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Misericordia per la conversione... ma bisogna farlo comprendere bene

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2016 00:27
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L’anno Santo straordinario della Misericordia,  indetto papa Francesco, è per lui un’occasione per fare innamorare di nuovo l’Occidente di Gesù. E per farci cambiare vita. Ma c’è il rischio che questo appello della personale conversione non venga colto dall’opinione pubblica, soprattutto dai mass media. 



di padre Piero Gheddo



Padre Piero Gheddo


Il 13 marzo 2015, secondo anniversario della sua elezione a Sommo Pontefice, Francesco ha compiuto un gesto coraggioso e sorprendente: ha indetto l’Anno Santo della Misericordia” (8 dicembre 2015 – 20 novembre 2016), «affinchè la Chiesa», ha detto, «possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia di Dio». Parole che richiamano quelle di Giovanni XXXIII l’11 ottobre 1962 quando apriva il Concilio Ecumenico Vaticano II, orientandolo in senso pastorale: «Oggi la sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece che imbracciare le armi del rigore... Così la Chiesa cattolica ... vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati».

Papa Francesco non indice un altro Concilio, ma riforma la Chiesa e i fedeli in senso pastorale, missionario, con atti, gesti e parole caratterizzati dalla misericordia e condivisione verso i lontani, i non credenti, i più poveri in tutti i sensi. Anche Giovanni Paolo II ha sviluppato questo tema nella sua seconda enciclica Dives in misericordia (Dio è ricco di misericordia) e Papa Benedetto nell’ enciclica Deus Caritas est (Dio è Amore).
Con Papa Francesco, fin dall’inizio la misericordia di Dio è il tema centrale e fondamentale del suo Pontificato. Egli conosce bene l’Occidente cristiano e sa che ben più del 50% dei battezzati non vengono in chiesa, conducono vite lontane da Cristo e capisce che questo rifiuto della misericordia e del perdono di Dio ha imbarbarito le nostre società (oggi espressione massima è il “gender”), i nostri popoli ancora nominalmente cristiani. Ma Francesco crede nello Spirito Santo, «protagonista della missione della Chiesa» ed è convinto che se la Chiesa e i fedeli si convertono veramente a Cristo, lo Spirito può fare cose straordinarie, miracolose, come in altri popoli dove nasce la Chiesa.

Nel novembre 2014, parlando al Consiglio delle Conferenze episcopali europee ha ricordato i mali cheoggi feriscono l’Europa e la mettono in crisi, ma ha aggiunto che «l’Europa ha tante risorse per andare avanti…. E la risorsa più grande è la persona di Gesù. Europa, torna a Gesù! Questo è il lavoro dei pastori: predicare Gesù in queste ferite… Il Signore ha voglia di salvarci. Io ci credo. Questa è la nostra missione: predicare Gesù Cristo, senza vergogna. Lui è disposto ad aprire le porte del suo cuore, perché Lui manifesta la sua onnipotenza soprattutto nella misericordia e nel perdono…All’Europa ferita soltanto Gesù Cristo può dire oggi una parola di salvezza». 

Tutto il suo pontificato è impostato per riconvertire l’Occidente cristiano a Cristo, come indispensabile passo per annunziare Cristo a tutti gli uomini. Tant’è vero che ha affidato l’organizzazione del Giubileo della Misericordia al Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. La fede di Papa Francesco è una fede «che sposta le montagne» come dev’essere anche la nostra. Lui sa che nulla è impossibile a Dio e noi dobbiamo sapere che l’Anno della Misericordia è anzitutto indetto per riportare i nostri popoli cristiani a Cristo, cioè ciascuno di noi all’amore e imitazione di Gesù Cristo.

Nell’Anno Santo della Misericordia, Francesco riprende i concetti e le espressioni che ha ripetuto tante volte in questi ultimi due anni: «Dio è buono, vuole bene a tutti e perdona sempre…Non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono… Questo è il messaggio più forte del Signore: la misericordia… Se il Signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe… É la misericordia di Dio che cambia il mondo…La Chiesa accoglie tutti, non rifiuta nessuno». Chi ha sperimentato nella sua vita la bontà, la tenerezza, la misericordia infinita di Dio, non può non comunicare agli altri questa sua esperienza che lo riempie di gioia.

Misericordia significa perdono, riconoscere le nostre debolezze e colpe e convertire la nostra vita aCristo. Ecco il n. 10 della “Evangelii Gaudium”, rivolto a tutti noi che crediamo: «La proposta è vivere ad un livello superiore: la vita si rafforza donandola e s’indebolisce nell’isolamento e nell’agio. Di fatto, coloro che sfruttano di più le possibilità della vita sono quelli che lasciano la riva sicura e si appassionano alla missione di comunicare la vita agli altri. Quando la Chiesa chiama all’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare ai cristiani il vero dinamismo della realizzazione personale. Qui scopriamo un’altra legge profonda della realtà: la vita cresce e matura nella misura in cui la doniamo per la vita degli altri. La missione, alla fin fine, è questo. […] Possa il mondo del nostro tempo –che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo».

Francesco è convinto che se l’Occidente ritorna a Cristo, solo così si evangelizza il mondo dei noncristiani. Anche le brevi omelie di Santa Marta sono orientate, giorno per giorno, a indicare i passi per convertirsi a Gesù e a una vita secondo il suo Vangelo. Così ha detto per i problemi della famiglia e durante il Sinodo beatificherà diverse famiglie del nostro tempo che si sono santificate pur in situazioni molto difficili. Temo che questo appello della personale conversione a Dio che perdona e al Vangelo che ci propone il modello della vita cristiana, non venga colto dall’opinione pubblica.

I mass media, in genere, leggono le parole e gli atti di Francesco in modo diciamo “laico”, dove non c’è posto per temi come peccato, conversione a Cristo, confessione delle proprie colpe; danno ai suoi atti un significato sociale-politico che non coglie il centro del pontificato di Francesco. Ci si chiede se Francesco è un conservatore o un progressista e non si capisce che questi termini non hanno senso nel giudicare il Papa. Francesco è un uomo peccatore, come tutti noi, innamorato di Gesù Cristo, perché ha sperimentato nella sua vita la bontà e misericordia infinita del Padre. E chiama tutti a cambiare vita per diventare veri cristiani, cioè innamorati di Gesù e simili a Lui nella nostra vita.

Nella Lettera Apostolica ai  Consacrati (21 novembre 2014) si legge: «La domanda che siamo chiamati a rivolgerci in questo Anno è se e come anche noi ci lasciamo interpellare dal Vangelo; è se esso è davvero il vademecum per la vita di ogni giorno e per le scelte che siamo chiamati ad operare. Esso è esigente e chiede di essere vissuto con radicalità e sincerità. Non basta leggerlo, non basta meditarlo, Gesù ci chiede di attuarlo, di vivere le sue parole». 

 



 Dopo un invito a una riflessione ecumenica e interreligiosa sulla misericordia, che comprenda un dialogo con ebrei e musulmani, e un appello a tenere lo sguardo fisso su Maria, il Papa conclude la Bollarivolgendo il pensiero «alla grande apostola della misericordia, santa Faustina Kowalska. Lei, che fu chiamata ad entrare nelle profondità della divina misericordia, interceda per noi e ci ottenga di vivere e camminare sempre nel perdono di Dio e nell’incrollabile fiducia nel suo amore». Sarà Santa Faustina la guida sicura per l’Anno Santo.  

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Divina Misericordia, ultima spiaggia
di Andrea Brugnoli

Domenica 12 aprile la Chiesa Cattolica celebrerà per la quattordicesima volta in modo ufficiale la Festa della Divina Misericordia, un evento che si vive ogni anno nella domenica in Albis, in migliaia di parrocchie sparse nel mondo e che fu istituito da Papa Giovanni Paolo II durante l’anno giubilare. Non a caso quel Papa santo morì proprio ai primi Vespri di quella Festa, il 2 aprile 2005. E nemmeno fu un caso che proprio un Papa polacco istituì quella ricorrenza, fortemente desiderata da una santa suora di Płock in Polonia, suor Faustina Kowalska. Ella scrisse nel suo celebre Diario di aver ricevuto nel 1931, una rivelazione di Gesù risorto, che le disse: «Io desidero che vi sia una festa della Misericordia. Voglio che l'immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia». Negli anni successivi - secondo gli studi di don I. Rozycki - Gesù ritornò a fare questa richiesta addirittura in 14 successive apparizioni, definendo con precisione il giorno della festa nel calendario liturgico della Chiesa, la causa e lo scopo della sua istituzione, il modo di prepararla e di celebrarla come pure le grazie ad essa legate.

Per quanto riguarda il modo di celebrare la festa Gesù espresse due desideri:
– che il quadro della Misericordia fosse quel giorno solennemente benedetto e pubblicamente, cioè liturgicamente, venerato;
– che i sacerdoti parlassero alle anime di questa grande e insondabile misericordia divina, per risvegliare in tal modo la fiducia nei fedeli.

La grandezza di questa festa è dimostrata anche dalle promesse: «In quel giorno, chi si accosterà alla sorgente della vita questi conseguirà la remissione totale delle colpe e delle pene», come disse Gesù. Questa grazia - spiega don I. Rozycki - «è qualcosa di decisamente più grande che la indulgenza plenaria. Quest'ultima consiste infatti solo nel rimettere le pene temporali, meritate per i peccati commessi (...). Siccome la remissione delle colpe e dei castighi è solo una grazia sacramentale del santo Battesimo, nelle promesse riportate Cristo ha legato la remissione dei peccati e dei castighi con la Comunione ricevuta nella festa della Misericordia, ossia da questo punto di vista l'ha innalzata al rango di una specie di “secondo Battesimo".

La Chiesa ha concretizzato questo desiderio, manifestato ad una santa, concedendo l'Indulgenza plenaria alle consuete condizioni (Confessione sacramentale, Comunione eucaristica e preghiera secondo l'intenzione del Sommo Pontefice) al fedele che nella Domenica seconda di Pasqua, ovvero della "Divina Misericordia", in qualunque chiesa o oratorio, con l'animo totalmente distaccato dall'affetto verso qualunque peccato, anche veniale, partecipi a pratiche di pietà svolte in onore della Divina Misericordia, o almeno reciti, alla presenza del SS.mo Sacramento dell'Eucaristia, pubblicamente esposto o custodito nel tabernacolo, il Padre Nostro e il Credo, con l'aggiunta di una pia invocazione al Signore Gesù Misericordioso (per esempio «Gesù Misericordioso, confido in Te»).

Ma di quale “misericordia” si tratta? Non certamente di quella che comunemente oggigiorno viene presentata dai media e, purtroppo talvolta in maniera frettolosa, attribuita, a torto, anche al santo Padre Francesco. Dio è certamente misericordioso in ogni Sua azione, che ha sempre come fine non la morte del peccatore, ma che si converta e viva, come dice la Scrittura. La misericordia non è una specie di “coperta” con cui Dio copre i peccati degli uomini, non tenendoli in conto o minimizzandone la forza distruttiva. Come un buon medico, Dio vuole la nostra guarigione totale dal terribile cancro che ci distrugge: il peccato.

Il primo atto della Sua divina misericordia è il Suo giusto giudizio. Dio vede tutta la drammaticità del male e non lo nasconde: se lo facesse ingannerebbe l’uomo, lasciandolo nella sua condizione che lo tiene lontano da Lui stesso. Dio, però, vuole salvarci e per questo ha inviato il Suo Figlio Gesù. Egli - ha spiegato a suor Faustina - ha chiesto l'istituzione della festa perché «le anime periscono, nonostante la Mia dolorosa Passione (...). Se non adoreranno la Mia misericordia, periranno per sempre». La misericordia di cui parla è l’azione creatrice di Dio che ci rende veramente nuovi e santi, cioè capaci di una nuova vita.

Accogliere la misericordia di Dio, quindi, significa credere che la Passione di Gesù ci ha lavati veramente da ogni peccato e, quindi, ci ha resi veramente capaci di una nuova vita da figli di Dio. Chi ha accolto la misericordia, non può più vivere la vita di prima, ma compie opere di carità e vive “secondo Dio”.

Quanto è lontano tutto ciò dal pensare che, «anche se sono peccatore, posso continuare a vivere nel peccato, perché tanto Dio mi perdona»! La misericordia di Dio, al contrario, ci fa veramente santi e nuovi, non per i nostri meriti, ma per la Passione del Signore, il nostro unico medico e salvatore.

Stupisce l’insistenza, in questi ultimi due secoli, di questo tema della misericordia: santa Teresa di Lisieux si offrì come vittima all’Amore misericordioso per la salvezza dei poveri peccatori; santa Faustina implorò la Chiesa per istituire questa festa; un santo Papa la istituì all’inizio del nuovo Millennio e ora, Papa Francesco indice alla vigilia del centenario delle apparizioni della Vergine a Fatima un “Giubileo della misericordia”. Siamo nel tempo delle devastazioni nucleari, della violenza omicida del terrorismo, della distruzione dell’uomo e della famiglia con le ideologie del Gender e siamo nel pieno della dittatura del relativismo, denunciata da Papa Benedetto.

La risposta di Dio non è il giusto castigo che meritiamo, ma l’offerta della Misericordia. Davvero l’ultima spiaggia. L’ultimo invito ad un’umanità sfinita. Prima del Suo glorioso ritorno. Ecco perché questa festa è troppo importante. È divina. È un evento di Grazia. È un invito che viene dall’Amore trinitario. 

 

[Modificato da Caterina63 12/04/2015 17:51]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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 da una e-mail che ci è arrivata qui in Difendere.... cliccare sulle immagini per ingrandirle.


Ciao a tutti, sono elettrizzata per il nuovo Anno Santo di misericordia che il papa ha proclamato venerdì durante l'incontro penitenziale. Per me sarebbe il secondo dopo il giubileo del duemila, ma all'epoca ero piccola e non ricordo nulla, sono nata infatti nel 1995. Frequento la parrocchia e vado all'università. (...) insomma vorrei viverlo concretamente e a parte qualche consiglio che potrete darmi vorrei chiedervi che differenza c'è fra peccati mortali e veniali, se questi detti mortali sono ancora una scomunica nella chiesa perchè in parrocchia, veramente, ognuno dice la sua. Facciamo molta attività anche con la Caritas, ma di dottrina qui non se ne parla quasi mai perciò volevo chiedervi in quale senso intendere questa misericordia, Dio perdona tutto a prescindere poi da come vivo moralmente? Cosa è la misericordia, la giustizia di Dio e quindi il senso del perdono? (...) grazie Antonella L.

****

Belle domande! Dico davvero, sono un ottimo inizio per prepararci a questo immenso e grande dono che Dio ci fa attraverso il suo Vicario in terra, il Santo Padre. Dobbiamo davvero approfittarne, è un'occasione più preziosa dell'oro fino....

Inizio subito dalla differenza fra i peccati mortali e quelli veniali, ma ti indirizzo a Padre Angelo O.P. che di recente ha dato una preziosa risposta al medesimo quesito, lo trovi cliccando qui, fanne, anzi, facciamone tesoro.

Ricordiamo inoltre che ciò che era considerato peccato ieri, o nella stessa Scrittura, lo è anche oggi, i Dieci Comandamenti - parole dettate da Dio per il nostro vero bene - valgono ieri quanto oggi, così come i moniti di Gesù sono sempre validi.

In sostanza non è la Parola di Dio che deve adeguarsi all'uomo in ogni generazione, o alle mode del momento, ma al contrario, ogni generazione deve scoprire e conoscere la Parola di Dio e ciò che Lui ha fatto per noi, il Suo insegnamento, i Suoi consigli affinchè la nostra vita venga trasformata e possiamo godere della vera felicità.

La Parola di Dio è fedeltà assoluta per l'uomo di ogni tempo, è l'uomo che si evolve, non Dio.

 

Veniamo ora alla tua domanda preziosa: Dio perdona tutto a prescindere poi da come vivo moralmente?

Ovvio che no! Ma non basta dire "no" o fermarsi a dire "Dio vieta questo, e questo e quest'altro" perché Dio non si è fatto Uomo per venire a vietarci di compiere ciò che è male (per dire e vietare ciò che è male bastava la Scrittura), ma per salvarci: « Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi » (Rm 5,8).

Allora la domanda sarà: salvarci da chi e da che cosa? In che senso è "morto per noi", perchè?

E' certo che Dio perdona tutto, ma chi vuole questo perdono deve corrispondere a quel "sia fatta la tua volontà.... rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori..." e la volontà di Dio non può mai essere o trovarsi nella connivenza con il peccato, sia esso mortale quanto veniale.

