella sua capacità di riconciliare, se bene intesa, l’uomo con la natura, compresa la propria natura, e con il Creatore, può essere una “chiave” dell’intera questione sociale. Dalla natura, afferma Papa Francesco, l’umanità trae le condizioni di vita, ma trae anche i motivi di vita, se è capace di vederla secondo l’insegnamento di Dio. Il creato ci parla e la cura per esso è anche cura dell’uomo secondo il progetto di Dio. Ed invero, nella Laudato si’, Papa Francesco tocca tanti temi che, a prima vista, non verrebbero ascritti alla questione del creato: parla della famiglia e della vita, del lavoro e dell’impresa, dello sviluppo e della povertà. Come se il rapporto con il creato e il Creatore fosse un punto di vista integrale sulla vita sociale.

Non manca, il Papa, di toccare in più punti il rapporto tra la tutela della vita umana e della famiglia e la cura per il creato. Benedetto XVI aveva approfondito questo legame, che veniva da lui proposto nella Caritas in veritate come un segno fortemente distintivo della visione cattolica dell’ecologia, vale a dire la sua relazione con l’ecologia umana, già ampiamente proposto da Giovanni Paolo II. Papa Francesco parla di aborto e di diritti dell’embrione umano, contrasta l’idea di una pianificazione familiare imposta politicamente e sfida il modello neomalthusiano secondo cui la salvezza dell’ecosistema dipenderebbe dalla riduzione pianificata delle nascite. Secondo lui questa è una ideologia che rientra nel paradigma tecnocratico proprio della ragione strumentale che la Laudato si’ denuncia. Papa Francesco fa anche notare la contraddizione di tanti movimenti ecologisti che difendono l’ambiente naturale ma non l’ambiente umano. La natura, se intesa come il creato, non può essere assunta a pezzi, ma in modo integrale. È un disegno unico ed unitario.

É questo il senso dell’espressione “ecologia integrale” che il Papa adopera spesso. L’aggettivo integrale non sta qui a significare il radicalismo di un’ideologia. Papa Francesco sa bene che anche i movimenti ecologisti sono spesso vittime di un’ideologia semplificatoria e riduttiva. Integralità significa piuttosto: attenzione a tutte le interconnessioni, orizzontali ma soprattutto verticali, e potrebbe essere intesa anche come globalità, secondo l’ottica del tutto. È molto attento Papa Francesco a mettere in evidenza le relazioni, i collegamenti vitali, le forme della collaborazione comunitaria come risposta alla globalità interconnessa dei problemi. Questo deriva dal fatto che il creato è un “tutto”, non una somma di particolari, ma un senso unitario e coordinato, un unico discorso sull’uomo. Di questa ecologia “integrale”, Papa Francesco mostra tutti gli aspetti, da quello sociale a quello culturale, da quello proprio della vita quotidiana su su fino a quello sacramentale ed eucaristico. Tutto si tiene, ma ciò che tiene il tutto è sempre la vita cristiana, la vite del tralcio innestato in Cristo. Papa Francesco spinge il discorso molto in alto, fino a parlare della Santissima Trinità. I dogmi della fede cattolica non sono privi di significato per la nostra vita su questa terra e per lo stesso modo di trattare la Terra. Farà forse discutere l’espressione “conversione ecologica” e non è escluso che questo punto possa venire strumentalizzato, assieme ad altri, da parte dei movimenti ecologisti troppo condiscendenti con lo spirito del mondo. 

Il Papa fa molti esempi concreti e quotidiani, piccoli, se vogliamo, ma questo non significa che all’impegno ecologico egli non dia un significato molto alto e completamente cristiano, ossia collegato con l’intera dottrina della fede. Anche la “conversione ecologica” va intesa in questo senso alto. Conversione non a risparmiare acqua o a non sprecare energia, ma conversione al Creatore di cui il creato esprime la magnificenza e la bontà. In questa luce, anche i piccoli atti quotidiani di rispetto delle cose, degli animali, dell’ecosistema e dei nostri fratelli più poveri possono assumere il significato di essere segni visibili di una conversione più profonda. É presente nella Laudato si’ una attenzione particolare per il tema della povertà e dei poveri. Non stupisce in Papa Francesco. La povertà non si spiega mai solo in termini economici e la lotta alla povertà non si fa mai solo con interventi economici. A pagare la noncuranza per il creato sono soprattutto i poveri. Ma spesso le ideologie che hanno millantato di difendere i poveri sono state le principali distruttrici dell’equilibrio naturale. Il nesso tra degrado ambientale e povertà c’è, ma la soluzione sta nella capacità di vedere il problema dal punto di vista dell’intero: dell’ecologia integrale. Lì anche i poveri trovano il loro posto, perché se cambiano i cuori e si rappacificano con il creato e il Creatore, anche le relazioni umane si arricchiranno. 

Il Papa chiama “consumismo” un atteggiamento della mente e del cuore: adoperare le relazioni e le persone come strumenti. Il pericolo che di questa espressione dell’enciclica si impossessino ideologie sociali ed economiche di retroguardia c’è. Il Papa parla di “mercato” o di “logica di mercato” intendendo la mentalità del possesso tecnocratico applicata all’economia, senza le precise distinzioni fatte per esempio da Giovanni Paolo II nella Centesimus annus. Ed anche qui il pericolo suddetto può riconfermarsi. Ma al fondo del suo discorso afferma che la povertà non è solo un problema economico o sociologico. Essa dipende da come gli uomini si rapportano a Dio e al suo progetto di salvezza su di loro che ha avuto inizio con la creazione.

L’enciclica scende anche sul terreno delle teorie scientifiche e sulle prospettive pratiche di gestione ambientale. Utilizza concetti presi dalla sociologia contemporanea, come quello di “decrescita” o di “sostenibilità”, ancora oggetto di dibattito. Si muove, insomma anche sul terreno del possibile e di quanto potrebbe anche essere altrimenti. Affronta anche temi spinosi e contrastati come quello dell’uso degli Ogm in agricoltura. Talvolta lo fa per raccogliere dati come base per una proposta etica e religiosa, altre volte presenta il problema controverso ed auspica un ulteriore approfondimento, come nel caso degli Ogm, ma senza prendere posizione. In altri casi ancora usa espressioni oggi molto adoperate, ma cercando di collocarle in un contesto più ricco di significato, per emanciparle da prospettive riduttive.

 

  

si legga anche:

Conversione contro la tecnocrazia di Massimo Introvigne 

ll  Quanto contano quelle pressionidi Riccardo Cascioli 

lChe delusione! di Paolo Togni















[Modificato da Caterina63 19/06/2015 13:02]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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19/06/2015 13:45
 
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Sorella terra. L'enciclica "verde" di papa Francesco


Pagine scelte della lettera "Laudato si'" rivolta dal papa "a ogni persona che abita questo pianeta". Nelle parentesi i numeri dei paragrafi da cui i brani sono ricavati 

Selezione a cura di Sandro Magister




L'INCIPIT (1 e 2)

"Laudato si’, mi’ Signore", cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: 

"Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba".

Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei.


L'ANNUNCIO DEI SEI CAPITOLI (15)

In primo luogo farò un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attuale crisi ecologica allo scopo di assumere i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile, lasciarcene toccare in profondità e dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue.

A partire da questa panoramica, riprenderò alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizione giudeo-cristiana, al fine di dare maggiore coerenza al nostro impegno per l’ambiente.

Poi proverò ad arrivare alle radici della situazione attuale, in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde.

Così potremo proporre un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda.

Alla luce di tale riflessione vorrei fare un passo avanti in alcune ampie linee di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale.

Infine, poiché sono convinto che ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, proporrò alcune linee di maturazione umana ispirate al tesoro dell’esperienza spirituale cristiana.


RISCALDAMENTO ED EFFETTO SERRA (23)

Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico. Negli ultimi decenni, tale riscaldamento è stato accompagnato dal costante innalzamento del livello del mare, e inoltre è difficile non metterlo in relazione con l’aumento degli eventi meteorologici estremi, a prescindere dal fatto che non si possa attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno particolare... È vero che ci sono altri fattori (quali il vulcanismo, le variazioni dell’orbita e dell’asse terrestre, il ciclo solare), ma numerosi studi scientifici indicano che la maggior parte del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto ed altri) emessi soprattutto a causa dell’attività umana.


INNALZAMENTO DEI MARI (24)

Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi. L’innalzamento del livello del mare, ad esempio, può creare situazioni di estrema gravità se si tiene conto che un quarto della popolazione mondiale vive in riva al mare o molto vicino ad esso, e la maggior parte delle megalopoli sono situate in zone costiere.


OSTACOLI ALL'ACCESSO ALL'ACQUA (30)

Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità.


QUEGLI ANIMALI CHE "NON DARANNO PIÙ GLORIA A DIO" (33)

Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre. La stragrande maggioranza si estingue per ragioni che hanno a che fare con qualche attività umana. Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto.


LE MULTINAZIONALI IN AMAZZONIA (38)

Esistono proposte di internazionalizzazione dell’Amazzonia, che servono solo agli interessi economici delle multinazionali. È lodevole l’impegno di organismi internazionali e di organizzazioni della società civile che sensibilizzano le popolazioni e cooperano in modo critico, anche utilizzando legittimi meccanismi di pressione, affinché ogni governo adempia il proprio e non delegabile dovere di preservare l’ambiente e le risorse naturali del proprio Paese, senza vendersi a ambigui interessi locali o internazionali.


L'IMPOSIZIONE A FORZA DELLA "SALUTE RIPRODUTTIVA" (50)

Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”… Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi.


NO AI CONDIZIONATORI D'ARIA (55)

È cresciuta la sensibilità ecologica delle popolazioni, anche se non basta per modificare le abitudini nocive di consumo, che non sembrano recedere, bensì estendersi e svilupparsi. È quello che succede, per fare solo un semplice esempio, con il crescente aumento dell’uso e dell’intensità dei condizionatori d’aria: i mercati, cercando un profitto immediato, stimolano ancora di più la domanda. Se qualcuno osservasse dall’esterno la società planetaria, si stupirebbe di fronte a un simile comportamento che a volte sembra suicida.


POZZI ESAURITI, NUOVE GUERRE (57)

È prevedibile che, di fronte all’esaurimento di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni.


ANCHE LE RELIGIONI HANNO DIRITTO DI PAROLA (62)

Perché inserire in questo documento, rivolto a tutti le persone di buona volontà, un capitolo riferito alle convinzioni di fede? Sono consapevole che, nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante, al punto da relegare all’ambito dell’irrazionale la ricchezza che le religioni possono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano. Altre volte si suppone che esse costituiscano una sottocultura che dev’essere semplicemente tollerata. Tuttavia, la scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe.


AMORE PER GLI ANIMALI, MA ANCHE PER L'UOMO (91)

Non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani. È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non gli è gradito.


LIMITI DELLA PROPRIETÀ PRIVATA (93)

Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale, e il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale. La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata.


IL DOMINIO MONDIALE DELLA FINANZA (109)

Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale. In alcuni circoli si sostiene che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui si afferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. Non è una questione di teorie economiche, che forse nessuno oggi osa difendere, bensì del loro insediamento nello sviluppo fattuale dell’economia. Coloro che non lo affermano con le parole lo sostengono con i fatti.


L'ALTERNATIVA CONVIVIALE (112)

La liberazione dal paradigma tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Per esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico… L’autentica umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa.


ANCHE L'EMBRIONE È NATURA DA DIFENDERE (120)

Dal momento che tutto è in relazione, non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto. Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà.


SENZA VERITÀ TUTTO È PERMESSO (123)

La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili. Se non ci sono verità oggettive né princìpi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa logica relativista quella che giustifica l’acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei loro genitori?


LE MACCHINE AL POSTO DELL'UOMO (128)

L’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso.


ZAPPARE NELL'ORTO DI CASA (129)

Vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali.


SÌ E NO ALLE COLTIVAZIONI OGM (133)

È difficile emettere un giudizio generale sullo sviluppo di organismi geneticamente modificati (OGM), vegetali o animali, per fini medici o in agricoltura, dal momento che possono essere molto diversi tra loro e richiedere distinte considerazioni. D’altra parte, i rischi non vanno sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva applicazione. In realtà, le mutazioni genetiche sono state e sono prodotte molte volte dalla natura stessa. Nemmeno quelle provocate dall’essere umano sono un fenomeno moderno. La domesticazione di animali, l’incrocio di specie e altre pratiche antiche e universalmente accettate possono rientrare in queste considerazioni. È opportuno ricordare che l’inizio degli sviluppi scientifici sui cereali transgenici è stato l’osservazione di batteri che naturalmente e spontaneamente producevano una modifica nel genoma di un vegetale. Tuttavia in natura questi processi hanno un ritmo lento, che non è paragonabile alla velocità imposta dai progressi tecnologici attuali.


GLI ECOLOGISTI CHE UCCIDONO GLI EMBRIONI (136)

È preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi princìpi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essere umano va molto oltre il grado del suo sviluppo.


IN DIFESA DEGLI ABORIGENI (146)

È indispensabile prestare speciale attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali… Per loro, infatti, la terra non è un bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la loro identità e i loro valori. Quando rimangono nei loro territori, sono quelli che meglio se ne prendono cura. Tuttavia, in diverse parti del mondo, sono oggetto di pressioni affinché abbandonino le loro terre e le lascino libere per progetti estrattivi, agricoli o di allevamento che non prestano attenzione al degrado della natura e della cultura.


BELLE CASE DIETRO BRUTTE FACCIATE (148)

È ammirevole la creatività e la generosità di persone e gruppi che sono capaci di ribaltare i limiti dell’ambiente, modificando gli effetti avversi dei condizionamenti, e imparando ad orientare la loro esistenza in mezzo al disordine e alla precarietà. Per esempio, in alcuni luoghi, dove le facciate degli edifici sono molto deteriorate, vi sono persone che curano con molta dignità l’interno delle loro abitazioni, o si sentono a loro agio per la cordialità e l’amicizia della gente.


SNELLIRE IL TRAFFICO (153)

La qualità della vita nelle città è legata in larga parte ai trasporti, che sono spesso causa di grandi sofferenze per gli abitanti. Nelle città circolano molte automobili utilizzate da una o due persone, per cui il traffico diventa intenso, si alza il livello d’inquinamento, si consumano enormi quantità di energia non rinnovabile e diventa necessaria la costruzione di più strade e parcheggi, che danneggiano il tessuto urbano. Molti specialisti concordano sulla necessità di dare priorità ai trasporti pubblici. Tuttavia alcune misure necessarie difficilmente saranno accettate in modo pacifico dalla società senza un miglioramento sostanziale di tali trasporti, che in molte città comporta un trattamento indegno delle persone a causa dell’affollamento, della scomodità o della scarsa frequenza dei servizi e dell’insicurezza.


LA DIFFERENZA SESSUALE È LEGGE DELLA NATURA (155)

L’ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura, relazione indispensabile per poter creare un ambiente più dignitoso. Affermava Benedetto XVI che esiste una "ecologia dell’uomo" perché "anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere"… Anche apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di "cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa".


LA CHIESA NON DÀ SOLUZIONI SCIENTIFICHE (188)

Ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. Ancora una volta ribadisco che la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune.


CRISI FINANZIARIA, OCCASIONE PERDUTA (189)

Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo.


BOICOTTATE QUEL PRODOTTO (206)

Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. È ciò che accade quando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione.


RESPIRARE DIO NELLA NATURA (210)

L’educazione ambientale è andata allargando i suoi obiettivi… Ora tende anche a recuperare i diversi livelli dell’equilibrio ecologico: quello interiore con sé stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio. L’educazione ambientale dovrebbe disporci a fare quel salto verso il Mistero, da cui un’etica ecologica trae il suo senso più profondo.


L'ULTIMO CHE ESCE SPENGA LA LUCE (211)

Se una persona, benché le proprie condizioni economiche le permettano di consumare e spendere di più, abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò suppone che abbia acquisito convinzioni e modi di sentire favorevoli alla cura dell’ambiente. È molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane… come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via.


ELOGIO DELLA FAMIGLIA (213)

Desidero sottolineare l’importanza centrale della famiglia, perché è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un’autentica crescita umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita.

Nella famiglia si coltivano le prime abitudini di amore e cura per la vita, come per esempio l’uso corretto delle cose, l’ordine e la pulizia, il rispetto per l’ecosistema locale e la protezione di tutte le creature. La famiglia è il luogo della formazione integrale, dove si dispiegano i diversi aspetti, intimamente relazionati tra loro, della maturazione personale.

