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Quando inganno e menzogna diventano ingredienti irrinunciabili per profanare il Confessionale

Ultimo Aggiornamento: 15/03/2015 10:51
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15/03/2015 10:51
 
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  DOPO I CONFESSIONALI
Andrea Cangini, direttore del Qn
 

Il direttore del Quotidiano Nazionale, Andrea Cangini, non torna indietro, anzi. Difende la scelta di aver spedito una sua cronista a confessarsi nascondendosi sotto identità false per registrare e pubblicare i colloqui con i sacerdoti. Alla faccia della deontologia professionale. Perché non fa la stessa cosa con l’islam?

di Luigi Santambrogio

Il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti gli aveva chiesto di scusarsi e “confessare” il grave sbaglio commesso. Ma lui non è affatto pentito, anzi: ribadisce che per fare il giornalismo d’inchiesta il travestimento e l’inganno sono ingredienti irrinunciabili. Lui è Andrea Cangini, direttore del Quotidiano Nazionale, ispiratore e responsabile dell’inchiesta farlocca sulle confessioni (clicca qui).

Ha spedito una sua cronista a confessarsi nascondendosi sotto le identità più strane e “scandalose”: una mamma lesbica che vuole battezzare il figlio, una divorziata risposata che fa comunione tutte le domeniche e altre figure tanto care allo scandalismo laico e massmediatico. Messo sotto accusa, il direttore ha scritto ad Avvenire, che aveva intervistato la cronista en travesti, Cangini ribadisce di essere stato pienamente consapevole di «violare un sacramento, ma l’abbiamo fatto perché solo dando conto di quel che viene detto nel segreto del confessionale potevamo avere una risposta veritiera e incontrovertibile alla nostra domanda».

E poi, conferma che pur essendo credente, dunque indifferente alla sacralità della confessione, «il fatto di non avere il dono della fede non mi impedisce di considerarmi cattolico».  Mah, il ragionamento è piuttosto strampalato, ma l’outing del direttore ateo ma cattolico è cosa che riguarda solo la sua coscienza, meglio la sua ragione. Quel che risulta, invece, spudorato è che Cangini si lamenti con Avvenire per aver forzato l’intervista alla sua giornalista con il titolo: “I dubbi dell’inviata. 'Ero molto perplessa'. Ma il direttore insiste”. «È un titolo fuorviante», protesta Cangini arrivando così a raggiungere l’apice dell’impudenza e  della cialtroneria militante.

Il titolo di Avvenire diceva semplicemente quello che nell’intervista anche la giornalista ammetteva: che, cioè, aveva espresso gravi dubbi sulla liceità morale di estorcere confessioni in quel modo, ma che il direttore era stato irremovibile.
Di più: nell’inchiesta pubblicata dal Quotidiano Nazionale erano proprio i titoli l’elemento più falso e irreale (del tipo: “Sei lesbica? Vai dallo psicologo”), mentre nel pezzo si dava sostanzialmente conto delle risposte dei sacerdoti, tutti estremamente rispettose e accoglienti della (finta) penitente e delle sue storie (inventate).
A conferma che certi giornalisti hanno la faccia come il bronzo. E che Cangini abbia fatto quella che il leghista Calderoli non esiterebbe a definire “una porcata”, lo ha detto anche Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti. «Le nostre regole deontologiche», aveva ricordato il presidente, «non consentono di nascondere la propria identità e di agire sotto mentite spoglie, se non quando la vita del giornalista è in pericolo. Oppure quando il dichiarare l’identità renderebbe impossibile il servizio, ma per scoprire che cosa la Chiesa preveda sui divorziati o sul Battesimo non occorre certo guardare dal buco della serratura». 

Dunque, a quando il provvedimento contro Cangini? Tocca all’Ordine regionale intervenire, ma il tribunale dei giornalisti tace e non dà segno di vita. Cosa preoccupante e anche un tantino vigliacca, dato lo zelo con cui è intervenuto in altre occasioni e con altri direttori. Con Magdi Cristiano Allam, per esempio. L’ex vicedirettore del Corriere vive da anni blindato e sotto scorta, perché molti gruppi islamici gli hanno giurato di fargli la pelle. Eppure solo un mese fa, l’Ordine nazionale dei giornalisti, l’ha sottoposto a provvedimento disciplinare accusandolo di incitazione all’odio contro l’islam per una serie di articoli pubblicati dal Giornale.
Il processo si è chiuso con l’assoluzione, ma il fatto è che non doveva neppure aprirsi.  Una parodia simil-fascista che ha palesato una volta per tutte l’inutilità e la dannosità di quel sinedrio di categoria. Anche nel processo, la grande stampa democratica si mise il bavaglio, finse di non vedere e di non sentire. Repubblica non pubblicò neppure una riga. Pure sulle finte confessioni i grandi quotidiani nazionali hanno scritto un bel niente. Si vede che farsi beffe di un sacramento e dei sacerdoti cattolici non deve essere tanto grave come criticare l’islam. 

In attesa che L’Ordine regionale si decida a battere un colpo, regaliamo al direttore Cangini l’idea per il prossimo scoop: spedisca un cronista travestito da musulmano ad ascoltare la preghiera del venerdì in qualche moschea romagnola o toscana. Oppure, sempre fingendosi ex cattolico convertito ad Allah, a chiedere agli imam spiegazioni su cosa dice Corano sul jihad e, nel caso, se non abbiano qualche dritta o canale riservato per arruolarsi dal Califfo. Poi pubblichi tutto in quattro belle puntate, magari forzando un pochino sui titoli, così: “Alì, ti presento al Baghdadi”, o anche:  “L’islam che cambia: il Califfo cerca una Califfa”, infine: “Giù la testa (mozzata)” e  “Fai una strage e scappa”. 