L'Incarnazione di Dio ha come scopo principale questo rapporto d'Amore con l'uomo attraverso il quale è venuto non solo ad indicarci la via, la verità e la vita, ma a darci proprio la testimonianza di come fare: "Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi." (Gv.13,15)

C'è dunque un "fare", quel che Dio vuole da noi,  cui dobbiamo tendere per ottenere il premio delle fatiche fatte e quindi il vero perdono.

Fare, così, questa volontà di Dio non è un peso, non è umiliante, non toglie la nostra libertà, al contrario, la modella a "sua immagine": noi ad immagine di Dio e non il contrario. Gesù in tutti i Vangeli ci dimostra in cosa consiste la vera libertà e dunque non ci costringe, non è venuto per imporci qualcosa di opprimente o degradante, ma per salvarci è conveniente che lo ascoltiamo e ci convertiamo a Lui, anche perchè non c'è altra strada, non c'è altra via.

Ecco allora che dobbiamo parlare del "peccato originale", la causa per cui Dio si è Incarnato. Non lo faremo qui, ma per te e per chi legge, basta andare a studiare il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) dove leggiamo:

1849 Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana. È stato definito « una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna ».

1850 Il peccato è un'offesa a Dio: « Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto » (Sal 51,6). Il peccato si erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da lui i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare « come Dio » (Gn 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è « amore di sé fino al disprezzo di Dio ».  Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all'obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza.

1865 Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti genera il vizio. Ne derivano inclinazioni perverse che ottenebrano la coscienza e alterano la concreta valutazione del bene e del male. In tal modo il peccato tende a riprodursi e a rafforzarsi, ma non può distruggere il senso morale fino alla sua radice.

1866 I vizi possono essere catalogati in parallelo alle virtù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l'esperienza cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano  e san Gregorio Magno.  Sono chiamati capitali perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia, l'avarizia, l'invidia, l'ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o accidia.

E' perciò chiaro che se vogliamo essere salvati dobbiamo corrispondere alla grazia della Misericordia di Dio che ci viene donata abbondantemente dal Figlio Divino. In una parola dobbiamo convertirci, lo dice Gesù e lo ripensiamo anche nel terzo Mistero della Luce del Rosario: nell’annuncio del Regno di Dio con l’invito alla conversione. Mistero di luce è la predicazione con la quale Gesù annuncia l’avvento del Regno di Dio e invita alla conversione (cfr.Mc 1,15), rimettendo i peccati di chi si accosta a Lui con umile fiducia (cfr. Mc 2, 3-13; Lc 7, 47-48), inizio del ministero di misericordia che Egli continuerà ad esercitare fino alla fine del mondo, specie attraverso il sacramento della Riconciliazione affidato alla sua Chiesa (cfr. Gv 20, 22-23).

E' ovvio dunque che, per ricevere questo perdono, io devo cambiare vita, devo convertirmi alle leggi di Dio che non sono fatte per distruggermi, ma piuttosto per santificarmi, devo fare uno sforzo, certo, ma devo svoltare. Facciamo un esempio: è come un automobilista che, entrato in autostrada dall'ingresso sbagliato, all'inizio pensa che tutti gli altri siano impazziti, ma poi si ferma e ragionandoci su si accorge di aver sbagliato e farà di tutto per fare una inversione immediata per evitare - se è una persona attenta e disponibile - qualche collisione.

Ecco l'esercizio della nostra libertà messa a servizio di Dio per il nostro vero bene.

 

 

Veniamo all'ultima tua domanda: Cosa è la misericordia, la giustizia di Dio e quindi il senso del perdono?

Sul senso del perdono lo abbiamo specificato sopra. Quanto alla giustizia di Dio essa va di pari passo con il perdono e la stessa misericordia, non è possibile separare il perdono, la misericordia dalla giustizia di Dio. Misericordia e giustizia sono così due facce della stessa medaglia, non possono essere separate.

Convertirsi a Dio, per esempio, è un atto di giustizia nei confronti di Colui che per prima ci ama e che ci ha creati.

Raccomandiamo inoltre di approfondire l'enciclica di Giovanni Paolo II sulla Divina Misericordia: cliccare qui

Nostro Signore Gesù Cristo dice che il perdono deve essere concesso solo a chi è veramente pentito:"se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli" (Lc. 17,3 ). Il rimprovero non è assenza di perdono, ma lo stesso perdonare non significa non rimproverare, non riprendere l'errante. Il perdono esige un atto giusto, forse una mamma non è amorevole verso il figlio quando lo rimprovera per delle mancanze? Il perdono non esclude la giustizia ma, anzi, la giustizia è condizione del perdono.

Disse una volta Gesù al paralitico: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Gv.5,14). La grazia di un saper ben giudicare-discernere gli atti che compiamo o che altri compiono, serve nella vita di tutti i giorni

Quando Gesù incontrava i peccatori, infatti, non li giudicava in quanto trattava il caso da uomo a uomo, tra pari, ma agiva come "Maestro-Rabbì" ; "la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato" (Gv.14,24), Egli faceva emergere l'errore (leggere l'episodio con l'adultera in quel "va e non peccare più" in Gv.8,1-11), rilevando l'atto sbagliato, e questo suo "sapere" convinceva, attirava le persone, così come allontanava coloro che avendo capito il problema non volevano abbandonare il proprio peccare: "cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi..." (Gv.8,37).

E se ricado? Rialzati! Gesù non giudica le volte che cadiamo, ma l'essere recidivi ad un atto volontario verso il peccato, qui la Misericordia si arresta davanti alla scelta, mentre si attiva nel confessionale dove veniamo perdonati ogni volta che ci pentiamo. Gesù è caduto tre volte sotto il peso dei nostri peccati raccolti in quella croce pesante, se fosse rimasto a terra cosa sarebbe stato di noi? Ecco che Lui stesso ben conosce questo peso, ma ci invita a rialzarci: non c'è resurrezione senza croce!

Lontano da Dio siamo in balia della morte, del peccato e del male, ecco perchè Gesù, all'atto della guarigione aggiunge: ora sei guarito; ma non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio. Se scegliamo di stare lontani da Dio ci accade questo "di peggio". Ricordiamo di leggere anche la parabola del figlio che ritorna pentito alla casa del Padre (Lc.15,11-32), e quell'atto di pura misericordia di Gesù sulla Croce nel perdonare il Buon Ladrone, promettendogli il Paradiso "oggi stesso".

Per capire allora che cosa è la vera giustizia di Dio, è necessario chiederci: che cosa è l'ingiustizia?

Benedetto XVI l'ha spiegato bene nel Messaggio della Quaresima 2010, dove dice:

"Molte delle moderne ideologie hanno, a ben vedere, questo presupposto: poiché l’ingiustizia viene “da fuori”, affinché regni la giustizia è sufficiente rimuovere le cause esteriori che ne impediscono l’attuazione. Questo modo di pensare - ammonisce Gesù - è ingenuo e miope. L’ingiustizia, frutto del male, non ha radici esclusivamente esterne; ha origine nel cuore umano, dove si trovano i germi di una misteriosa connivenza col male.

Lo riconosce amaramente il Salmista: “Ecco, nella colpa io sono nato, nel peccato mi ha concepito mia madre” (Sal 51,7). Sì, l’uomo è reso fragile da una spinta profonda, che lo mortifica nella capacità di entrare in comunione con l’altro. Aperto per natura al libero flusso della condivisione, avverte dentro di sé una strana forza di gravità che lo porta a ripiegarsi su se stesso, ad affermarsi sopra e contro gli altri: è l’egoismo, conseguenza della colpa originale.

Adamo ed Eva, sedotti dalla menzogna di Satana, afferrando il misterioso frutto contro il comando divino, hanno sostituito alla logica del confidare nell’Amore quella del sospetto e della competizione; alla logica del ricevere, dell’attendere fiducioso dall’Altro, quella ansiosa dell’afferrare e del fare da sé (cfr Gen 3,1-6), sperimentando come risultato un senso di inquietudine e di incertezza. Come può l’uomo liberarsi da questa spinta egoistica e aprirsi all’amore?

(...) L’annuncio cristiano risponde positivamente alla sete di giustizia dell’uomo, come afferma l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: “Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio... per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. E’ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue” (3,21-25).

Quale è dunque la giustizia di Cristo? E’ anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. Il fatto che l’“espiazione” avvenga nel “sangue” di Gesù significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta a Dio (cfr Gal 3,13-14). Ma ciò solleva subito un’obiezione: quale giustizia vi è là dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? Ciascuno non viene così a ricevere il contrario del “suo”?

In realtà, qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana. Dio ha pagato per noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante. Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che l’uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo, credere al Vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza - indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia.

Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia."

 

E il santo Padre Francesco, nell'Omelia penitenziale nella quale ha annunciato questo Anno Santo della Misericordia, ha detto:

"Il Sacramento della Riconciliazione, infatti, permette di accostarci con fiducia al Padre per avere la certezza del suo perdono. Egli è veramente “ricco di misericordia” e la estende con abbondanza su quanti ricorrono a Lui con cuore sincero.

Essere qui per fare esperienza del suo amore, comunque, è anzitutto frutto della sua grazia. Come ci ha ricordato l’apostolo Paolo, Dio non cessa mai di mostrare la ricchezza della sua misericordia nel corso dei secoli. La trasformazione del cuore che ci porta a confessare i nostri peccati è “dono di Dio”. Da noi soli non possiamo. Il poter confessare i nostri peccati è un dono di Dio, è un regalo, è “opera sua” (cfr Ef 2,8-10). Essere toccati con tenerezza dalla sua mano e plasmati dalla sua grazia ci consente, pertanto, di avvicinarci al sacerdote senza timore per le nostre colpe, ma con la certezza di essere da lui accolti nel nome di Dio, e compresi nonostante le nostre miserie; e anche di accostarci senza un avvocato difensore: ne abbiamo uno solo, che ha dato la sua vita per i nostri peccati! E’ Lui che, con il Padre, ci difende sempre. Uscendo dal confessionale, sentiremo la sua forza che ridona la vita e restituisce l’entusiasmo della fede. Dopo la confessione saremo rinati." (Omelia del 13.3.2015)

Suggerisco anche questo articolo:  Risposte sul concetto di peccato e cosa dice davvero il Papa

 e questo: Il Perdono e la vera giustizia nella Dottrina Cattolica e questo: IL PECCATO ORIGINALE SPIEGATO in modo SEMPLICE

Concludiamo con le parole di San Paolo che ci richiamo ad un vero stile di vita Cristiano:

"Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco.  È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede. In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia,  poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato." (Rom. 1,16-19).

E allora: fin da ora Buon Anno Santo della Misericordia! Approfittiamone.

Sia lodato Gesù Cristo +

La pagina verrà aggiornata, cliccare qui per l'indice agli argomenti; e qui per l'indice alla sezione del Catechismo.


      

 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/04/2015 17:41
 
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Papa Francesco
 

Papa Francesco ha consegnato ieri sera la bolla d'indizione dell'Anno Santo. Un testo denso per spiegare che cos’è l’Anno Santo e sottolineare che va posto al suo «centro, con convinzione» il sacramento della confessione, e che accostarsi a questo sacramento significa tenere insieme misericordia e giustizia, fiducia nell’amore di Dio e riconoscimento della gravità del peccato. Pellegrinaggi in tutte le diocesi e istituzione dei "Missionari della Misericordia".


Nel corso dei Vespri della Divina Misericordia, in cui ha nuovamente invitato a pregare per i cristiani perseguitati, Papa Francesco ha consegnato alla Chiesa la bolla d’indizione dell’Anno Santo «Misericordiae vultus». Un denso testo, quasi un’enciclica, per spiegare che cos’è l’Anno Santo e sottolineare che va posto al suo «centro, con convinzione» il sacramento della confessione, e che accostarsi a questo sacramento significa tenere insieme misericordia e giustizia, fiducia nell’amore di Dio e riconoscimento della gravità del peccato. 

Il nome della bolla evoca Gesù Cristo, «volto della misericordia del Padre». «Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi»: nel Signore Gesù la misericordia del Padre si rende visibile. «Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza». È l’essenza del mistero divino ed è «la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato».

«Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre». A questo servono i Giubilei. L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione. «Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di Dio fin dai primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cfr Ef 1,4), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo». La festa ricorda «la gravità del peccato», cui «Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona». In ogni cattedrale e in altri luoghi significativi e santuari, in tutta la Chiesa, si aprirà una «Porta della Misericordia», che i fedeli saranno invitati ad attraversare.

L’8 dicembre sarà anche il cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. «La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento» e d’interpretarlo correttamente, come «nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristiani per testimoniare con più entusiasmo e convinzione la loro fede». Francesco ricorda le parole famose del Beato Paolo VI: «L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio … Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore». 

L’Anno Santo si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. Anche questa data non è stata scelta a caso: «Affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti». «Come desidero – confida il Papa - che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi».

Francesco ricorda l’espressione di San Tommaso d’Aquino secondo cui nella misericordia di Dio si rivelano la sua onnipotenza e insieme il suo amore. «La misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono».

Ricordando che la misericordia di Dio è eterna, il Salmo 136 «sembra voler spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore. È come se si volesse dire che non solo nella storia, ma per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre». E sapere che «Gesù stesso ha pregato con questo Salmo, lo rende per noi cristiani ancora più importante e ci impegna ad assumerne il ritornello nella nostra quotidiana preghiera di lode: “Eterna è la sua misericordia”».

Tutta la vita di Gesù parla di misericordia, ma il Papa insiste sul momento in cui, passando davanti al suo banco di pubblicano, «gli occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: “miserando atque eligendo”. Mi ha sempre impressionato – commenta Francesco – questa espressione, tanto da farla diventare il mio motto».

Dai discorsi e dalle parabole di Gesù ricaviamo che «siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia». Perdonare non è mai facile, «Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici». 

«L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole». Una Chiesa che dimentica la misericordia non riesce a compiere il primo passo per incontrare le persone concrete. Talora «pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa». 

Dall’altra parte, è «triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Perfino la parola stessa in alcuni momenti sembra svanire. Senza la testimonianza del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato». È dunque «giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza».

Francesco ricorda la seconda Enciclica di San Giovanni Paolo II, « Dives in misericordia», che «all’epoca giunse inaspettata e colse molti di sorpresa per il tema che veniva affrontato». Il Pontefice polacco rilevava «la dimenticanza del tema della misericordia nella cultura dei nostri giorni», e spiegava che «la Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona». Rileggendo quella grande enciclica, nell’Anno Santo «il tema della misericordia esige di essere riproposto con nuovo entusiasmo e con una rinnovata azione pastorale. È determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia. Il suo linguaggio e i suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre».

Ma, in concreto, come vivere l’Anno Santo? Anzitutto, «il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata». Dunque «per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi».

«Misericordiosi come il Padre» è il motto dell’Anno Santo. Il motto implica avvicinarsi ai poveri e ai sofferenti. «Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo».

Il Papa invita a riscoprire le tradizionali opere di misericordia corporale e spirituale.   

Sarà un modo di incontrare le varie forme di povertà attraverso le opere di misericordia corporale. Ma «non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti». Ci sarà chiesto se avremo soccorso i poveri,  ma anche «se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle», compresi quelli perseguitati in tante parti del mondo.

C’è un centro dell’Anno Santo che Papa Francesco propone con particolare insistenza: il sacramento della confessione.

L’Anno Santo è l’anno della confessione e il cuore dell’esperienza giubilare è confessarsi. Nota il Papa che «tante persone si stanno riavvicinando al sacramento della Riconciliazione e tra questi molti giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un momento di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita. Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore».

Certo, i confessori dovranno fare la loro parte. «Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono. Non dimentichiamo mai che essere confessori significa partecipare della stessa missione di Gesù ed essere segno concreto della continuità di un amore divino che perdona e che salva». Il prete non è «padrone del Sacramento, ma un fedele servitore del perdono di Dio. Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato».

Il Papa annuncia l’istituzione di «Missionari della Misericordia», «sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato» e perché molti siamo spinti a confessarsi. «Tutti infatti, nessuno escluso, sono chiamati a cogliere l’appello alla misericordia». Ai vescovi Francesco chiede che «si organizzino nelle Diocesi delle “missioni al popolo”, in modo che questi Missionari siano annunciatori della gioia del perdono. Si chieda loro di celebrare il sacramento della Riconciliazione per il popolo, perché il tempo di grazia donato nell’Anno Giubilare permetta a tanti figli lontani di ritrovare il cammino verso la casa paterna. I Pastori, specialmente durante il tempo forte della Quaresima, siano solleciti nel richiamare i fedeli ad accostarsi “al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia” (Eb 4,16)».