Nella famiglia si impara a chiedere permesso senza prepotenza, a dire “grazie” come espressione di sentito apprezzamento per le cose che riceviamo, a dominare l’aggressività o l’avidità, e a chiedere scusa quando facciamo qualcosa di male. Questi piccoli gesti di sincera cortesia aiutano a costruire una cultura della vita condivisa e del rispetto per quanto ci circonda.


CRISTIANI DEVOTI CHE SI FANNO BEFFE DELL'AMBIENTE (217)

Dobbiamo riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversione ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda.


NON MALTRATTARE GLI UCCELLI (221)

Quando leggiamo nel Vangelo che Gesù parla degli uccelli e dice che "nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio» (Lc 12, 6), saremo capaci di maltrattarli e far loro del male? Invito tutti i cristiani a esplicitare questa dimensione della propria conversione, permettendo che la forza e la luce della grazia ricevuta si estendano anche alla relazione con le altre creature e con il mondo che li circonda, e susciti quella sublime fratellanza con tutto il creato che san Francesco d’Assisi visse in maniera così luminosa.


ELOGIO DELLA SOBRIETÀ (222)

È importante accogliere un antico insegnamento, presente in diverse tradizioni religiose, e anche nella Bibbia. Si tratta della convinzione che “meno è di più”. Infatti il costante cumulo di possibilità di consumare distrae il cuore e impedisce di apprezzare ogni cosa e ogni momento. Al contrario, rendersi presenti serenamente davanti ad ogni realtà, per quanto piccola possa essere, ci apre molte più possibilità di comprensione e di realizzazione personale. La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione di piaceri.


PREGARE A TAVOLA (227)

Un’espressione di questo atteggiamento è fermarsi a ringraziare Dio prima e dopo i pasti. Propongo ai credenti che riprendano questa preziosa abitudine e la vivano con profondità. Tale momento della benedizione, anche se molto breve, ci ricorda il nostro dipendere da Dio per la vita, fortifica il nostro senso di gratitudine per i doni della creazione, è riconoscente verso quelli che con il loro lavoro forniscono questi beni, e rafforza la solidarietà con i più bisognosi.


ABBELLIRE UNA FONTANA (232)

Non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla società fiorisce una innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. Per esempio, si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale.


L'ACQUA, L'OLIO, IL FUOCO, I COLORI DEI SACRAMENTI (235)

I Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale. Attraverso il culto siamo invitati ad abbracciare il mondo su un piano diverso. L’acqua, l’olio, il fuoco e i colori sono assunti con tutta la loro forza simbolica e si incorporano nella lode.


QUANDO DIO SI FA MANGIARE (236)

Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione. La grazia, che tende a manifestarsi in modo sensibile, raggiunge un’espressione meravigliosa quando Dio stesso, fatto uomo, arriva a farsi mangiare dalla sua creatura. Il Signore, al culmine del mistero dell’Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. Non dall’alto, ma da dentro, affinché nel nostro stesso mondo potessimo incontrare Lui.


ELOGIO DELLA DOMENICA (237)

La domenica, la partecipazione all’Eucaristia ha un’importanza particolare. Questo giorno, così come il sabato ebraico, si offre quale giorno del risanamento delle relazioni dell’essere umano con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il mondo. La domenica è il giorno della Risurrezione, il “primo giorno” della nuova creazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore, garanzia della trasfigurazione finale di tutta la realtà creata. Inoltre, questo giorno annuncia il riposo eterno dell’uomo in Dio… Il riposo è un ampliamento dello sguardo che permette di tornare a riconoscere i diritti degli altri. Così, il giorno di riposo, il cui centro è l’Eucaristia, diffonde la sua luce sull’intera settimana e ci incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri.


NELL'ATTESA DELLA VITA ETERNA (243 e 244)

La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati.

Nell’attesa, ci uniamo per farci carico di questa casa che ci è stata affidata, sapendo che ciò che di buono vi è in essa verrà assunto nella festa del cielo.

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Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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06/08/2015 16:07
 
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 Durante le numerose apparizioni la Vergine disse a Lourdes alla giovane Bernadette: “Io non vi prometto di rendervi felici in questo mondo, ma nell’altro” ...
Abbiamo intrapreso questo discorso perchè siamo stati interpellati a riguardo di una affermazione - ambigua - nel testo Laudato sì sull'ecologia di Papa Francesco, egli dice:
"Se teniamo conto del fatto che anche l’essere umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto a vivere e ad essere felice..."
ma nei Vangeli non esiste il termine "felici", Gesù usa il termine "beati" e san Paolo "siate lieti" e nell'Antico Testamento il termine compare poche volte tutte associate al rapporto con Dio e nella sua giustizia....

Come leggere dunque le parole del Papa?
ecco il modo corretto:


(cliccare sulle immagini per ingrandirle)

Durante le numerose apparizioni la Vergine disse a Lourdes alla giovane Bernadette: “Io non vi prometto di rendervi felici in questo mondo, ma nell’altro” e svelò a Bernadette, mostrandosi in atteggiamento simile a quello riportato nella Medaglia Miracolosa, di essere “l’Immacolata Concezione”. L’Immacolata propose a Bernadette un cammino di conversione, per giungere alla vera felicità che più conta, lo stesso che invita a percorrere ancora oggi ad ogni pellegrino che raggiunge la grotta di Massabielle. Lourdes è proprio questo, un invito alla conversione, un appello a cambiare la rotta! per raggiungere la vera felicità.

A fare questa "promessa" apparentemente drammatica è la Madre di Dio in persona.

Apparentemente perchè, approfondendo il motivo e la dottrina cattolica, la felicità non è di questo mondo, ma nell'altro e dell'altro, qui in terra assaporiamo, pregustiamo il senso di una felicità soprannaturale che però non è completa ed è soggetta alle nostre debolezze umane, è soggetta al cammino di perfezione intrapreso con il Battesimo e dunque con la conversione, un cammino che terminerà solo con la morte fisica.

Apparentemente "drammatica" perchè è drammatica se si legge la vita da un punto di vista orizzontale, privato della grazia e privato della vera meta che non è la felicità su questa terra ma è il trionfo dell'anima nell'eternità beata in Cristo.

Abbiamo intrapreso questo discorso perchè siamo stati interpellati a riguardo di una affermazione - ambigua - nel testo Laudato sì sull'ecologia di Papa Francesco, egli dice:

"Se teniamo conto del fatto che anche l’essere umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto a vivere e ad essere felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamo tralasciare di considerare gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone..." (n.43).

La frase nel contesto è corretta ma il pensiero scaturito nasconde qualcosa che, se interpretato diversamente e forse dalle stesse intenzioni del Papa, non va nel pensiero cattolico.

Non è vero che abbiamo "il diritto ad essere felici" su questa terra, ci spiace dirlo così schiettamente verso chi - di questa frase - ne ha già fatto uno slogan ed una bandiera, ma non è ignorando la verità che si aiuta le persone. Abbiamo voluto iniziare di proposito con le parole di Maria Santissima, l'Immacolata della quale, ha sottolineato Papa Francesco durante la meditazione svolta - a braccio e in lingua spagnola - nella basilica di San Giovanni in Laterano al raduno mondiale dei sacerdoti: "non è femminismo osservare che Maria è molto più importante degli apostoli"... E' evidente dunque che il Santo Padre intende la felicità descritta nella Scrittura e non quella del mondo, non quella, per esempio, propagandata dalla Teologia della Liberazione nella vecchia e nuova forma (TdL - vedi qui -).

Ma poi basta sfogliare la Sacra Scrittura nella quale il termine felicità compare solo sedici volte e tutte collegate al rapporto con Dio, eccone alcune:

"Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni" (Sal.22,6)

"... perché vediamo la felicità dei tuoi eletti, godiamo della gioia del tuo popolo, ci gloriamo con la tua eredità" (Sal.105,5)

"Un cuore perverso non troverà mai felicità, una lingua tortuosa andrà in malora" (Prov.17,20)

"Perciò approvo l'allegria, perché l'uomo non ha altra felicità, sotto il sole, che mangiare e bere e stare allegro. Sia questa la sua compagnia nelle sue fatiche, durante i giorni di vita che Dio gli concede sotto il sole" (Ecc.8,15)

Ed ecco lo scopo di questa approvazione divina:

"Voi che temete il Signore, sperate i suoi benefici, la felicità eterna e la misericordia" (Sir.2,9)

"Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla" (Gc. 1,25)

"... subendo il castigo come salario dell'iniquità. Essi stimano felicità il piacere d'un giorno; sono tutta sporcizia e vergogna; si dilettano dei loro inganni mentre fan festa con voi.." (2Pt.2,13), e dunque che cosa c'entra il "degrado ambientale" con la felicità riportata nella Scrittura? Forse c'entra assai di più la cultura dello scarto...

 

Il diritto a vivere ci sta tutto, ma il "diritto" ad essere felici no. Dio approva il nostro essere felici perchè la nostra umanità ne ha bisogno, ma questa felicità è collegata a ben altro, non certo al degrado ambientale che ha mille cause, non solo umane. Il punto di osservazione è questo: nel contesto socio-culturale (specialmente oggi) il concetto di felicità ha modificato la sua etimologia e con essa lo scopo.

E' probabile che pochi sanno che l'etimologia di felice deriva da foelix-felix  che  riporta al verbo "feo" - in greco phyo, la stessa matrice di FETO - e che vuol dire "produco", felice ha il senso proprio di FECONDO. La vera felicità produce qualcosa, genera ed è feconda.

Ora, se noi intendiamo nell'etimologia corretta il termine usato dal Pontefice: "diritto a vivere e ad essere felice" produrre, essere fecondi, allora la frase è sensata, corretta e cattolica, ma se al termine di felice si da il nuovo significato corrente, un diritto ad una felicità fine a se stessa, non feconda, allora non ci siamo proprio. Ma noi siamo certi che il Papa intendesse parlare di quella felicità che solo una vita in Cristo può donare.

Un pò come quella pace della quale Gesù dice: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi" (Gv.14,27), la pace che da il mondo è il pacifismo, una corrente ideologica della pace, così come esiste una corrente ideologica  della felicità.

La felicità che Bernadette sognava e desiderava, il cui desiderio è certo che la Madonna conosceva, era quello di avere una vita "normale" e come donna realizzarsi, avere un marito mettendo su famiglia, fare dei figli. L'Immacolata le annuncia che Dio ha altri progetti su di lei e che quella felicità che produce (famiglia e affetti terreni) non è per lei, ma riceverà in cambio una felicità eterna e raddoppiata, una felicità che Bernadette comprende, sfiora col pensiero e il cuore puro, sa di potersi fidare dell'Immacolata e accetta la croce, mette da parte tutti i suoi sogni di felicità terrena e abbraccia la realtà di una felicità eterna. Diritto certo ad essere felici, ma non su questa terra.

Per vie traverse ma sempre riconducibili allo stesso fine, vi invitiamo a leggere anche la provocazione di un testo su papalepapale.com vedi qui.

Una volta Padre Pio stava poco bene e non poté ricevere dei pellegrini di Bari. Questi gli inviarono, attraverso un frate, dei bigliettini con dei messaggi, anzi con delle richieste. Padre Pio li prese, li soppesò tra le due mani, e disse al frate: “Guagliò, questa è tutta gente che vuole fuggire dalla croce, e non si può, non si può”.

Nel gioco dei sinonimi e contrari, felicità e croce sono diventati contrari, gli opposti, mentre per il Vangelo sono sinonimi.

E, a modo suo, il Papa in effetti dirige l'attenzione su quel ben "Altro" che l'uomo sta tentando di eliminare, dice sempre nella Laudato sì: " D’altronde, la gente ormai non sembra credere in un futuro felice, non confida ciecamente in un domani migliore a partire dalle attuali condizioni del mondo e dalle capacità tecniche. Prende coscienza che il progresso della scienza e della tecnica non equivale al progresso dell’umanità e della storia, e intravede che sono altre le strade fondamentali per un futuro felice. (...) Non rassegniamoci a questo e non rinunciamo a farci domande sui fini e sul senso di ogni cosa. Diversamente, legittimeremo soltanto lo stato di fatto e avremo bisogno di più surrogati per sopportare il vuoto..." (n.113).

SURROGATI! e dice bene il Pontefice. Restando alle parole dell'Immacolata a Bernadette Ella non illude la fanciulla, non le promette una felicità terrena che tale non è rispetto ai progetti di Dio infinitamente grandi ed eterni su di lei ma anche su ognuno di noi, credere in un futuro felice SENZA LA CROCE (e dunque senza Dio) è pura utopia, è scegliersi dei surrogati, una felicità placebo, è scegliersi l'inferno.

Santità, ci conceda però un appunto, Ella dice: " la gente ormai non sembra credere in un futuro felice.." ma ci domandiamo quando mai, in passato la gente ha creduto diversamente? Quando mai la stessa Chiesa ha pensato diversamente? e poi in che senso? in cosa consisteva questo "futuro felice"?

La Chiesa predicava la felicità per l'attesa e nell'attesa del ritorno di Cristo, il futuro felice era sinonimo del ritorno di Cristo, diversamente il concetto di futuro felice del mondo nasce dalle rivoluzioni, specialmente quella francese (e prima ancora la rivoluzione protestante, madre di tutte le rivoluzioni) ma contro la Chiesa, ossia il futuro felice sarebbe venuto se e quando l'uomo si fosse liberato della Chiesa e del Cristo. Non essendo riuscite nel loro perverso progetto, queste rivoluzioni, si sono tenute il cristo (minuscolo) spogliato della Sposa, la Chiesa, ed hanno cominciato a disseminarlo nella chiesa stessa da cui è nata la corrente "modernista", la nouvelle theologie, il progressismo cattolico. Da qui l'infestazione della "nuova chiesa, del nuovo popolo di Dio, delle nuove liturgie, nuovi catechismi, nuova immagine di chiesa" e chi più ne ha più ne metta, basta che sappia di "nuovo" e che prospetti un futuro meraviglioso di pace e di felicità, o per dirla con San Paolo: "Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie" (2Tim.4,3).

Perchè progettare o pensare un futuro felice, poi, quando viviamo un presente infelice e da infelici perchè navighiamo contro Dio?

Il futuro lo costruiamo vivendo il presente.

Uno Stato, una Nazione che uccide per legge il proprio presente (l'aborto) quale futuro può mai avere? e di quale felicità parliamo se prima non si ritorna a togliere quella legge vergognosa che lede ogni autentico diritto umano?

Sì, è vero che Lei Santo Padre ha parlato e parla della cultura dello scarto ed ha condannato più volte l'aborto, ma non sarebbe forse stato più necessario unire felicità alla difesa della vita umana fin dal concepimento anzichè unire il termine al concetto di animali in via di estinzione?

 

Da dopo la Rivoluzione Francese (dopo il 1789 i rivoluzionari imposero nelle costituzioni il diritto individuale alla felicità) è dilagata nel mondo la falsa concezione della vita stessa, da lì il primo attacco alla Famiglia, l'attacco a quella vera felicità che non era predicata per come andare in vacanza, in quale spiaggia, in quale discoteca, o sul come trascorrere felici sabati e domeniche, il felice week-end fine-settimana che ha distrutto anche il vero senso della Domenica - giorno del Signore - che segna piuttosto l'inizio o non la fine della settimana... quanti surrogati per suffragare quel senso di inquietudine che deriva, per dirla con sant'Agostino, dal nostro cuore quando non vive con Cristo, in Cristo e per Cristo. La gente non crede in un domani migliore e felice semplicemente perchè ha smesso di credere alla fonte vera ed originale dell'autentica felicità: Dio. Da questo rigetto ha dovuto crearsi dei surrogati, ha dovuto sostituire Dio con altro, fino a diventare dio di se stesso. Ma non essendo l'uomo un dio non produce da se stesso la vera felicità, non produce nulla, può solo produrre desideri i quali, se distolti dalla fonte originale del Bene vero, non possono produrre altro che noia, vuoto, malinconia, disperazione, inquietudine fino all'estremo, fino al suicidio.

