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Dalla Nouvelle Theologie alla teologia della liberazione del Vaticano II

Ultimo Aggiornamento: 22/07/2015 14:42
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  DALLA “NOUVELLE THEOLOGIE” 

ALLA "TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE"
del Vaticano II

  
di Fra Leone da Bagnoregio 


LA NOUVELLE THEOLOGIE E LA VERITÁ

L’errore principale che pervade il mondo moderno e contemporaneo è il relativismo, questo errore propugnato dai pensatori della seconda metà del Seicento e del Settecento, si è affinato con i pensatori e i filosofi del XIX secolo fino ad arrivare ai filosofi esistenzialisti del XX secolo. 
Lentamente, questo pensiero si è insinuato all’interno degli ambienti ecclesiastici più aperti ed orientati a trovare una conciliazione tra la filosofia moderna e la Chiesa. Questi cattolici vedevano e vedono la Chiesa bloccata da un dogmatismo che ai loro occhi stride con il mutamento della società contemporanea sempre più volta verso lo scientismo, verso un modo del progresso. Secondo il loro pensiero, la Chiesa era incatenata ancora al Medioevo, se non addirittura era Costantiniana. 

Questi errori furono già condannati dal Magistero ecclesiastico (1),  ma ciononostante questo fiume di novità continuò a filtrare nelle Università cattoliche, nei Seminari e nelle riunioni stesse del clero.
Ecco cosa scrive il teologo Reginald Garrigou Lagrange: «Di dove ha origine questo relativismo che ha avuto il suo influsso in questi ultimi tempi in certi ambienti cattolici? Esso deriva sia dall’empirismo o positivismo, sia dal kantismo, sia dall’idealismo evoluzionistico di Hegel» (2). 

L’empirismo razionalista ha origine a metà del Seicento prima con Spinoza e G. Leipniz, poi con i filosofi anglo-sassoni John Locke, George Berkeley e David Hume. Secondo questi la conoscenza umana deriva esclusivamente dai sensi e dall’esperienza; prescindendo da una conoscenza ontologica e certa della verità, tutto diventa esperienza.
Sempre Garrigou Lagrange esamina questo errore filosofico: «L’empirismo non vede la differenza essenziale e l’immensa distanza che passa fra l’intelligenza e i sensi, fra l’idea e l’immagine, fra il giudizio e l’associazione empirica, e per questo riduce fortemente il valore delle prime nozioni di essere, di unità, di verità, di bontà, di sostanza, di causa e il valore dei primi principi correlativi di identità, di contraddizione, di causalità ecc.
Secondo l’empirismo questi principi non hanno una necessità assoluta e sono semplicemente associazioni empiriche confermate dall’ereditarietà, né superano l’ordine dei fenomeni. Il principio di causalità affermerebbe soltanto che ogni fenomeno suppone un fenomeno antecedente, ma non consente d’innalzarci alla conoscenza certa dell’esistenza della prima causa al di sopra dell’ordine fenomenico» (3).  

Il teologo Domenicano passa ad esaminare gli altri errori filosofici che hanno mutato il pensiero dei nuovi teologi.

«Il kantismo si oppone, è vero all’empirismo in quanto riconosce la necessità dei primi principi, ma secondo questo sistema i principi, sono solamente leggi soggettive della nostra mente, che vengono da noi applicate ai fenomeni, ma che non ci consentono d’innalzarci al di sopra dei fenomeni stessi. Da questo punto di vista, secondo il sistema kantiano l’esistenza di Dio si può provare soltanto con una prova morale fondata su postulati indimostrabili della ragione pratica, la quale prova ci dà soltanto una certezza oggettivamente insufficiente.
Quindi non si può dimostrare secondo il kantismo, la definizione tradizionale della verità, che invece i dogmi presuppongono. Non si può dire “Veritas est adeguatio rei et intellectus”, perché la verità non sarebbe conformità del nostro giudizio con l’essere e con le sue immutabili leggi di contraddizione e di causalità, ecc., ma bisognerebbe contentarsi di dire che la verità è la conformità del nostro giudizio con le esigenze soggettive dell’azione morale, espresse dai postulati indimostrabili della ragione pratica. Non si dà certezza metafisica oggettivamente fondata, ma soltanto una certezza morale e pratica soggettivamente sufficiente. Non si esce dal relativismo.
E allora Hegel dice: Se non si può provare con certezza oggettivamente sufficiente l’esistenza di Dio realmente ed essenzialmente distinto dal mondo, è meglio dire che Dio si fa nell’umanità che sta evolvendosi e nella mente degli uomini che passa continuamente da una tesi ad un’antitesi, poi ad una sintesi superiore, e così via. Secondo i diversi momenti dell’evoluzione, oggi è vera la tesi, domani sarà vera l’antitesi, dopodomani la sintesi, e così sarà per sempre. Non si dà verità immutabile, perché Dio, verità suprema, si fa in noi e non sarà mai attuato in pieno, poiché il divenire non può arrestarsi (…) Contrariamente ai principi di identità e non contraddizione e di causalità, il divenire è a se stesso la sua propria ragione, senza una causa superiore. In questa ascendente evoluzione creatrice il più perfetto è prodotto sempre dal meno perfetto, la qualcosa è evidentemente impossibile».

Applicando questi principi relativistici, propri di queste filosofie moderne, in ambito teologico, essi sovvertono completamente tutto l’impianto dogmatico. Nasce in questo modo l’infallibilità relativa della Chiesa, visto che ciò che poteva avere valenza teologica in un determinato periodo può mutare secondo il cambiare dei tempi e della società.

«Questo relativismo dogmatico apparve di nuovo all’epoca del modernismo, come dimostra l’Enciclica “Pascendi” del 1907».
La Nouvelle Theologie è soltanto la continuazione del modernismo condannato da San Pio X, gli enunciati dei modernisti hanno continuato ad affinarsi e si sono rafforzati in alcuni docenti delle Università cattoliche forse a causa dell’attenuazione del controllo imposto allora da San Pio X. 

È evidente che il relativismo teologico è l’estensione del relativismo delle filosofie moderne che traspongono il metodo della conoscenza dall’oggettivo al soggettivo, fondando in questo modo una nuova metodologia della conoscenza, misconoscendo ogni evidenza necessitante del principio di causalità: « … il quale è il fondamento delle prove tradizionali dell’esistenza di Dio. Se fosse necessaria una scelta libera per ammettere il valore ontologico e l’assoluta necessità di questo principio, ciò toglierebbe alle prove la loro  efficacia veramente dimostrativa».

Viene quindi, sostituita la definizione tradizionale “Veritas est adeguatio rei et intellectus”, e bisognerebbe accontentarci della nuova definizione “Conformitas mentis et vitae”. «La conformità del giudizio con l’essere estramentale e con le sue immutabili leggi», viene sostituita con la «conformità del nostro giudizio con la vita e con le sue esigenze soggettive».
Questo porta come afferma il teologo Garrigou Lagrange: « …ad una certezza oggettivamente insufficiente circa l’esistenza di Dio, come proposta da Kant».


È necessario esaminare a questo punto cosa sia la verità e la conoscenza del vero secondo l’insegnamento tradizionale della Chiesa e più precisamente secondo quanto affermato dal Dottore Angelico; il teologo Garrigou Lagrange ci regala una sintesi sulla questione: 
«Fra i primi principi della ragione San Tommaso con Aristotele (Metafis.  libro III c. 4 e sgg.) mette in luce l’evidenza necessitante del principio di non contraddizione fondato sull’opposizione fra l’essere intelligibile e il non essere. Dice continuamente San Tommaso che “l’essere intellegibile è il primo oggetto conosciuto dall’intelligenza”, come il colorato è l’oggetto proprio della vista e il sonoro l’oggetto proprio dell’udito. Quando si presenta l’oggetto sensibile, mentre la vista afferma l’essere colorato in quanto colorato, l’intelligenza afferra come essere, ciò che è, e che si oppone al niente».