Ma l’Anno Santo dovrà anche essere occasione di denunciare la gravità del peccato. «Non cadete – grida il Papa a chi delinque – nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illusione. Non portiamo il denaro con noi nell’al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui nessuno potrà sfuggire».

Lo stesso invito è rivolto «alle persone fautrici o complici di corruzione. Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. La corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri». La corruzione «è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza. È un’opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo. ”Corruptio optimi pessima”, diceva con ragione san Gregorio Magno, per indicare che nessuno può sentirsi immune da questa tentazione. Per debellarla dalla vita personale e sociale sono necessarie prudenza, vigilanza, lealtà, trasparenza, unite al coraggio della denuncia. Se non la si combatte apertamente, presto o tardi rende complici e distrugge l’esistenza».

L’Anno Santo «è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono – aggiunge il Papa –, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia».

Giustizia e misericordia «non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore». Senza legalismi, mentre annuncia la misericordia, la Chiesa ribadisce la verità della giustizia. «La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere». Convertirsi e affidarsi alla misericordia implica riconoscere il male del proprio peccato, e chiedere perdono.

Ogni Giubileo porta con sé anche il riferimento all’indulgenza. «Nell’Anno Santo della Misericordia essa acquista un rilievo particolare. Il perdono di Dio per i nostri peccati non conosce confini». «Nel sacramento della Riconciliazione Dio perdona i peccati, che sono davvero cancellati; eppure, l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri rimane. La misericordia di Dio però è più forte anche di questo. Essa diventa indulgenza del Padre che attraverso la Sposa di Cristo raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni residuo della conseguenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore piuttosto che ricadere nel peccato».

Dopo un invito a una riflessione ecumenica e interreligiosa sulla misericordia, che comprenda un dialogo con ebrei e musulmani, e un appello a tenere lo sguardo fisso su Maria, il Papa conclude rivolgendo il pensiero «alla grande apostola della misericordia, santa Faustina Kowalska. Lei, che fu chiamata ad entrare nelle profondità della divina misericordia, interceda per noi e ci ottenga di vivere e camminare sempre nel perdono di Dio e nell’incrollabile fiducia nel suo amore». Sarà Santa Faustina la guida sicura per l’Anno Santo.  





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/04/2015 18:39
 
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[SM=g1740720] Misericordiae Vultus

Brani tratti dalla Bolla di indizione per l'Anno Santo straordinario della Misericordia.

Non fuggiamo da questa opportunità, non sprechiamola!
Santa Faustina Kowalska riporta nel suo Diario come Gesù le abbia spiegato che questo dono della Misericordia è l'ultima opportunità che Dio da agli uomini e tutti i Papi, specialmente gli ultimi di questi nostri tempi difficili e gravi, hanno fatto ricorso a questi appelli misericordiosi di Gesù anche, per esempio, attraverso i fatti legati a Fatima le cui Apparizioni ricorderemo per il Centenario del 2017.

Oggi il Santo Padre Francesco ci sollecita ancora una volta a prendere questa Divina Misericordia per farla nostra, per sfruttarla quale sostegno della nostra conversione a Cristo.
Come Domenicani, per giunta, che proprio in questo Anno di grazia festeggeremo l'ottavo Centenario dalla Fondazione dell'Ordine, non possiamo restare a "guardare passivamente" questi eventi, piuttosto abbiamo il dovere di farli nostri ed insieme rendere un servizio anche al prossimo.

L'Anno Santo inizierà nella solennità dell'Immacolata: quale occasione più eccelsa affinchè possiamo prendere il Santo Rosario ed usarlo quale - come dice la Supplica di Pompei del Beato Bartolo Longo - catena dolce che ci rannodi a Dio, vincolo di pace negli assalti dell'inferno, noi non ti lasceremo mai più.....
e il Papa nella Bolla ci richiama alla preghiera della Salve Regina quale implorazione, supplica a Colei che è Madre della Misericordia incarnata e che aiuta noi "in questa valle di lacrime"....

gloria.tv/media/JtH4Am5Wqxo

www.youtube.com/watch?v=77uZG_ZQn6c&feature=youtu.be

Ave Maria

Movimento Domenicano del Rosario





[SM=g1740738] [SM=g1740750] [SM=g1740752]

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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15/04/2015 13:48
 
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  Cara catechista,

recentemente ho letto in un social network diversi commenti critici sulla bolla d’indizione del Giubileo straordinario del prossimo anno. In particolare viene criticata questa frase: «Non è l’osservanza della legge che salva, ma la fede in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione porta la salvezza con la misericordia che giustifica». Papa Francesco citava e spiegava San Paolo, eppure qualche commentatore ha storto il naso. Uno, in particolare, ha scritto: “Nell’anno della misericordia moriremo filo-luterani”. Tu che ne pensi?

E vorrei farti un'altra domanda: il Papa ha detto che invierà dei sacerdoti "missionari della misericordia" con autorità papale di rimettere quei peccati che solo la Santa Sede può rimettere e quindi sollecita i vescovi per accoglierli. La mia domanda è questa: ma i sacerdoti non sono già ministri della misericordia? e i vescovi, nelle loro diocesi, non hanno già l'autorità di rimettere peccati particolari? cosa intende dire il Papa? In definitiva poi, non sono tutti i Giubilei misericordia del Signore? ha un senso chiamarlo della misericordia?

Emilio L.

*****


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Caro Emilio, ringraziandoti per la domanda, ciò che "penso io" è irrilevante quando, per onestà nei confronti di chi ha scritto il testo, rilevante è il contesto integrale del testo (vedi qui) e le intenzioni dello stesso.

Perciò quella frase deve tenere conto anche di altre parti del discorso del Papa quando, per esempio, dice subito dopo la frase da te segnalata e chiaramente:

"Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia."

La chiave di lettura della frase è legata a quel cambiamento che la dottrina cristiana porta nell'immediato degli eventi nei confronti della legge ebraica, la legge di Mosè che i farisei usavano spietatamente, schiacciando ed opprimendo il popolo, basti ricordare la scena dell'adultera e l'atteggiamento innovativo di Gesù.

In sostanza ci troviamo davanti alla stessa situazione riportata in Atti 15 quando, nel cosiddetto concilio di Gerusalemme o sinodo di Gerusalemme, gli Apostoli risolvono il dilemma della circoncisione.

Come ben sappiamo in un primo periodo convivono, non senza problema teologici, il giudaismo-cristiano. Uno di questi problemi era la legge mosaica la quale imponeva la circoncisione ai pagani che si convertivano al Cristo, gli Apostoli sostengono così che non è più necessaria e che il Battesimo sostituisce la circoncisione.

In tal senso è "la fede in Cristo", quel rivestirsi di Cristo mediante il Battesimo che salva, non la circoncisione. Ci troviamo di fronte al primo e autentico, fondamentale, compimento della Legge in Cristo e tipico di tutte le catechesi di Paolo: in Cristo siamo liberati dalle leggi nel senso che chi appartiene al Cristo - naturalmente pienamente e con tutto ciò che questo comporta - non ne ha più bisogno perchè "vive di Cristo". In tale contesto si inserirà, infatti, la Confessione per la rimessione dei peccati e non più, per esempio, i tribunali fatti dai farisei che usavano la legge per schiacciare e sottomettere la gente.

E' vero che la frase - praticamente simile - la troviamo in Lutero laddove sviluppa i tre Sola e dunque la sola fede in Cristo e che le opere non salvano, ma il testo della Bolla papale non sta affermando questo, anzi.

Lutero usa le parole di Paolo diversamente e agisce diversamente: usa la "fede in Cristo che salva" di San Paolo per negare - delle opere - quelle virtù che portano la Chiesa a concedere le famose indulgenze.

Qui il testo dice esattamente il contrario anche quando il Papa specifica:

"Non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra giustizia e misericordia. Non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore."

E ancora dice: "È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. (...) La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti."

   Basterebbe perciò vivere coerentemente il giubileo all'interno delle quattordici opere per non morire protestanti o pagani o atei e guadagnarsi davvero il premio promesso dal Signore.

Ma da soli, da noi stessi, è impossibile mettere in pratica tutte queste opere: abbiamo bisogno di Gesù Cristo (ossia tutti e sette i Sacramenti, mentre Lutero li ha aboliti), abbiamo bisogno di fare tutto in suo Nome "in Cristo, per Cristo e con Cristo", questa è la nuova legge.

La conferma di ciò ci viene dai racconti della vita delle prime comunità cristiane fondate da San Paolo, quando egli descrive i problemi, ma anche la "nuova legge dell'amore" che diventa da subito quella che sostituirà la legge di Mosè che i farisei usavano pesantemente. La legge in sè, quella di Dio che troviamo nei Dieci Comandamenti, non viene annullata, come dice Gesù stesso, ma portata a compimento, questo è il "nuovo" che Gesù racchiude poi nelle Beatitudini o come nei due comandamenti principali: amare Dio sopra ogni cosa e amare il prossimo come amiamo noi stessi.

Non c'è più, per esempio, la lapidazione, per chi sbaglia c'è quella "parola-predicazione" degli Apostoli che spinge i fedeli alla conversione, alla penitenza.

Non è perdonismo e basta citare il caso di Anania con Pietro, o il caso dell'incestuoso il quale viene allontanato da Paolo dalla comunità, e la comunità viene rimproverata per aver fatto finta di non vedere sui fatti o peggio, rimproverata perchè approvavano col tacito consenso, il comportamento peccaminoso dell'incestuoso.

Così come il testo della Bolla riporta anche il caso del Figliol prodigo quale richiamo alla conversione.

Il giudizio su ciò che è bene o male si fonda ora sull'amore al Cristo e del Cristo: chi tradisce questo Amore è già nel peccato. Possiamo fare anche opere di bene ma se non si è coerenti con la vita nuova in Cristo - con tutto ciò che questo comporta compreso quel vivere i Dieci Comandamenti integralmente - quelle opere sono morte, non servono, non salvano.

Possiamo dire, piuttosto, che questo Anno giubilare straordinario è squisitamente Cattolico in tutti i sensi e che racchiude in sè le profezie e le Promesse di molti Santi fra i quali quella del Sacro Cuore di Gesù con Santa Margherita Maria Alacoque nella seconda metà del 1600 e quella della Divina Misericordia di Santa Suor Faustina Kowalska alla quale Gesù dice: « Scrivi questo: prima di venire come Giudice giusto, vengo come Re di Misericordia.... ». O Sangue e Acqua, che scaturisti dal Cuore di Gesù, come sorgente di Misericordia per noi, confido in Te.” (Diario S. Kowalska – 1928 – Q.I, n.83)

e ancora:

«… Figlia Mia, scrivi sulla Mia Misericordia per le anime sofferenti. (..) prima che io venga come Giudice giusto, spalanco la porta della Mia Misericordia. Chi non vuole passare attraverso la porta della Misericordia, deve passare attraverso la porta della Mia giustizia». ( Diario S. Kowalska – 18.3.1936 – Q.II, nn.625,626).

Nella Bolla papale c'è chiaro il riferimento alla conversione-confessione, non basta dunque dire come Lutero "credo in Gesù", così come non è sufficiente per un cattolico andare alla Messa la domenica e dimenticare le quattordici opere di misericordia, corporali e spirituali, a cominciare da una perfetta contrizione del cuore e da una confessione sincera dalla quale scaturisce l'abbondanza della Misericordia.

Possiamo dire che, se ben fatto, questo Anno sarà proprio l'Anno della vera Riconciliazione, della Confessione dei peccati, un ritornare a Dio Padre come il figliol prodigo della parabola.

Caro Emilio, il testo della Bolla papale è una fonte di profonda ispirazione e di profonda dottrina, non farti confondere da idee bizzarre ed interpretazioni soggettive alimentate, forse, da pregiudizi verso il Papa. Leggiamo integralmente il testo e ci accorgeremo che riporta ciò che il Vangelo ci chiede.

 

Infine chiedi:

E vorrei farti un'altra domanda: il Papa ha detto che invierà dei sacerdoti "missionari della misericordia" con autorità papale di rimettere quei peccati che solo la Santa Sede può rimettere e quindi sollecita i vescovi per accoglierli. La mia domanda è questa: ma i sacerdoti non sono già ministri della misericordia? e i vescovi, nelle loro diocesi, non hanno già l'autorità di rimettere peccati particolari? cosa intende dire il Papa?

***

ecco, queste domande, caro Emilio, sono un pò più tecniche e particolari che anche io necessito di ulteriori informazioni e chiarimenti perchè, senza alcun dubbio, tutti i sacerdoti che sono appunto già "mandati" ad esercitare il ministero della misericordia che sono i Sacramenti - specialmente la Confessione e l'Eucaristia come il Viatico ai malati - hanno questa autorità petrina e dal proprio Vescovo.

Potremo riprendere questo argomento in un altro articolo più avanti, qui possiamo specificare però che ci sono dei peccati così gravi che soltanto il Vescovo può rimettere ed altri che possono essere rimessi solo dalla Santa Sede, ossia, è il Papa che può rimetterli anche per mezzo di sacerdoti da lui strettamente inviati.

Riporto quanto segue:

La definizione «peccati riservati alla Sede Apostolica», spiega il vescovo Giuseppe Sciacca, segretario aggiunto della Segnatura «in realtà è un'espressione che si trovava nel vecchio Codice di Diritto Canonico del 1917 e che sta a indicare alcune censure che possono essere tolte soltanto dalla Santa Sede. Si tratta di casi molto gravi, per i quali scatta la scomunica latae sententiae, cioè automatica, e la cui assoluzione è riservata alla Sede Apostolica».

Il primo di questi casi è contemplato nel canone 1367 del nuovo Codice di Diritto Canonico e riguarda «Chi profana le specie consacrate, oppure le asporta o le conserva a scopo sacrilego», e così «incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica».

Il secondo caso lo si ritrova poco più avanti, al paragrafo 1 del canone 1370, e riguarda «Chi usa violenza fisica contro il Romano Pontefice».

C'è poi la scomunica riservata alla Sede Apostolica per il sacerdote che assolve il «complice nel peccato contro il sesto comandamento», cioè che assolve in confessione la persona con la quale ha avuto rapporti sessuali (canoni 977 e 1378, paragrafo 1).

Un altro caso grave riguarda il vescovo che «senza mandato pontificio» consacra un altro vescovo: entrambi, consacrante e consacrato «incorrono nella scomunica late sententiae riservata alla Sede Apostolica» (canone 1382).

Ancora, ricade in questa categoria il sacerdote che viola il «sigillo sacramentale», cioè il segreto confessionale (canone 1388, paragrafo 1). A questo elenco si è aggiunto, grazie a un decreto della Congregazione per la dottrina della fede del 2007, il vescovo che tenta di ordinare una donna sacerdote.

Questi sono casi limite gravissimi, la cui remissione è affidata solo alla Santa Sede, ma c'è anche un altro che i preti non possono assolvere e per il quale è necessario ricorrere al vescovo o un penitenziere maggiore o a sacerdoti ai quali il vescovo ha dato questa facoltà. Come si legge nel Codice canonico, è l'aborto:

un peccato che prevede la scomunica latae sententiae sia per la madre, sia per il medico, per l'infermiere e per coloro che hanno eventualmente convinto la donna ad abortire. La scomunica, ha scritto Giovanni Paolo II nell'enciclica «Evangelium vitae» colpisce «tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato: con tale reiterata sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più gravi e pericolosi, spingendo così chi lo commette a ritrovare sollecitamente la strada della conversione. Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un’adeguata conversione e penitenza».

I «Missionari della Misericordia» avranno dunque autorità su tutte queste materie, «perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato», dovranno verificare anche quanti di loro "conoscevano la pena" (e cioè quanto intenzionale fu il misfatto) e naturalmente quanto davvero sono ora pentiti da guadagnarsi questo gesto misericordioso.

La domanda sarebbe dunque: perchè il Papa non ha chiesto direttamente ai Vescovi, in questo Anno giubilare, di provvedere ad inviare più sacerdoti in grado di soddisfare a queste incombenze? In fondo, nell'Anno giubilare del 2000 Giovanni Paolo II sollecitò i Vescovi i quali, a loro volta, diedero a molti sacerdoti e parroci la facoltà di rimettere, ad esempio, il peccato dell'aborto a quelle anime veramente pentite.

Probabilmente perchè ciò sarebbe stato più difficoltoso essendo, alcuni peccati, rimettibili, come abbiamo visto, solo dalla Santa Sede al cui iter anche i Vescovi sono sottomessi.