In tempi non sospetti, ossia un anno prima della Laudato sì, scriveva Umberto Eco nelle pagine dell'Espresso: "Talora mi viene il sospetto che molti dei problemi che ci affliggono – dico la crisi dei valori, la resa alle seduzioni pubblicitarie, il bisogno di farsi vedere in tv, la perdita della memoria storica e individuale, insomma tutte le cose di cui sovente ci si lamenta in rubriche come questa – siano dovuti alla infelice formulazione della Dichiarazione d’indipendenza americana del 4 luglio1776, in cui, con massonica fiducia nelle magnifiche sorti e progressive, i costituenti avevano stabilito che «a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà, e al perseguimento della felicità»..." (vedi qui), e dice ancora:

"La questione è che la felicità, come pienezza assoluta, vorrei dire ebbrezza, il toccare il cielo con un dito, è situazione molto transitoria, episodica e di breve durata: è la gioia per la nascita di un figlio, per l’amato o l’amata che ci rivela di corrispondere al nostro sentimento, magari l’esaltazione per una vincita al lotto, il raggiungimento di un traguardo (l’Oscar, la coppa, il campionato), persino un momento nel corso di una gita in campagna, ma sono tutti istanti appunto transitori, dopo i quali sopravvengono i momenti di timore e tremore, dolore, angoscia o almeno preoccupazione. Inoltre l’idea di felicità ci fa pensare sempre alla nostra felicità personale, raramente a quella del genere umano, e anzi siamo indotti sovente a preoccuparci pochissimo della felicità degli altri per perseguire la nostra. Persino la felicità amorosa spesso coincide con l’infelicità di un altro respinto, di cui ci preoccupiamo pochissimo, appagandoci della nostra conquista... (...) È che la dichiarazione d’indipendenza avrebbe dovuto dire che a tutti gli uomini è riconosciuto il diritto-dovere di ridurre la quota d’infelicità nel mondo, compresa naturalmente la nostra..."

Questo è realismo.... ridurre la quota d’infelicità nel mondo, e non il diritto alla felicità.

Pochi sanno che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 12 luglio 2012 ha istituzionalizzato il 20 marzo Giornata della felicità. La risoluzione approvata all’unanimità dai 193 stati membri che lo compongono dichiara che ” ..un cambiamento profondo di mentalità è in corso in tutto il mondo. Le persone ora riconoscono che il ‘progresso’ non dovrebbe portare solo crescita economica a tutti i costi, ma anche benessere e felicità“. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ribadisce: ”Felicità è aiutare gli altri, quando con le nostre azioni contribuiamo al bene comune noi stessi ci arricchiamo. E’ la solidarietà che promuove la felicità”.

Qualcuno ha fatto osservare che: “..siamo tutti dietro a curare i sintomi di una malattia chiamata infelicità ..”, un concetto perfettamente incarnato dall’ONU, la nuova religione laicista mondiale che si traduce in quel: siamo praticamente ‘ossessionati’ dalla felicità che per rincorrerla l'ONU stesso impone l'omicidio dei concepiti, l'aborto, impone la distruzione della famiglia e tant'altro di quanto più perverso l'uomo possa maturare pur di creare il surrogato di un paradiso terrestre a misura d'uomo.

 

Nel testo Laudato sì, il termine proprio "felicità" compare per la verità soltanto due volte e in nessuna delle due volte è coinvolto nel vero scopo e fine della felicità e di ciò ci rattristiamo molto: " Per esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico" (n.112), e : "La felicità richiede di saper limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici possibilità che offre la vita" (n.223). Certo, quest'ultima espressione allude a molto di quanto abbiamo detto, ma perchè non dirlo più esplicitamente?

Quanto mai opportuna risuona allora l’esortazione di Gesù, riportata dall’evangelista Marco: “Convertitevi e credete al Vangelo” (cfr Mc 1,15). Il sincero desiderio di Dio ci porta a  rigettare il male e a compiere il bene. Questa conversione del cuore è anzitutto dono gratuito di Dio, che ci ha creati per sé e in Gesù Cristo ci ha redenti: la nostra vera felicità consiste nel rimanere in Lui (cfr Gv 15,3)" (Benedetto XVI Udienza generale 21.02.2007).

E ancora prima di diventare Pontefice, diceva: "...si è rovesciata anche la relazione tra verità e prassi. La prassi diventa il criterio della verità. In questa preminenza della prassi oggi si incontrano sempre più le tendenze più diverse. (...) Giustizia, pace e tutela del creato diventano allora il nucleo vero della professione di fede. Il servizio a questi ideali appare allora come la ragion d’essere comune di tutte le religioni.

In termini propriamente teologici ciò significa che al posto della cristologia e dell’ecclesiologia subentra l’idea del regno di Dio, che, ovviamente, muovendo da un simile punto di partenza, viene designato semplicemente come “il Regno”. Si vuole infatti lasciare aperta la questione di una concezione personale o impersonale dell’idea di Dio...(..) Non c’è bisogno di dire espressamente che io non posso accettare questo "paradigma" come tale..." (card. Joseph Ratzinger (Benedetto XVI) "Vi ho chiamato amici" - vedi qui )

Per concludere

"Pratica e medita le cose che ti ho sempre raccomandato: sono fondamentali per una vita felice. Prima di tutto considera l'essenza del divino materia eterna e felice, come rettamente suggerisce la nozione di divinità che ci è innata. Non attribuire alla divinità niente che sia diverso dal sempre vivente o contrario a tutto ciò che è felice, vedi sempre in essa lo stato eterno congiunto alla felicità" (Epicuro - Lettera sulla felicità).

Certo, siamo stati creati per essere felici, ma il concetto di "diritto" e del diritto alla felicità è altra cosa, non sono la stessa cosa, non è almeno la stessa cosa che intende l'ONU, che intendono le varie costituzioni degli stati, da ciò che intende la Scrittura. Che cosa è dunque questa felicità? "Mi rispose: Il Signore, alla cui presenza io cammino, manderà con te il suo angelo e darà felice esito al tuo viaggio" (Gn.24,40); "Felice l'uomo pietoso che dà in prestito, amministra i suoi beni con giustizia..." (Sal.111,5)

"... ma ancor più felice degli uni e degli altri chi ancora non è e non ha visto le azioni malvagie che si commettono sotto il sole." (Ecc.4,3)

"È preferibile la mestizia al riso, perché sotto un triste aspetto il cuore è felice" (Ecc.7,3)

" I giorni di una vita felice sono contati, ma un buon nome dura sempre." (Sir.41,13); ed è curioso che il termine "felice" non esiste nei vangeli e nel Nuovo Testamento, lo troviamo solo in Efesini cap. 6 quando Paolo al versetto 1-3 cita il quarto comandamento per sottolineare come essere felici: "Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa:  perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra." - o , per essere "felici" troviamo un riferimento riportato da Pietro dall'A.T "Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra da parole d'inganno..." (1Pt.3,10), piuttosto: "Ecco, noi chiamiamo beati quelli che hanno sopportato con pazienza. Avete udito parlare della pazienza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è ricco di misericordia e di compassione..." (Gc.5,11), e San Paolo preferisce usare il termine "lieti": "Siate lieti" questa è la volontà di Dio (Fil. 3,1).

Insomma a quanto pare Gesù non ha mai parlato della felicità quale diritto, mentre ha parlato di come essere felici insegnando le famose Beatitudini(Lc.6,20-26) e questo perchè la felicità di questo mondo passa, mentre la beatitudine - la vera felicità  che abbiamo il dovere di ricercare e perseguire - è eterna ed è quella di cui abbiamo davvero bisogno per vivere una vita autenticamente gioiosa. 

 

Dice infatti Papa Francesco: "Le Beatitudini di Gesù sono portatrici di una novità rivoluzionaria, di un modello di felicità opposto a quello che di solito viene comunicato dai media, dal pensiero dominante. Per la mentalità mondana, è uno scandalo che Dio sia venuto a farsi uno di noi, che sia morto su una croce! Nella logica di questo mondo, coloro che Gesù proclama beati sono considerati “perdenti”, deboli. Sono esaltati invece il successo ad ogni costo, il benessere, l’arroganza del potere, l’affermazione di sé a scapito degli altri. Gesù ci interpella, cari giovani, perché rispondiamo alla sua proposta di vita, perché decidiamo quale strada vogliamo percorrere per arrivare alla vera gioia. "

(Messaggio  per la Giornata Mondiale della Gioventù 2014)

Un Messaggio, quello del Papa ai Giovani e a tutti noi, nel quale il termine felicità è evocato dieci volte perchè è nel cuore delle beatitudini stesse, fino a far ben intendere che cosa è questa felicità, ecco allora come deve essere ben inteso il contenuto nella Laudato sì: " Ma che cosa significa “beati” (in greco makarioi)? Beati vuol dire felici. Ditemi: voi aspirate davvero alla felicità? In un tempo in cui si è attratti da tante parvenze di felicità, si rischia di accontentarsi di poco, di avere un’idea “in piccolo” della vita. Aspirate invece a cose grandi!  (..)  San Giovanni scrivendo ai giovani diceva: «Siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno» (1Gv 2,14). I giovani che scelgono Cristo sono forti, si nutrono della sua Parola e non si “abbuffano” di altre cose! Abbiate il coraggio di andare contro corrente. Abbiate il coraggio della vera felicità! Dite no alla cultura del provvisorio, della superficialità e dello scarto, che non vi ritiene in grado di assumere responsabilità e affrontare le grandi sfide della vita!" (Messaggio  per la Giornata Mondiale della Gioventù 2014)

Pensiamo un momento a quella beatitudine che investì Maria Santissima esplodendo nel canto del Magnificat anima mea (Lc.1,39-55), un canto di ringraziamento e di gioia che Maria pronuncia rispondendo al saluto della cugina Elisabetta, al momento non solo del loro incontro, ma quando Elisabetta soprattutto riconosce in Maria la "Madre del suo Signore", qui viene esaltata la bontà dell'Onnipotente e di come questa disponibilità nell'accettare di condividere il Suo disegno, riempie il cuore e l'anima di vera felicità perché il Signore è fedele alle sue promesse e dona il centuplo.

Piuttosto, nelle Beatitudini descritte da San Luca, leggiamo una serie di vere "minacce" da parte di Gesù, una serie di "GUAI A VOI", un termine desueto di cui oggi ci si vergogna, eppure Gesù lo dice e mette in guardia: " Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti...". Indubbiamente Gesù non ci vuole afflitti e piagnucolosi, ci sta dicendo piuttosto quale è la vera felicità e che, tornando al titolo dell'articolo, in Bernadette troviamo l'esempio più concreto e reale.

E' Dio la felicità dell'uomo, ma non un dio qualunque, non un suo surrogato o la proiezione di una immagine falsata, e di questa felicità certo che ne abbiamo il diritto, ma soprattutto il dovere nel ricercarla, ma non la troveremo nel mondo nè nelle costituzioni degli stati o dell'ONU, men che meno "convertendoci" all'ecologia. Un conto è rispettare l'ambiente e un buon cristiano, un vero cristiano che vive davvero di Cristo non sarà mai uno che devasta l'ambiente, altra cosa  è diventare ecologisti prima ancora di essere diventati cristiani.

Vogliamo concludere con una riflessione di Benedetto XVI:

"... la fede è semplice. Crediamo in Dio – in Dio, principio e fine della vita umana. In quel Dio che entra in relazione con noi esseri umani, che è la nostra origine e il nostro futuro. Così la fede, contemporaneamente, è sempre anche speranza, è la certezza che noi abbiamo un futuro e non cadremo nel vuoto. E la fede è amore, perché l'amore di Dio vuole "contagiarci" (...) Noi crediamo in Dio. Lo affermano le parti principali del Credo e lo sottolinea soprattutto la sua prima parte. Ma ora segue subito la seconda domanda: in quale Dio? Ebbene, crediamo appunto in quel Dio che è Spirito Creatore, Ragione creativa, da cui proviene tutto e da cui proveniamo anche noi.... (..) è importante dire con chiarezza in quale Dio noi crediamo e professare convinti questo volto umano di Dio." (Benedetto XVI - Omelia Spianata dell’Islinger Feld, Regensburg, 12.9.2006)

______

 

Sia lodato Gesù Cristo +

ATTENZIONE: aggiungiamo un P.S. per evitare ulteriori strumentalizzazioni al testo:

l'articolo non è affatto "contro" il Papa, se davvero lo avete letto con onestà, sarà facile  constatarlo. L'articolo usa le parole del Papa per guidare una corretta interpretazione del testo ed anzi difende anche le intenzioni del Papa da eventuali strumentalizzazioni - già in atto - delle sue parole come questa sul diritto ad essere felici. Un termine "diritto alla felicità" inventato dalla massoneria, per questo abbiamo voluto chiarire invece cosa insegna la Scrittura e il magistero stesso a cui il Papa, alla fine invece, si attiene.


 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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EDITORIALE

 




Per la prima Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, papa Francesco chiama ad approfondire la fede in Gesù, ma in questa occasione nel mondo cattolico emerge chiaramente una tendenza a riti e concezioni neo-pagane: dai pellegrinaggi a Parigi per la Conferenza sul clima al culto per la Madre Terra.



di Riccardo Cascioli



Papa Francesco


Una preghiera per la cura del Creato. È quello a cui ci chiama oggi papa Francesco che ha voluto istituire una apposita giornata mondiale. Rifacendosi a quanto scritto nella sua enciclica Laudato Sii,nella lettera di indizione della giornata il Papa richiama a quella che definisce una «conversione ecologica», che comporta «il lasciare emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo» che ci circonda. 

L’interesse per il Creato, in altre parole, è parte di quell’abbraccio positivo a tutta la realtà che nasce dalla fede, dal riconoscere il disegno del Creatore.

Si ripropone con una nuova formulazione ciò che è già patrimonio della Dottrina sociale della Chiesa, e che si sintetizza con una formula: la natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio. Vale a dire che il primato dell’uomo, il nostro primato su tutte le creature è legato al dovere di rendere conto al Signore di come l’abbiamo esercitato. Da qui nasce la responsabilità morale, non dal terrore di catastrofi imminenti.  

Da qui nasce anche la positività dell’intervento sulla natura, atteggiamento opposto a quello di mantenere tutto come è (lasciare ai nostri figli il mondo così come è stato lasciato a noi), tipico di religioni spiritiste.

Pregare per la custodia del Creato, dunque, dovrebbe essere soprattutto la richiesta a Dio di renderci più coscienti della presenza del Creatore. Se i cristiani hanno perso il contatto con il creato e soprattutto un rapporto equilibrato e responsabile con esso, avvertiva già 35 anni fa l’allora arcivescovo di Monaco Joseph Ratzinger, è perché nella Chiesa si è smesso di predicare sulla Creazione. Ben venga dunque questa giornata mondiale di preghiera se è l’occasione di pregare e meditare su Dio Creatore. 

Purtroppo però, si ha l’impressione che l’enciclica, la giornata odierna e altri interventi del Papa, aldilà delle intenzioni, abbiano dato la stura a una sorta di iniziative neopagane, facendo diventare generale ciò che già caratterizzava alcune frange del cattolicesimo, che proprio non riescono a non essere subalterne alla cultura dominante: marxisti anni fa, ecologisti adesso, o magari tutte e due le cose insieme.

Così il nuovo santuario virtuale è diventato la città di Parigi, dove a dicembre è prevista l’ennesima Conferenza intergovernativa sul clima, universalmente giudicata decisiva come lo sono state le 20 precedenti, ovviamente risoltesi con un nulla di fatto. Nei giorni scorsi abbiamo già parlato del “pellegrinaggio ecumenico” organizzato dai vescovi tedeschi appunto alla volta di Parigi. Non sono i soli: l’arcivescovo di Westminster, cardinale Vincent Nichols, pochi giorni fa ha benedetto la partenza dalla cattedrale di Westminster di un altro pellegrinaggio, stavolta in bicicletta, alla volta di Parigi. L’organizzazione è della locale Commissione Giustizia e Pace, e il cardinale ha sottolineato «l’importanza della prossima conferenza sul clima per la custodia della nostra casa comune», riecheggiando così il sottotitolo dell’enciclica.

Sempre pensando alla Conferenza di Parigi, una rete di diciotto organizzazioni cattoliche nel mondo ha lanciato la campagna “digiuna per il clima”, un giorno al mese di digiuno «in segno di solidarietà con le vittime dei cambiamenti climatici». 

Allo stesso tempo Caritas Internationalis e CIDSE (una rete di 17 organizzazioni non governative cattoliche impegnate in progetti di sviluppo) hanno sottoscritto una Dichiarazione solenne delle “Organizzazioni cattoliche che affrontano i cambiamenti climatici”, in cui la parola d’ordine è “giustizia climatica”, qualsiasi cosa essa significhi.

Nelle Filippine poi tutto il mese di settembre è ribattezzato dalla Chiesa locale “Stagione del Creato”, e per l’occasione il cardinale Louis Antonio Tagle lancia la raccolta di firme (obiettivo un milione) per una petizione da consegnare ai capi di Stato e di governo che si riuniranno a Parigi invitandoli a fare di tutto per contenere il riscaldamento globale entro il limite massimo di 1,5°C.