Seguendo San Tommaso il teologo esprime dei principi sui quali fonda la conoscenza del vero da parte dell’intelligenza umana.
Se la relazionalità in quanto identificazione con l’essere è compiuta tramite la potenza intellettiva, si ha la verità che è adeguazione dell’essere con l’intelligenza, la conformità dell’essere con l’intelligenza. Se invece essa è compiuta tramite la potenza volitiva, si ha la bontà, che è conformità della volontà con l’essere.
L’intelligenza, per definizione è intelligenza dell’ente, è la verità logica, la conoscenza è l’adeguazione cosciente dell’ente con l’intelligenza, la quale si esprime nel giudizio.

San Tommaso dà una semplice spiegazione nel trattato “De Veritate”: 
« …ogni conoscenza si compie attraverso l’assimilazione del conoscente alla cosa conosciuta, così che l’assimilazione è detta causa della conoscenza, ...: la prima comparazione dell’ente all’intelletto è dunque che l’ente concordi con l’intelletto, la quale concordanza è detta “adeguazione della cosa e dell’intelletto”, e in ciò formalmente si compie la definizione di “vero”. Questo è dunque ciò che il vero aggiunge sopra l’ente: la conformità, cioè l’adeguazione, della cosa e dell’intelletto, alla quale conformità, come si è detto, segue la conoscenza della cosa: così dunque l'entità della cosa precede la nozione della verità, ma la conoscenza è un certo effetto della verità» (4). 

San Tommaso e tutta la filosofia tomistica e scolastica pongono, pertanto, come abbiamo detto, il principio dell’“Adeguatio rei et intellectus” come postulato inalterabile per identificare il vero e distinguerlo dal falso.
«Come abbiamo spiegato, ogni cosa è conoscibile in quanto è in atto. Ora l’ultima perfezione dell’intelletto è la sua operazione: poiché questa non è un’operazione [transitiva] che, per avere un termine estrinseco, viene ad essere compimento di un prodotto o di un’opera, come la costruzione di un edificio. Essa, invece, rimane nell’operante quale perfezione e atto del medesimo, come dice Aristotele (Metaf. VIII lett. 8). Perciò la prima cosa che si conosce intorno all’intelligenza è precisamente la sua intellezione» (5)

Il Dottore Angelico va oltre sciogliendo le difficoltà: «Oggetto dell’intelletto cioè l’ente o il vero, è un universale (6),  il quale abbraccia anche l’atto d’intellezione. Perciò l’intelletto può conoscere il proprio atto. Ma non come primo oggetto: perché nello stato presente il primo oggetto del nostro intelletto non è un ente o un vero qualsiasi, ma l’ente e il vero visto nelle cose materiali, come abbiamo spiegato. Di qui si passa alla conoscenza di tutte le altre cose» (7). 

La Nouvelle Theologie sovverte questo ordine della realtà e prospetta tutto verso un divenire sempre mutabile, questo si estende sia nell’ordine della teologia speculativa sia nell’ordine della teologia morale, tralasciamo tale estensione in ambito sociale e politico.
Da Hegel all’esistenzialismo il passo è breve in quanto quest’ultimo « …non vede l’essenza delle cose, ma soltanto la loro esistenza – pervaso - da un irenismo voluto che sembra credere alla conciliazione delle cose contraddittorie». La conciliazione degli opposti è l’atto finale di tutta la nuova costruzione filosofica della filosofia contemporanea. «Nota Aristotele che dire che una medesima realtà può nello stesso tempo esistere e non esistere, vuol dire distruggere ogni linguaggio, ogni realtà, ogni verità, ogni probabilità, ogni vero bene distinto dal male, ogni desiderio, ogni azione ed anche ogni movimento, perché il punto di partenza non si opporrebbe contraddittoriamente al punto di arrivo e si sarebbe già arrivati prima di partire» (8). 

Questo divenire ha pervaso, quindi, tutta la teologia cattolica, un miscuglio tra razionalismo, scientismo, illuminismo kantiano, idealismo hegeliano, ha posto le fondamenta per la distruzione di tutta la fede e la morale cattolica, che si devono adattare al progresso e alle aspettative delle nuove generazioni più evolute di quelle del passato, con queste premesse l’esistenzialismo diventa l’ultima tappa a cui i nuovi teologi vogliono tendere.
Questa conciliazione degli opposti vuole appositamente ignorare e considerare obsoleto il principio di identità e non contraddizione e la cognizione della realtà sotto l’aspetto ontologico, secondo questa nuova concezione è sufficiente fermarsi all’empirismo, la trascendenza diventa soltanto una certezza morale soggettiva. 
L’essere trascendentale diventa un concetto inafferrabile dalla mente umana perché non provato empiricamente!
Seguendo tali principi, ogni nozione di assoluto viene annientata completamente. 

Nella metafisica valgono “mutatis mutandis” gli stessi principi della matematica: messo in discussione un principio fondamentale, tutto il sistema cade.
Se nell’ordine matematico si mette in discussione che 1 + 1 = 2 o nella geometria euclidea si mette in discussione che le rette parallele non si incontrano, tutto il sistema matematico crolla, similmente nella metafisica, posti in dubbio il principio di cognizione della realtà, il principio di identità e non contraddizione, il principio secondo cui il minore è prodotto sempre dal maggiore come il meno perfetto è prodotto dal più perfetto, tutto crolla. 

Spostando un principio del ragionamento tutto diventa relativo e mutevole.

Cosa si è sostituito al posto della filosofia perenne della Chiesa? Il sentimento, che è più conforme alle esigenze dell’epoca attuale. La “adeguatio realis mentis et vitae” (9)  esige come metodo, circa la conoscenza mutevole e l’instabilità delle definizioni, il collante del sentimento, infatti, cosa è più mutevole del sentimento, che può mutare a seconda delle esigenze della vita e della contingenza?
Questo relativismo in ambito filosofico si traspone quindi in ambito dogmatico, tutti i dogmi vengono intaccati da questo principio: La Grazia – l’Incarnazione di Cristo – i Sacramenti:
il padre Garrigou nella sua analisi sulla Nuova Teologia : 

«…si diceva che le nozioni usate nelle definizioni conciliari a lungo andare invecchiano, e non sono più conformi al progresso delle scienze e della filosofia, e allora devono essere sostituite da altre dichiarate equivalenti, ma che sono ugualmente instabili.
Per esempio la definizione del Concilio di Trento circa la grazia santificante, che è causa formale della giustificazione, era una buona formula all’epoca del Concilio di Trento, ma oggi richiederebbe di essere modificata. …
Si è sostenuto che la vita soprannaturale della grazia concessa all’uomo non è gratuita nel senso che comunemente s’insegna, e che Dio non poteva creare l’uomo senza dargli un fine soprannaturale cioè la vita eterna ossia la visione beatifica. La grazia non sarebbe veramente gratuita come il nome fa pensare. Dio doveva a se stesso il concederla.
Anche il mistero dell’Incarnazione è stato proposto da alcuni come un momento dell’evoluzione, in quanto noi diciamo che le anime ancor troppo legate ai sensi e alla vita animale, avevano bisogno dell’influsso del Cristo universale, del Cristo cosmico, capo dell’umanità che ha preceduto di molte migliaia di anni il progresso del mondo. … anche la nuova concezione del peccato originale e del peccato in genere come offesa di Dio richiede che venga modificato l’insegnamento attuale della Chiesa intorno al mistero della Redenzione. E finalmente stato proposto d’intendere la presenza reale del Corpo di Cristo nell’Eucarestia non insistendo più sulla vecchia nozione di sostanza e non parlando più di transustanziazione nel senso ontologico della parola. Si afferma che basta dire che il pane e il vino consacrati sono divenuti simbolo efficace del sacrificio di Cristo e della sua presenza spirituale; è cambiato il loro essere religioso. Simbolismo questo, molto simile a quello ammesso da Calvino per l’Eucarestia». 