L'antefatto:

Le Iene fanno scuola, sì’ quelle di Mediaset che mischiano il loro giornalismo cabaret con inchieste da capitan Fracassa e assalti alle vittime come gli estorsori paparazzi di Corona. Ma anche quelle con la “i” minuscola, rabbiosi cagnacci della savana che si tuffano a piene zanne sulle carogne. Così ha fatto il Quotidiano Nazionale, gruppo che edita le testate Giorno, Resto del Carlino e Nazione: un’inchiesta in quattro puntate su quel che succede nel segreto confessionali italiani: i peccati commessi, il commento dei sacerdoti, le penitenze comminate Tutto virgolettato e pubblicato. Ma pure tutto falso e inventato. Solo per vedere l’effetto che fa e cippirimerlare con un doppio colpo sacerdoti e lettori. 

L’articolo però, nonostante la truffa, non riusciva bene perché i preti non sono stati al gioco. Risposte impeccabili come magistero comanda e Catechismo insegna, anche alle domande più maliziose e piccanti della finta penitente.    

Insomma, alla fine non c’era titolo, come si dice nel gergo. No problem, il direttore ha rimediato con chili di pepe e panna montata sparati a tutta pagina, secondo le più classiche regole del giornalismo cialtrone.  «Vai dallo psicologo», avrebbe intimato un confessore alla ragazza lesbica che cerca Dio, poi se si va a leggere si trova invece tutta la tenerezza del pastore che non ha la risposta per tutto, ma che accoglie e fa suo il problema altrui. Un altro titolo parla di «Sacerdote irremovibile» che esclude la divorziata: «Non voglio scandali»! Ma alla giornalista aveva detto tutt’altro: «Quando la vita finisce non ci si pone davanti alla Chiesa ma davanti a Dio, è a Lui che dobbiamo rendere conto delle nostre azioni». 

«Quando il direttore mi ha proposto questo lavoro ero molto perplessa», racconta Laura Alari, la peccatrice per finta, «perché sono cattolica e sapevo che violavo un sacramento. Ma lui ha insistito e così ho deciso che fingere in confessionale era l’unico modo per capire senza filtri cosa succede oggi nella Chiesa».
Com’è buono il direttore e quanto è brava la reporter cacciatrice.  Proprio quel che si dice una giornalista dalla schiena dritta e dai saldi principi. Per capire la Chiesa, basta travestirsi da lesbica o divorziata e poi farsi il selfie. Se riesce sbiadito, c’è sempre il fotoritocco in redazione. 

Embè, è la stampa bellezza,  le avrà detto da Bologna il dottor Andrea Cangini, il megadirettore delle testate unite, sentendosi un po’ a Humprey  Bogard e un po’ a Robert Redford. Comunque un tipo con tanto pelo sullo stomaco da ricoprire uno scimmione.

Il sacramento violato e il prete raggirato? Che volete che sia: il diritto di cronaca vien prima di tutto, anche di Dio.
Lui insiste: «Se intervisti chiunque nell’esercizio delle sue funzioni, avrai risposte la cui veridicità sarà dubbia. Così, forzando le cose, potevamo sapere come il parroco medio si pone».  Quando si dice il giornalismo di inchiesta. E poi, chissenefrega che così si fa a pezzi ogni deontologia e si offende il sentimento di milioni di cattolici. Per il Bogard della piadina, quando «un giornalista è d’inchiesta quasi sempre vìola la deontologia, fa parte del nostro lavoro. E poi, il valore di un sacramento è tale per chi lo riconosce, per chi ha fede. E non è il mio caso». Insomma, pure il direttore medio Cangini s’è iscritto al club dei “Je suis Charlie”, sezione Romagna mia.

Stia quindi a cuccia l’arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra, che si è permesso di alzare la voce contro la truffa in confessionale, “delitto” che la Chiesa giudica grave. D’accordo il direttore ateo se ne farà un baffo, ma la reporter sedicente cattolica? La confessione divulgata a mezzo stampa si può incorrere in una vasta gamma di pene, compresa la scomunica.  Ecco un buon argomento che la catto-giornalista farlocca potrebbe approfondire con un reportage a costo zero. Basterà che lo chieda al suo confessore, ma sarà difficile, dopo quanto ha combinato, che qualcuna la prenda ancora sul serio. “Perdonatemi padre perché ho peccato”. Ma va là patacca, che siamo mica su scherzi a parte!

Però, più che la poveretta, è su quel direttore che ha spacciato fango per cioccolato che dovrebbe ricadere l’iraddiddio. Non quella divina (non subito, almeno) ma quella laica e aconfessionale dell’Ordine dei Giornalisti. Che dovrebbe chiedersi chi ha dato la patente di giornalista a uno così che dichiara bellamente di impiparsene della deontologia professionale e si arroga il diritto di estorcere “confessioni” e non ottenendole se le inventa. perché tanto lui non ci crede. Basterebbe questo a incriminarlo per corruzione di giornalisti, atti osceni davanti agli stagisti e vilipendio della ragione. Le regole dell’Ordine non consentono di nascondere la propria identità né di agire sotto mentite spoglie, se non quando la vita del giornalista è in pericolo. Non è certo il caso della cronista del Qn che a questo punto, prima che dalla giustizia divina (lei dovrebbe crederci) dovrebbe essere sanzionata, insieme al suo direttore, da quella dell’Ordine dei Giornalisti. Val la pena ricordare che con ìaltri direttori l’Ordine è stato inflessibile e  Magdi Allam addirittura espulso (poi riammesso) per offesa all’islam. Ma chi si fa beffe dei sacerdoti e di una sacramento della Chiesa cattolica può passarla liscia? L’Ordine risponda. 






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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