E si potrebbe continuare. A parte il piccolo particolare che nessuno è in grado di regolare la temperatura della Terra, neanche a volerlo, tutto questo attivismo climatico denota un grande cambiamento nell’atteggiamento dei cattolici: ammesso e non concesso che oggi ci si trovi davvero davanti a fenomeni atmosferici estremi senza precedenti, fino a pochi decenni fa parroci e vescovi in situazioni estreme (che evidentemente ci sono sempre state) organizzavano pellegrinaggi, processioni, novene e quant’altro per invocare dal Signore la grazia di una natura maggiormente benigna. Allora c’era la coscienza che il mondo è più grande di noi e che solo Dio è il Signore della natura, come peraltro diversi racconti dei vangeli chiariscono. Si pregava Dio e si cercava nello stesso di costruire realtà e strutture che proteggessero gli uomini dai capricci della natura. 

Oggi invece si considera l’uomo il centro di tutto, distruttore e redentore, e allora si organizzano pellegrinaggi alla sede di incontri giudicati importanti, come nel caso di Parigi. Si fa il cammino e invece di costruire ripari si investono somme ingenti per cambiare il clima. In realtà parlare in questo caso di pellegrinaggio è perfino blasfemo: il pellegrino vuole convertire se stesso, in questo caso si tratta di marce per chiedere la “conversione” dei capi di governo.

Di pari passo, e più in generale, sta entrando nella Chiesa il culto pagano di “Nostra madre terra”, dove la religione cattolica è solo il pretesto per occuparsi dei problemi ambientali del pianeta. Basta dare un’occhiata al padiglione della Santa Sede all’Expo di Milano per rendersene conto. Anche il giornalino lì distribuito (“Noi Expo”, curato dalle redazioni di Avvenire e Famiglia Cristiana) è tutto un inno a “Nostra Madre Terra”, come dice il titolone di Prima pagina. E anche all’interno siamo invitati «a fare pace con madre Terra»: usare meno plastica, carta riciclata, fare la doccia invece del bagno, fare la raccolta differenziata dei rifiuti, spegnere la luce, usare mezzi pubblici di trasporto e via di questo passo. Su questo saremo giudicati.

Ma l’evento più incredibile è la partecipazione nei mesi scorsi di un cardinale a un rito pagano per Madre Terra (clicca qui). È successo in Argentina nel novembre scorso e protagonista è stato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che si trovava lì per l’iniziativa del Cortile dei Gentili. Ebbene un video che gira in rete, ci mostra il cardinale Ravasi che partecipa a un girotondo intorno a un feticcio, è il culto pagano di Pacha mama (Madre Terra). Immagini che lasciano basiti, per non dire altro. Basti ricordare quanti cristiani nei primi secoli preferirono il martirio piuttosto che bruciare incenso in onore dell’imperatore, e quanti ancora oggi donano la loro vita per non rinnegare Cristo. Un cardinale con un importante ruolo in Vaticano invece rende culto a Madre Terra. E la cosa più incredibile è che nessuno a Roma sembra abbia nulla da ridire.

È proprio vero che di una giornata di preghiera c’è proprio bisogno. 

   





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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L'altro Francesco: quello che predica la castità prima del matrimonio

Anche l'enciclica "Laudato si'" è stata letta in forma selettiva, ignorando i passaggi scomodi sulla "salute riproduttiva" e le differenze sessuali. Analisi di un oscuramento che falsifica l'immagine di questo pontificato 

di Sandro Magister




ROMA, 23 giugno 2015 – L'enciclica "Laudato si'" ha avuto su scala planetaria una risonanza enorme ma anche molto selettiva.

La proposta complessiva dell'enciclica è quella di una ecologia "integrale". E infatti nelle sue quasi duecento pagine c'è di tutto, dai massimi destini dell'universo alle piccole cose della vita quotidiana.

Ma proprio questa sua esuberanza enciclopedica, onnicomprensiva più che unitaria, ha indotto molti a pescare dal testo solo ciò che trovano più vicino alle proprie attese.

Un'interessante rivelazione sulla genesi dell'enciclica è stata fatta dal vescovo che ha lavorato più di altri alla sua stesura: Mario Toso, oggi alla guida della diocesi di Faenza, ma fino allo scorso gennaio segretario del pontifico consiglio della giustizia e della pace.

Ha detto in un'intervista al vaticanista svizzero Giuseppe Rusconi:

"L’enciclica, così come ci viene presentata oggi, mostra un volto diverso rispetto a quello della prima bozza, che prevedeva una lunga introduzione di carattere teologico, liturgico e sacramentale, spirituale. Se fosse rimasta l’impostazione iniziale, l’enciclica si sarebbe indirizzata più immediatamente al mondo cattolico. Papa Francesco, invece, ha preferito cambiare tale impostazione, spostando al centro e alla fine la parte teologica, nonché quella relativa alla spiritualità e all’educazione. In tal modo, ha ristrutturato il materiale messogli a disposizione, disponendolo secondo un metodo di analisi e di discernimento, implicante la considerazione della situazione, una sua valutazione e la prefigurazione di indicazioni pratiche di avvio alla soluzione dei problemi. Ha così desiderato coinvolgere il maggior numero di lettori, anche i non credenti, in un ragionamento in larga parte condivisibile da tutti".

Un'altra interessante osservazione è venuta da un economista che ha contribuito alla stesura non di questa enciclica ma della "Caritas in veritate" di Benedetto XVI, l'ex presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi.

In un'intervista a "la Repubblica" e in un commento su "Il Foglio", ha detto che il senso profondo dell'enciclica lo si coglie solo quando a "Laudato si'" si aggiunge "mi' Signore". Perché la causa ultima del comportamento che porta al degrado ambientale "è il peccato, la perdita di Dio", mentre la causa prossima "è il consumismo esagerato indotto per compensare il crollo delle nascite nei paesi occidentali". Di questa causa prossima – ha aggiunto – "nell'enciclica non ho trovato spiegazioni soddisfacenti, probabilmente perché l'ho letta in fretta".

Veramente, a leggere con pazienza la "Laudato si'", un passaggio che coincide con le tesi di Gotti Tedeschi c'è, al paragrafo 50:

"Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di 'salute riproduttiva'… Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi".

Ma questo passaggio è stato trascurato da quasi tutti i media.

E la stessa trascuratezza è caduta sugli altri passaggi dell'enciclica in cui papa Francesco condanna l'aborto, nel paragrafo 120, le sperimentazioni sugli embrioni, nel paragrafo 136, la cancellazione delle differenze sessuali, nel paragrafo 155.

Va detto però che il quasi universale oscuramento di questi passaggi non può essere imputato alla loro poca evidenza nell'insieme sovrabbondante della "Laudato si'".

Perché lo stesso silenzio ha finora punito anche tutte le altre prese di posizione di papa Francesco su questi argomenti.

La riprova è che l'unica grossa polemica di dimensione mondiale recentemente scoppiata su materie del genere ha avuto per oggetto un'affermazione non del papa, ma del suo segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin.

È stata la polemica accesa dal suo lapidario giudizio sulla vittoria del "sì" nel referendum irlandese sul matrimonio omosessuale: "Una sconfitta dell'umanità".

Era martedì 26 maggio e il cardinale Parolin era stato in udienza dal papa la sera prima, quando il risultato del referendum era in testa a tutti i notiziari. Che il giudizio di Parolin fosse lo stesso del papa era al di là di ogni dubbio. "Parola per parola", ha confermato padre Federico Lombardi.

Ma nella narrazione di papa Francesco che continua a dominare nei media, simili giudizi non devono aver posto. Sono tabù. Il marchio indelebile del pontificato deve continuare ad essere: "Chi sono io per giudicare?".

E questo nonostante l'ininterrotto fluire di severi giudizi papali su aborto, divorzio, omosessualità, contraccezione, tutti in perfetta continuità con il precedente magistero della Chiesa.

Forse, ciò che facilita l'oscuramento mediatico di questi giudizi del papa è anche la cura con cui egli evita di far coincidere temporalmente le sue prese di posizione con accadimenti di forte impatto politico, come un referendum o l'approvazione di una legge, oppure di grande mobilitazione sociale, come a Parigi un corteo della "Manif pour tous" o a Roma l'imponente "Family Day" del 20 giugno.

Su accadimenti del genere Francesco tace del tutto o quasi. Per dire a voce alta ciò che gli sta a cuore egli sceglie altri momenti, più distanziati dalla pressione dei fatti.

E infatti sul referendum dell'Irlanda, come s'è visto, a parlare non è stato lui ma il suo segretario di Stato, contro il quale – e non contro il papa – si sono poi concentrate le critiche.

Questo sito ha già pubblicato due raccolte di tutti gli interventi di papa Francesco su aborto, divorzio, contraccezione, omosessualità, dalla fine di ottobre del 2014 – cioè dalla fine della prima sessione del sinodo sulla famiglia – all'11 maggio di quest'anno. Ed erano in tutto 39 interventi:

> Diario Vaticano / Il passo doppio del papa argentino (17.3.2015)

> La porta chiusa di papa Francesco
 (11.5.2015)


Ed ecco qui il seguito, dalla metà di maggio fino al viaggio di due giorni fa a Torino, dove il papa ha esortato i giovani alla castità prima del matrimonio.

E sono altri 14 interventi, che diventano 15 con l'enciclica.

Un'ultima notazione. Da dopo il sinodo dello scorso ottobre Francesco non ha più detto una sola parola, su questi temi, a sostegno dei cambiamenti di dottrina e di prassi propugnati dai novatori.

__________



PAPA FRANCESCO SU ABORTO, DIVORZIO, CASTITÀ, CONTRACCEZIONE, OMOSESSUALITÀ

Tutti i suoi interventi dalla metà di maggio a oggi



1. Dal discorso del 15 maggio 2015 ai vescovi della Repubblica Centroafricana:

Non posso non incoraggiarvi a prestare alla pastorale del matrimonio tutta l’attenzione che merita, e a non scoraggiarvi di fronte alle resistenze provocate dalle tradizioni culturali, dalla debolezza umana o dalle colonizzazioni ideologiche nuove che si stanno diffondendo ovunque. Vi ringrazio anche per la vostra partecipazione ai lavori del Sinodo che si terrà a Roma a ottobre prossimo.

> Testo integrale

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2. Dall'udienza generale di mercoledì 20 maggio 2015:

Si sono moltiplicati i cosiddetti “esperti”, che hanno occupato il ruolo dei genitori anche negli aspetti più intimi dell’educazione. Sulla vita affettiva, sulla personalità e lo sviluppo, sui diritti e sui doveri, gli “esperti” sanno tutto: obiettivi, motivazioni, tecniche. E i genitori devono solo ascoltare, imparare e adeguarsi. Privati del loro ruolo… tendono ad affidarli sempre più agli “esperti”, anche per gli aspetti più delicati e personali della loro vita, mettendosi nell’angolo da soli; e così i genitori oggi corrono il rischio di autoescludersi dalla vita dei loro figli. E questo è gravissimo!

> Testo integrale

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3. Dall'intervista del 24 maggio 2015 al giornale argentino "La Voz del Pueblo":

Dico sempre: "Mai dare una sberla in faccia a un bambino, perché la faccia è sacra, però due o tre scapaccioni sul sedere non vanno male". Una volta dissi questo in un'udienza e alcuni paesi mi criticarono. Sono paesi che hanno leggi di protezione del minore molto strette… per cui il papa non può dire tali cose. Però curiosamente questi paesi, che pur sanzionano il padre o la madre che picchiano i minori, hanno leggi che permettono di uccidere i bambini prima che nascano. Queste sono le contraddizioni che viviamo oggi.

> Testo integrale

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4. Dall'udienza generale di mercoledì 27 maggio:

La Chiesa, nella sua saggezza, custodisce la distinzione tra l’essere fidanzati e l’essere sposi – non è lo stesso – proprio in vista della delicatezza e della profondità di questa verifica. Stiamo attenti a non disprezzare a cuor leggero questo saggio insegnamento, che si nutre anche dell’esperienza dell’amore coniugale felicemente vissuto. I simboli forti del corpo detengono le chiavi dell’anima: non possiamo trattare i legami della carne con leggerezza, senza aprire qualche durevole ferita nello spirito… Dovremo forse impegnarci di più su questo punto, perché le nostre “coordinate sentimentali” sono andate un po’ in confusione. Chi pretende di volere tutto e subito, poi cede anche su tutto – e subito – alla prima difficoltà o alla prima occasione.

> Testo integrale

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5. Dal discorso del 28 maggio 2015 ai vescovi della Repubblica Dominicana:

Il matrimonio e la famiglia attraversano una seria crisi culturale. Ciò non vuol dire che hanno perso importanza, ma che il loro bisogno si sente di più… Continuiamo a presentare la bellezza del matrimonio cristiano: “sposarsi nel Signore” è un atto di fede e di amore, nel quale gli sposi, mediante il loro libero consenso, diventano trasmettitori della benedizione e della grazia di Dio per la Chiesa e la società.

> Testo integrale

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6. Dall'incontro del 29 maggio 2015 con alcuni bambini malati e i loro genitori:

Ho tanta ammirazione per la vostra fortezza, per il vostro coraggio. Tu hai detto che ti hanno consigliato l’aborto. Hai detto: “No, che venga, ha diritto a vivere”. Mai, mai si risolve un problema facendo fuori una persona. Mai. Questo è il regolamento dei mafiosi: “C’è un problema, facciamo fuori questo…”. Mai.

> Testo integrale

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7. Dal discorso del 30 maggio 2015 all'associazione "Scienza e Vita":

Il grado di progresso di una civiltà si misura proprio dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili, più che dalla diffusione di strumenti tecnologici. Quando parliamo dell’uomo, non dimentichiamo mai tutti gli attentati alla sacralità della vita umana. È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia.

> Testo integrale

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8. Dall'udienza generale di mercoledì 3 giugno 2015:

È quasi un miracolo che, anche nella povertà, la famiglia continui a formarsi, e persino a conservare – come può – la speciale umanità dei suoi legami. Il fatto irrita quei pianificatori del benessere che considerano gli affetti, la generazione, i legami famigliari, come una variabile secondaria della qualità della vita. Non capiscono niente! Invece, noi dovremmo inginocchiarci davanti a queste famiglie, che sono una vera scuola di umanità che salva le società dalla barbarie… A questi fattori materiali si aggiunge il danno causato alla famiglia da pseudo-modelli, diffusi dai mass-media basati sul consumismo e il culto dell’apparire, che influenzano i ceti sociali più poveri e incrementano la disgregazione dei legami familiari.

> Testo integrale


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9. Dal comunicato dell'udienza del 5 giugno 2015 alla presidente del Cile Michelle Bachelet:

Nel corso dei cordiali colloqui… sono stati affrontati temi di comune interesse, come la salvaguardia della vita umana, l’educazione e la pace sociale. In tale contesto, si è ribadito il ruolo e il contributo positivo delle istituzioni cattoliche nella società cilena.

> Testo integrale


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10. Dal discorso dell'8 giugno ai vescovi di Porto Rico:

La complementarità tra l’uomo e la donna, vertice della creazione divina, è oggi messa in discussione dalla cosiddetta ideologia di genere, in nome di una società più libera e più giusta. Le differenze tra uomo e donna non sono per la contrapposizione o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre a “immagine e somiglianza” di Dio. Senza la reciproca dedizione, nessuno dei due può comprendere nemmeno se stesso in profondità.

> Testo integrale

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11. Dal discorso dell'11 giugno 2015 ai vescovi di Lettonia ed Estonia:

Oggi il matrimonio è spesso considerato una forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno. Purtroppo tale concezione riduttiva influisce anche sulla mentalità dei cristiani, causando una facilità nel ricorrere al divorzio o alla separazione di fatto. Noi Pastori siamo chiamati a interrogarci sulla preparazione al matrimonio dei giovani fidanzati e anche su come assistere quanti vivono queste situazioni, affinché i figli non ne diventino le prime vittime e i coniugi non si sentano esclusi dalla misericordia di Dio e dalla sollecitudine della Chiesa, ma siano aiutati nel cammino della fede e dell’educazione cristiana dei figli.

> Testo integrale

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12. Dal discorso del 13 giugno 2015 al consiglio superiore della magistratura italiana:

La stessa globalizzazione – come è stato opportunamente richiamato – porta infatti con sé anche aspetti di possibile confusione e disorientamento, come quando diventa veicolo per introdurre usanze, concezioni, persino norme, estranee ad un tessuto sociale con conseguente deterioramento delle radici culturali di realtà che vanno invece rispettate; e ciò per effetto di tendenze appartenenti ad altre culture, economicamente sviluppate ma eticamente indebolite. Tante volte io ho parlato delle colonizzazioni ideologiche quando mi riferisco a questo problema.