Questi portati nella sua analisi dal teologo domenicano, sono soltanto alcuni esempi dei dogmi attaccati da questi principi del relativismo. 

Questa Nouvelle Theologie «non è altro che una spiritualità o esperienza religiosa che ha trovato la sua esperienza intellettuale»! (10)
La Nouvelle Theologie, riproponeva in modo ancor più devastante quanto i modernisti avevano insegnato all’inizio del XX secolo e per cui furono condannati da San Pio X con l’enciclica “Pascendi dominici gregis”. Il Papa metteva in guardia i vescovi e gli studiosi: «Magistros autem monemus ut rite hoc teneant Aquinatem vel parum deserere, praesertim in re metaphysica, non sine magno detrimento esse». Per gli stessi errori questa nuova teologia fu condannata da Pio XII con l’enciclica “Humani generis”. 


  continua.....



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  LA NOUVELLE THEOLOGIE NEL MAGISTERO CONCILIARE E POST CONCILIARE

Questi principi sono stati trasposti in tutta la dottrina cattolica e il Concilio Vaticano II è tutto permeato da questi errori derivanti dal relativismo. I teologi condannati e tolti dall’insegnamento da Pio XII, furono richiamati come periti ovvero esperti, al Vaticano II, alcuni di loro diventarono poi cardinali e pure elevati al sommo pontificato.

Sarebbe lungo esaminare dettagliatamente in questo studio i singoli documenti del Concilio Vaticano II, i loro contenuti erronei e i sottointesi che portano all’eresia, più o meno manifesta, molti studi sono già stati pubblicati e si rinvia al momento a questi studi (11). 

C’è da notare che questi nuovi teologi si divisero dopo il Vaticano II in due tronconi quelli che seguivano un relativismo più moderato dettero vita alla rivista “Communio”, mentre quelli che volevano una continua trasformazione e consideravano il Vaticano II, soltanto una tappa per un ulteriore cambiamento fondarono la rivista “Concilium”. Soltanto quelli che aderirono al primo troncone vennero elevati ad onori superiori.

Tutti i dogmi e la dottrina della Chiesa sono stati rielaborati in funzione neo modernista e secondo i principi relativisti della Nouvelle Theologie, se si esaminano punto per punto le riforme che sono state poste in atto dalla chiusura del Vaticano II, appare evidente che lo spirito del relativismo le pervade dall’inizio alla fine, anche gli atti che parrebbero a prima vista i più innocui ed insignificanti contengono al loro interno gli errori del relativismo dogmatico.

La nuova teologia ha pertanto influenzato il nuovo Magistero, è chiaro che se le premesse sulla grazia erano quelle sopra esposte, secondo cui questa era dovuta da Dio all’uomo essere razionale e “Dio doveva a se stesso il concederla” all’uomo, è facile innescare la teoria della redenzione universale secondo cui ogni uomo è già salvo in base a questa grazia che Dio concede indistintamente ad ogni uomo a prescindere dal suo credo, o che voglia o non voglia aderire alla sua Chiesa.
Anche in questo caso era necessario trovare l’anello di congiunzione e questa unione non poteva essere che l’umanità assunta da Cristo nell’Incarnazione. 

Questa è la dottrina professata da Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Redemptor hominis” (12).  
Tutto ha origine sempre dallo spostamento del concetto di verità dall’ordine ontologico a quello fenomenico, del quale ha parlato poco sopra il Padre Garrigou Lagrange e ne ha evidenziato le derive. È logico, quindi, che questa salvezza incondizionata concessa all’uomo porti come conseguenza lo sgretolamento della nozione di peccato.
Non si può più considerare il peccato mortale come morte dell’anima alla vita soprannaturale, perché questa vita soprannaturale ci è dovuta e ci è dovuta da Dio perché Cristo ha assunto la carne umana e l’ha redenta con la sua divinità, ed il peccato diventa, pertanto, soltanto una negatività soggettiva che non influisce nella vita soprannaturale ma soltanto nel nostro inconscio. 

Il sacrificio cruento di Nostro Signore Gesù Cristo diventa qualche cosa di inverosimile agli occhi dell’uomo moderno, infatti, come poteva Dio chiedere al proprio figlio un sacrificio cruento mediante la croce, per redimere l’uomo dal peccato originale? Questo risulta essere per la Nuova Teologia, non più conforme al messaggio di amore del Nuovo Testamento che noi oggi conosciamo (13). 

Tutto ormai prende forma per accogliere l’ultimo tassello della Nuova Teologia: la teologia della liberazione! Che nell’analisi del padre Garrigou Lagrange non era neppure presa in considerazione,  ma le cui basi erano state poste (14). 

Questa teologia della liberazione non è più solo quella in cui si inserisce il marxismo come anello mancante nella deriva hegeliana del continuo divenire, e secondo cui questi nuovi teologi identificano Cristo come un capo politico-religioso antesignano di Carlo Marx che libera l’uomo dalla povertà e dall’oppressione del ricco, e il cui Vangelo diventa un primo modello del “Capitale” o del “Manifesto”, ma questa teologia della liberazione è altresì liberazione della coscienza dell’uomo, ormai cosciente della propria dignità, da vincoli posti da una religione, prima aristocratica e poi borghese o l’una e l’altra, ma che in ogni caso non era quella voluta da Cristo!

La teologia della liberazione che poneva le sue radici su basi marxiste, essendo troppo palese l’inconciliabilità con i minimi presupposti di qualsiasi fede, fu condannata seppur in modo blando dalla “chiesa conciliare”, ma tale interpretazione marxista ebbe termine soprattutto con la caduta dei regimi comunisti. 
Rimane in piedi però l’altro lato, quello ancor più pericoloso, quello della liberazione delle coscienze, che Francesco I ha fatto sua.

Tralasciamo al momento gli errori circa il pauperismo condannati dalla Chiesa già nel Medioevo (15) e che fanno parte sempre di questa nuova visione della Chiesa di cui non abbiamo il tempo di approfondire in questa sede (16). 
Il genere umano ormai redento e non più necessitante della grazia divina, in quanto tale grazia gli è dovuta da Dio in quanto essere ragionevole, può liberarsi anche dalla nozione di peccato, l’uomo giunge ad una concezione soggettivista del peccato. Ecco che l’insegnamento di Francesco I ha un significato in questo contesto. Il “… chi sono io per giudicare … se cerca Dio” (17)  è l’espressione più coerente con i principi fondamentali della Nouvelle Theologie. 

L’evoluzione, l’esperienza continua in campo dogmatico, trova la sua completa realizzazione anche in campo morale, che è l’argomento che all’uomo contemporaneo desta più interesse, per di più perché vincola il suo comportamento nel suo modo di agire e nei sentimenti, nella sessualità, nella condivisione degli interessi più intimi. In questo contesto si inseriscono gli sforzi da parte dei nuovi teologi incoraggiati da Francesco I per cambiare il modo di concepire la famiglia, sempre nell’ottica del cambiamento continuo, premessa principale della Nuova teologia. 

Il tipo di famiglia cristiana o naturale poteva funzionare nell’Ottocento, ma già a metà del secolo XX, questo tipo di famiglia si sgretolava e le conquiste della libertà della donna e il suo inserimento nel mondo del lavoro in modo più radicale, hanno ora necessità nel XXI secolo di un cambiamento!  Si prenda pure atto che le leggi sul divorzio che hanno portato alla costruzione di famiglie allargate, con più padri e più madri hanno necessità di un mutamento nella morale. 