La questione potrebbe sembrare a noi irrilevante e pure pignola, ma il Papa non ha fatto altro che applicare la disciplina della Chiesa, agendo in modo del tutto libero da ogni condizionamento umano e assumendo, applicando, la piena potestà da riversare nell'Urbe e nell'Orbe in un Anno speciale, straordinario. E', possiamo dire, una opportunità, un dono che la Chiesa fa a chi è coinvolto o inciampato in questi drammi davanti ai quali, spesso, non si vede alcuna via di uscita. Ecco che il Papa offre ora questa via d'uscita, offre l'occasione per rimettersi in carreggiata.

 

Alle domande:

In definitiva poi, non sono tutti i Giubilei misericordia del Signore? ha un senso chiamarlo della misericordia?

Effettivamente potrebbe sembrare una ripetizione inutile, ogni Anno giubilare ed anche questi ultimi dedicati a temi specifici come l'Anno sacerdotale (2009-2010), l'Anno dell'Eucaristia, l'Anno della vita Consacrata come quello che stiamo vivendo, sono tutti Anni in cui la Misericordia di Dio si rende più attiva dell'ordinario.

Ma qui il termine, che pur sembra giocare sulle parole, esprime qualcosa di molto più profondo: Anno "STRAORDINARIO" della Misericordia. Lo dice il termine stesso: straordinario, non dunque ordinario.

Straordinaria come è anche la follia collettiva alla quale sembra essersi votata l'umanità dall'aborto, all'eutanasia, ai divorzi e alla devastazione della famiglia, non chè alla grave crisi economica per colpa dell'avidità e degli egoismi....

Non è un Anno giubilare come gli altri a scadenze o a ricorrenze, siamo davanti ad un regalo più regalo, davanti ad un dono extra se vogliamo, davanti ad un gesto straordinario appunto in cui questa Misericordia che ha un Volto (Misericordiae Vultus dice il titolo della Bolla), è Persona, è Viva e vuole venirci incontro ma che davanti a tante porte chiuse, sta tentando quasi l'impossibile.

Questo è un Giubileo straordinario della Misericordia, non un normale Giubileo venticinquennale.

Consiglio a tutti di leggere il Diario di Santa Faustina Kowalska nel quale il Signore Gesù le spiega di questa Misericordia e anticipava questo Anno di Grazia.

Sia lodato Gesù Cristo +

La pagina verrà aggiornata, cliccare qui per l'indice agli argomenti; e qui per l'indice alla sezione del Catechismo.

si legga anche:

Bolla papale Misericordiae Vultus 

 Anno Santo Misericordia e Santa Faustina

 Misericordia giustizia e perdono in che senso


 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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IL TEOLOGO

 

Nel convocare il prossimo Giubileo, papa Bergoglio si mette sulla scia del discorso con cui papa Roncalli inaugurò il Concilio Vaticano II: non insistere sulla condanna degli errori ma proporre la fede con un linguaggio più adatto ai tempi. C'era allora un ottimismo poi spazzato via dal '68, ma quell'impostazione è oggi ancora valida ma ad alcune condizioni. Eccole.

di Enrico Cattaneo


«Uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo. La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza» (Papa Francesco, “Alla Congregazione per i vescovi”, 27 febbraio 2014).

Questo testo dirompente di papa Francesco, si riallaccia non nella lettera, ma nello spirito, al discorso “Gaudet Mater Ecclesia” tenuto da Giovanni XXIII l'11 ottobre 1962 all’inaugurazione del Concilio Vaticano II. La conferma di tale accostamento è venuta proprio dalla “Bolla di indizione del Giubileo straordinario” (n. 4). Precedentemente, quel discorso era stato ripreso da alcuni autorevoli autori con angolature diverse, perché effettivamente esso segna una "svolta" nell'atteggiamento della Chiesa, e il Concilio non farà che seguire e applicare questo orientamento di fondo, non solo nei confronti del mondo moderno, ma anche al proprio interno, oltre che verso i "fratelli separati", il popolo ebraico e le altre grandi religioni. 

In quel famoso discorso di apertura, il Papa disse chiaramente che lo scopo del nuovo concilio non era quello di condannare gli errori, come era sempre stato fatto nel passato, ma era quello di proporre la fede della Chiesa con un linguaggio più adatto ai tempi: «Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace» (5.1). Non è che non ci siano errori anche gravi, e la Chiesa si è sempre opposta all'errore. Ma oggi, dice il Papa, i tempi sono cambiati, e il modo più efficace per contrastare gli errori del mondo moderno è quello di presentare la bellezza, la coerenza e il bene contenuto nella dottrina cattolica: «Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando» (7.2). La Chiesa Cattolica intende così «mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati» (7.3). 

Quando ora Papa Francesco afferma che la Chiesa deve custodire la dottrina «non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo» (testo sopra citato), non fa dunque che riprendere il senso dell’intervento inaugurale di Giovanni XXIII.

Questo cambio di atteggiamento, secondo Papa Roncalli è sostenuto da una duplice considerazione. Primo: la Chiesa nell'epoca moderna ha attraversato molte difficoltà, opposizioni, persecuzioni, ma con l’aiuto di Dio essa ne è uscita ancora più vigorosa, come se la Provvidenza avesse guidato questi eventi per il bene stesso della Chiesa: «Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa» (4.4).

Secondo: il Papa ha fiducia che gli uomini stessi, guidati dall'esperienza, respingeranno spontaneamente quegli errori e comportamenti sbagliati, che hanno provocato così immani disastri: «Non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle, soprattutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi, riponendo troppa fiducia nel progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita. 
Essi sono sempre più consapevoli che la dignità della persona umana e la sua naturale perfezione è questione di grande importanza e difficilissima da realizzare. Quel che conta soprattutto è che essi hanno imparato con l’esperienza che la violenza esterna esercitata sugli altri, la potenza delle armi, il predominio politico non bastano assolutamente a risolvere per il meglio i problemi gravissimi che li tormentano» (7.2).

Mentre il primo punto può essere facilmente condiviso leggendo la storia della Chiesa, il secondo sembrerebbe eccedere di ottimismo circa le capacità umane di autoredenzione. 

In effetti, ai tempi di Giovanni XXIII, cioè all’inizio degli anni ’60, nonostante che il mondo fosse diviso in due blocchi e che l’ideologia marxista avesse pervaso la cultura occidentale, c'era ancora nella nostra società una sorta di piattaforma comune tra credenti e non credenti, basata sulla dignità della persona umana, sui "retti principi dell'onestà", sul senso morale naturale. 
Basti pensare alla “Dichiarazione universale dei diritti umani” promulgata dall’Assemblea Generale delle Nazioni unite nel 1948. Questo ottimismo fu condiviso anche da Paolo VI all’inizio del suo pontificato. È sufficiente leggere il suo discorso di chiusura del Concilio (anch’esso citato nella “Bolla di indizione”, n. 4) o le encicliche Populorum progressioEvangelii nuntiandiEcclesiam suam


Ma le cose sono cambiate dopo il ’68. Anche l’atteggiamento di Paolo VI è cambiato dopo il ’68. Lì è iniziata quella deriva che ha portato a corrodere sempre più i principi fondamentali dell'agire e del convivere umano. Paradossalmente, il crollo dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est nel 1989 ha aperto la strada a una cultura nichilista, senza più punti di riferimento universalmente validi, quali la sacralità della vita umana, dal suo concepimento naturale alla sua fine naturale; il valore del matrimonio e della famiglia; la dignità della persona umana, che rigetta ogni tipo di sfruttamento, di abuso, di schiavitù, di violenza, di negazione delle libertà fondamentali. 

Oggi questa piattaforma comune praticamente non c’è più o è molto ridotta. Le società e le nazioni si reggono o su dittature politico-religiose (come l’islam nella sua spaventosa recrudescenza fanatica e bellicosa) o su criteri di maggioranza pilotati da concezioni totalmente pragmatiste, che puntano a inculcare l’idea di supposti nuovi diritti civili, che non hanno altro fondamento che nella volontà individuale intesa come ricerca del benessere. 
Alcuni apporti positivi della modernità, come l’emancipazione della donna, la conoscenza sempre più avanzata sulla natura della sessualità e della procreazione, sono andati però ben oltre i loro primitivi intenti, arrivando a fare della procreazione umana una specie di “fabbrica del figlio” e a proporre come ideale educativo quello di un essere umano destrutturato, che non sa più che cosa significhi essere maschio o femmina se non in base a una propria scelta arbitraria. 
La sessualità genitale poi è stata isolata come un bene in sé, perseguibile sempre e comunque, salve alcune precauzioni sociali e sanitarie. 

Oggi possiamo dire che anche il magistero di san Giovanni Paolo II sulla dignità della persona umana in tutti i suoi aspetti, un magistero estremamente ricco e profondo, sia stato quasi completamente travolto da questa nuova mentalità. Quanto profondamente essa sia penetrata nella Chiesa stessa, è difficile dirlo, però non è difficile verificare come ampi settori della Chiesa, cominciando da teologi, pastori e parti del laicato, abbiano conosciuto e conoscano grossi sbandamenti, purtroppo non sempre consapevoli, ma tranquillamente assorbiti come normali. Certamente c’è pure stata e c’è nella Chiesa una corrente decisa a lottare e a contrastare apertamente le deviazioni odierne, sulla base dei "principi non negoziabili" fondati sulla legge naturale e avvalendosi dei metodi democratici del libero dibattito, finché sarà possibile.

Ora con papa Francesco sembra essere ritornati al clima positivo di apertura indicato dal discorso di Giovanni XXIII: la Chiesa vuole presentarsi non più come una rigida e severa custode della dottrina, ma come madre di misericordia, che annuncia un Dio di misericordia e di perdono. Papa Francesco vuole una Chiesa che anzitutto si liberi dalle tendenze "mondane" che sono al suo interno, e poi che si faccia di nuovo missionaria, non col proselitismo, ma col testimoniare la bellezza di una fede intesa anzitutto come incontro con Cristo, come esperienza dell'amore di Dio, la sola che può dare la forza di allontanare il peccato e scegliere la via del bene individuale e sociale.

La domanda però che ora ci viene è questa: è possibile riprendere l’atteggiamento di s. Giovanni XXIII sopra descritto senza tener conto di un contesto culturale radicalmente cambiato? Sono ancora valide quelle due premesse, o non peccano forse di ingenuità e di ottimismo? La nostra risposta, sulla scia di quanto dice e fa Papa Francesco, è che sì, esse sono ancora valide, purché le si leggano con gli occhi della fede e non come valutazioni umane di tipo storico o sociologico. La parola di Gesù che “portae inferi non praevalebunt” deve valere ancora oggi, non però per farci adagiare in un ottimismo beato, ma per radicarci maggiormente nella fede. 
La Chiesa non deve illudersi che assumendo l’atteggiamento di madre misericordiosa sia sempre meglio accolta e meno perseguitata.   


La Chiesa non può tacere la verità, e questo il mondo non lo sopporta, perché, come dice san Paolo, tiene la verità “prigioniera dell’ingiustizia” (Rom 1,18). Finché si predica un “volemose bene” generico, nessuno ha nulla da obiettare, anzi tutti applaudono. Ma quando si tratta di entrare nello specifico di che cosa sia volere il bene dell’altro secondo il Vangelo e la dottrina cristiana, quando la Chiesa sarà costretta di nuovo a dire “non possumus”, “non possiamo”, allora il mondo glielo farà pagare, e sceglierà ancora Barabba invece di Gesù. È la storia di sempre. 

Ma la Chiesa vincerà, non perché andrà a braccetto con il mondo, ma perché, fedele al Vangelo, continuerà ad amare quelli che la odiano e continuerà a pregare per coloro che la perseguitano. La Chiesa vincerà perché alla fine sarà l’unica ancora capace veramente di amare questa umanità e di cercare il vero bene dell’uomo. 
Ma dove trova la Chiesa questa forza? La trova nella sua missione, che non è semplicemente terrena, come una ONU o una ONG o come lo sono alcune religioni. La sua missione è ultraterrena; essa ha il compito di portare gli uomini alla vita e alla felicità eterne, nella unione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo e nella comunione dei santi. Per questo il tempo umano, la storia umana è tanto importante, perché qui, nell’adesione o nel rifiuto del vero e del bene, si gioca il destino eterno dell’uomo; e l’uomo, finché vive in questa vita, può sempre fare la scelta che lo salva o lo danna. 


Per questo la Chiesa ama i peccatori. Essa può odiare solo il male, il peccato, non il peccatore. Anche il peggiore peccatore, finché è in questa vita può sempre convertirsi e salvarsi. C’è solo una creatura degna di odio, perché si è fissata definitivamente e volontariamente nel male, e questa creatura non è umana, ma è uno spirito, chiamato dalla Scrittura “Satana” o diavolo. Esso ha un potere sulla terra non senza una permissione divina, e ha dei ministri capaci di influire sulla storia degli uomini, cercando di portarli anzitutto alla rovina terrena e poi alla dannazione eterna. 

Se si capisce questo, allora si può vedere l’uomo peccatore con occhi diversi, come uno che è sì responsabile del male fatto, ma che è anche vittima del Tentatore, del Maligno. Perciò la Chiesa prega ogni giorno perche noi tutti siamo “liberati dal Male”. Confesso che a volte, di fronte a tanta cattiveria, crudeltà e malvagità degli esseri  umani, mi sento rivoltare e vorrei gettare la spugna. Solo pensando che essi sono “prigionieri del Maligno” riesco ancora ad amarli per quella parte di loro che potrebbe ancora redimersi e salvarsi. Se non si recupera questa dottrina cattolica, non si capisce più perché la Chiesa debba continuare ad interessarsi degli uomini e non ridursi a un club religioso di gente benestante e benpensante.

La Chiesa però nel mostrare il suo amore materno verso questa umanità, deve, seguendo il suo Maestro, usare un duplice registro: quello della misericordia, per rincuorare i peccatori invitandoli al pentimento, e quello della severità, per scuotere i corrotti e liberarli dalle loro catene. Infatti ci sono persone talmente invischiate nel male, che le parole di misericordia non li sfiorano neppure, ma solo la prospettiva di una dannazione, cioè di una infelicità e di un tormento eterni potrebbe, caso mai, smuoverle. Dobbiamo comunque tornare a predicare queste cose. Facciamolo pure con un linguaggio nuovo, comprensibile, ma facciamolo. Se no, non ha senso neppure parlare della Croce di Cristo. 

Questo è lo sfondo del Giubileo della Misericordia. Se non mettiamo in rilievo questo sfondo, non si capirà quasi più nulla di quel Giubileo. Ritornano allora validi i due presupposti dell’azione pastorale indicati da s. Giovanni XXIII: primo, che la gravissima crisi odierna nella Chiesa – crisi di fede, di morale, di pratica (in Francia ad es. il 56% continua a professarsi cattolico, ma solo il 15% si definisce praticante, e chi va a Messa tutte le domeniche non supera il 4%: da OssRom 7-8 aprile 2015, p. 5) – questa crisi, dicevamo, permessa da Dio, tornerà ancora a un bene più grande della Chiesa stessa e delle anime. Secondo, l’attuale andamento delle cose darà frutti «così letali» (per riprendere le parole di Giovanni XXIII), che la gente tornerà spontaneamente al tribunale della propria coscienza e della misericordia. Ma perché ciò avvenga, bisogna molto pregare.

 

La misericordia di Cristo

La recente Bolla pontificia di indizione dell’Anno Santo della Misericordia ci offre l’occasione per alcune riflessioni sulla misericordia che ci viene insegnata da Cristo, e che da Lui viene praticata, con particolare rifermento alla giustizia.

La misericordia in generale è quella propensione a sollevare il misero dalla sua miseria. La misericordia divina esercitata da Cristo per mandato e con la potenza di Dio Padre è l’atto col quale Cristo ha pietà dell’uomo peccatore, lo risolleva dalla miseria conseguente al peccato originale, gli dona la grazia del perdono, rimette o cancella la colpa, liberando col suo sacrificio espiatorio e soddisfattorio l’uomo dal meritato castigo, ridonandogli la vita perduta, estinguendo il debito contratto dall’uomo con Dio a causa del peccato.

L’esercizio della misericordia di Cristo nei nostri confronti suppone quindi un atto di riparazione offerta al Padre offeso dal peccato e comporta la restituzione dell’uomo al Padre riconciliandolo col Padre. Col sacrificio della croce Cristo risarcisce il Padre per la perdita dell’uomo fatto schiavo di Satana a causa del peccato, offrendo al Padre col suo sangue il prezzo del nostro riscatto. Egli estingue al nostro posto il debito contratto col Padre e il Padre ci accoglie di nuovo come suoi figli.