> Testo integrale

*

13. Dal discorso del 14 giugno 2015 alla diocesi di Roma:

I nostri ragazzi, i ragazzini, che incominciano a sentire queste idee strane, queste colonizzazioni ideologiche che avvelenano l’anima e la famiglia: si deve agire contro questo. Mi diceva, due settimane fa, una persona, un uomo molto cattolico, bravo, giovane, che i suoi ragazzini andavano in prima e seconda elementare e che la sera, lui e sua moglie tante volte dovevano “ri-catechizzare” i bambini, i ragazzi, per quello che riportavano da alcuni professori della scuola o per quello che dicevano i libri che davano lì. Queste colonizzazioni ideologiche, che fanno tanto male e distruggono una società, un Paese, una famiglia. E per questo abbiamo bisogno di una vera e propria rinascita morale e spirituale. A ottobre celebreremo un Sinodo sulla famiglia, per aiutare le famiglie a riscoprire la bellezza della loro vocazione e a esserle fedeli.

> Testo integrale

*

14. Dall'enciclica "Laudato si'" resa pubblica il 18 giugno 2015:

Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non mancano pressioni internazionali sui Paesi in via di sviluppo che condizionano gli aiuti economici a determinate politiche di “salute riproduttiva”… Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. (50)

Dal momento che tutto è in relazione, non è neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto. Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà. (120)

Non è la stessa logica relativista quella che giustifica l’acquisto di organi dei poveri allo scopo di venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché non rispondono al desiderio dei loro genitori? (123)

È preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi princìpi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essere umano va molto oltre il grado del suo sviluppo. (136)

Apprezzare il proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un atteggiamento che pretenda di "cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa". (155)

Desidero sottolineare l’importanza centrale della famiglia, perché è il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un’autentica crescita umana. Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita. (213)

> Testo integrale

*

15. Dall'incontro del 21 giugno 2015 con i giovani a Torino:

Anche il papa alcune volte deve rischiare sulle cose per dire la verità. L’amore è nelle opere, nel comunicare, ma l’amore è molto rispettoso delle persone, non usa le persone e cioè l’amore è casto. E a voi giovani in questo mondo, in questo mondo edonista, in questo mondo dove soltanto ha pubblicità il piacere, passarsela bene, fare la bella vita, io vi dico: siate casti, siate casti.

Tutti noi nella vita siamo passati per momenti in cui questa virtù è molto difficile, ma è proprio la via di un amore genuino, di un amore che sa dare la vita, che non cerca di usare l’altro per il proprio piacere. È un amore che considera sacra la vita dell’altra persona: io ti rispetto, io non voglio usarti. Non è facile. Tutti sappiamo le difficoltà per superare questa concezione “facilista” ed edonista dell’amore. Perdonatemi se dico una cosa che voi non vi aspettavate, ma vi chiedo: fate lo sforzo di vivere l’amore castamente…

Stiamo vivendo nella cultura dello scarto. Perché quello che non è di utilità economica, si scarta. Si scartano i bambini, perché non si fanno, o perché si uccidono prima che nascano; si scartano gli anziani, perché non servono e si lasciano lì, a morire, una sorta di eutanasia nascosta.

> Testo integrale

__________


Il commento all'enciclica del vescovo Mario Toso, già segretario del pontificio consiglio della giustizia e della pace:

> "Laudato si'": alcune considerazioni di monsignor Mario Toso

I giudizi di Russell R. Reno, teologo e direttore di "First Things", vicini a quelli sopra citati dell'economista Ettore Gotti Tedeschi:

> The return of Catholic Anti-Modernism

E il precedente saggio di Ross Douthat su "The Atlantic", a proposito di una complessiva valutazione del pontificato di Francesco:

> Will Pope Francis Break the Church?

__________


Il silenzio calato dai media sulle prese di posizione di papa Francesco in materie come l'aborto, il divorzio, la contraccezione, l'omosessualità, cala anche sui vescovi o i cardinali che ne ripetono e ne rilanciano le parole.

È ciò che è capitato, ad esempio, al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della conferenza episcopale italiana.

Lo scorso 19 maggio, nel discorso con cui ha aperto l'ultima assemblea generale della CEI, Bagnasco si è scagliato contro l'ideologia del "gender" e le unioni omosessuali con parole tutte letteralmente ricopiate dal papa:

> Prolusione del cardinale presidente

Ma l'indomani, sui grandi quotidiani nazionali, è stato ripagato con la stessa moneta. Col silenzio.

 



__________
23.6.2015






Fraternamente CaterinaLD

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02 laudato si 1

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LAUDATO SI’, UNO SCIENZIATO SCRIVE A PAPA FRANCESCO


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Questa è la lettera che lo scienziato Franco Battaglia ha inviato al Papa dopo averne letto l’enciclica “ambientalista”. Naturalmente, nessuna risposta.

 

Modena, 25-10-2015

Santissimo Padre,

sono un cristiano, nel senso che credo che Gesù Cristo sia stato Dio fatto uomo. E qui finisce la mia fede, cioè quanto basta per essere io, e non solo per questo, un peccatore. Tanto peccatore che, avendo letto la Sua ultima Lettera Enciclica, mi sono fatto la convinzione che in qualche passaggio essa non sia stata ispirata dal Suo naturale ispiratore. Non sarebbe la prima volta che succede ad un Papa: chi ispirò Urbano VIII a costringere Galileo all’atto di abiura? Non certo Dio Onnisciente.

Lei, Santo Padre, s’appella al consenso scientifico per puntare l’indice contro il «preoccupante riscaldamento climatico… la maggior parte del quale… è dovuto alle attività umane». E sul problema si dilunga con argomentazioni ­ – come, per esempio, quella del «preoccupante innalzamento dei mari» – che tutti noi leggiamo da alcuni decenni nei più approssimativi documenti di associazioni ideologicamente precostituite. Temo, allora, che il diavolo si sia insinuato nei cuori di coloro che L’hanno consigliata.

Innanzitutto, mai ci si può appellare al consenso scientifico per sostenere l’attendibilità di qualsivoglia affermazione. Anzi, a dire il vero, è contro il consenso che la scienza fa progressi, ma questa è un’altra storia. Al consenso s’appellò Urbano VIII. E Galileo non della Chiesa, ma dei suoi stessi colleghi e del consenso cosiddetto scientifico fu vera vittima. Bisogna appellarsi, invece, ai fatti. E i fatti, inconfutabili, sono quelli che seguono.

Il pianeta vive da milioni d’anni in una sorta di perenne stato glaciale, interrotto, ogni centomila anni, da diecimila anni di, detta in gergo, optimum climatico. Orbene, questa nostra umanità sta vivendo nell’ultimo di questi favorevoli periodi. Ed è da ventimila anni, cioè da quando il pianeta cominciò a uscire dall’ultima era glaciale, che i livelli dei mari si sono elevati: di oltre cento metri rispetto ad allora. Né l’attuale optimum climatico ha raggiunto ancora i massimi di temperatura che si raggiunsero, in assenza di attività umane, negli optimum climatici precedenti. (Figura 1).

Figura 1
Figura 1

Una volta usciti da un’era glaciale, il clima del pianeta non resta immobile in un ideale plateau termico (Figura 2).

Figura 2
Figura 2

Per esempio, durante l’ultimo optimum climatico, vi sono stati periodi caldi (olocenico, romano e medievale), intervallati da cosiddette piccole ere glaciali, l’ultima delle quali durò qualche secolo ed ebbe il suo minimo 400 anni fa, quando il clima riprese a riscaldarsi, e sta continuando a farlo fino ad oggi. Ma 400 anni fa, quando cominciò il processo, le additate attività umane erano assenti, e assenti rimasero per almeno tre secoli. (Figura 3).

Figura 3
Figura 3

È stato, l’ultimo scorso, un secolo di monotòno crescente riscaldamento, corrispondente all’inconfutabile monotòna, crescente immissione di gas–serra? La risposta è no. (Figura 4).

Figura 4
Figura 4

Nel periodo 1945-1970, in pieno boom di emissioni, il clima visse un periodo d’arresto, ed è da almeno 14 anni che sta accadendo la stessa cosa: a dispetto di una crescita senza sosta delle emissioni d’anidride carbonica, la temperatura media del pianeta è al momento stabilizzata ai livelli di 14 anni fa. (Figura 5).

Figura 5
Figura 5

Però, come dicevo, credo che a volte non sia stato lo Spirito Santo la Sua guida. Giacché Ella ha avanzato una terribile proposta che, se attuata, condannerebbe i poveri del mondo, e per sempre, alla povertà. Parlo, beninteso, della povertà materiale e non di quella, ben più devastante, dell’anima, a cui Ella solo può dare sollievo.

I poveri del mondo sono poveri perché non hanno a disposizione l’energia sufficiente per produrre beni che allievino la condizione di quasi schiavitù che sono costretti a vivere per il proprio sostentamento. Proporre, come Ella ha proposto, che i Paesi ricchi del mondo (che comprendono la minoranza della popolazione) costruiscano in quelli poveri (che comprendono la maggioranza della popolazione) gli impianti cosiddetti alternativi di produzione energetica, significa, di fatto, negare ai poveri l’unico bene – l’energia abbondante e a buon mercato – che solleverebbe la misera condizione in cui essi vivono.

Quegli impianti “alternativi”, infatti, non funzionano (è un fatto tecnico). S’immagini, per un attimo, che con un miracolo sparissero in un istante tutti gli impianti nucleari, a carbone e a gas dell’Europa e, sempre con lo stesso miracolo, fossero sostituiti da impianti eolici e fotovoltaici di pari potenza a quelli spariti. Sa cosa accadrebbe? Forse Ella non lo sa perché il Suo consigliere non lo ha detto: si fermerebbero sì, i Suoi odiati climatizzatori (che pur tanto sollievo portano alle sofferenze dal caldo e dall’umidità), ma anche i frigoriferi e gli impianti degli ospedali, si fermerebbero le fabbriche e si spegnerebbero tutte le luci. Per farla breve: si smetterebbe di essere Paesi ricchi.

Qua e là nella Sua lettera Ella punta il dito contro l’abuso della tecnologia e la fede cieca nella scienza. Sante parole. Ma allo stesso tempo Ella chiede alla scienza e alla tecnologia cose che esse non possono dare, né – allo stato attuale delle conoscenze – è pensabile che possano mai dare, a meno di una qualche imprevedibile rivoluzione; e che, in quanto imprevedibile, non potremmo neanche formulare.

Proporre che i Paesi poveri usino solo quegli impianti per il proprio fabbisogno energetico, significa negare loro l’energia, cioè significa condannarli alla povertà. Proporre, poi, che siano i Paesi ricchi a sostenere l’enorme, quanto inutile, sacrificio economico, significa impoverire le popolazioni di questi Paesi a vantaggio di quella ristretta minoranza che, unica, si avvantaggerebbe del miserabile affare. La ristretta minoranza che ha assunto le forme del diavolo che, temo, s’è insinuato nei cuori dei Suoi consiglieri, Santissimo Padre.

Con ciò mi congedo, e chiedo a Dio misericordioso di perdonare questo mio ardire.

Francesco Battaglia

Professore di Chimica Fisica dell’Università di Modena

P.S.: Il consenso “scientifico” che si aveva nel 1995 sulla evoluzione delle temperature globali è stato sconfessato dai fatti (Figura 6).

Figura 6
Figura 6

Fonte: maurizioblondet.it




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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  SU POVERTÀ E CLIMA IL PAPA SBAGLIA. PAROLA DI GESUITA.

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Il gesuita americano James V. Schall ci spiega che per combattere la povertà è più utile il capitalismo che il socialismo.

di Matteo Matzuzzi

Dire che il capitalismo è la causa della povertà non ha senso. Il fatto è che «la maggior parte degli americani è colpita dall’uso equivoco che fa il Santo Padre del termine “capitalismo”, descritto come qualcosa di cui sappiamo poco».

Come viene troppo equivocato, del resto, il significato di ineguaglianza e iniquità: «Quando Dio ha creato la gerarchia degli angeli, ha creato ciascuno di essi in modo diverso. Ancora, non direi che sia un’ingiustizia il fatto che una mucca non sia un cavallo o un angelo. Tutto questo è in Tommaso d’Aquino. Se ogni cosa è uguale, non si può trovare alcuna distinzione nelle cose».

James V. Schall S.J.
James V. Schall S.J.

James Schall, padre gesuita e fino a pochi anni fa titolare della cattedra di Filosofia politica alla Georgetown University di Washington, decine di saggi pubblicati (l’ultima fatica è “On Christians & Poverty”, 2015), discute con il Foglio di alcuni aspetti cardine del viaggio papale negli Stati Uniti, a cominciare dalla povertà. Francesco, al Congresso, ha incoraggiato rappresentanti e senatori a «non dimenticare tutte quelle persone intrappolate nel cerchio della povertà». Ha chiesto di dar loro speranza e ha auspicato che «la lotta contro la povertà e la fame» sia «combattuta su molti fronti».

Per prima cosa, spiega Schall, «se non tutti sono poveri il merito è proprio del capitalismo, inteso come innovazione, crescita, profitto, distribuzione e produttività». Il dato inconfutabile «è che la percentuale dei poveri nel mondo è in costante calo, e questo è un aspetto che viene troppo poco riconosciuto e spiegato». E ciò che impedisce a quella parte di popolazione che ancora vive nell’indigenza di sollevarsi, «non è di certo il capitalismo, bensì certe idee politiche o religiose unite a qualche fenomeno corruttivo. Si tratta di forze che lavorano in senso contrario alla riduzione della povertà». La causa, dice l’interlocutore, va cercata nelle politiche attuate dai governi degli stati moderni, in particolare quelli che adottano «certe varianti tipiche di un socialismo più o meno aperto. E il pensiero sociale cattolico raramente ha riconosciuto che i governi stessi, con la loro avidità, sono i primi ostacoli nell’aiuto dei poveri».

Padre Schall fa un esempio chiarificatore: «Le idee economiche latinoamericane spesso sembrano un’eredità del mercantilismo coloniale più che espressione di un capitalismo monopolista di stato». Dopotutto, «il libro più famoso nella storia dell’economia ha come titolo La ricchezza delle nazioni, non La povertà delle nazioni. In principio, tutti erano poveri. Ma il problema non è spiegare perché il povero fosse povero, bensì perché qualcuno non lo fosse».

Schall recupera sant’Agostino quando sosteneva che «sia il ricco sia il povero possono essere peccatori o virtuosi. Il ricco, insomma, non deve diventare povero per essere virtuoso, tantomeno il povero deve diventare ricco. Anche Aristotele ci viene in soccorso, dal momento che a suo giudizio la maggior parte delle persone necessita di una quantità sufficiente di beni per essere virtuosa. Ed è proprio questo ciò che la vera crescita economica cerca di realizzare. Il Papa stesso parla dei suoi amici ricchi come di uomini buoni e generosi».

«Quasi tutti riconoscono che l’avidità è un vizio, anche se probabilmente non così distruttivo quanto lo è l’invidia a lungo andare», chiosa l’interlocutore. È una sorta di rovesciamento degli schemi: «Sempre Aristotele ha chiarito che un uomo ricco non è necessariamente ingiusto perché è ricco e l’uomo povero non è virtuoso solo per il fatto di essere povero. Ognuno può salvare la sua anima nella condizione in cui si trova».

Per non distanziarsi troppo dalla realtà cristiana, padre Schall cita la Bibbia: «Quando sfogliamo quelle pagine, dovremmo chiederci in che modo i ricchi abbiano acquisito le loro ricchezze. Sappiamo da dove sono venuti i poveri, mentre i ricchi non hanno di certo solo rubato. Le loro ricchezze derivavano solo dallo sfruttamento? Ma la parabola dei talenti ci dice altro. L’uomo che ha dieci talenti, in conseguenza del suo investimento, ne ottiene altri dieci, venendo per questo lodato. L’uomo che non fa nulla viene invece castigato. Ecco, si può sostenere che il capitalismo è un sistema che universalizza questi princìpi basilari».

L’importante è non fare delle Sacre Scritture una sorta di “manuale di economia”: «Dio non ha rivelato a noi tutto ciò che serve per prosperare, ma solo un paio di cose che in effetti non siamo riusciti a comprendere da soli. Ci ha dato cervello, mani e tempo, lasciandoci la responsabilità di capire come avremmo potuto provvedere a noi stessi». E l’umanità lo ha capito, almeno in parte: «La scoperta di come superare il problema della povertà a livello mondiale è recente, come recente però è anche la scoperta dei metodi per controllare la vita umana». Le due cose stanno assieme, spiega Schall: «La maggior parte dei movimenti totalitari si erano presentati, e si presentano ancora, come sistemi finalizzati all’aiuto dei poveri, che nella realtà diventano oggetto di manipolazione ideologica e di auto-giustificazione. Poveri e ricchi hanno bisogno l’uno dell’altro, e ciò di cui tutti hanno bisogno è la crescita».