La “Conformitas mentis et vitae” giunge ad un suo ultimo traguardo: la riforma della morale. Questa non cambierà per il momento nei principi, ma soltanto nella prassi.
In considerazione di tutto questo, l’Inferno è quasi vuoto, fanno parte della schiera dei dannati soltanto coloro che hanno leso la dignità dell’umanità, che è stata, invece già posta in stato di grazia dal Cristo cosmico che ha assunto la carne umana e a cui “Dio doveva a se stesso il concederla”.

La conclusione filosofica e teologica che si impone a questo punto è che avendo sostituito la nozione di verità, ogni verità diventa fluttuante e lasciamo questa conclusione all’enciclica “Humani generis” di Pio XII: «Le false affermazioni di siffatto evoluzionismo, per cui viene ripudiato quanto vi è di più assoluto, fermo e immutabile, hanno preparato la strada alle aberrazioni di una nuova filosofia che facendo concorrenza all’idealismo, all’immanentismo e al pragmatismo, ha preso il nome di “esistenzialismo”, perché, ripudiate le essenze immutabili delle cose, si preoccupa solo dell’ “esistenza” dei singoli individui».

Si sono svelati soltanto per sommi capi i postulati della Nouvelle Theologie riguardo al peccato e alla grazia, non si è avuto il tempo di affrontare in modo dettagliato, gli altri dogmi sui sacramenti, sul peccato originale, sull’Incarnazione, sull’ecumenismo e sulla Chiesa, nella prospettiva del nuovo magistero dell’errore, che ha avuto autorità e valore dal Vaticano II in poi e che ormai ha inciso talmente sulle coscienze che ci fa chiedere in modo insistente: chi aderisce alla “nuova chiesa conciliare” è ancora cattolico?

A questa domanda è necessario dare urgentemente una risposta!


NOTE

1 -  Cfr. il SILLABO di papa Pio IX  ovvero Sommario dei principali errori dell’età nostra. La lettera dello stesso Pio IX Gravissimas, Tuas libenter. Le encicliche di San Pio XPascendi, Sacrum Antistitum e Humani generis di papa Pio XII.
2 - Reginald GARRIGOU LAGRANGE O.P., Sintesi Tomistica, p. 542
3 -   Ibidem.
4 - SAN TOMMASO D’AQUINO, De Veritate, Questio I articolo 1.
5 - SAN TOMMASO D’AQUINO, Summa Teologica I - Questio 87 articolo. 3.
6 - Da un punto di vista gnoseologico e metafisico l’universale è la natura di un essere concepita nei suoi elementi costitutivi assoluti, indipendentemente dai soggetti singoli in cui sussiste. Mentre i nominalisti di tutti i tempi e i moderni, vedono nell’universale un dato soggettivo perché fanno del concetto il prodotto di una lenta elaborazione, San Tommaso ne considera la natura intenzionale e funzionale di termine rappresentativo e arriva a riconoscere il valore oggettivo.
7 - Ibidem; Gli scolastici posteriori distinguono tre oggetti formali per l’intelligenza umana, partendo dalla considerazione che il nostro intelletto può trovarsi in due condizioni assai diverse: nello stato di unione con il corpo, e nello stato di separazione. Astrattamente considerato l’intelletto umano ha come oggetto formale comune l’ente in quanto ente. Nello stato di unione col corpo ha come oggetto formale proprio la quiddità delle cose materiali, e cioè l’ente corporeo. Nello stato di separazione col corpo avrà come oggetto formale proprio l’ente in quanto ente, con le limitazioni di un’anima fatta per animare un corpo, e cioè l’unione sostanziale con l’organismo. (T. Sante CENTI, Commento alla Summa Teologica).
8 - Reginald GARRIGOU LAGRANGE O.P., op. cit.;
9 - Questa definizione è tratta da M. Maurice BLONDEL (1861–1949), scrittore, modernista. Tra i suoi scritti L’Etre et les êtres, 1935.
10 - Reginald GARRIGOU LAGRANGE O.P.: La nouvelle theologie ou va-t-elle ? Elle revient au modernisme, Roma Angelicum 1946 p. 126-145. Frase proposta dal teologo domenicano tratta dagli scritti dei nuovi teologi.
11 - Sinossi degli errori imputati al Concilio Vaticano II - Ed. Ichtys Albano Laziale 2012. Esistono svariati studi sui singoli documenti pubblicati in svariate riviste, ma mai condensati in un unico studio.
12 - si veda Johannes DORMANN – La teologia di Giovanni Paolo II e lo spirito di Assisi– Ed. Ichtys Albano Laziale 2000 - opera composta in IV volumi.
13 - J. RATZINGER, Introduzione al Cristianesimo, prima edizione 1969, Nuova edizione 2005; Cfr il commento di B. TISSIER DE MALLERAIS, Simposium Pascendi, Parigi 2007 pp. 11-13.  “Antitesi: ma, il Nuovo Testamento non dice che l’uomo si riconcilia Dio, bensì che è Dio che riconcilia l’uomo. Dunque che Dio esiga dal Suo Figlio un sacrificio umano, non è conforme al messaggio di amore del Nuovo Testamento. Dire che Dio ha preteso dal Suo Figlio un sacrificio umano non è conforme al Nuovo Testamento. Dio non ha non ha potuto esigere dal Suo Figlio un sacrificio umano. Del resto l’Antico Testamento vieta i sacrifici umani. Detto in altro modo oggi non possiamo più accettare che la croce sia un sacrificio espiatorio. Questo andava bene ai tempi di Sant’Anselmo, ma oggi è impossibile, perché la nostra conoscenza del Nuovo Testamento, il messaggio di amore del Nuovo Testamento, ci dice che Dio non può esigere il sangue di Suo Figlio come un dio Moloch assettato di sangue”.
14 - Prese in considerazione questo aspetto della Nuova Teologia il Padre Antonio MESSINEO S.J. in alcuni articoli apparsi sulla “Civiltà Cattolica” quaderno 2537 anno 1950 - quaderni 2541 e 2545 anno 1956; Cfr. Roberto DE MATTEI, Il Concilio Vaticano II una storia mai scritta, pp.96 - 97 “Non ultima tra le note che contrassegnano il progressismo moderno è la sua spiccata simpatria verso il comunismo  e marxismo in genere. A questo lo conduce non solo l’irenismo, di cui sopra si fa cenno, e il conseguente desiderio di aprire il colloquio con tutte le correnti moderne, ma anche una valutazione almeno parzialmente positiva dell’ideologia marxista”.
15 - La dottrina del pauperismo degli Spirituali e Fraticelli fu condannata dal Concilio di Vienne 1311 - 1312 con la Costituzione “Fidei catholicae fundamentum” DS. 900 – 904 e “Exivi de Paradiso” DS. 908. Lo stato di povertà assoluta della Chiesa fu nuovamente condannato da Giovanni XXII con la Costituzione Apostolica “Gloriosam Ecclesiam” del 23 gennaio 1318 DS. 910 -916. Non a caso Bergoglio ha assunto il nome di Francesco per la sua vicinanza dottrinale a queste sette ereticali o semi ereticali del tardo Medioevo che distorcevano la figura di San Francesco d’Assisi.
16 - In un’intervista a La Stampa del 26 luglio 2013, Leonardo BOFF ha spiegato che il nuovo Papa è vicino al  movimento della Liberazione così come si è sviluppato in Argentina, «come teologia del popolo, portata avanti dal gesuita Juan Carlos Scannone, che è stato insegnante di Bergoglio». Quando era ancora arcivescovo di Buenos Aires.
Leonardo BOFF è uno dei cofondatori della teologia della liberazione.
17 - Frase tratta da un discorso estemporaneo avvenuto il 29 luglio 2013 di Francesco I ad una domanda posta da un giornalista sull’omosessualità.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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  Mons. Livi analizza la “Nuova Ecclesiologia” di Hans Küng