Il peccato, quindi, per la Bibbia è un male che l’uomo da sè non riesce a togliere o riparare: occorre il sacrificio di Cristo. E’ un debito che non può pagare: occorre la ricchezza della grazia di Cristo. É una malattia dalla quale da sè non può guarire: occorre Cristo medico; è un contrasto con Dio, che l’uomo da sè non riesce risolvere: occorre la mediazione di Cristo; è una vita perduta che da sè non può ridarsi: dev’essere rivivificato da Cristo; è una tenebra che non può dissipare:occorre la luce di Cristo; è un abisso dal quale da sè non può risalire: dev’essere risollevato da Cristo; è una macchia che da sè non può lavare: occorre il sangue di Cristo; è un’offesa che da sè non può riparare: occorre l’intercessione di Cristo.

Dio vuol salvare tutti e quindi offre a tutti in Cristo la misericordia che salva. Ma non tutti, per vari motivi, accettano o chiedono questa misericordia o, chiedendola male, non la ricevono. Alcuni, pensiamo per esempio agli atei ed ai panteisti, sentendosi alla pari di Dio o sostituendosi a Dio, si ritengono autosufficienti, per cui pensano di cavarsela da soli e ritengono quindi di non aver bisogno di alcuna misericordia; altri, come Giuda, sentono di aver peccato; ma non credono nella divina misericordia. Vedono solo un Dio punitore, mancano dell’umiltà necessaria per chiedere misericordia, non sono veramente pentiti, e quindi la respingono.

Altri non credono nella misericordia di Dio perchè sono perseguitati dalle sventure: se Dio fosse misericordioso, – essi dicono – mi verrebbe in soccorso; ma siccome non lo fa ed anzi continua lasciarmi nelle afflizioni, non lo considero misericordioso, ma crudele. Altri, come Lutero, si immaginano che la misericordia non rimetta i peccati, ma fa finta di non vederli; basta credere che comunque Dio mi perdonerà. Altri, come Rahner, ritengono che ogni uomo riceva misericordia e si salvi al vertice della sua autotrascendenza e non perda la grazia, anche se ha peccato.

Una cosa appare evidente dalle narrazioni evangeliche sulla condotta di Cristo nei confronti degli uomini: che ad alcuni fa misericordia, perdona i peccati, loda la loro fede, approva le loro idee, promette la salvezza; altri invece li tratta duramente, li rimprovera aspramente, minaccia loro i castighi divini, li accusa di ipocrisia e lancia loro diverse invettive. Non occorre qui portare gli esempi, tanto essi sono noti.

Qui certamente non si può parlare di misericordia. Non per questo Cristo manca di carità anche verso costoro. Sarebbe blasfemo il solo pensarlo. Il fatto è che la carità si pratica in queste due forme opposte a seconda che il prossimo accetti o non accetti Cristo: misericordia ai primi, giustizia verso i secondi.

Infatti la giustizia può avere anche un aspetto penale o punitivo, consistente nel fatto che il peccatore viene da Dio forzatamente reintegrato nell’ordine morale da lui violato. Qualcosa di simile, benchè imperfettamente, viene compiuto dalla giustizia umana, la quale appunto deve imitare quella divina. Il ladro che ha rubato, viene costretto a restituire. Chi ha abusato della sua libertà, la riconduce forzatamente nei giusti limiti con la pena del carcere. Chi ha offeso Dio col peccato, viene forzatamente ricondotto nel giusto rapporto di sottomissione a Dio mediante la pena dell’inferno, e così via.

Esiste un pregiudizio buonista molto diffuso, secondo il quale la bontà e la carità stanno solo nella misericordia. Chi castiga, chi punisce, chi condanna, chi usa la forza o le armi in qualunque modo, chi costringe, è cattivo, violento, malvagio e crudele. Ma Dio è buono. E dunque in Dio c’è solo la misericordia.

Dio non castiga nessuno, non condanna nessuno, ma salva tutti e perdona tutti in base alla sua infinita misericordia. La sofferenza non è castigo del peccato, Dio non c’entra nulla, ma è solo effetto dell’ingiustizia umana. La sofferenza non può essere espiazione – falsa interpretazione della croce di Cristo – , non va presa dalle mani di Dio come mezzo di salvezza, ma va solo combattuta.

Occorre invece osservare che violenza è solo l’uso ingiusto della forza. Esiste invece un uso della forza o della coercizione, riservato per lo più alla pubblica autorità, che è giustizia, e che consiste nel tenere a bada i malfattori, nella difesa armata della patria o nella difesa personale armata, cosa che non solo è lecita, ma è doverosa, e può essere benissimo riconducibile alla carità.

Il credere dunque che i rapporti umani possano e debbano essere regolati soltanto da atti di cortesia, da scambi pacifici, dal dialogo, da fiducia nell’altrui bontà e dalla misericordia, è una pericolosissima illusione, che non è per nulla fattore di giustizia e di pace, ma che al contrario dà spazio al famoso detto di Hobbes homo homini lupus.

Ci si dimentica infatti delle conseguenze del peccato originale, per le quali esistono malfattori che non ascoltano ragione e che, simili alle bestie, sono trattenuti dal delitto solo per il timore della pena o perchè costretti con la forza a restare nell’ordine. Certo la grazia di Cristo ingentilisce e purifica i costumi, ma, come dimostrano duemila anni di cristianesimo, anche nelle società cristiane continuano ad esistere i malvagi, i peccatori e i criminali.

In base a questi princìpi buonisti, si dovrebbero abolire il diritto penale, l’ordine giudiziario, il sistema carcerario, le forze armate e di pubblica sicurezza, i vigili urbani, le guardie del corpo, i vigilantes, e così via. Una cosa assurda, che avrebbe come conseguenza soltanto il dar spazio illimitato a ogni genere di delitto e di violenza, l’oppressione del forte nei confronti del debole, lo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi, la vendetta privata e così via.

E’ ovvio che le forze dell’ordine e la magistratura devono essere giuste, moderate e rispettose dei diritti di tutti. Ma il giudicarle come tali e indiscriminatamente violenza o ingiustizia, è a sua volta una gravissima ingiustizia, che porterebbe la convivenza umana a catafascio. Le forze dell’ordine che reprimono un delitto, non oppongono violenza a violenza, ma giustizia a violenza, il che è ben diverso.

La misericordia dunque ha senso e funziona solo nei riguardi dei deboli, dei sofferenti, degli oppressi, dei poveri, dei pentiti; ma non ha nessun senso nei confronti dei superbi, degli empi, dei peccator ostinati e arroganti, degli impenitenti e d chi si vanta dei propri delitti.

Costoro vanno affrontati, rimproverati, confutati, accusati e redarguìti, sull’esempio di Cristo, con sdegno, coraggio, severità e durezza, proprio per il bene della loro anima, per scuoterli e intimorirli, e per avvertirli del pericolo di perdersi in eterno.

Il malfattore, il malvagio non dev’essere compassionato, ma richiamato, corretto e bloccato, se occorre, anche con la forza. Per questo, l’uso della misericordia non è una atteggiamento da tenere in continuazione con tutti; ma, a seconda delle circostanze o di coloro con i quali abbiamo a che fare, va a volte sospesa e sostituita dalla severità e dalla giustizia.

La misericordia dev’essere preferita alla giustizia, ma non deve escluderla. Questo è l’esempio di Cristo. Egli è venuto innanzitutto per salvare e fare misericordia. Solo chi resiste ostinatamente è sottoposto a giudizio. Dunque la giustizia non è esclusa.

La preferenza è un atto col quale consideriamo due beni, dei quali però uno prevale sull’altro perchè è migliore, almeno per noi, dell’altro. A me piacciono le mele e le preferisco agli aranci; per cui, se le trovo tra gli aranci, prendo queste anzichè gli aranci.

Ma se mancassero le mele, prenderei gli aranci. Invece non avrebbe senso se io dicessi: preferisco il bene al male. No! Il male devo assolutamente rifiutarlo e scegliere sempre il bene. Così la misericordia non è la totalità del bene, come lo è la carità; ma è solo un bene migliore, da scegliere, se è possibile. Ma se si deve rinunciare alla misericordia, resta sempre la giustizia.

Sarebbe falso qui opporre la misericordia soltanto alla violenza. Certo, in tal caso bisogna scegliere solo la misericordia, come si sceglie il bene escludendo il male. Ma la violenza è una falsa giustizia, – pensiamo alla marxista lotta di classe – è un ingiusto uso dello forza. Esiste però anche un giusto uso della forza: ebbene, questo deve andare assieme alla misericordia.

Per questo, occorre fare attenzione a interpretare bene le parole – riportate dal Papa nella Bolla – che S.Giovanni XXIII pronuncia nel famoso discorso di apertura del Concilio Vaticano II. Dice il testo latino: “Christi Sponsae placet misericordiae medicinam adhibere, potius quam severitatis arma suscipere”. Non si tratta, dunque, come hanno frainteso i buonisti, di accogliere la misericordia escludendo la severità della giustizia, quasi fosse violenza. Ma si tratta invece di preferire (potius quam) la misericordia come bene maggiore, senza escludere il bene della giustizia.

Mentre dunque la carità è una virtù da esercitare a tempo pieno e in ogni circostanza, la misericordia va esercitata e commisurata in relazione alla condotta del prossimo. C’è chi merita misericordia e chi non la merita. Essere misericordioso con un arrogante o un ingrato o un impenitente o un empio, vuol dire approvare la sua condotta perversa e cadere a nostra volta nel peccato.

La misericordia divina è una grazia, ma può essere anche meritata e ottenuta dall’azione umana, che però dev’essere già a sua volta in grazia. Questo vuol dire che ciò che spinge l’uomo a disporsi a ricevere misericordia, ossia il pentimento, è esso stesso causato dalla divina misericordia. In questo senso S.Giovanni, parlando dell’amore divino, ossia, in fin dei conti, della misericordia, dice che Dio, ci “ha amati per primo”.

Noi attiriamo su di noi la misericordia nella misura in cui siamo umili e ci mettiamo a diposizione di Dio, pentendoci dei nostri peccati e facendone penitenza. Nel contempo però Dio non si limita ad essere tanto più misericordioso, quanto più siamo sottomessi a lui; ma a sua discrezione, nella sua infinita bontà e generosità, senza dover render conto a nessuno, si riserva di aggiungere alla misericordia richiesta un’ulteriore quantità di misericordia, la cui misura non è determinata, ma può aumentare all’infinito.

In tal senso si dice che la sua misericordia è infinta. Nessuno può impedire a Dio di far misericordia, quando lo vuole. Come dice la Scrittura: “Se Egli apre, nessuno chiude” (Is 22,22), benchè di fatto essa possa essere limitata, quando siamo noi che, col peccato, per mancanza di fede o di disponibilità o per grettezza di vedute le poniamo un limite o la respingiamo o non le consentiamo di portar frutto.

Se poi siamo attaccati al peccato, la blocchiamo del tutto e sentiamo il rigore della sua giustizia, la quale, sempre in forza della misericordia, come osserva S.Tommaso d’Aquino, non è mai così rigorosa come meriteremmo.

La misericordia di Cristo è la grazia che Egli ci dà per la nostra salvezza. Salutare è il timore che, se non approfittiamo degnamente di tale misericordia, siamo perduti. Tuttavia, il pensiero sommo del cristiano non dovrebbe esser tanto e non solo la preoccupazione di come ricevere misericordia, quanto piuttosto e ancor più quell’amore ardente verso Dio e verso i fratelli, che certo è condizionato dal fatto di ricevere il perdono divino, ma in vista del godimento finale della nostra comunione con Dio e con i fratelli nella carità della vita eterna.





[Modificato da Caterina63 25/04/2015 16:36]
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  di quale Misericordia parliamo e parla il Papa? QUI LA PRIMA PARTE DELL'ARTICOLO



qui a seguire la seconda parte che ci interessa più direttamente:

Di quale misericordia parla Kasper?

Kasper e Benedetto XVI. lL Papa ora Emerito, durante il suo pontificato, lo aveva mandato "in pensione". E forse era meglio così...

Kasper e Benedetto XVI. lL Papa ora Emerito, durante il suo pontificato, lo aveva mandato “in pensione”. E forse era meglio così…

E qui veniamo al vero problema di Kasper e di tutta la disputa sollevata, al cuore dell’errore. Kasper ha un concetto errato della “Misericordia”.

Scrivono  gli Autori di questo libro:«Credere nella carne di Cristo (cfr. 2 Gv 7) esige quindi che si creda nella grazia del sacramento del matrimonio come unione indissolubile; si tratta di un’espressione di grazia e non di un problema per il quale è necessario trovare delle eccezioni. Probabilmente, la secolarizzazione del matrimonio è stata il peggior attacco alla natura stessa di questa unione. E’ iniziato con la negazione di Lutero del suo significato sacramentale ed è continuato con l’ “invenzione” di un matrimonio civile senza nessun riferimento alla trascendenza, istituzione diversa e opposta al matrimonio naturale».

E ragionevolmente ci si domanda: perché il matrimonio può essere indissolubile come ha detto Gesù Cristo se l’amore è soggetto a tante variazioni? Che significato ha l’indissolubilità quando l’ “amore è morto”?

“L’ “amore romantico” è quello che può morire, e di fatto muore in tante occasioni, ma questo non ha niente a che vedere con la permanenza dell’amore coniugale che è il segno della sua verità. E’ necessario curare le persone dalla debolezza dell’amore romantico perché possano scoprire l’amore come una fonte nella quale rigenerare le relazioni…”

E dunque, come si esplica la vera Misericordia divina? L’autentico dono della misericordia divina è quella cura (Mt.19,11) – alla durezza di cuore – dei coniugi e che li rende capaci di vivere in Cristo il loro matrimonio.

Un'immagine naif che rende bene, tuttavia, l'essenza del Sacramento del Matrimonio.

Un’immagine naif che rende bene, tuttavia, l’essenza del Sacramento del Matrimonio.

Anche questo significa “rifarsi” una vita, ma partendo dalla verità della propria esistenza e situazione, perché chi “ne sposa un’altra, commette adulterio” (Mt 19,9). Si tratta della “vita nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3), quel “farsi eunuchi per il regno dei cieli”, una vita secondo il dono della grazia che partecipa alla fedeltà di Cristo di fronte all’infedeltà degli uomini. Ed è questa che rende possibile vivere la autentica fedeltà in situazioni difficili, anche all’interno del matrimonio, come nel caso di una continenza prolungata a causa di una malattia.

In sostanza, la proibizione di una nuova unione, e quella possibilità di vivere la fedeltà perchè guidati dalla grazia elargita dal Sacramento, è la vera ed unica testimonianza di una fedeltà nuova che solo Cristo rende possibile. Questa è la vera misericordia e non la soluzione di una toppa su un vestito lacerato, quale sarebbe la proposta di Kasper.

La carità e la stessa misericordia non sta nel mettere le toppe ad una veste lacerata, ma riportare le trame sdrucite da una cultura sbagliata, al loro originale splendore. Questo ha fatto il Cristo nella disputa con i farisei in Matteo 19  quando dice loro: “all’inizio non era così”, riportando il Matrimonio alla sua origine senza metterci delle toppe; per questo i discepoli comprendendo la portata della risposta del Maestro ribattono: “se le cose stanno così, meglio non sposarsi” avviandosi in tal modo alla comprensione del valore della continenza senza dimenticare noi oggi, appunto, che la castità è un dogma della dottrina proclamata ed insegnata da Gesù Cristo.

Perché il Sacro Cuore di Gesù dice che…

"Gesù e l'adultera", min. (sec. XV). Parigi, Biblioteca Nazionale. Ma Gesù non ha detto all'adultera "va e non peccare più?".

“Gesù e l’adultera”, min. (sec. XV). Parigi, Biblioteca Nazionale.
Ma Gesù non ha detto all’adultera “va e non peccare più?”.