Il decano di Filosofia politica alla Georgetown sostiene che i poveri dovrebbero da soli uscire dalla loro condizione, senza troppi contributi esterni e nega che si tratti di qualcosa di rivoluzionario:

«È semplicemente un altro modo di affermare il principio di sussidiarietà. Innanzitutto, noi vogliamo che le persone non siano povere. Poi vogliamo che questi individui trovino la loro strada nel mondo. Spesso i poveri non sanno come fare per non essere poveri, ma il problema è che più spesso non lo sanno neppure i loro governi. Per uscire dalla loro condizione, allora, non possono fare altro che imparare da quelli che hanno già capito come non essere più poveri.
Bisogna dare un incentivo. Direi che la differenza tra nazioni “di successo” e nazioni “di insuccesso” sul terreno della riduzione della povertà si misura dal grado in cui esse hanno imparato come la libertà, la proprietà, il mercato, l’impresa, lo stato di diritto e la virtù possono andare di pari passo».

D’altronde, aggiunge, «la gran parte degli uomini e delle donne desidera non essere povera. Si tratta allora di imparare a percorrere le strade per trovare la ricchezza. Lo si può fare con l’istruzione, l’esempio e anche con la competizione presente nei meccanismi del mercato». Insomma, «chi ha bisogno di aiuto dovrebbe essere aiutato da chi sa aiutare. Il punto cardine del libero mercato sta proprio nel consentire ai poveri di uscire dallo stato di povertà grazie alle loro proprie forze».

A volte, sulla percezione equivoca del capitalismo di cui parlava l’interlocutore, può giocare anche una certa “narrativa apocalittica” propria del Papa?
Dipende. «Se si parla di “narrativa apocalittica” riguardo l’ecologia, si può dire che il Santo Padre la usa per parlare dei disastri causati dal riscaldamento della Terra. Io però ho il sospetto – sottolinea padre Schall – che, di fatto, queste tesi siano fondate su basi scientifiche e pratiche assai controverse. I discorsi sulle ricorrenti ere glaciali e sulle epoche temperate sembrano essere vecchi quasi quanto vecchia è la Terra stessa. A mio giudizio, la percentuale di ogni problema ambientale provocato dall’attività umana è relativamente modesta, ed è possibile affrontare le emergenze grazie alla nostra conoscenza e tecnologia. Un po’ di riscaldamento, poi, sembra essere addirittura benefico».

Se invece si parla di «narrativa apocalittica secondo quanto scriveva Robert Hugh Benson nel Padrone del Mondo, riferimento spesso citato da Francesco, in cui è rappresentata la fine dei tempi, mi viene da usare le parole di san Paolo: “Non conosciamo né il giorno né l’ora”. Oggi – prosegue – siamo riusciti a ribaltare gran parte dei princìpi fondamentali della legge naturale nelle nostre politiche pubbliche, al punto che lo stato moderno e la cultura spesso si distinguono solo per essere in contrasto con ciò che l’insegnamento classico ha indicato. Penso sia dovere del Papa ammonire un mondo che si sta formando contro l’espiclito insegnamento della ragione e del Vangelo».






CLIMA
 

Il summit mondiale del clima si conclude oggi. La bozza di accordo divulgata ieri rivela che è stato raggiunto un compromesso al ribasso. E' una concessione strappata da Cina e India all'alba del loro sviluppo industriale.
Ai paesi "poveri" sono comunque accordati 100 miliardi di dollari all'anno: perché evitino di crescere troppo.

di Stefano Magni
COP21


Parigi, la COP21, il summit mondiale sul cambiamento climatico, 195 paesi presenti, si conclude oggi con un accordo di compromesso al ribasso. Si doveva stabilire come frenare il processo previsto di riscaldamento globale, quanto ridurre le emissioni di Co2 e in quanto tempo, per impedire la crescita della temperatura sopra i 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali (dando per scontato che le emissioni antropiche siano causa fondamentale del riscaldamento). Alla fine, escono più soddisfatte le nazioni in via di sviluppo più scettiche riguardo all’accordo, come Cina e India. Mentre associazioni ambientaliste occidentali, come Greenpeace, esprimono il loro disappunto con manifestazioni ad alto impatto scenico: un commando di militanti ha scalato l’Arco di Trionfo appendendovi striscioni, mentre altri militanti tingevano di giallo la rotonda e le strade radianti, ottenendo l’effetto di un gigantesco sole. E’ il loro modo di richiedere più investimenti nelle energie rinnovabili.

Sono molti gli obiettivi che sono già saltati nella prima bozza di accordo pubblicata ieri sera (il testo definitivo sarà divulgato solo oggi): si rinuncia al contenimento a 1,5 gradi centigradi dell’aumento della temperatura entro il 2050 (sostituito da un più vago “ben al di sotto dei 2 gradi centigradi”), si omette l’obiettivo della “de-carbonizzazione”, sostituito dal più vago riferimento alla “neutralità delle emissioni”. Infine, ma non da ultimo, non viene fissato alcun obiettivo in percentuale della riduzione delle emissioni entro il 2050 (rispetto al 2010) e non viene fissato neppure alcun termine temporale chiaro entro cui si deve raggiungere il picco delle emissioni. Massimo Caminiti, esperto dell’Enea nella delegazione italiana alla Cop21, ai microfoni diRaiNews24 ci aiuta a comprendere questo linguaggio oscuro, spiegando che: “Sicuramente questa bozza è meno ambiziosa della precedente soprattutto in riferimento alla parte relativa alle emissioni di Co2. Mentre in quella di prima c'era il riferimento a un obiettivo quantificato di riduzione, cioè del 40-90% al 2050 rispetto al 2010, nell'ultimo testo questo riferimento non c'è più. L'altro aspetto - dice Caminiti - è la neutralità carbonica che è diversa dall'obiettivo di emissioni zero dopo il 2050. Neutralità delle emissioni non necessariamente vuol dire ridurre le emissioni, perché si potrebbe emettere da una parte e ridurre e compensare da un'altra".

Quest’ultimo punto, in particolar modo, è una concessione a Cina e India che contano ancora molto sul carbone per il loro sviluppo industriale. Sono rispettivamente il primo e il terzo paese in fatto di inquinamento ed emissione di gas serra, ma non hanno intenzione di imporsi sacrifici sull’altare del clima. Non si tratta di disprezzo dell’umanità, ma semmai di un conto razionale di costi e benefici. Le popolazioni dei due giganti asiatici stanno uscendo solo negli ultimi tre decenni da una condizione di povertà assoluta. Prendiamo la Cina, ad esempio: registrava un tasso di povertà assoluta dell’80% nel 1981 (cioè: 8 cittadini su 10 vivevano al di sotto della soglia di sussistenza) mentre ora è poco meno del 10%. In India la situazione è ancor più in via di sviluppo. La percentuale di indiani che vivevano in condizioni di povertà assoluta era del 60% nel 1981 ed ora è al 30%, dimezzata ma ancora altissima. Questo percorso di emancipazione dalla miseria e di conquista di un primo benessere, chiaramente costa in termini ambientali. Vale la pena rinunciarvi? L’India del governo Modi e la Cina di Xi Jinping pensano, evidentemente, che questi obiettivi di contenimento del riscaldamento globale valgono solo fino a un certo punto. Se noi occidentali pensiamo alla “sostenibilità” in termini ambientali, a costo di rinunciare a un po’ di crescita economica, loro rispondono con la “sostenibilità” sociale, a costo di rinunciare a un po’ di obiettivi ambientalisti. La COP21 è dunque l’ulteriore dimostrazione che la battaglia per il riscaldamento globale è ancora un’idea per soli ricchi.

I paesi in via di sviluppo, presi nel loro complesso, hanno anche da festeggiare per quanto viene concesso loro in termini economici. E’ infatti stato stabilito, in modo definitivo ormai, che i paesi sviluppati dovranno finanziare quelli in via di sviluppo con un minimo di 100 miliardi di dollari all’anno, per metterli in condizioni di ridurre le emissioni. E’ un impegno economico che può essere aumentato nei prossimi incontri, ma mai ridotto al di sotto di questa soglia. E’ un finanziamento pari a circa la metà del Piano Marshall (espresso col valore attuale del dollaro), ma ripetuto ogni singolo anno. Secondo le stime esposte dal segretario di Stato americano John Kerry a Parigi, è una goccia nel mare: per adeguare il sistema energetico mondiale, occorrerebbero 50mila miliardi di dollari in investimenti nei prossimi 20 anni. Ma chi è “ricco” e chi è “povero”? Alla seconda categoria, anche oggi, appartengono sia la Cina che la ricchissima Arabia Saudita, fra le prime al mondo per reddito pro capite. E chi garantisce che quella gigantesca massa di finanziamenti vada realmente nelle tasche giuste? Considerando la fine che hanno fatto i precedenti piani di cooperazione e sviluppo a favore dei paesi dell’Africa nera e di quelli più poveri dell’Asia, il contribuente del mondo industrializzato non potrebbe dormire sonni tranquilli.

E alla fine il messaggio che passa, dopo questa settimana di fitti negoziati, è semplice e brutale al tempo stesso: alcuni paesi saranno pagati per rinunciare alla loro industrializzazione e resteranno dipendenti del mondo industrializzato. Pagheremo i poveri, perché restino poveri. Altre nazioni, in forza del loro peso politico ormai acquisito, non rinunceranno affatto al loro livello di inquinamento (o potranno pensarci con più calma) e in compenso percepiranno ugualmente i fondi del mondo industrializzato. La prospettiva per quest’ultimo, invece, sarà quella di rinunciare alla crescita e pagare per gli altri. Nel nome del clima.











[Modificato da Caterina63 12/12/2015 12:02]
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  Che sòle


Il summit di Parigi sul clima si chiude con tanto fumo e poco arrosto. Non ha retto l’allarme dei catastrofisti. Consigli per non lasciarci prendere dal panico ambientalista


di Piero Vietti | 12 Dicembre 2015 



L’alba a Parigi. Nella capitale francese si è svolta la ventunesima Conferenza sui cambiamenti climatici organizzata dalle Nazioni Unite

La Conferenza sul clima organizzata dalle Nazioni Unite a Parigi si sarebbe dovuta chiudere ieri con un accordo vincolante e ambizioso per ridurre le emissioni di gas serra che, secondo molti esperti, hanno causato negli ultimi decenni l’innalzamento delle temperature globali e i cambiamenti climatici dagli effetti nefasti per molti paesi, e che, se non ridotti al più presto, promettono, sempre secondo gli stessi esperti, di causare disastri climatici catastrofici entro la fine del secolo. Come quasi sempre è successo in questi summit (è il ventunesimo sul tema, da qui il nome Cop21 – Conferenza delle Parti numero 21), i negoziati hanno sforato, sono proseguiti nella notte e dovrebbero concludersi oggi. Forse.

Partita con annunci roboanti e promesse decisive, la Cop21 si è presto sgonfiata. Innanzitutto sui media, dove le prime pagine allarmate e allarmistiche si sono presto trasformate in trafiletti all’interno. E poi nei negoziati, diventati estenuanti e così poco cool non appena i capi di stato di mezzo mondo hanno lasciato Parigi. Bozze piene di parentesi quadre si sono succedute senza soluzione di continuità. Sono stati i giorni dell’impegno, dei distinguo, delle lamentele, degli show in conferenza stampa, degli spin doctor che verso la fine delle trattative hanno cominciato a far scrivere ai giornali che “l’accordo è vicino”, “manca poco”, “si tratta sui tempi ma l’intesa c’è”, e naturalmente è un’intesa ambiziosa, ne parleremo meglio alla prossima Conferenza, e comunque prima del 2021 non si comincia, tranquilli.

Parigi – come Copenaghen nel 2009 – doveva essere l’ultima possibilità per salvare il pianeta e non doveva fallire, non sui media almeno. Caricata di aspettative messianiche, la Cop21 è stata salutata dai leader mondiali come la risposta educata ma decisa al terrore che appena due settimane prima aveva colpito a morte proprio Parigi. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, qualche mese fa si era spinto a dire che i cambiamenti climatici sono una sfida più urgente della lotta al terrorismo, ed è stato talmente preso sul serio da qualcuno che in questi giorni si è sentito dire che lo Stato islamico e la guerra civile in Siria sono stati causati dal riscaldamento globale.

La tattica è sempre la stessa, da anni, anche se ultimamente è stata affinata: si disegnano scenari catastrofici che spaventino le persone, ma li si prevede per una data in cui la maggior parte di noi non li potrà vedere.
Così facendo si aggiunge al senso di colpa per i propri comportamenti il senso di responsabilità per le generazioni future – alle quali non vorremo mica lasciare un pianeta invivibile? Così nasce il pensiero unico sul tema, da anni dominante negli spazi pubblici, sui media e nella politica: da una parte si portano dati scientifici presentati come inconfutabili, con buona pace degli studi e delle misurazioni che li mettono in dubbio, e si insiste a parlare di una maggioranza schiacciante degli scienziati che la penserebbe allo stesso modo; dall’altra si investe il discorso di un’aura religiosa, si trasformano i modelli di previsione in dogmi, e si impone un codice di comportamento necessario per la salvezza finale, propria e del mondo intero. Chi la pensa diversamente viene deriso (se scienziato, scomunicato dalla comunità, se grande scienziato, definito “bollito” nel migliore dei casi, “venduto” nel peggiore), e per definirlo si usa lo stesso termine utilizzato per chi nega verità storiche come la Shoah, “negazionista”.

Il dibattito attorno ai cambiamenti climatici è da sempre falsato da mezze verità, equivoci, retorica e luoghi comuni. Il clima sulla Terra cambia, è sempre cambiato, alcune volte anche abbastanza in fretta. Ci sono stati periodi più caldi di questo e l’umanità è sopravvissuta senza troppi problemi (Groenlandia vuol dire Terra verde non perché i suoi abitanti fossero daltonici, ma perché nel Medioevo l’isola non era tutta coperta di ghiaccio), mentre semmai il problema maggiore sono i periodi freddi. Il clima cambia per una molteplicità di fattori difficilmente controllabili o prevedibili dall’uomo: il Sole ha un impatto decisivo sul riscaldamento del globo, e come ha spesso spiegato uno dei più stimati fisici dell’atmosfera, Franco Prodi, il ruolo delle nuvole ancora non è stato compreso appieno, pur essendo decisivo anch’esso a definire il clima del nostro pianeta. Detto questo, negare che ci siano cambiamenti climatici in atto, o che negli ultimi decenni le temperature globali siano aumentate, sarebbe stupido. La partita si gioca sulle cause e le conseguenze di tali mutamenti, e non è poco.

Alcuni giorni fa dodici associazioni scientifiche italiane hanno redatto e firmato un documento per la Conferenza di Parigi in cui si sosteneva che “l’influenza umana sul sistema climatico è inequivocabile ed è estremamente probabile che le attività umane siano la causa dominante del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo”. La Società italiana di Fisica (Sif), però, all’ultimo ha ritirato la sua firma dalla Dichiarazione, prendendone le distanze: “Non esistono le equazioni del clima – ha detto la presidentessa Luisa Cifarelli – E io non mi trovo d’accordo con l’affermazione che il ruolo dell’uomo nel riscaldamento sia inequivocabile”. La richiesta della Sif, respinta, era di aggiungere quantomeno una parola – likely – al posto di “inequivocabile”.

Beghe tra scienziati? Minuzie lessicali tra esperti? Non solo, a giudicare dalla pioggia di “irresponsabile” piovuti addosso alla Cifarelli dopo queste affermazioni. Il pensiero unico sul clima non ammette cedimenti, neppure su aggettivi e avverbi. Il messaggio che deve passare, e in questo la politica e i media sono veicoli perfetti, è che i mari si stanno innalzando, le temperature aumentano senza sosta, i ghiacciai si stanno sciogliendo, il pianeta si desertifica e gli eventi meteorologici estremi saranno sempre più frequenti.

Luigi Mariani, agro meteorologo che insegna all’Università di Milano, ha raccolto qualche giorno fa sul sito climatemonitor.it alcuni studi recenti sui temi più discussi, smontando delle certezze che sono ormai passate come sicure nell’opinione pubblica.