18 ottobre 2014, San Luca Evangelista

Disputationes Theologicae ha, nei giorni scorsi, riproposto la lettura di alcuni articoli - pubblicati già negli scorsi anni - con una rubrica ad hoc:“Alle radici ideologiche del veleno sinodale” (cfr. colonna di destra).Per approfondire le premesse che hanno condotto all’attuale baratro dottrinale ed ecclesiale, di cui gli eventi sinodali di questi giorni sono solo il fenomeno più evidente, ha chiesto a Mons. Antonio Livi, decano emerito di Filosofia della Lateranense, un contributo per risalire alle radici filosofico-teologiche della “Nuova Ecclesiologia”.L’attenzione si è concentrata su uno dei più significativi ed influenti esponenti della “falsa teologia”, per riprendere un’immagine cara all’autore (cfr. A. Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012).                                                                                                                                                         S. C. 

di mons. Antonio Livi

L’ecclesiologia di Hans Küng merita di essere attentamene esaminata perché oggi essa non ha un peso teologico marginale ma costituisce proprio l’ideologia filosofico-religiosa dominante in ambito cattolico. Le categorie concettuali e le fonti letterarie principali sono quelle della Riforma luterana e della filosofia religiosa di matrice luterana, rappresentata nell’Ottocento dal sistema idealistico di Georg Friedrich Hegel e nel Novecento dalla «dogmatica ecclesiale» (die Kirchliche Dogmatik ) di Karl Barth.

I capisaldi di questa ideologia filosofico-religiosa sono rappresentati dallo storicismo e dalla dialettica immanentistica. La Chiesa cattolica viene così interpretata come un momento storico della dialettica dello Spirito (inteso, questo, non tanto come lo Agion Pneuma del dogma cattolico quanto piuttosto come «der Geist» di Hegel), la quale mira a uno svolgimento nel prossimo futuro che vedrà, come prima tappa, l’abbattimento delle barriere dottrinali tra cattolici e protestanti (con la piena accettazione della concezione luterana della «giustificazione per sola grazia») e la costituzione di una sola “Chiesa di Cristo” (ecumenismo); infine, come seconda e definitiva tappa, la costituzione di una “Chiesa universale” su base esclusivamente etico-politica (la «Weltethik»).

Tale ideologia pervade oggi, come sottofondo ben identificabile a un’attenta analisi concettuale, la maggior parte delle proposte (dottrinali o pastorali) dei teologi cattolici più in vista, a cominciare da Karl Rahner, che lo stesso Hans Küng considera un maestro e un modello nell’adottare in teologia la dialettica di Hegel (1). Questi teologi cattolici, molti dei quali divennero vescovi, esercitarono una ben documentata influenza sui lavori del Vaticano II, per poi assumere il ruolo (arbitrario) degli unici interpreti autorevoli del Concilio nel successivo cinquantennio, fino ad arrivare, oggi, alla preparazione e allo svolgimento dei lavori del duplice Sinodo sulle possibili modifiche della prassi pastorale in relazione ai problemi delle famiglie. Figura di spicco di questa corrente teologica è il cardinale Walter Kasper, sostenuto da gran parte dell’episcopato tedesco e in Italia da altri teologi divenuti cardinali come Dionigi Tettamanzi e Gianfranco Ravasi. La sua tesi più caratteristica, in linea con le proposte teologico-morali di Hans Küng, è la necessità di accelerare il processo di riforma della Chiesa con 
un più deciso adattamento alla coscienza morale degli «uomini del nostro tempo» e l’allineamento con la prassi delle comunità ecclesiali protestanti e ortodosse.

Nel suoi discorsi il Leitmotiv è la necessità di de-dogmatizzare la Chiesa cattolica, cominciando da una nuova pastorale della famiglia separata e indipendente dalla dottrina sui sacramenti, provvisoriamente non abolita ma tenuta in disparte (2). In Italia, l’ideologia ecclesiologica di Hans Küng, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto “ecumenico”, è divulgata e incessantemente riproposta da Enzo Bianchi, “priore” della comunità di Bose, molto ascoltato dalla maggioranza dei vescovi e anche presso la Santa Sede (3).

Alle origini del progetto di riforma della Chiesa Cattolica 

Per comprendere bene, nei suoi contenuti teorici e nella sua portata pratica, l’ecclesiologia di Hans Küng, è indispensabile accennare ad alcuni dati biografici, sulla scorta  delle opere nelle quali il teologo svizzero ha narrato il processo della sua formazione intellettuale (4). Da questi dati risulterà assai chiaramente l’indole luterano-idealistica delle sue intenzioni riformatrici e del suo ideale di vita ecclesiale cattolica, sulla base della sua particolare concezione del sacerdozio e della pastorale, presenti in ogni sua opera, dalla giovanile  Rechtfertigung alle opere della maturità come Existiert Gott? e al “manifesto” conclusivo della “Chiesa futura”, ossia il Projekt Weltethos. Hans Küng (nato nel 1928) si forma in un ambiente dove si pratica di fatto un certo “dialogo inter-religioso”, per via del contatto quotidiano, nella stessa classe, con cattolici, protestanti ed ebrei (5). Anche se aveva pensato di diventare medico o architetto, «tendeva a qualcosa che fosse insieme più spirituale e più concreto, più utile ai giovani, perciò decise di diventare sacerdote e teologo cattolico» (6). In seguito, tali tendenze diverranno molto più accentuate, avranno cioè più evidenza e risonanza nella sua produzione.
Lo dimostrano opere comeWahrhaftigkeit Christ sein, e poi la sua attività romana come assistente spirituale di impiegati e a Sursee come predicatore in ospedale (7). Giunto a Roma, nel 1948, Küng entra come seminarista al Pontificio Collegio Germanico e studia filosofia e teologia all’Università Gregoriana.
Al Germanico, in quegli anni, vi si trovavano studiosi quali Emerich Coreth, Wilhelm Klein, W. Kern, tutti impegnati nello studio della filosofia hegeliana.

Proprio in quel periodo, nel 1952, Coreth aveva dato alle stampe un suo saggio, intitolato Das dialektische Sein in Hegels Logik. Come afferma lo stesso Küng, da lui egli imparò a interpretare la spiritualità sacerdotale e lo zelo pastorale  in termini storicistici e dialettici, in opposizione frontale con le direttive dottrinali del Magistero di Pio XII, che includevano anche la raccomandazione di non abbandonare la metafisica e la logica insite nella tradizione teologica cattolica:

«Probabilmente non avrei resistito in quei sette anni senza il mio padre spirituale al Collegio Germanico, P. Wilhelm Klein, il quale – preparato da una molteplice attività come professore di filosofia, come provinciale della provincia gesuita della Germania del Nord e come visitatore per la Compagnia di Gesù dalla Scandinavia fino al Giappone – portava con sé un orizzonte di vedute raro e molto ampio [...]. Egli era anche l’uomo che per primo mi rese attento riguardo a molti problemi filosofici e teologici scottanti. Con lui parlavo soprattutto di Hegel e poi di Karl Barth. E a lui per primo mostravo i miei brevi manoscritti teologici, che redigevo da solo e che egli per lo più prima stroncava nel modo più tagliente per poi costringermi ad un pensare veramente dialettico, che includesse già nella sintesi anche il contrario» (8). 