Qui sarebbe fondamentale andarsi a rileggere la vera dottrina sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù perché, in definitiva e come è spiegato nel libro, è il cuore misericordioso di Cristo a sconfiggere la durezza del cuore dell’uomo che causa il peccato, la divisione, l’adulterio che etimologicamente significa “falsificazione”. Le Sue azioni misericordiose, che mostrano innanzitutto l’affetto più profondo del suo cuore, sono liberatrici rispetto al peccatore. E’ qui che si compie la profezia di Osea di una nuova unione con Dio: “voglio la misericordia e non il sacrificio” (Os 6,6), che Cristo assume per manifestare la sua missione. La misericordia è la chiave per vivere la verità definitiva dell’essere uomo, che unifica il suo valore come creatura, prende in considerazione la sua condizione di peccatore e la sconfigge con la forza della grazia redentrice: “va e non peccare più”, come dice all’adultera. La vera misericordia entra così attraverso il perdono che, nel caso che stiamo trattando, diventa il vincolo della fedeltà tra i coniugi i quali, concedendosi l’uno all’altra, applicano la legge del perdono, un donarsi reciproco atto a superare le difficoltà e a viverle cercando di sanarle attraverso la grazia, il Cristo stesso. Se le difficoltà sono insanabili ci sono solo due vie d’uscita che scaturiscono dalla vera misericordia divina: o il ricorso alla Sacra Rota, o la continenza.

Dipinto di Chagall. "L’indissolubilità del matrimonio è una delle ricche verità della divina rivelazione" (Card. Pell)

Dipinto di Chagall.
“L’indissolubilità del matrimonio è una delle ricche verità della divina rivelazione” (Card. Pell)

Furbescamente Kasper, da una parte, parla di una dottrina immutabile, ma dall’altra insinua il suo cambiamento quando dice che «esiste uno sviluppo della dottrina che va sempre tenuto in considerazione, e cioè l’evidenza che essa non è una laguna stagnante quanto un fiume che scorre, una tradizione che vive insomma, occorre anche distinguere bene fra ciò che è dottrina e ciò che invece è disciplina…».

Ma “sviluppo di una dottrina” è un andare avanti partendo sempre da quello che la dottrina dice e mai modificandone il contenuto. È vero che la disciplina della Chiesa è suscettibile alle esigenze del tempo che vive, ma non certo ai cambiamenti di rotta a seconda delle mode del tempo così come ci rammenta San Paolo: «Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie» (2Tim.4,3); dunque che la disciplina sia suscettibile a variazioni sempre in progressione alla legge di Dio è compito della Chiesa, mutare invece una disciplina per scavalcare la dottrina o mutarla, allora no, non ci siamo proprio.

Lo ribadisce lo stesso cardinale Pell laddove sottolinea: “La misericordia è diversa da gran parte delle forme di tolleranza, che è uno degli aspetti più encomiabili delle nostre società pluralistiche. Alcune forme di tolleranza definiscono il peccato come qualcosa che sta al di fuori dell’esistenza, ma le libertà degli adulti e le inevitabili differenze non devono necessariamente fondarsi su un assoluto relativismo. L’indissolubilità del matrimonio è una delle ricche verità della divina rivelazione. (..) Per i credenti, riconoscere la loro incapacità di partecipare appieno all’Eucaristia è indubbiamente un sacrificio, una forma imperfetta ma reale di amore sacrificale. Il cristianesimo, e in particolare il cattolicesimo, costituisce una realtà storica in cui si preserva la tradizione apostolica di fede e di morale, di preghiera e di culto, le dottrine di Cristo sono la nostra pietra angolare…”

Lasciamo stare il Codice di Diritto Canonico, per favore!

Self-service

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Veniamo alla conclusione di queste brevi riflessioni citando il Diritto Canonico, quello “nuovo” del 1983, firmato da san Giovanni Paolo II perchè il cardinale Kasper è giunto a stravolgere anche questo.

Che cosa è cambiato con il nuovo Codice del Diritto Canonico? Secondo Kasper ci sarebbe stata un’evoluzione-sviluppo sulla dottrina dei divorziati risposati. È davvero così? No!

Il (nuovo) Codice di Diritto Canonico stabilisce che: «Non siano ammessi alla sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» (can. 915)

Il 7 luglio del 2000 Giovanni Paolo II faceva pubblicare sull’Osservatore Romano la spiegazione di come questo articolo riguardasse anche i divorziati risposati.

Ecco alcuni passi del testo magisteriale: «Negli ultimi anni alcuni autori hanno sostenuto, sulla base di diverse argomentazioni, che questo canone non sarebbe applicabile ai fedeli divorziati risposati. Viene riconosciuto che l’Esortazione Apostolica Familiaris consortio del 1981 aveva ribadito, al n. 84, tale divieto in termini inequivocabili, e che esso è stato più volte riaffermato in maniera espressa, specialmente nel 1992 dal Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650, e nel 1994 dalla Lettera Annus internationalis Familiae della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ciò nonostante, i predetti autori offrono varie interpretazioni del citato canone che concordano nell’escludere da esso in pratica la situazione dei divorziati risposati. (…) Qualunque interpretazione del can. 915 che si opponga al suo contenuto sostanziale, dichiarato ininterrottamente dal Magistero e dalla disciplina della Chiesa nei secoli, è chiaramente fuorviante. Non si può confondere il rispetto delle parole della legge (cfr. can. 17) con l’uso improprio delle stesse parole come strumenti per relativizzare o svuotare la sostanza dei precetti.

liturgia

Eucaristia: si può dare a chi si trova in peccato grave e senza il proposito di pentimento?

La formula «e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto» è chiara e va compresa in un modo che non deformi il suo senso, rendendo la norma inapplicabile. Le tre condizioni richieste sono:

- il peccato grave, inteso oggettivamente, perché dell’imputabilità soggettiva il ministro della Comunione non potrebbe giudicare;

- l’ostinata perseveranza, che significa l’esistenza di una situazione oggettiva di peccato che dura nel tempo e a cui la volontà del fedele non mette fine, non essendo necessari altri requisiti (atteggiamento di sfida, ammonizione previa, ecc.) perché si verifichi la situazione nella sua fondamentale gravità ecclesiale;

- il carattere manifesto della situazione di peccato grave abituale.

Non si trovano invece in situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – «soddisfare l’obbligo della separazione, assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Familiaris consortio, n. 84), e che sulla base di tale proposito hanno ricevuto il sacramento della Penitenza. Poiché il fatto che tali fedeli non vivono more uxorio è di per sé occulto, mentre la loro condizione di divorziati risposati è di per sé manifesta, essi potranno accedere alla Comunione eucaristica solo remoto scandalo. » (5)

O è dottrina da tenersi definitivamente o è “tana liberi tutti”…

Ecco come da molti viene percepito il Sinodo.

Ecco come da molti viene percepito il Sinodo.

Come fa allora il cardinale Kasper a parlare di “sviluppo” della dottrina, nella sua erronea interpretazione, affermando un cambiamento di rotta al nuovo Codice di Diritto Canonico sui divorziati risposati? L’unico cambiamento che c’è stato è di aver inserito i “divorziati risposati” in un contesto più ampio. Il Documento qui sopra appena riportato, del 2000, sottolineava già all’epoca la strumentalizzazione delle parole del canone a vantaggio di un’imposizione volta a modificare la dottrina sul chi debba ricevere la Comunione.

Il Sinodo quindi non potrà evitare di prendere e difendere la posizione dottrinale di fronte a questo squarcio generato dalla squadra progressista di Kasper, perché se non lo farà rischierà davvero di ufficializzare un grave scisma,  e noi non possiamo che rispondere – con Pell, Caffarra ed altri cardinali e vescovi, compreso lo stesso Prefetto della CdF Muller – con queste parole: la formula è tecnica, come rispondeva a suo tempo san Giovanni Paolo II, “dottrina da tenersi definitivamente” vuol dire che su questo non è più ammessa la discussione fra i teologi e il dubbio tra i fedeli.

E, se preferite, includere anche le parole di Papa Francesco per l’Omelia alla Messa di apertura di questo difficile Sinodo in questo 5 ottobre:

"Noi possiamo “frustrare” il sogno di Dio se non ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo" (Papa Francesco)

“Noi possiamo “frustrare” il sogno di Dio se non ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo” (Papa Francesco) 

“Anche noi, nel Sinodo dei Vescovi,siamo chiamati a lavorare per la vigna del Signore. Le Assemblee sinodali non servono per discutere idee belle e originali… Servono per coltivare e custodire meglio la vigna del Signore, per cooperare al suo sogno, al suo progetto d’amore sul suo popolo. (..) anche per noi ci può essere la tentazione di “impadronirci” della vigna, a causa della cupidigia che non manca mai in noi esseri umani. Il sogno di Dio si scontra sempre con l’ipocrisia di alcuni suoi servitori. Noi possiamo “frustrare” il sogno di Dio se non ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo. Lo Spirito ci dona la saggezza”

O quelle altrettanto chiare di Pio XII: «Il vincolo del matrimonio cristiano è così forte, che, se esso ha raggiunto la sua piena stabilità con l’uso dei diritti coniugali, nessuna potestà al mondo, nemmeno la Nostra, quella cioè del Vicario di Cristo, vale a rescinderlo»

 Note

  1. cardinale George Pell nella Presentazione del libro “Il Vangelo della Famiglia nel dibattito sinodale. Oltre la proposta del cardinal Kasper”
  2. Benedetto XVI alla Conferenza Episcopale Francese
  3. Papa Francesco intervista sull’aereo dal Brasile 28 luglio 2013
  4. Cardinale Caffarra “Da Bologna con amore: fermatevi”, in Il Foglio (14-III-2014).
  5. DICHIARAZIONE circa l’ammissibilità alla Santa Comunione dei divorziati risposati daL’Osservatore Romano, 7 luglio 2000, p. 1; Communicationes, 32 [2000], pp.
  6. qui la Familiaris Consortio e qui la Sacramentum Caritatis citati nell’articolo: ricordiamo che sono entrambe Esortazioni Apostoliche come la Evangelii gaudium di Papa Francesco e quindi tutte vincolanti, necessarie per la comunione ecclesiale, e che l’una non può contraddire l’altra, tutte queste, insieme alla enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, vanno interpretate in un unico senso dottrinale vincolante diversamente, ossia se una sola Esortazione o Enciclica o altro testo anche sinodale, contraddicesse oggi quello dei predecessori, sarebbe lo scisma.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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08/05/2015 21:35
 
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[SM=g1740758] Il 30 aprile 2015 il santo Padre Francesco ha tenuto un Discorso davvero strepitoso che abbiamo voluto mettere in evidenza attraverso questo video. Il Papa ci chiede di imparare le 7 opere di misericordia corporali e le 7 opere di misericordia spirituali e perchè?, si chiede: ma per metterle in pratica! è la sua risposta spontanea e sincera.

Inoltre sottolinea la tristezza nel constatare quanti bambini, anche nelle famiglie cristiane, non sanno farsi il segno della Croce... Il Papa invita e sollecita a seguire così lo Spirito Santo autentico e ad imparare a diffidare degli spiriti falsi. Infine ricorda che ogni autentico carisma va tradotto nelle realtà che viviamo e non tradito.
Insomma, ascoltiamo per davvero e mettiamo in pratica quanto ci insegna.

www.youtube.com/watch?v=67kb1T-72zs






[SM=g1740733]
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  Giubileo, 'Missionari Misericordia' rimetteranno scomuniche

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2015-05-09 Radio Vaticana

Papa Francesco, nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia, Misericordiae vultus, afferma che durante la Quaresima dell'Anno Santo invierà in tutte le diocesi del mondo i "Missionari della Misericordia", come "segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono".
"Saranno sacerdoti - spiega il Papa - a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica". Ma quali sono questi particolari peccati? Lo spiega, alla Radio Vaticana, don Arturo Cattaneo, sacerdote della Prelatura dell’Opus Dei, teologo e canonista, docente alla Facoltà di Teologia di Lugano, che fa chiarezza anche sui compiti che avranno durante l'Anno Santo questi particolari presbiteri.

Non solo peccati, ma delitti

"I peccati riservati alla Sede Apostolica - spiega il canonista - sono peccati che la Chiesa ritiene particolarmente gravi, perché danneggiano dei beni importanti che la Chiesa ritiene di dover proteggere in modo speciale. Perciò, li considera non solo dei peccati ma dei veri e propri 'delitti' per i quali viene quindi prevista una pena canonica. Chi commette questi delitti, infatti, incorre, in alcuni casi in maniera automatica, in una pena canonica, la più grave delle quali è la scomunica. Alcuni di questi delitti sono appunto 'riservati' alla Sede Apostolica, nel senso che solo quest’ultima può rimettere le pene corrispondenti".

Ma quali sono questi delitti la cui remissione è riservata alla Sede Apostolica? "Attualmente - spiega don Cattaneo - secondo il Codice di diritto canonico, sono cinque. Ma Papa Benedetto XVI ha aggiunto una sesta fattispecie che riguarda la 'violazione del segreto del conclave'. I cinque previsti dal diritto canonico sono: la profanazione delle specie consacrate; la violenza fisica contro il Romano Pontefice; l'ordinazione episcopale senza il mandato pontificio (il cui caso più noto è quello che ha riguardato mons. Lefebvre); il tentativo di assoluzione del complice in un peccato contro il sesto comandamento; la violazione diretta del Sigillo sacramentale, cioè del segreto della confessione". 

Scomunica 'automatica'

"In questi sei casi - conferma il canonista – la remissione della scomunica è riservata alla Sede Apostolica". "Infatti - spiega don Cattaneo -, trattandosi di una pena di scomunica 'latae sententiae', chi commette uno di questi delitti è 'automaticamente' scomunicato, senza necessità che il Papa, un vescovo o un tribunale, dichiari o infligga la 'scomunica'. La scomunica può anche venir dichiarata per maggior chiarezza, come è successo nel caso di mons. Lefebvre, ad esempio, anche se non era strettamente necessario ai fini canonici".

"Normalmente - spiega ancora il canonista - il Papa concede al Penitenziere maggiore (che attualmente è il card. Piacenza) la facoltà di assolvere da queste pene". "Esistono però altri peccati gravi che la Chiesa considera delitti e che comportano la pena della scomunica e che non sono però riservati alla Sede Apostolica ma al vescovo diocesano; in ogni diocesi c’è un penitenziere maggiore che ha la facoltà di assolvere da tali censure.  Anche i cappellani delle carceri e degli ospedali hanno tale facoltà".

Il caso dell'aborto procurato

"Il caso più noto di questi peccati che comportano la scomunica, ma la cui assoluzione non è riservata alla Sede Apostolica - aggiunge don Cattaneo - è quello dell'aborto procurato". "E' un caso particolare per cui è prevista la scomunica automatica, non solo per la madre che ha abortito, ma anche per il marito o i familiari che l'hanno indotta a procurare l'aborto e per il personale medico-sanitario che vi hanno cooperato positivamente".

Le facoltà dei missionari

E qui il canonista osserva che a questi 'Missionari della Misericordia' verrà concessa la facoltà di assolvere da qualsiasi pena. "Dalla scomunica riservata alla Sede Apostolica, ma anche dalle altre scomuniche, che normalmente possono rimettere solo il vescovo diocesano o il canonico penitenziere diocesano".

"Il principale effetto della scomunica - precisa il canonista - è il divieto di accedere ai sacramenti, compreso quello della Riconciliazione. Perciò, uno scomunicato non può ricevere l'assoluzione sacramentale se prima non gli è stata rimessa la pena della scomunica"."Abitualmente il confessore - spiega don Cattaneo - non ha il potere di rimettere la scomunica. Perciò quando riceve un penitente e constata che è scomunicato, non può semplicemente assolverlo ma deve rinviarlo, secondo il caso, o al penitenziere apostolico o a quello diocesano, perché possa, prima di ricevere l'assoluzione sacramentale, essere assolto dalla pena". "Qui - precisa il teologo - emerge l'interesse della figura dei 'Missionari della misericordia' che avranno la facoltà di rimettere direttamente la scomunica e poi di concedere l'assoluzione, per facilitare la riconciliazione dei fedeli". 

Riflettere sulla gravità dei peccati

"La creazione di questa figura - conclude il teologo - mi pare una bellissima idea del Papa. Da un lato per far riflettere i fedeli sulla gravità di certi peccati. Penso soprattutto a quello dell'aborto, che fra i delitti che comportano la scomunica è sicuramente il più frequente". "Ma, al contempo, il Papa va incontro ai fedeli con questo gesto, facendo sì che sia più facile per loro accogliere la misericordia di Dio che si manifesta attraverso la Chiesa".

Un'occasione per riscoprire la Confessione

"Sono fiducioso che questo Anno Santo straordinario possa far riscoprire a molti fedeli la bellezza del sacramento della Misericordia, che è la Confessione", conclude don Cattaneo."Quelli che abbiamo citato sopra sono infatti casi speciali, ma ci sono tanti fedeli che hanno perso di vista il valore di questo sacramento che può fare un gran bene, aiutare tanta gente". "E il Papa, fin dall'inizio del suo pontificato, si è impegnato a invitare i fedeli a riconciliarsi con Dio, a non stancarsi di chiedere perdono. Mi auguro che uno dei frutti di questo Giubileo sia proprio quello di riavvicinare tanta gente alla bellezza e alla gioia della Riconciliazione". 