Alcuni esempi: dalla metà del XIX secolo le temperature sono effettivamente aumentate – dopo un periodo molto freddo – fino a toccare +0,85 gradi centigradi nel 1998 rispetto al 1850. Da allora a oggi, però, il riscaldamento globale è andato in pausa, per ammissione degli stessi esperti dell’Ipcc, il panel delle Nazioni Unite che ha organizzato la Cop21 e studia i cambiamenti climatici. La spiegazione? Non pervenuta, se non una vaga ipotesi di riscaldamento “intrappolato” negli oceani, ancora da dimostrare. Eppure secondo grafici e modelli matematici in voca un paio di lustri fa, le temperature avrebbero dovuto schizzare in alto e arrostire il mondo. Certo, l’influenza umana non è da escludere, ma se nonostante lo straordinario “impegno” di questi anni l’aumento è stato così contenuto, come si può pensare che riducendo appena le emissioni di gas serra il termostato del pianeta si fermerà? Magia?

C’è poi il capitolo degli eventi estremi. Sant’Agostino secoli fa scriveva che da quando l’uomo è su questa terra si lamenta del tempo presente e rimpiange il passato, qualunque esso sia, per cui quando sente caldo dice che mai prima si era sentito un caldo del genere, e quando sente freddo che mai si era sentito un freddo così.

Lo stesso succede oggi con le piogge, divenute “bombe d’acqua” nel lessico comune, e con eventi come tempeste, cicloni e uragani: ogni volta sembra che stiano per spazzare via tutto (l’ultimo caso in Messico qualche settimana fa), ma poi, se ben previsti, fanno molti meno morti di qualche decennio fa. Non solo, stando ai calcoli più recenti, fenomeni come i cicloni tropicali si sono ridotti di numero e potenza dagli anni Novanta a oggi, e – citando Mariani – “il 2014 con un totale di 518 disastri naturali contro una media decennale di 631 è stato l’anno con il numero minimo di disastri di tutta la serie considerata e che minimo è risultato anche il numero dei morti (13.847 contro una media di 83.934).

Il Natural disaster database mostra dati analoghi con numero di disastri naturali in rapido calo dopo un picco toccato nel 2000 e il numero di morti che, seppur con grande variabilità da un anno all’altro, presenta un trend generale improntato al calo”. Eppure da anni ogni evento naturale estremo viene accompagnato da litanie colpevolizzanti sull’uomo brutto e cattivo che con le sue emissioni ha causato tutto questo, e la minaccia che “se continueremo così, eventi di questo genere saranno sempre più frequenti”. L’elenco sarebbe lungo, e lo spazio della pagina non basterebbe: nessun negazionismo, basta un’osservazione dei dati senza pregiudizio catastrofista per tranquillizzarsi e capire che l’adattamento al clima che cambia non lo decideranno decine di migliaia di delegati riuniti a Parigi, né qualche centinaio di leader politici o vip volati in Francia a lanciare allarmi per poi tornare a casa in aereo.
Qualunque accordo si troverà, non riuscirà a rispondere all’ansia generata dagli allarmi di questi anni. L’economista danese Bjørn Lomborg, noto per la sua posizione di “ambientalista scettico”, ha calcolato che se tutte le promesse fatte prima del summit che si conclude oggi fossero mantenute, l’incremento della temperatura da qui al 2100 sarebbe ridotto di alcuni centesimi di grado, ben lontano dalla soglia sbandierata alla Cop21.

Numeri, spesso a caso. Come quelli sulle energie rinnovabili, solare ed eolico soprattutto. Importanti, pulite, da far crescere, ma ancora troppo costose e inadeguate a supportare il fabbisogno energetico del mondo (figuararsi quello potenziale dei paesi in via di sviluppo, che infatti a Parigi chiedono deroghe ai tagli e soldi, tanti soldi, ai paesi evoluti, per mettersi in riga con i nuovi parametri).

E’ sempre Lomborg, su Forbes, a dare alcuni dati che smontano il mito dell’energia solare che “a breve” basterà a far girare il mondo, promessa che già nel 1976 veniva fatta dal noto ambientalista Amory Lovins, sicuro che i pannelli solari sarebbero presto entrati in competizione con le altre forme di produzione di energia. Parole analoghe a quelle spese – questa volta per l’eolico – nel 1984 dal Worldwatch Institute, certo che nel giro di pochi anni non sarebbero più serviti i sussidi di stato: la UK Solar Trade Association ha da poco chiesto che vengano prorogati dal 2020 al 2028. Mercato, innovazione, progresso hanno fino a prova contraria portato più benefici che danni: meno morti per disastri legati al clima, meno povertà, più cibo per tutti (lo dice la Fao).

Spesso poi si dimentica che la CO2 è mattone fondamentale per la vita delle piante, e quindi del pianeta.

La vulgata catastrofista l’ha ormai bollata come pericoloso veleno, senza considerare, come diversi studi recenti sostengono, che più CO2 ha finora fatto sì che le piante crescano di più e resistano meglio alla siccità.

Tutto questo a Parigi resta sullo sfondo di un grande show mediatico e ideologico che addossa all’uomo colpe che non ha e mescola, mettendoli sullo stesso piano, meteo e clima, CO2 e inquinamento, necessità di abbandonare gradualmente i combustibili fossili con la missione fanatica di salvare il pianeta. Un conto è la cura del creato, per dirla con Papa Francesco, un altro l’abbracciare acriticamente i dogmi di quella che è divenuta a tutti gli effetti una nuova religione, l’ambientalismo. A Parigi è andato in scena uno spreco di tempo, soldi, chiacchiere ed energie. Dopo due settimane di pugni sui tavoli per spiegarci che ci si sarebbe dovuti impegnare a mantenere l’aumento delle temperature entro i 2 gradi a costo di grandi sacrifici economici, ieri è arrivata la proposta di abbassare il tetto addirittura a 1,5 gradi. Un impegno talmente difficile da risultare non soltanto inutile, ma dannoso.

Significherà infatti spendere migliaia di miliardi di euro nei prossimi anni per non raggiungere l’obiettivo. Tentativo comicamente simboleggiato dall’Albero del Vento, eretto dagli organizzatori della Cop21 di fronte al centro conferenze di Parigi: l’albero produce energia grazie alla forza dell’aria. Molto bello, se non fosse che produrrà – ha calcolato ancora Lomborg – 3.500 kWh all’anno, costando circa 25.000 dollari. A un prezzo di produzione di 7 centesimi l’anno, ci metterà 89 anni ad andare “in pareggio”. Se volete capire che cosa è stato deciso a Parigi, l’Albero del Vento è l’analogia più calzante.







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"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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vogliamo cominciare l'Anno smascherando i tanti luoghi comuni e le falsità sugli eventi climatici? [SM=g1740733]
Carlo Rubbia in 8 minuti lo fa e lo fa brillantemente offrendo delle soluzioni per le quali denuncia pure L'IGNORANZA DEI NOSTRI PARLAMENTARI sul tema e chiede semplicemente il perchè non ci si impegna a conoscere il problema e il rimedio ...

Santo Padre... almeno lei, lo ascolti.... [SM=g1740733]

www.youtube.com/watch?v=4_T1QNRtToc






[SM=g1740771]

Fraternamente CaterinaLD

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"BOMBA P"

 




Non è vero che la popolazione mondiale cresce troppo in fretta. Non è vero che il cibo è insufficiente a sfamarci tutti. Non è neppure vero che manca acqua per dissetarci tutti. A smontare le bufale sulla "Bomba P" (la presunta crescita demografica insostenibile) è l'autorevole rivista Nature. Che porta argomenti inoppugnabili.



di Marco Respinti



Folla a Dhaka


La scienza abbonda di tabù che inibiscono il progresso. Uno dei più clamorosi è il falso mito della sovrappopolazione mondiale, l’idea (circolante da decenni) che sulla Terra saremmo troppi e che per questo motivo il nostro vecchio pianeta non ce la farebbe più a sfamarci e a dissetarci tutti.

Materiali a confutazione di questa vera e propria bufala ce n’è oramai a iosa, ma nella mentalità dominante (dominante anche troppi addetti ai lavori) lo sforzo serve a poco perché le leggende metropolitane procedono per autoalimentazione: più le si confuta, più si gonfiano; e più la confutazione è seria e circostanziata, più diventa prova provata del dolo. Ora però contro la fobia della “Bomba P” (la popolazione mondiale che ci sta scoppiando tra le mani) scende finalmente in campo anche il periodico britannico Nature, una delle più antiche e importanti riviste scientifiche del mondo, e la musica cambia. Cambia perché, rispetto al conformismo neoilluminista imperante,Nature non è certo un cuordileone che rema controcorrente, prediligendo invece sempre le acque calme delle “idee ricevute”, dello scientificamente corretto in business casual e del sottile progressismo blasé da documentario di prima serata. Evidentemente però la fola della “Bomba P” è tanto grossa e grossolana che pure i don Abbondio non riescono più a tenere a freno la lingua.

In un articolo ospitato su Nature di dicembre, la giornalista scientifica Megan Scudellari bolla disinvoltamente come falsa l’idea secondo cui la popolazione della Terra crescerebbe costantemente in modo esponenziale portando inevitabilmente ‒ come per primo affermò il pastore anglicano ed economista Thomas R. Malthus (1766-1834) nel 1798 ‒ alla carestia e alla miseria. La popolazione mondiale, infatti, non cresce per nulla in modo esponenziale. Non lo ha fatto ieri, non lo fa oggi ed «[…] è improbabile che lo faccia in futuro», dice il demografo della Rockefeller University di New York Joel Cohen intervistato dalla Scudellari. Oggi, per esempio, la popolazione mondiale cresce a un ritmo che è addirittura la metà di quello seguito prima del 1965.

Quanto agli attuali 7,2 miliardi di abitanti della Terra da mangiare ce n’è davvero a sufficienza per tutti. A documentarlo è la FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, secondo le cui stime la produzione mondiale di cibo è di gran lunga superiore alla crescita demografica. Attualmente, la sola produzione calorica mondiale in cereali è sufficiente a sfamare tra i 10 e i 12 miliardi di persone. La fame nel mondo allora non esiste? Niente affatto: esiste eccome, afferma sempre Cohen. Solo che non è causata né dalla presunta sovrappopolazione mondiale né dalla scarsità generale e generica di cibo, bensì dal fatto statistico che circa il 55% della produzione nutrizionale del pianeta viene impiegata per scopi diversi dall’alimentazione umana (mangimi per bestiame o produzione di carburanti), oppure semplicemente sprecata, o ancora malamente distribuita.

Né scarseggia neppure l’acqua, come ha documentato il vice segretario generale delle Nazioni Unite, Jan Eliasson, sulle pagine dello stesso Nature nel gennaio 2015. Il vero problema dell’acqua, infatti, è che in certe regioni molti (si calcola 1,2 miliardi di persone) hanno difficoltà ad accedervi, ma questo per ragioni politiche, militari o economico-sociali di arretratezza tecnologica, motivo per cui l’unico rimedio possibile è l’antropizzazione, lo sviluppo tecnico-scientifico e il libero scambio commerciale che zittisce le armi, non certo il deserto umano, la riduzione delle nascite e il reinselvatichimento del pianeta.
La Scudellari cita a questo proposito Nicholas Eberstadt, demografo dell’American Enterprise Institute di Washington: «La sovrappopolazione non è sul serio sovrappopolazione. È piuttosto una questione di povertà»; ma, invece di esaminarne attentamente le cause alla ricerca di soluzioni pratiche, ci si perde in chiacchiere attorno a un problema che non esiste, la chimerica “Bomba P”.

La teoria vorrebbe che se a dire per l’ennesima volta che non è vero che sulla Terra siamo troppi, che non è vero che il pianeta non ce la fa più, che non è vero che il cibo è insufficiente a nutrire tutti e che non è vero che l’acqua manca è finalmente un beniamino blasonato del pensiero dominate come Nature il mondo dovrebbe cominciare a prestare orecchio, ma chissà perché abbiamo già la sensazione di sbagliarci.







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09/02/2016 15:14
 
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  "Laudato si'", un'enciclica troppo argentina


Gli effetti del "pregiudizio" latinoamericano sulle soluzioni proposte da papa Francesco per sanare il mondo, nell'analisi critica di un teologo ed economista australiano 

di Sandro Magister




ROMA, 9 febbraio 2016 – "Questo è magistero della Chiesa. E al magistero si deve obbedire". Così il prelato argentino Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere delle pontificie accademia delle scienze e delle scienze sociali, replicò piccato, lo scorso 5 dicembre, agli economisti e studiosi che avevano denunciato l'infondatezza delle tesi ambientaliste della "Laudato si'", in un convegno promosso dall'Acton Institute nella pontificia università romana della Santa Croce:

Quella che segue è una nuova analisi critica dell'enciclica di papa Francesco, teologica e scientifica insieme, di scienza economica, politica e ambientale.

Ne è autore un sacerdote australiano, Paul Anthony McGavin, cappellano alla University of Canberra, che assomma in sé sia la competenza degli studi teologici e filosofici, sia un trentennio di ricerca nel campo dell'economia e del lavoro, come docente e preside all'Australian Defence Force Academy di Canberra. L'ultima sua opera, uscita nel 2015, è frutto di una capillare ricerca sul terreno e ha per titolo “Grappling Afresh with Labour Resource Challenges”.
 
Punto di partenza della critica di padre McGavin alla "Laudato si'" è l'ottica tipicamente latinoamericana con la quale Jorge Mario Bergoglio guarda all'ecologia umana e ambientale e a questioni come la povertà, l'uguaglianza e la giustizia. Un "pregiudizio" che blocca le analisi razionali dei fenomeni e invalida le soluzioni proposte.

Inoltre – sempre secondo padre McGavin – lo stesso formidabile talento di papa Francesco nel tessere singole relazioni da persona a persona fa velo alla sua capacità di impegnarsi su questioni più globali, di sistema, riguardanti l'intera umanità.

Coincidenza vuole che queste critiche vedano la luce pochi giorni dopo che Francesco ha indicato per l'ennesima volta proprio in "un nuovo stile di vita" ecologico – quello propugnato dalla "Laudato si'" – la risposta alla "relazione tra la povertà e la fragilità del pianeta". Questo nel video (vedi foto) in cui il papa ha illustrato l'intenzione per il mese di febbraio dell'Apostolato della Preghiera:

> "Creyentes y no creyentes…"

L'estratto che segue è circa la metà dell'analisi critica della "Laudato si'" scritta da padre McGavin per www.chiesa, il cui testo completo può essere letto in inglese in quest'altra pagina web: 

> What's wrong with "Laudato si'"?

Padre McGavin è già noto ai lettori di questo sito, che sicuramente non lo giudicano un "tradizionalista".

Nell'ultimo precedente suo intervento ha proposto che i divorziati risposati possano accedere alla comunione se autorizzati dal loro vescovo con un rescritto canonico, previa una valutazione del loro singolo caso:

> Ipotesi. Un rescritto che autorizzi la comunione (24.11.2015)

E in precedenti occasioni non ha mancato di esprimere e motivare giudizi molto positivi su altri aspetti del magistero e della personalità dell'attuale papa.

__________



Cosa c'è di sbagliato nella "Laudato si’"?

di Paul Anthony McGavin


Io in genere presto attenzione alle interviste in aereo del Santo Padre, perché mi interessano i testi con il meno possibile di modifiche e senza l'apporto di "ghostwriter", cioè di redattori ombra, come invece avviene con le encicliche papali. Queste chiacchierate aeree sono spesso superficiali, e a volte tendenziose. Un paragrafo nel resoconto "L'Africa ci sorprende", su "L'Osservatore Romano" del 4 dicembre 2015, mi ha particolarmente colpito. Interpellato sul recente cambio di presidenza in Argentina, il papa ha così risposto:

"Io ho sentito qualche opinione, ma davvero, di questa geopolitica, in questo momento non so cosa dire, davvero. Davvero, non so. Perché ci sono problemi in parecchi Paesi su questa linea, ma davvero non so perché o come è incominciato, non so perché. Davvero. Che ci sono parecchi Paesi latinoamericani in questa situazione, un po’ di cambiamento, questo è vero, ma non so spiegarlo".

Io trovo della tendenziosità qui, perché il rapporto di Jorge Mario Bergoglio con la presidenza dei Kirchner sembra essere stato conflittuale, mentre l’ascesa di una presidenza Macri probabilmente non si accorda con la visione di Bergoglio, chiaramente di centro-sinistra. La visione del mondo del papa e dei suoi "ghostwriter" si manifesta nell'enciclica "Laudato si'”, con gli estensori che appaiono ignari della disfunzionalità delle loro posizioni rispetto alla loro agenda dichiarata. Se solo il papa avesse sostenuto una linea da "Io davvero non lo so", la "Laudato si’” sarebbe potuta essere un documento più credibile.