E fu proprio Klein che indusse «in maniera decisiva» il giovane Küng a scegliere come argomento di tesi dottorale la teologia barthiana. In un altro suo libro, Küng, nel ringraziare per l’aiuto ricevuto nella stesura del testo, ricorda con gratitudine Coreth, Klein, Kern come suoi «venerabili maestri al Collegio Germanico-Ungarico in Roma», che, insieme ad altri, «mi hanno dato suggerimenti decisivi per la mia teologia in generale e per la comprensione di Hegel in particolare» (9).
Negli anni che vanno dal 1951 in poi Küng si dedica principalmente allo studio della teologia dialettica di Barth, e sul teologo di Basilea redige nel 1955 la tesi di Licenza sotto la guida di uno dei suoi professori di dogmatica alla Gregoriana, cioè Maurizio Flick, che poi sarebbe divenuto famoso per la sua teoria sulla riduzione del dogma del peccato originale a mero mito delle origini. E a Barth Küng riconosce poi di essere riconoscente per avergli consentito di comprendere la valenza propriamente teologica della filosofia di Hegel, cancellando quindi non solo la distinzione tra teologia cattolica e teologia luterana ma anche tra teologia e filosofia. Rechtfertigung.  Die Lehre Karl Barths und eine katholische Besinnung è la prima opera di Küng e  dimostra la passione con cui il teologo di Tübingen si dedicò ad assimilare il pensiero barthiano nei sette anni di permanenza al Collegio Germanico; lo stesso Karl Barth volle poi sottolinearlo pubblicamente:
«La mia gioia proviene anzitutto dall’apertura e dalla fermezza con la quale lei, al Collegio Germanico di Roma [...] quale coraggioso compatriota ha studiato pure i miei libri ed ha chiarito dialetticamente a se stesso il fenomeno teologico che vi riscontrava» (10). 

Altro autore studiato con passione era de Lubac, allora al centro di inevitabili polemiche per il suo libro Surnaturel. Études historiques (Paris 1946) 14 che metteva in discussione la dottrina tradizionale circa la gratuità dell’ordine soprannaturale. Tali dispute, insieme a quelle su altri problemi relativi al poligenismo, all’evoluzionismo, al comunismo, condussero alla decisa presa di posizione di Pio XII con l’enciclica Humani generis (1950). Lo studioso cattolico Antonio Russo, dell’Università di Trieste, ammiratore di Henri de Lubac e di conseguenza molto comprensivo nei riguardi di Küng, dipinge a tinte fosche la situazione dottrinale, pastorale e disciplinare della Chiesa pre-conciliare, immedesimandosi nella visione della Chiesa che era tipica dei progressisti, e con loro del giovane seminarista svizzero Hans Küng:
«In quegli stessi anni, poi, il clima spirituale dominante a Roma è tutt’altro che aperto alle novità. Riviste come La Civiltà Cattolica ospitano non di rado articoli come Perenne vitalità del PapatoAzione pacificatrice del Papato nelle età anticheAzione pacificatrice e caritatevole del Papato nell’età contemporaneaIl Vaticano faro di progresso culturale. Si scomunicano i comunisti e chi offre loro appoggio; si indicono solenni pellegrinaggi, atti di devozione mariana e di “entusiasmi addirittura plebiscitari”; si proclama il dogma dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, l’Anno Santo del 1950, l’Anno Mariano del 1954. Il giovane teologo, comunque, vive continuamente a contatto sia con la “teologia romana” sia con l’ambiente spirituale e culturale del Germanico, trovandosi a disagio e in pericolo di far naufragare la sua conversio romana. Tanto che le sue letture si orientano verso l’approfondimento di posizioni e autori come Hegel, de Lubac, ma soprattutto di Karl Barth, il cui studio lo plasmerà in maniera duratura, perché gli aprirà “den Zugang zur evangelischen Theologie”, spingendolo ad appassionarsi per la teologia» (11).

Come si vede, l’influsso ricevuto da Küng nei primi anni della sua formazione è di stampo decisamente luterano, e luterana è la concezione di Chiesa e di teologia ecclesiale che fin dagli inizi orienta i suoi studi. Il risultato è un metodo teologico che procede a partire dalla  sostanziale eliminazione del magistero ecclesiastico (soprattutto quello pontificio) come criterio di base per l’interpretazione scientifica della fede. Anche la vita concreta della Chiesa (la liturgia, la pietà popolare) è vista come “da fuori”, come qualcosa da superare o eliminare del tutto perché appartenente alla “Chiesa del passato”, che deve lasciare spazio alla “Chiesa del futuro”. Küng avverte un aspro fastidio verso il culto mariano che la Chiesa professa  e pratica, e conseguentemente è portato a svalutare, non solo della devozione popolare ma anche un solenne pronunciamento dogmatico come quello del 1954 relativo all’Assunzione in Cielo, in corpo e anima, della Beata Vergine Maria. Avendo disconosciuto lapotestas docendi della Chiesa gerarchica, Küng al  posto del Magistero adotta come criterio-guida per la teologia, ossia per l’interpretazione di quella che Küng chiama sempre «der christlischer Glaube» (mai « der katholischer Glaube»), il pensiero del luterano Karl Barth, il quale a sua volta introduce Küng a una pratica della teologia ispirata esclusivamente alla dialettica hegeliana.

Le conseguenze teologiche dell’adozione di una filosofia incompatibile con la fede cristiana (e prima ancora con la retta ragione naturale)

Occorre rilevare a questo punto che queste premesse metodologiche fanno sì che il discorso sulla Chiesa svolto da Küng non sia propriamente teologico: nessuna delle sue tesi può essere considerata - da un punto di vista rigorosamente critico-epistemologico - come ipotesi scientificamente ammissibili, come una quaestio teologica disputata, perché il metodo da lui seguito non è affatto quello proprio della teologia ecclesiale ma è piuttosto quello di una “filosofia religiosa”, nel senso preciso che io do a questo termine nel mio trattato su Vera e falsa teologia (12). E che il pensiero di Küng sia da considerare mera “filosofia religiosa” dipende non solo dal fatto che si ispira alla dialettica di Hegel – il quale esplicitamente riduce la teologia cristiana alla filosofia, e questa a una «Phanomenologie des Geistes» (13) - , ma anche dal fatto che nemmeno il pensiero di Barth trascende gli angusti limiti metodologici della “filosofia religiosa”; infatti, come ebbi a ribadire anche in un dialogo epistemologico con Brunero Gherardini (14), il presupposto luterano della «sola Scriptura», con l’esclusione a priori del magistero ecclesiastico dalla determinazione scientifica dell’oggetto della teologia (che altro non può essere se non la fede della Chiesa), fa sì che ciò che lo studioso denomina «derchristlischer Glaube» o «das Wort Gottes» resti indeterminato, o comunque determinato soltanto da scelte soggettive, e quindi ridotto a dati ricavabili solo dall’incerta fenomenologia della coscienza individuale o storico-comunitaria, quella che è deputata a interpretare la Scrittura senza bisogno di un magistero ecclesiastico.

Ora, non si può elaborare una scienza senza la chiara determinazione del suo specifico oggetto, dal quale dipende poi l’adozione del metodo più adeguato a interpretarlo. Una teologia che non abbia per oggetto la fede della Chiesa (e non il «sentimento di fede» soggettivo di qualcuno, all’interno o al di fuori della Chiesa) non può essere considerata “teologia” nel senso cattolico del termine, ossia come teologia ecclesiale. E, all’interno di tale teologia, l’ecclesiologia di chi non collega direttamente ed essenzialmente la fede della Chiesa al magistero della Chiesa si riduce a un ambiguo discorso religioso che poi finisce per adottare i temi e i modi retorici di una ideologia socio-politica, come è avvenuto con le ultime opere di Hans Küng, comeProjeckt Weltethos, che ben poco si differenziano, nella sostanza, da analoghe opere di propaganda dell’ideologia universalistica di ispirazione teosofica o massonica. Infatti, per esplicita ammissione di Küng, solo a seguito dell’incontro con le opere di Barth:

«wurde mir klar, was Theologie als Wissenschaft sein kann. Barths kritischkonstruktive Auseinandersetzung mit der gesamten christlichen Tradition [...] setzte für mich bleibende Masstäbe theologischen Denkens und Handelns» (15).

