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La natura teologica delle Commissioni Dottrinali e il compito dei Vescovi

Ultimo Aggiornamento: 11/03/2015 19:34
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11/03/2015 18:52
 
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II. La funzione dottrinale dei Vescovi


L’infallibilità partecipata della Chiesa si traduce concretamente nell’esistenza di una funzione specifica in essa, ovvero quella del Magistero, che la rende capace di attingere con certezza alle divine Scritture e alla Sacra Tradizione, le quali formano insieme la “regola suprema della propria fede”[2]. Il Catechismo della Chiesa cattolica insegna al riguardo: “La missione del Magistero è legata al carattere definitivo dell’Alleanza che Dio in Cristo ha stretto con il suo popolo; deve salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti, e garantirgli la possibilità oggettiva di professare senza errore l’autentica fede. Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per compiere questo servizio, Cristo ha dotato i Pastori del carisma dell’infallibilità in materia di fede e di costumi”[3]. L’esercizio di questo carisma tuttavia è diversificato per quanto riguarda sia le modalità, sia le persone che lo esercitano.


A livello della Chiesa universale, occorre menzionare innanzitutto la missione specifica del Successore di Pietro di confermare i suoi fratelli nella fede (cf. Lc 22, 32). Non è qui il luogo di trattare della dottrina dell’infallibilità pontificia, ma di sottolineare la responsabilità peculiare e suprema del Romano Pontefice circa la custodia della sana dottrina. Nelle sue “Considerazioni” del 1998 sul primato del Successore di Pietro, la Congregazione per la Dottrina della Fede afferma che “il Romano Pontefice è — come tutti i fedeli — sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell'obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all'uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall'inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione.  Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l’arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato”[4]. Con queste parole viene espressa nuovamente la dimensione ministeriale del Magistero. Esso, si legge nella Dei Verbum, “non è superiore alla Parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio”[5].


Per tali motivi, se da una parte è vero che “per il carattere supremo della potestà del Primato, non v'è alcuna istanza cui il Romano Pontefice debba rispondere giuridicamente dell'esercizio del dono ricevuto: «prima sedes a nemine iudicatur»”, dall’altra,  tuttavia, ciò non significa che il Papa abbia un potere assoluto[6]. In tal senso è corretto parlare del Magistero come di un’ancilla Verbi Dei, un servizio parimenti reso alla verità della divina Rivelazione, cioè il deposito della fede, che il Magistero ha per compito di custodire gelosamente e di esporre fedelmente[7], con vigile opera e mediante mezzi convenienti[8]. In effetti, “non abbiamo alcun potere contro la verità, ma per la verità”, come afferma lo stesso apostolo Paolo (2 Cor 13, 8).


Il Dicastero che ho l’onore e l’onere di dirigere fornisce un aiuto speciale alla missione petrina per ciò che riguarda la dottrina sulla fede e sulla morale. “Ne consegue che i documenti di questa Congregazione approvati espressamente dal Papa partecipano al magistero ordinario del successore di Pietro”[9]. Ma il compito della Congregazione, sancito istituzionalmente, non è soltanto di assistere il Vescovo di Roma nel suo compito di Supremo Pastore della Chiesa universale. La Congregazione, si legge nella Costituzione apostolicaPastor bonus, “è di aiuto ai Vescovi, sia singoli che riuniti nei loro organismi, nell’esercizio del compito per cui sono costituiti come autentici maestri e dottori della fede e per cui sono tenuti a custodire e a promuovere l’integrità della medesima fede”[10]. In realtà, né il ministero petrino né il ruolo specifico svolto dalla Congregazione per la Dottrina della fede devono essere isolati dal munus docendi affidato sia a ogni singolo Vescovo, sia al Collegio episcopale nel suo insieme. “Tutti i Vescovi, infatti, devono promuovere e difendere l’unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa […], e promuovere ogni attività comune a tutta la Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità”, così la Costituzione dogmatica Lumen gentium[11]. Il motivo di fondo è che “la cura di annunziare il Vangelo in ogni parte della terra appartiene al corpo dei pastori, ai quali tutti, in comune, Cristo diede il mandato, imponendo un comune dovere”[12]. Nessuno come l’apostolo Paolo ha parlato e vissuto con intensità tale “preoccupazione per tutte le Chiese”, che deve animare ogni successore degli apostoli (cf. 2 Cor 11, 28).


Se è vero che “tutti i Vescovi sono partecipi, in gerarchica comunione, della sollecitudine della Chiesa universale”[13], tale affermazione vale in particolare nell’ambito dell’insegnamento, il primo compito affidato ai Pastori. Si potrebbero citare numerosi testi circa la responsabilità dei Vescovi in materia dottrinale[14]. La vigilanza per la fede e la morale dei fedeli è una fondamentale preoccupazione pastorale ed essa concerne tutti i Pastori della Chiesa. In effetti, “nelle Chiese particolari spetta al vescovo custodire ed interpretare la Parola di Dio e giudicare con autorità ciò che le è conforme o meno. L’insegnamento di ogni vescovo, preso singolarmente, si esercita in comunione con quello del Pontefice Romano, Pastore della Chiesa universale, e con gli altri vescovi dispersi per il mondo o riuniti in Concilio ecumenico. Questa comunione è condizione della sua autenticità”[15]. Nelle sue lettere, sant’Ignazio di Antiochia offre a tal proposito un magnifico esempio della episkopè del buon Pastore che sa anche mettere in guardia il suo gregge davanti alle piante velenose, cioè le eresie, che egli chiama anche “l’erba del diavolo”[16]. Sembra ovvio del resto che parlare di un diritto del Popolo di Dio a ricevere il messaggio del Vangelo nella sua purezza e nella sua integralità ha senso soltanto se esiste un corrispondente dovere da parte dei Pastori. Al riguardo, afferma Papa Francesco, è tramite il dono della successione apostolica che “risulta garantita la continuità della memoria della Chiesa ed è possibile attingere con certezza alla fonte pura da cui la fede sorge. La garanzia della connessione con l’origine è data dunque da persone vive, e ciò corrisponde alla fede viva che la Chiesa trasmette. Essa poggia sulla fedeltà dei testimoni che sono stati scelti dal Signore per tale compito. Per questo il Magistero parla sempre in obbedienza alla Parola originaria su cui si basa la fede ed è affidabile perché si affida alla Parola che ascolta, custodisce ed espone”[17].



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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