La "Laudato si’" porta chiaramente l’impronta della mano di Bergoglio (ad esempio, il testo non ecclesiale più citato è "La fine dell'epoca moderna" di Romano Guardini, sui cui scritti Bergoglio iniziò gli studi per il dottorato), ma l'evidente mancanza di coerenza del testo fa pensare a più di un "ghostwriter". Ciò che si manifesta bene nel documento è la sua cultura latinoamericana, cioè tipica delle nazioni del Sud e Centro America nate dall'imperialismo cattolico iberico col nome di "America latina". Per dirla in breve, l'America latina è nota a livello internazionale per la sua arretratezza economica e per i comportamenti opportunistici che prevalgono in un quadro di debole "governance".

Il papa e i suoi ghostwriter (ma d'ora in poi dirò semplicemente "il papa") non vorrebbero sentire una tale descrizione del loro sfondo culturale, ma purtroppo le cose stanno così. Quando nel 1901 le sei colonie britanniche autonome si federarono e formarono l'Australia, il reddito pro capite in Argentina superava quello dell'Australia. I confronti internazionale del Fondo Monetario per il 2014 mostrano invece redditi medi in Argentina al 48 per cento di quelli in Australia. Le ultime stime della Banca Mondiale sulla diseguaglianza nella distribuzione dei redditi (il coefficiente di Gini) mostrano per l'Argentina uno squilibrio a favore dei redditi più alti che è del 39 per cento superiore alla stima per l'Australia – vale a dire che in termini relativi i "poveri" in Argentina soffrono il 39 per cento di più in confronto a quelli in Australia. Guardando inoltre il tasso di omicidi ogni 100 mila persone, gli ultimi dati delle Nazioni Unite mostrano il tasso di omicidi in Argentina 5 volte più alto del tasso in Australia, come a dire che l'Argentina è una società molto più violenta.

Nel citare questi dati, il mio intento non è quello di esaltare l'Australia (anche se credo che il nostro modello di "governance" di stile britannico si comporti meglio rispetto alle alternative), né di denigrare l'Argentina. Il mio intento è di mostrare che il papa, adottando in prevalenza una posizione ideologica latinoamericana, si colloca su una posizione che inibisce un razionale apprezzamento della strumentalità nell'affrontare le questioni per le quali questi dati agiscono come surrogati: l'ecologia umana e ambientale e questioni come la povertà, l'uguaglianza e la giustizia.

La "Laudato si’” a tratti si legge come una diatriba contro quella forma di razionalità che conduce al miglioramento umano. Il papa si dichiara esplicitamente contrario a una razionalità strumentale: "La razionalità strumentale… apporta solo un’analisi statica della realtà in funzione delle necessità del momento" (n. 195, ma anche nn.106-109.). Egli squalifica il "paradigma tecno-economico" con termini come "dominante", "schiacciante", e scrive che “l’economia… non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia" (nn. 53, 104, 109, 189). Eppure è proprio una razionalità strumentale quella che, per esempio, ha portato ad aumenti di produttività delle coltivazioni, alla riduzione dei danni dei parassiti alle colture alimentari, a misure di sanità pubblica che assicurano miglioramenti della vita in quantità e qualità per i più bisognosi in tutto il mondo. [...]

La “finanza” è un'altra parola la cui mancanza di comprensione porta il papa a disprezzarla. [...] Il papa è convinto che "la finanza soffoca l’economia reale" e che "la finanza" ha causato la crisi finanziaria mondiale (n. 109). Ma la "finanza" non è che una componente di quell’istituzione umana che noi chiamiamo "l'economia", e la "finanza" è "reale" al pari di quella componente dell'economia che coinvolge prodotti tangibili, la cosiddetta “economia reale": proprio come i "segni" delle opere di Gesù nel capitolo 6 di Giovanni sono altrettanto “reali” del pane che la folla "ha avuto a sazietà ".

Al giorno d'oggi, i finanzieri parlano delle loro operazioni come di "prodotti", anche se i prodotti possono essere solo la registrazione elettronica di transazioni che non hanno nessuna "realtà" nella documentazione cartacea. Dal punto di vista istituzionale, la crisi finanziaria globale è forse da intendere meglio come risultante dall'indebolimento delle disposizioni regolamentari finanziarie prudenziali avvenuto negli Stati Uniti sulla base del paradigma economico ideologico dell'amministrazione Reagan, la "Reaganomics". Se vincoli istituzionali del tipo di quelli operanti nel Regno Unito o in Australia fossero stati in vigore anche là, è improbabile che le fluttuazioni dei mercati finanziari e immobiliare sarebbero state così drammatiche e così diffuse. Nella esortazione "Evangelii gaudium" il papa si è espresso contro un messaggio prevalentemente moraleggiante. Certamente, i mercati dei “subprime” tipo Stati Uniti si fondano su insostenibili aspirazioni alla proprietà della casa ("avidità"). Ma nel campo della politica pubblica il rimedio non è la moralizzazione, ma un buon governo che sostenga una sobria, prudenziale supervisione e regolamentazione finanziaria.

In tutta la "Laudato si’” il papa si scaglia contro il "consumismo" (nn. 34, 215), come qualcosa che "dà priorità al breve termine e all’interesse privato" (n. 184), in cui " il mercato tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue" (n. 203). I contadini sono "consumatori": consumano ciò che producono. Nei sistemi di produzione sofisticati, il consumo è principalmente di beni e servizi scambiati ( "beni" o "prodotti"). Il papa chiaramente incoraggia attività di produzione meno specializzate e con meno attività di mercato. Ma ciò che questo comporta è una ridotta produzione complessiva di beni e un minore accesso alle varietà delle merci.

Certo, disgraziatamente si nota un minor godimento di quei piaceri semplici della vita che spesso si ottengono al di fuori dei sistemi di mercato (o, più correttamente, in modo complementare ai sistemi di mercato). Ma i valori che inducono a cambiamenti nelle scelte sono più probabilmente influenzati da attrazioni e da aspettative che dalla predicazione (come il papa ha sostenuto in "Evangelii gaudium", nn. 35, 38). La distribuzione diffusa alle famiglie di servizi come elettricità, acqua e servizi igienico-sanitari è possibile solo con un ampio coinvolgimento in scambi di mercato che forniscano basi di tassazione per la fornitura di servizi pubblici, in particolare di un'educazione di livello adatto ad agevolare la mobilità sociale e a fornire le competenze sociali e tecniche necessarie per avanzamenti nel tenore di vita. [...]

Le basi istituzionali e di "governance" per il complessivo miglioramento del benessere umano sono inadeguatamente rinvenibili nelle impraticabilità che caratterizzano pervasivamente la "Laudato si’”. Il papa è contro la ”teologia da scrivania". E i miei oltre 20 anni di impegno di ricerca e scrittura nella teologia pratica e applicata mi portano a simpatizzare con gli impulsi di teologia pastorale e pratica espressi nella "Evangelii gaudium". [...] Ma nella "Laudato si’”, il papa tende proprio a una teologia “da scrivania“, o anche “da poltrona", perché manca di una comprovata esperienza di faticoso impegno intellettuale e pratico in quadri istituzionali di profilo organizzativo e societario finalizzati alla promozione sociale. In questa enciclica, troppo spesso egli non ammette che ”non sa", e parla ampiamente su questioni che "non conosce".

La mancanza di competenza balza evidente nella diatriba centrale del papa sull'"inquinamento". L'enciclica ha un passaggio che io non attribuisco né a Bergoglio né al suo "ghostwriter" principale, ed è quello in cui a proposito delle "cause umane" che portano al riscaldamento del nostro sistema climatico leggiamo: "È vero che ci sono altri fattori quali il vulcanismo, le variazioni dell’orbita e dell’asse terrestre, il ciclo solare... " (n. 23). Questa percezione del cambiamento climatico come complesso è poi subito lasciata cadere, perché invece il papa sostiene la linea tipica dei giornalisti e dei burocrati politicizzati che attribuiscono il cambiamento climatico a una causa recente e singola. Detto da un papa, questo è strano. L’Antico Testamento testimonia chiaramente dell'impatto dell'uomo sull'ambiente e dell'esperienza di variazioni climatiche, comprese variazioni climatiche estreme.

Il fenomeno del cambiamento climatico può essere in aumento, ma non è una novità, e non è mono-causale. Nel decennio prima della federazione, l'Australia ha sperimentato grossi fallimenti nella produzione delle colture e del bestiame derivanti da espansioni agricole e zootecniche che riflettevano la mancanza di esperienza di lungo periodo delle variazioni climatiche che sono caratteristiche del continente australiano. Ci sono state esperienze simili di recente, e l'Australian Bureau of Meteorology riporta l'anno 2015 come il quinto più caldo dall'inizio delle rilevazioni nel 1910. Ma calcola anche che questo è stato in gran parte dovuto al ricorrente, seppur decrescente, effetto di El Niño. [...]

Il degrado ambientale è una questione di grado, e la valutazione pratica del grado può essere non semplice o non di una sola misura. Inoltre, le stime mondiali possono essere inapplicabili per determinate aree geografiche e per certe situazioni economiche e sociali. Nonostante i cenni del papa al "principio di sussidiarietà" (nn.157, 183, 196) e la sua affermazione secondo cui "non si può pensare a ricette uniformi, perché vi sono problemi e limiti specifici di ogni Paese e regione" (n. 180), il tenore generale dell'enciclica mette l'accento su generalizzazioni semplicistiche e su soluzioni universali evocate come provenienti da "accordi internazionali che si realizzino" e da una "autorità politica mondiale" (nn. 173, 175).

L'Australia è un sempre più grande esportatore di combustibili fossili, carbone e gas naturale, in particolare in Cina e in India. Il primo ministro indiano Modi, in occasione della recente conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, ha sostenuto con forza che l'espansione della fornitura di energia elettrica in tutta la nazione è fondamentale per migliorare i livelli di benessere umano per il popolo indiano, e questo dipende da un maggiore uso di combustibili fossili. I combustibili fossili variano nel loro impatto: le esportazioni di carbone australiano sono di carbone nero relativamente "pulito", non di lignite "sporca". Il governo Modi, come il precedente governo Singh, sa bene che le politiche di "energia pulita" richiedono un finanziamento, il quale è possibile solo grazie a redditi più alti. Ciò implica il riconoscimento che le politiche ambientali sono, in gergo economico, "beni superiori", il che significa che un aumento del reddito fa aumentare anche la domanda di  "beni superiori" e la capacità di fornirli, mentre la domanda di "beni inferiori", come gli alimenti di base, declina come una parte della  domanda.
 
In breve, la narrazione giornalistica populista – e spesso anche le narrazioni di scienziati fisici – di un rapporto sfavorevole tra la crescita economica e la salute ambientale non include le complesse dinamiche economiche e sociali coinvolte nella gestione dell'ambiente. Con valutazioni più equilibrate e con un buon governo, è probabile che il rapporto diventi positivo, cioè con la crescita economica associata ad ambienti più puliti. Si può nuotare in tutta sicurezza nella maggior parte dei corsi d'acqua australiani, mentre i corsi d'acqua dei paesi “in via di sviluppo” sono in genere fortemente inquinati.

La frase cruciale è "con un buon governo". Il papa pensa che il "capitalismo" e il "consumismo" comportano avarizia, avidità e degrado ambientale. Una valutazione più equilibrata identifica i regimi socialisti come associati ad opulenza per le classi dirigenti e a diminuito tenore di vita per la popolazione generale, perché l'avarizia e l'avidità sono vizi umani pervasivi. Degradi ambientali e umani come quelli così spesso segnalati per la Cina e l'America Latina sono meglio compresi come derivanti da governi deboli, inefficienti, incompetenti e corrotti. Il papa fa troppo poco riferimento ai fallimenti istituzionali come cause principali di risultati indesiderati: gli effetti debilitanti di "un sistema istituzionale precario" sono menzionati solo ai nn. 142 e 179. [...]

Papa Francesco è quindi del tutto in errore, o è addirittura eretico? No. La cura per il nostro mondo è un precetto cristiano fondamentale che scaturisce dal racconto della creazione nella Genesi (n. 66). La prospettiva del papa è disallineata perché egli interpreta questa cura principalmente in termini di "conservazione", in una prospettiva statica, mentre la prospettiva cristiana più prevalente di "gestione" dà una prospettiva dinamica. San Luca è il più grande esponente di questa prospettiva nel Nuovo Testamento, come ho cercato di mostrare nella mia tesi di ricerca pubblicata col titolo: "Il linguaggio economico in Luca e Atti".

Il papa sbaglia nella sua esigenza di giustizia? No. I fondamenti di un punto di vista cristiano della giustizia si trovano nell'Antico Testamento (per esempio in Deuteronomio 24, 14), dove, in linea di principio, la giustizia distributiva è chiaramente enunciata, come lo è anche l'inclusione delle persone emarginate nei sistemi di produzione (ad esempio in Levitico 23, 22) (n. 71). Io condivido la premessa del papa: "L’autentico sviluppo umano possiede un carattere morale" e "la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale è inscritta nella sua propria natura" (nn. 5 e 115, 155.). Il problema con la "Laudato si'" non sta nel desiderio per lo sviluppo umano integrale nel nostro ambiente creato. Il problema è la diffusa mancanza di competenza tecnica nelle connesse questioni pratiche.

Il papa è ambizioso nel suo cercare di "entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune" (n. 3). Ma questo solleva pericoli particolari, perché lo porta a fare appello a idee umane comuni, tra cui quelle populiste. Il pericolo del suo appello è che idee umane comuni non possono fornire un rimedio. Dalle discussioni che ho brevemente tratteggiato può sembrare che io penso che intese tecniche meno comuni e più complesse forniscano un rimedio. Ma questa sarebbe una percezione errata. La mia vita non è stata semplicemente quella di un professore di economia con una specializzazione, con estese ricerche sul campo e con pubblicazioni sullo sviluppo delle risorse umane. Sono stato e sono un prete cattolico, e prete a motivo della profonda convinzione che l'uomo non può porre rimedio a se stesso.

Dove il concetto del peccato nella condizione umana non è in primo piano, le varie versioni di auto-miglioramento umano o di pelagianesimo prevalgono. Questo pericolo è insito nella "Laudato si'". Sono stato contento al vedere la parola "peccato" apparire nella seconda preghiera di chiusura dell'enciclica, perché l'appello globale dell'enciclica è per intese comuni – intese comuni populiste – che sembrano rafforzare un semplicistico approccio umanistico alla ”cura della nostra casa comune".

Nell'enciclica ci sono diversi riconoscimenti della "complessità" dei sistemi ecologici e sociali e delle "molteplici cause" che vi operano, con la conseguenza "che le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare" i problemi che vi sono coinvolti (n. 63). Ma questi riconoscimenti non spostano il peso dell'enciclica da un approccio semplicistico complessivo che assorbe e promuove intese populiste e ideologiche. Da un punto di vista teologico, quelli al di fuori della Chiesa che hanno letto l'enciclica si sono sentito confermati in una visione umanistica che non porta alla visione del mondo presentata nei Vangeli. Da un più complessivo punto di vista intellettuale, quelli al di fuori della Chiesa (e dentro la Chiesa) che l’hanno letta sulla base di competenze tecniche sono tentati di respingere l'enciclica come romanticismo francescano.

In breve, credo che questa iniziativa di papa Francesco proceda da buone intenzioni e da un uomo che vede se stesso come "un peccatore". Il suo limitato bagaglio culturale e la sua personalità rivelano un geniale talento nelle relazioni da persona a persona, che lo mette però a mal partito nell'impegnarsi sia in questioni generali con l'"umanità" invece che con le persone, sia con quelle intese astratte e sistemiche che sono necessarie per approcci razionali a problemi che sono di un ordine diverso rispetto al talento di questo papa e forse anche di un ordine diverso rispetto al mandato di ogni papa.

La mia opinione è che una enciclica molto diversa da questa, molto più breve, più tecnicamente informata e più teologicamente precisa sarebbe stata più utile e avrebbe fornito una piattaforma migliore per veramente ”entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune".

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Gli ultimi tre precedenti servizi di www.chiesa:

4.2.2016
> Preti sposati? Alla Gregoriana votano contro
I cardinali Parolin e Ouellet si schierano a difesa del celibato del clero latino, in un convegno nella prestigiosa università pontificia. Ma ai vescovi tedeschi il papa ha fatto ancora una volta capire di voler rompere con questa tradizione



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