Per dirla in termini ancora più espliciti, e anche più rigorosi dal punto di vista epistemologico, l’ecclesiologia di Hans Küng non va considerata come “una teologia con qualche errore”: essa è piuttosto la negazione stessa della “teologia come scienza” (die Theologie als Wissenschaft), in quanto il modo di riferirsi alla Chiesa di Cristo – quel mistero della fede cristiana che la scienza teologica dovrebbe assumere come proprio oggetto specifico e prendere in esame – mostra chiaramente che Küng si riferisce ad altro. Quando parla di “ecumenismo”, sembra che si riferisca semplicemente a qualcosa di  sociologicamente rilevabile (che egli individua nel “minimo comun denominatore” delle varie “confessioni di fede” elaborate dalle comunità cristiane); ma questo  qualcosa di  sociologicamente rilevabile gli serve poi –  proprio come fa Hegel nel disegnare le sue sintesi storiche della coscienza religiosa –  per elaborare il progetto della “religione universale”, che segnerebbe il superamento della Chiesa cattolica e di tutte le altre confessioni cristiane, nell’unità dialettica con l’Islam, con il buddismo, con l’induismo e anche con l’ateismo. Le richieste che oggi Küng avanza per accelerare la “riforma della Chiesa” (l’annullamento di fatto del magistero ecclesiastico e soprattutto del primato del Papa, la sinodalità nel governo della Chiesa, abolizione del celibato ecclesiastico, l’ammissione delle donne al sacerdozio ordinato, il riconoscimento del matrimonio omosessuale, l’accettazione dell’eutanasia eccetera) non sono altro che la preparazione di ciò che ineluttabilmente avverràdomani, quando si realizzerà pienamente il destino insito nell’essenza stessa della Chiesa come fenomeno (= manifestazione momentanea) dello Spirito. Nulla di diverso, sia nei termini che nei concetti, da quello che Hegel diceva nell’opera giovanile Lo spirito del cristianesimo e il suo destino; ma nulla di simile a quello che è un discorso propriamente teologico, che inizia con l’accettazione senza riserve della verità rivelata (il dogma) e continua con l’elaborazione di ipotesi di interpretazione razionale  che hanno come strumento privilegiato la metafisica.

Come giustamente aveva osservato all’inizio del Novecento Réginald Garrigou-Lagrange, in polemica con i modernisti e con i teologi cattolici convinti di  poter conciliare il dogma con l’evoluzionismo di Bergson, la verità della fede, contenuta nelle “formule dogmatiche”, non può essere compresa dai credenti se non sulla base delle evidenze del “senso comune”, che sono sostanzialmente di natura metafisica e che a loro volta costituiscono la premessa razionale per l’interpretazione scientifica del dogma, ossia per la teologia (16). In effetti, senza la metafisica e senza la logica che ad essa è intrinsecamente collegata, soprattutto senza il principio di non-contraddizione, il dogma non è più la verità divina custodita dalla Chiesa ma può e deve essere contraddetto dialetticamente, in conformità con i mutamenti culturali e sociali (17). Questo è quanto arriva a sostenere Küng in die Kirche (1967) e in Unfehlbar?Eine Anfrage (1970):

«Ogni formula di fede, non solo nell’individuo ma anche nella chiesa intera, resta imperfetta, incompleta, enigmatica [...] questa frammentarietà non si fonda soltanto sul carattere spesso polemico e angusto delle formule dottrinali della chiesa, ma sul carattere necessariamente dialettico di ogni umana affermazione della verità [...]. Ogni proposizione può essere vera e falsa» (18).

Sicché non sorprende che Papa Paolo VI autorizzasse la Congregazione per la dottrina della fede a emanare il seguente monitum:
«La Congregazione per la dottrina della fede adempiendo il proprio compito di promuovere e tutelare la dottrina della fede e dei costumi in tutta la chiesa ha sottoposto all’esame le due opere del professore Hans Küng, La chiesa eInfallibile? Una domanda, che sono state pubblicate in diverse lingue. Con due diverse lettere, datate rispettivamente 16 maggio 1971 e 12 luglio 1971, la congregazione notificò all’autore le difficoltà che trovò nelle sue opinioni e lo pregò che spiegasse per iscritto come tali opinioni non contraddicano la dottrina cattolica. Con una lettera del 4 luglio 1973 la congregazione offerse al professore Küng una ulteriore possibilità di spiegare le proprie idee mediante un colloquio. Con una sua lettera del 4 settembre 1974 il prof. Küng tralasciò anche questa possibilità. D’altra parte con le sue risposte non provò che alcune opinioni circa la chiesa non contraddicano la dottrina cattolica ma continuò a sostenerle anche dopo la pubblicazione della dichiarazione Mysterium ecclesiae. Perciò affinché non rimangano dubbi circa la dottrina che la chiesa cattolica professa e perché la fede dei cristiani non sia in alcun modo offuscata, questa sacra congregazione, richiamando la dottrina del magistero esposta nella dichiarazione Mysterium ecclesiae dichiara: Nelle opere sopradette del prof. Hans Küng sono contenute alcune opinioni che, in diverso grado, si oppongono alla dottrina della chiesa cattolica che deve essere professata da tutti i fedeli. Notiamo soltanto le seguenti di maggior rilievo prescindendo ora da un giudizio circa alcune altre che il prof Küng difende.

L’opinione che pone almeno in dubbio lo stesso dogma di fede della infallibilità della chiesa e lo riduce ad una certa fondamentale indefettibilità della chiesa nella verità, con la possibilità di errare nelle sentenze che il magistero della chiesa in modo definitivo insegna di credere, contraddice la dottrina definita dal concilio vaticano I e confermata dal concilio vaticano II. Un altro errore che pregiudica gravemente la dottrina del prof. Küng riguarda la sua opinione sul magistero della chiesa. In realtà egli non si attiene al genuino concetto del magistero autentico secondo il quale i vescovi sono nella chiesa “dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo e che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella vita pratica”; infatti “l’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo magistero vivo della chiesa”.

Anche l’opinione già insinuata dal prof. Küng nel libro La chiesa e secondo la quale l’eucarestia, almeno in casi di necessità, può essere consacrata validamente da battezzati privi dell’ordine sacerdotale, non può accordarsi con la dottrina dei concili Lateranense IV e Vaticano II» (19).

Nel 1979 a Hans Küng venne revocata la missio canonica relativa  l'insegnamento della teologia cattolica.

NOTE

(1)  Cfr Hans Küng, Menschwerdung Gottes. Eine Einfürung in Hegels theologisches Denken als Prolegomena zu einer künftigen Christologie, Verlag Herder, Freiburg – Basel – Wien 1970, p. 643: «Nella teologia cattolica più recente è stato Karl Rahner ad aprire nuovi orizzonti […]. Lo spirito insigne che aleggia sullo sfondo di questo approfondimento […] altri non è se non Hegel, anche se non mancano nemmeno influssi heideggeriani. I suoi sporadici tentativi di distanziarsi da Hegel in argomenti secondari non fanno che confermare questo fatto» (traduzione mia).
(2)   Vedi Antonio Livi, in La Nuova Bussola Quotidiana, 10 ottobre 2014.
(3)   Vedi Antonio Livi, in La Nuova Bussola Quotidiana, 10 febbraio 2012.