(Da Radio Vaticana)






EDITORIALE
Giovanni Paolo II
 

La coscienza non può essere opposta alla legge morale. La maternità della Chiesa esige l'annuncio della verità. Non ci sono vari gradi di verità a seconda delle circostanze. Alla vigilia della sua memoria liturgica ricordiamo l'insegnamento sempre valido di san Giovanni Paolo II, che molti padri sinodali oggi vorrebbero rovesciare.

San Giovanni Paolo II


Molti dei temi caldi toccati nel Sinodo ed oggetto di dibattito dai media erano stati affrontati e chiariti in modo magistrale da san Giovanni Paolo II, di cui domani 22 ottobre si fa memoria liturgica. Spigoliamo allora tra i suoi scritti per rintracciare alcune riflessioni del Papa santo su argomenti oggi messi in discussione come il ruolo della coscienza, il rapporto tra dottrina, pastorale e misericordia e il tema della legge della gradualità, riflessioni la cui validità rimane immutata. Essi peraltro dimostrano che certe deviazioni sono tutt'altro che nuove.

La coscienza.
«Alcuni hanno proposto una sorta di duplice statuto della verità morale. Oltre al livello dottrinale e astratto, occorrerebbe riconoscere l'originalità di una certa considerazione esistenziale più concreta. Questa, tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale. In tal modo si instaura in alcuni casi una separazione, o anche un'opposizione, tra la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male. Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette «pastorali» contrarie agli insegnamenti del Magistero e di giustificare un'ermeneutica «creatrice», secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare. […] Mentre però la legge naturale mette in luce le esigenze oggettive e universali del bene morale, la coscienza è l'applicazione della legge al caso particolare, la quale diventa così per l'uomo un interiore dettame, una chiamata a compiere nella concretezza della situazione il bene. La coscienza formula così l'obbligo morale alla luce dalla legge naturale: è l'obbligo di fare ciò che l'uomo, mediante l'atto della sua coscienza, conosce come un bene che gli è assegnato qui e ora. Il carattere universale della legge e dell'obbligazione non è cancellato, ma piuttosto riconosciuto, quando la ragione ne determina le applicazioni nell'attualità concreta. Il giudizio della coscienza afferma «ultimamente» la conformità di un certo comportamento concreto rispetto alla legge; esso formula la norma prossima della moralità di un atto volontario, realizzando «l'applicazione della legge oggettiva a un caso particolare». […] Nei giudizi della nostra coscienza si annida sempre la possibilità dell'errore. Essa non è un giudice infallibile: può errare». 
(Veritatis splendor, nn. 56, 59, 62). 

«Persa l’idea di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, è inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza: questa non è più considerata nella sua realtà originaria, ossia un atto dell’intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta giusta da scegliere qui e ora; ci si è orientati a concedere alla coscienza dell’individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza». 
(Fides et ratio, n. 98)

Rapporto tra dottrina, pastorale e misericordia. 
«Questo essenziale legame di Verità-Bene-Libertà è stato smarrito in larga parte dalla cultura contemporanea e, pertanto, ricondurre l’uomo a riscoprirlo è oggi una delle esigenze proprie della missione della Chiesa, per la salvezza del mondo».
(Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale di teologia morale, 10 aprile 1986, n. 2). “

«La dottrina della Chiesa e in particolare la sua fermezza nel difendere la validità universale e permanente dei precetti che proibiscono gli atti intrinsecamente cattivi è giudicata non poche volte come il segno di un'intransigenza intollerabile, soprattutto nelle situazioni enormemente complesse e conflittuali della vita morale dell'uomo e della società d'oggi: un'intransigenza che contrasterebbe col senso materno della Chiesa. Questa, si dice, manca di comprensione e di compassione. Ma, in realtà, la maternità della Chiesa non può mai essere separata dalla sua missione di insegnamento, che essa deve compiere sempre come Sposa fedele di Cristo, la Verità in persona. […] In realtà, la vera comprensione e la genuina compassione devono significare amore alla persona, al suo vero bene, alla sua libertà autentica. E questo non avviene, certo, nascondendo o indebolendo la verità morale, bensì proponendola nel suo intimo significato di irradiazione della Sapienza eterna di Dio, giunta a noi in Cristo, e di servizio all'uomo, alla crescita della sua libertà e al perseguimento della sua felicità. Nello stesso tempo la presentazione limpida e vigorosa della verità morale non può mai prescindere da un profondo e sincero rispetto, animato da amore paziente e fiducioso, di cui ha sempre bisogno l'uomo nel suo cammino morale, spesso reso faticoso da difficoltà, debolezze e situazioni dolorose. La Chiesa che non può mai rinunciare al «principio della verità e della coerenza, per cui non accetta di chiamare bene il male e male il bene», deve essere sempre attenta a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo che fumiga ancora (cf Is 42,3). […] La fermezza della Chiesa, nel difendere le norme morali universali e immutabili, non ha nulla di mortificante. È solo al servizio della vera libertà dell'uomo: dal momento che non c'è libertà al di fuori o contro la verità, la difesa categorica, ossia senza cedimenti e compromessi, delle esigenze assolutamente irrinunciabili della dignità personale dell'uomo, deve dirsi via e condizione per l'esistere stesso della libertà. […] La dottrina morale cristiana deve costituire, oggi soprattutto, uno degli ambiti privilegiati della nostra vigilanza pastorale, dell'esercizio del nostro munus regale. È la prima volta, infatti, che il Magistero della Chiesa espone con una certa ampiezza gli elementi fondamentali di tale dottrina, e presenta le ragioni del discernimento pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche».
(Veritatis splendor, nn. 95-96, 114-115)

«Lo stesso Concilio ha invitato i teologi, "nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della scienza teologica, a ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina agli uomini della loro epoca, perché altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono enunciate, rimanendo pur sempre lo stesso il significato e il senso profondo"» 

(Ibidem, n. 29 in cui si cita Gaudium et spes, n. 62)

Legge della gradualità contro gradualità della legge. 
«È richiesta una conversione continua, permanente, che, pur esigendo l'interiore distacco da ogni male e l'adesione al bene nella sua pienezza, si attua però concretamente in passi che conducono sempre oltre. Si sviluppa così un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell'intera vita personale e sociale dell'uomo. È perciò necessario un cammino pedagogico di crescita affinché i singoli fedeli, le famiglie ed i popoli, anzi la stessa civiltà, da ciò che hanno già accolto del Mistero di Cristo siano pazientemente condotti oltre, giungendo ad una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo Mistero nella loro vita» 
(Familiaris consortio, n. 9)

«La cosiddetta ‘legge della gradualità’, o cammino graduale, non può identificarsi con la ‘gradualità della legge’, come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse» 
(Omelia per la conclusione del VI Sinodo dei Vescovi, 25 Ottobre 1980, n. 8)

«Rientra nella pedagogia della Chiesa che i coniugi anzitutto riconoscano chiaramente la dottrina della «Humanae Vitae» come normativa per l'esercizio della loro sessualità, e sinceramente si impegnino a porre le condizioni necessarie per osservare questa norma».
(Familiaris consortio, n. 34).

   


[Modificato da Caterina63 21/10/2015 17:26]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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PRIMA DELL'EPILOGO SINODALE, LA PAROLA A RATZINGER: «ECCO I PADRI CHE TOLGONO I PECCATI DEL MONDO»

da «Una compagnia sempre riformanda», discorso tenuto dal cardinale Joseph Ratzinger al Meeting di Rimini del 1990


Ratzinger, Meeting di Rimini 1990//Discorso di Sua Eminenza il Card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

"Gli sbarramenti che la Chiesa innalza si presentano quindi come doppiamente pesanti, poiché penetrano fin nella sfera più personale e più intima. Le norme di vita della Chiesa sono infatti ben di più che una specie di regole del traffico, affinché la convivenza umana eviti il più possibile gli scontri. Esse riguardano il mio cammino interiore, e mi dicono come devo comprendere e configurare la mia libertà. Esse esigono da me decisioni, che non si possono prendere senza il dolore della rinuncia. Non si vuole forse negarci i frutti più belli del giardino della vita? Non è forse vero che con la ristrettezza di così tanti comandi e divieti ci viene sbarrata la strada di un orizzonte aperto? E il pensiero, non viene forse ostacolato nella sua grandezza, come pure la volontà? Non deve forse la liberazione essere necessariamente l'uscita da una simile tutela spirituale? E l'unica vera riforma, non sarebbe forse quella di respingere tutto ciò? Ma allora cosa rimane ancora di questa compagnia?

L'amarezza contro la Chiesa ha però anche un motivo specifico. Infatti, in mezzo ad un mondo governato da dura disciplina e da inesorabili costrizioni, si leva verso la Chiesa ancora e sempre una silenziosa speranza: essa potrebbe rappresentare in tutto ciò come una piccola isola di vita migliore, una piccola oasi di libertà, in cui di tanto in tanto ci si può ritirare. "


e ancora leggiamo [SM=g1740733]


«Là dove il perdono, il vero perdono pieno di efficacia, non viene riconosciuto o non vi si crede, la morale deve venir tratteggiata in modo tale che le condizioni del peccare per il singolo uomo non possano mai propriamente verificarsi.
A grandi linee si può dire che l’odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità. Viene in mente la mordace frase di Pascal: “Ecce patres, qui tollunt peccata mundi”! Ecco i padri, che tolgono i peccati del mondo. Secondo questi “moralisti”, non c’è semplicemente più alcuna colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro, gli uomini così liberati sanno assai bene che tutto questo non è vero, che il peccato c’è, che essi stessi sono peccatori e che deve pur esserci una maniera effettiva di superare il peccato.

Anche Gesù stesso non chiama infatti coloro che si sono già liberati da sé e che perciò, come essi ritengono, non hanno bisogno di lui, ma chiama invece coloro che si sanno peccatori e che perciò hanno bisogno di lui. La morale conserva la sua serietà solamente se c’è il perdono, un perdono reale, efficace; altrimenti essa ricade nel puro e vuoto condizionale. Ma il vero perdono c’è solo se c’è il “prezzo d’acquisto”, l’“equivalente nello scambio”, se la colpa è stata espiata, se esiste l’espiazione. La circolarità che esiste tra “morale-perdono-espiazione” non può essere spezzata; se manca un elemento cade anche tutto il resto.

E proprio per la circolarità tra “morale-perdono-espiazione”, pur nella difficoltà di comunicare, ricorda che alla Chiesa non basta rimettere tutto alla giustizia terrena, perché il proprio della Chiesa è l’ordine della grazia, che va al di là della legge, e significa “fare penitenza, riconoscere ciò che si è sbagliato, aprirsi al perdono, lasciarsi trasformare”».

www.youtube.com/watch?v=DAfBfpOSIok


qui invece troverete il testo integrale
difenderelafede.freeforumzone.leonardo.it/d/8746849/Non-di-una-Chiesa-pi%C3%B9-umana-abbiamo-bisogno-ma-di-una-Chiesa-DIVINA-Ratzinger-1990-/discussi...










[SM=g1740736]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/11/2015 12:42
 
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Anno Santo straordinario
 

Gli avvenimenti tragici di Parigi e le minacce a Roma spingono a chiedere di ricentrare i motivi per cui è stato istituito l'Anno Santo. Come diceva un autore del II secolo: «Fratelli, prendiamo questa bella occasione per far penitenza, e mentre ne abbiamo tempo, convertiamoci a Dio che ci ha chiamati e che è pronto ad accoglierci». L'unico dialogo possibile è quello che dichiara la necessità della conversione di tutto il mondo al Signore Gesù,

di Don Nicola Bux


Mentre i politici occidentali parlano di strategia di lungo periodo per fronteggiare il terrorismo islamista, e ricorrono all'armamentario dei valori della convivenza, della solidarietà, della tolleranza, del dialogo, ormai mummificati, i giovani europei muoiono nel corpo e nell'anima; anche tra i cattolici non si vuol risalire alle cause che inducono tanti ragazzi, in cerca di idee forti, ad arruolarsi nelle file dei musulmani, ed altri, succubi del pensiero debole, a inseguire i miti progressisti, al punto che, quando uno di loro muore, non si sa dire altro che 'era solare' – che significa? -, spegnendo l'interrogativo sulle condizioni dell'anima al momento della morte. 

La Chiesa cattolica, “vessillo issato tra le nazioni e strumento di salvezza per tutti i popoli” a cosa è chiamata? Seguendo l'Omelia di un autore del II secolo, riprendo questo appello: "Fratelli, prendiamo questa bella occasione per far penitenza, e mentre ne abbiamo tempo, convertiamoci a Dio che ci ha chiamati e che è pronto ad accoglierci. Se lasceremo tutte le voluttà e non permetteremo che la nostra anima rimanga preda dei cattivi desideri, saremo partecipi della misericordia di Gesù".

Giovanni Paolo II richiamava le visioni di santa Faustina, che dinanzi al  purgatorio, esclama: "una prigione di dolore", della quale il Signore le fece intendere: " La mia misericordia non vuole questo, ma lo esige la giustizia".

Sembra, quindi, che non si possa ottenere misericordia senza conversione, altrimenti Dio non sarebbe giusto, né in questo mondo né, soprattutto, nell'altro: "La Misericordia esige, prima di inondarci della sua benevolenza, la verità, la giustizia e il pentimento. In Dio la misericordia si fa perdono" (R.Sarah, Dio o niente,Siena 2015,p. 266). È il Vangelo di Gesù Cristo!

Gli avvenimenti tragici di Parigi, con le minacce a Roma, portano a rivolgere l'appello al suo Vescovo, il Papa, che il Giubileo dichiari meglio l'intento per il quale fu istituito: l'invito alla conversione di tutti gli uomini per ottenere indulgenza, ossia misericordia dal Signore; un invito supplice, innanzitutto ai cristiani, affinché rinnovino la rinuncia battesimale ad ogni connivenza col mondo e guardino a Gesù Cristo, l'unica "porta santa" attraverso cui entrare nella vita eterna, come egli stesso ha detto. Bisogna che tale annuncio evangelico non escluda alcun uomo, perché è l'unico 'dialogo' che il Signore vuole - lo attestano i vangeli - e che Egli stesso ha intessuto con uomini e donne di ogni tipo: giusti e peccatori, ebrei e samaritani,romani e greci. È il dialogo che dichiara la necessità della conversione di tutto il mondo al Signore Gesù, per la salvezza dell'anima in terra e soprattutto in Cielo. 

Che Gesù Cristo sia il principio e il fine del rapporto col mondo, lo dichiarò Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II: «Il grande problema posto davanti al mondo, dopo quasi due millenni, resta immutato. Il Cristo, sempre splendente al centro della storia e della vita; gli uomini o sono con Lui e con la Chiesa sua e allora godono della luce, della bontà, dell'ordine e della pace; oppure sono senza di Lui, o contro di Lui, e deliberatamente contro la sua Chiesa: divengono motivo di confusione, causando asprezza di umani rapporti e persistenti pericoli di guerre fratricide». 

La Chiesa di Gesù Cristo, che sussiste nella Chiesa cattolica, è stata costituita e inviata ad attuare questo dialogo che consiste nel proclamare che l'uomo si salva solo se crede nel Signore Gesù: ebrei e pagani, musulmani e buddisti, atei e agnostici: nessuno può essere esentato dalla conversione. È l'invito che scaturisce dal Cuore di Cristo, affinché tutti si salvino e giungano alla conoscenza della verità. Se il parlare della misericordia - che è un aspetto della carità – non fosse finalizzato alla conversione, non servirebbe a nulla, come ha ricordato san Paolo nel celebre "inno alla carità". Se la Chiesa non fa questo annuncio, tradisce il mandato del suo Fondatore.

Non serve discettare se vi siano musulmani moderati o fondamentalisti o fanatici,e sociologismi simili: chi conosce il Corano e gli hadit di Muhammad sa bene cos'è l'islam; né serve ricorrere alla teoria rahneriana dei cristiani anonimi, stigmatizzata da Hans Urs von Balthasar, per sostenere la necessità del dialogo senza alcun intento di conversione: sarebbe alimentare l'insipienza di tanta parte della cristianità, come amava dire il cardinal Giacomo Biffi. Decenni di dialogo da parte cattolica, sostituendo la missione di annunciare Gesù Cristo, non evita la persecuzione, perché questo è lo statuto ordinario dei cristiani: «Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi»; senza dimenticare che la persecuzione è una beatitudine proclamata da Cristo. Invece, sta accadendo ciò che descrive il cardinal Sarah: «Mentre i cristiani muoiono per la fede e la loro fedeltà a Gesù, in Occidente, degli uomini di Chiesa cercano di ridurre al minimo le esigenze del Vangelo" (Ibidem,p. 369). 