   
(4) Cfr Hans Küng, Erkämpfte Freiheit. Erinnerungen, München 2002; Idem, Umstrittene Wahrheit. Erinnerungen, München 2007.
(5)    Cfr Hans Küng, La giustificazione, trad. it. di T. Federici, Editrice Queriniana, Brescia 1969, p. 21.(6)   Hans Küng. Weg und Werk, a cura di  H. Häring und K. J. Kuschel, Piper Verlag, München 1978, p. 123.(7)  Cfr Hans Küng, intervista ad A. W. Scheiwiller, “Unbequeme Eidgenossen: Hans Küng der kirchentreue Reformator”, in Woche, 14 giugno 1972, p. 23.
(8)   Hans Küng. Weg und Werk, cit., p. 128.
(9)   Hans Küng,  Incarnazione di Dio in Hegel. Prolegomeni per una futura cristologia, trad. it., Queriniana, Brescia 1970, p. 10.

(10) Karl Barth, Geleitbrief, in Hans Küng, RechtfertigungDie Lehre Karl Barths und eine katholische Besinnung, Johannes Verlag, Einsiedeln 1957 cit.; trad. it: Lettera all’autore, in Hans Küng, La giustificazione, cit., p. 8.
(11) Antonio Russo, «Hans Kung e la teologia come scienza», in Studium, 106 (2010), pp.185-206, qui p. 188.
(12) Cfr Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.
(13) Vedi Antonio Livi, Vera e falsa teologia, cit., pp. 141-148.
(14) Cfr Antonio Livi, Qualche chiarimento, in dialogo con estimatori e critici, in Verità della teologiaDiscussioni di logica aletica a partire da “Vera e falsa teologia”, di Antonio Livi, a cura di Marco Bracchi e di Giovanni Covino, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014, pp. 167-185.
(15) Hans Küng. Weg und Werk, cit., p. 137.
(16) Cfr Réginald Garrigou-Lagrange, Le Sens commun, la philosophie de l’être et les formules dogmatiques,Beauchesne, Parigi 1912; trad. it.: Il senso commune, la filosofia dell’essere e le formule dogmatiche, a cura di Antonio Livi e di Mario Padovano, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013.
(17) Vedi in proposito Antonio Livi, Razionalità della fede nella Rivelazione. Un’analisi filosofica alla luce della logica aletica, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2005.
(18) Hans Küng, Die Kirche, Herder, Freiburg im Breisgau 1967, p. 397.
(19) Congregazione per la dottrina della fede, Monitum, 15 febbraio 1975.

BIBLIOGRAFIA

Louis Bouyer, «Ecumenismo senza scavalcamenti», in Studi cattolici, 13 (1969), pp. 30-35.Pier Carlo Landucci, «Ecco Hans Küng», in Studi cattolici, 22 (1979), pp. 549-54.Luigi Iammarrone, Hans Küng eretico. Eresie cristologiche nell’opera “Christ sein”, Edizioni Civiltà, Brescia 1977.Luigi Iammarrone, Teologia e cristologia. “Dio esiste”, di Hans Küng, Edizioni Quadrivium Genova 1982.Antonio Livi, «Dogma e Magistero dopo il “caso Küng”», in Studi cattolici, 24 (1980), pp. 171-177.Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, seconda edizione aumentata, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012, pp. 241-246.Emanuele Samek Lodovici, «Il dogma infallibile di Han Küng», in Studi cattolici, 16 (1971), pp. 171-177.Emanuele Samek Lodovici, «La via a Hegel di Hans Küng», in Studi cattolici, 16 (1971), pp. 243-251.








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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22/07/2015 14:42
 
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  Alcune idee per guardare oltre la crisi.


 

Trovate qualcosa da eccepire nello scritto che segue?

Papi conciliari 
Dio infine salverà la sua Chiesa, senza dubbio,
Ma i cattolici devono gridare, fino a diventare rauchi.

... padroneggiare la mentalità liberale aiuta molto per mantenere la fede oggi. Vedendo come il liberalismo dissolve la Verità, si comprende come esso stia minando la Fede e distruggendo la Chiesa. Allo stesso tempo, vedendo come esso corrompe le menti, si comprende come gli odierni uomini di Chiesa siano “diabolicamente disorientati”, senza essere necessariamente pienamente consapevoli di come stiano distruggendo la Chiesa. Così non è necessario essere né liberali né sedevacantisti. Diamo allora un’occhiata ad un altro testo classico di Mons. Lefebvre, dove egli esamina “La mentalità cattolico-liberale”, nel capitolo XVI di Lo hanno detronizzato:
— “Una malattia della mente. ‘Piuttosto che una confusione della mente, il cattolicesimo liberale è una malattia della mente’ (P. A. Roussel nel suo libroLiberalismo e Cattolicesimo): semplicemente la mente non è in grado di poggiare sulla verità. Non riesce a profferire alcuna dichiarazione senza pensare immediatamente alla contro-dichiarazione, che ritiene si sia ugualmente obbligati ad avanzare. Papa Paolo VI fu un classico esempio di tale scissione della mente, dell’essere bifronte – cosa che potrebbe anche essere letta fisicamente sulle sue fattezze – perennemente mosso da due posizioni contraddittorie e spinto da un moto d’equilibrio, oscillante regolarmente fra Tradizione e novità – certuni non parlerebbero facilmente di schizofrenia intellettuale?
Io penso che il P. Clérissac abbia visto in profondità nella natura di questa malattia. Essa è ‘una mancanza di integrità della mente’ (Mistero della Chiesa, capitolo VII). È una mente ‘in cui manca la fiducia nella verità . . . . Quando prevale il liberalismo, questa mancanza di integrità della mente appare psicologicamente con due chiare caratteristiche: i liberali sono malleabili e ansiosi: malleabili, perché troppo facilmente assumono lo stato d’animo di coloro che li circondano; ansiosi, perché per paura di trovarsi di fronte a stati d’animo differenti, sono continuamente preoccupati di giustificare se stessi; sembrano soffrire essi stessi dei dubbi che stanno combattendo; non hanno abbastanza fiducia nella verità; sono troppo preoccupati di giustificare la loro posizione, dimostrandola o adattandosi o addirittura chiedendo scusa’.
Troppo preoccupati di essere in armonia con il mondo, da chiedere scusa! Presto detto: vogliono scusarsi per tutto il passato della Chiesa, le Crociate, l’Inquisizione, e così via. Quando si tratta di giustificarlo e dimostrarlo, si muovono molto timidamente, soprattutto quando sono coinvolti i diritti di Gesù Cristo, ma quando si tratta di adattarsi al mondo, gli vanno incontro, questo è il loro principio di base. Partono da quello che considerano un principio pratico, per loro un fatto innegabile, e cioè che la Chiesa non può essere capita nell’attuale contesto dove deve compiere la sua missione divina senza entrare in sintonia con esso.
Dal tempo di P. Clérissac e di Mons. Lefebvre, la dissoluzione delle menti e dei cuori provocata dal liberalismo ha fatto solo grandi progressi. Nel XXI secolo vi sono perfino un minor numero di tracce della verità e della moralità oggettive, rispetto al quadro complessivo del XX secolo. Stando così le cose, l’adattarsi della Chiesa all’ambiente circostante diventa sempre più letale per la Fede e la morale cattoliche, che non sono che oggettive. Quante sofferenze causate recentemente da una mentalità continuamente alternante tra dichiarazioni e contro-dichiarazioni, continuamente ansiosa di aderire a due fronti del tutto opposti l’uno all’altro, di conciliare gli inconciliabili! Privata non solo della fiducia nella verità, ma perfino, a quanto pare, di qualsiasi conoscenza della verità: questo si potrebbe dire, se tale mentalità non fosse in grado di produrre un’ottima imitazione della verità. Di una tale mentalità ieri si diceva che era quella di un “mentitore”! E oggi?
Come il Salmista, possiamo solo gridare: Signore, i tuoi cattolici sono diventati lo scherno dei non cattolici. A tuo onore e gloria, affrettati a venirci in aiuto!
Kyrie eleison.
 




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