Il Giubileo veda i vescovi e i sacerdoti spiegare che la misericordia del Signore e il Suo perdono, si può sperare di ottenerli solo osservando i Comandamenti, abbandonando ogni condotta malvagia, scisma ed eresia. Dio si è fatto vicino,abita in mezzo a noi, non è un Essere lontano e impersonale; il cattolico non professa un vago deismo: dopo l'Incarnazione, sarebbe imperdonabile. Non si può mescolare al giusto culto da dare a Dio -  è anche il primo comandamento della carità, insegnato da Gesù -, forme che imitino gli spettacoli mondani. Si deve difendere la famiglia da contraffazioni di cui ci si deve solo vergognare. Non si deve uccidere il prossimo per poter possedere; profittare dei poveri - che saranno sempre con noi - per risuscitare il pauperismo; mistificare con la menzogna la verità, il male col bene; spadroneggiare su persone e cose altrui. Senza la conversione, la misericordia non fa scomparire vizi e peccati, specie quelli capitali, nei quali molti stabilmente vivono. 

Bisogna che il Giubileo rilanci l'esercizio delle virtù teologali e cardinali fino al grado eroico, cioè esorti alla santità, e per questo inviti a ritornare ai Sacramenti che sono lo strumento ordinario della Grazia divina. Bisogna praticare le opere di misericordia corporale senza omettere - anzi, di questi tempi, anteponendole -, quelle spirituali a cominciare dalle prime tre: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori.

Nel giorno del Giudizio, da quello particolare dopo la morte a quello universale, ci sarà chiesto se avremo osservato tutti i Comandamenti e i precetti della Chiesa, in primis se saremo andati a Messa, fons et culmen del giusto culto a Dio, che è appunto l'Eucaristia, il vero atto di carità verso Colui che si è fatto povero per renderci ricchi. Memori di Colui che ha detto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno”(Gv 6,54).

Dunque: "Non anteponiamo assolutamente nulla a Cristo, che ci conduca tutti insieme alla vita eterna (San Benedetto, Reg. no. 72)








Papa Francesco
 

Il peccato che inquina il cuore dell’uomo e il mondo, la Confessione che cu riconcilia con Dio e il Giubileo della Misericordia, un anno straordinario che mette al centro proprio il confessionale, indetto da Papa Francesco. In occasione del Santo Natale il Penitenziere Maggiore, cardinale Mauro Piacenza, ha scritto una bella lettera ai confessori. La Nuova Bussola lo ha intervistato.

di Lorenzo Bertocchi


In occasione del Santo Natale il Penitenziere Maggiore, cardinale Mauro Piacenza, ha scritto una bella lettera ai confessori (clicca qui). Quest’anno la lettera ha un sapore particolare, visto che da pochi giorni siamo entrati nel Giubileo della Misericordia, un anno straordinario che mette al centro proprio il confessionale.

Eminenza, in occasione del Santo Natale ha scritto una lettera ai confessori anche per ringraziarli del «generoso ministero»che svolgono. Tra l'altro, dal suo scritto emerge che quello della confessione è il luogo privilegiato per la difesa ecologica. Perché salva «dal più letale degli smog». In che modo?

«L’inquinamento, causa ultima di tutti gli inquinamenti è il peccato. È il peccato che de-ordina dal fine, è il peccato che scatena quegli elementi egoistici che, a vasto raggio, determinano i vari tipi di inquinamento dell’ambiente. É il peccato che porta l’uomo a sfidare la natura, a sostituire Dio con l’Io. La società, in genere, quando si parla di inquinamento è portata a pensare immediatamente al surriscaldamento dell’atmosfera, allo scioglimento di ghiacciai, al disboscamento selvaggio e così via. Allora, rispondendo talvolta anche a orientamenti politici, si organizzano incontri, tavole rotonde, programmi di sensibilizzazione dei diversi ambienti. Tutte cose positive e magari anche doverose, sì!
Ma poiché non si va al cuore dell’uomo, si tratta di porre dei cerotti anziché di lavorare direttamente sulla malattia e di seguire, conseguentemente, il trattamento terapeutico adeguato.  Si è talmente fuori strada che si fanno magari campagne perché talune specie animali rischiano l’estinzione e poi non si batte ciglio  sui milioni di bambini abortiti ogni anno, una vera ecatombe, da rabbrividire. E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Allora si comprende perché il confessionale diventa il luogo di difesa dell’ecologia integrale e autentica. Lì, a seguito di un onesto esame di coscienza, di un autentico pentimento, di un sincero desiderio di cambiare vita, con la grazia di Dio e la gioia che deriva dal sentirsi riconciliati con Dio e con il prossimo, nasce un uomo rinnovato, pulito, in comunione con tutti, anche con il creato.
Allora si guarda con occhi nuovi. Se onestamente rileggiamo i dieci Comandamenti e le otto Beatitudini, allora ci accorgiamo che l’osservanza di essi garantirebbe un mondo migliore nel quale si vivrebbe come un mottetto polifonico. Rendiamoci conto che i doveri che abbiamo nei confronti dell’ambiente sono correlati ai doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e disattendere gli altri. Questa è una gravissima antinomia della mentalità corrente che avvilisce la persona, sconvolge l’ambiente e danneggia la società. Tutte le nobili questioni legate all’ambiente e alla sua salvaguardia sono intimamente connesse con il tema dello sviluppo umano armonico e integrale. Sono tutti concetti sempre portati avanti dal Magistero autentico e perenne della Chiesa, anche di recente ribaditi dall’Enciclica Laudato sì di Papa Francesco».

Il sacramento della Confessione sembra essere in crisi. Il cardinale Martini, ad esempio, in un itinerario quaresimale segnalava la differenza tra un “pentito giudiziario”, che non purifica il cuore, e il riconoscimento della colpa davanti a “Colui che cambia il cuore”. É il senso del peccato ad essere in crisi? 

«Le crisi di questo genere hanno come radice una crisi di fede. Quando diminuisce la fede diminuisce la pratica della Confessione in quanto alla diminuzione di fede fa riscontro consequenziale la diminuzione, fino alla perdita, del senso del peccato. Anche la diminuzione del senso della santità e della maestà di Dio inducono alla diminuzione del senso del peccato. Se ripensiamo a quello che leggiamo sui quotidiani, quello che vediamo in televisione, quello che cogliamo nei discorsi di molta gente, ci rendiamo poi conto che si verifica un dissociamento comportamentale: da una parte c’è un duro rigorismo pubblico in forza del quale ci si scandalizza di tutti e di tutto, anche acriticamente o con toni sbilanciati e cattivi, da un altro lato vige un estremo permissivismo individuale in base al quale si perdona tutto a se stessi.
Talvolta si “divinizzano” persone che poi, col tempo, magari cadono miseramente e talvolta si “demonizzano” persone che poi, col tempo, magari si rivelano innocenti perseguitati da livide malevolenze pregiudiziali. Ma dobbiamo ricordare che la legge di Dio è una e indivisibile e va rispettata in tutti i suoi aspetti e le sue rifrazioni. Vale in tutti i campi: quelli dell’economia e della finanza, come quelli dell’informazione e della politica, quelli del comportamento personale, familiare, civico ed ecclesiale. Innanzi alla legge di Dio non ci sono privilegi: nessuno può infangarla impunemente, nemmeno i personaggi più autorevoli per ruolo, neppure i più famosi e i più idolatrati, neppure gli “intoccabili”. Talvolta, poi, si pensa che determinati peccati fossero ritenuti tali in un periodo storico, ma in un altro no, per uno strano concetto di “evoluzione”. Certamente tutto ciò che è secondario può mutare e, talvolta, addirittura deve mutare, ma come dice il Salmo «la Parola di Dio rimane in eterno»; essa è sempre identica a sé e non muta in nulla con il mutare delle instabili leggi umane e con le mode transeunti».

Dunque il nostro tempo ha perso il senso del peccato? 

«In parte mi pare di aver risposto ma, soprattutto per l’esperienza che ho come confessore – ed ho sempre confessato molto, come pure continuo a fare con gioia- in un certo senso c’è pure un pungente senso del peccato ma, purtroppo, del peccato degli altri e non del proprio. Non è bello, né tanto meno giusto, battere il petto degli altri anziché il proprio. É uno sport molto praticato, salvo magari frasi manieristiche di mielosa umiltà. Quanta intransigenza per gli altri e quanta indulgenza con se stessi! Bisogna tener vivo il senso del nostro peccato personale. Dobbiamo lasciarci convertire dall’azione dello Spirito Santo e riversare sugli altri quello stesso torrente di misericordia rigenerante che il Signore riversa su di noi al momento in cui il nostro Redentore, per il tramite del Sacerdote Confessore, pronuncia la formula dell’assoluzione sacramentale». 

In questi giorni festeggiamo il Santo Natale, l'Avvenimento che ha cambiato le sorti della storia e di ogni uomo. Nell'Anno della Misericordia, in particolare, cosa può significare celebrare il mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio?

«Ma il Natale è, in se stesso, Avvenimento di Misericordia!  La Misericordia è la ragione dell’azione creatrice e dell’azione salvifica di Dio. La Misericordia è il senso ultimo dell’universo. Come ricorda sant’Ambrogio, Dio ha plasmato l’uomo come capolavoro finale, come apice della creazione perché in lui ha trovato qualcuno al quale poter perdonare i peccati (cf S.Ambr., Exameron IX,76); è un Dio che dall’eternità ha deciso di donarci il suo Unico Figlio come grande sacramento della divina pietà (cf Timoteo,3,16), perché egli diventasse per noi “sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1,30). Il nostro Dio è “buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” (salmo 102,8). Il Natale è capolavoro di Misericordia. Di qui la gioia come tema dominante delle festività natalizie. É la gioia di essere stati raggiunti dalla verità; di essere stati raggiunti dalla grazia; di essere stati redenti e conquistati dalla “gloria dell’Unigenito del Padre”, che è venuto a noi “pieno di grazia e di verità” (cf Gv 1,14). La celebrazione del mistero dell’Incarnazione salvifica nell’Anno della Misericordia ci stimola a una sincera revisione di vita davanti alla grotta di Betlemme nel presepe per gettarci poi, con l’umiltà insegnataci dal Santo Bambino, fra le braccia del Padre delle Misericordie in una confessione rigenerante e varcare poi la Porta Santa, passare al di là di un vecchio modo di  agire e poter ricevere il dono dell’Indulgenza plenaria, ovvero anche la remissione di tutti i residui di pena da scontare come purificazione dalle scorie del peccato. Che gioia passare quella Porta, puliti come dopo il Battesimo. Sì “quoniam in aeternum misericordia eius”, perché in eterno è la sua misericordia!». 

 





SANTO NATALE 2015

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Carissimi Confratelli Confessori,

mossi i primi passi in questo Anno Giubilare della Misericordia e guidati dalla sapienza delle magnifiche antifone “O” di questi ultimi giorni di Avvento, ci prepariamo ad entrare nel sempre vivo stupore della Chiesa di fronte al mistero della Sacra Famiglia, nella quale il Figlio Eterno dell’Eterno Padre ha voluto farsi Uomo,  “per noi uomini e per la nostra salvezza”.

         Sappiamo - il Santo Padre Francesco lo ha ricordato nel primo Angelus natalizio del suo Pontificato - come l’Avvenimento che ci apprestiamo a celebrare non abbia nulla a che vedere con una certa concezione “fiabesca e sdolcinata” di queste festività, ma costituisca piuttosto il mistero santo, rispetto al quale il mondo e la storia vengono e verranno giudicati alla fine dei tempi, il mistero santo della Misericordia di Dio.

         Infatti, non sarà soltanto in base ad un comportamento morale astrattamente inteso, che l’umanità verrà giudicata dal Figlio dell’Uomo. Verremo giudicati, piuttosto, in base alla “verità” del nostro amore: un amore perfettamente umano, quindi intelligente e libero; un amore che non “possiede” il fratello, ma ne comprende, desidera e persegue il vero bene; un amore che usa tutto e pone la propria stessa vita al servizio del destino eterno degli uomini, e che non sfrutta, invece, le persona al servizio dei propri miseri interessi; un amore che inevitabilmente, in modo più o meno consapevole, prende posizione di fronte al mistero del Figlio di Dio fatto Uomo, che incessantemente “viene”, prima nel nascondimento di Betlemme, adesso nel mistero della Chiesa e, alla fine dei tempi, nella gloria.

         Sappiamo che questo nostro amore, chiamato a crescere come risposta all’amore di Cristo, è sempre però un amore ferito, “inquinato” dal peccato e che, non solo ha bisogno di essere “vero”, ma, ancor più e sempre, ha bisogno di essere “inverato”, purificato, salvato. Tuttavia, non vi è alcuna struttura sociale o ecclesiale, nè alcuna esortazione morale, nè alcuna strategia soltanto umana che possa liberare l’amore e renderlo realmente “vero”. Solo la Grazia di Cristo ha questo potere. è Lui - ci ha ricordato il Santo Padre - il mistero della Misericordia ed è Lui che, riconosciuto e accolto, rende l’uomo libero di amare veramente.

         Alla fine dei tempi, perciò, verremo giudicati in base alla verità di Cristo, alla verità del nostro amore a Lui, ma, nel contempo, è soltanto Cristo che può liberare il nostro amore e renderci realmente capaci di amarLo. Egli è, perciò, il Giudice ed Egli è il Salvatore, Egli è la Giustizia ed Egli è l’Amore, Egli è la Verità ed Egli è la Misericordia. Dove si risolve questo apparente e divino paradosso? Proprio nel sacramento grande della Misericordia, nella confessione sacramnentale.

         In ogni celebrazione di questo sacramento, per l’anima fedele, viene, infatti, come “anticipato” il Giudizio ultimo e questo “presente” viene aperto, per grazia, al futuro di Cristo: il fedele, per mezzo del sacerdote confessore e per divina volontà, si trova ai piedi di Cristo Incarnato, Morto e Risorto; dinanzi al suo Signore, è chiamato a confessare, pentito, la verità delle proprie azioni, domandone perdono e, così, per mezzo della “sentenza” di assoluzione, gli è donato di aprirsi alla grande Verità del mistero di Cristo, alla Verità  della Sua Misericordia. Il penitente ne viene abbracciato, risollevato e trasformato, divenendo finalmente capace di “vivere Cristo” e, quindi, anche di “vedere Cristo” e di annunciarLo con gioia.

         Offriamo, perciò, anche noi con gioia, le nostre vite al servizio di questo incontro di Verità e di Misericordia; un servizio che si svolge nel nascondimento, ma che trova la sua forza nella gratitudine per l’immenso privilegio che ci è stato concesso, di poter condurre, sacramentalmente e perciò realmente, i fratelli dinanzi alla “Grotta di Betlemme”, di poterli mettere a contatto con il Misericordiosissimo Cuore di Cristo e vederli così rinascere alla Vita vera. Da qui, dal confessionale, può nascere l’unica vera pace di cui il mondo ha veramente bisogno, l’unico aiuto, davvero efficace per l’umanità intera, che, confessione dopo confessione, si vedrà purificata dal peccato e così salvata dal più letale degli “smog”. E’ nella confessione che avviene l’opera ecologica più radicale che si possa compiere!

         Cari e venerati Confratelli, preghiamo gli uni per gli altri, soprattutto in questi ultimi giorni di preparazione al S. Natale e durante l’Ottava, perché, continuamente purificati anche noi dalla Misericordia, che in ogni celebrazione ci attraversa, ed immersi nell’attesa divina del Cuore di Cristo, che attira a Sè ogni penitente, possiamo lasciarci trasformare, sempre più intimamente, dal Mistero del Verbo Incarnato.

   Non molti sentono il dovere di ringraziarvi ma io lo faccio con tutto il cuore, anche a nome degli altri: vi esprimo la più profonda gratitudine per il sacrificio paziente e la carità pastorale che esprimete nel vostro generoso ministero di confessori, che illumina, rinnova e ravviva le fondamenta stesse della Chiesa, ed assicuro l’assidua preghiera alla Vergine Madre, Porta del Cielo ed Icona perfetta della Chiesa, perché, a ciascun sacerdote, ottenga la grazia di una fede viva e di una gioiosa fedeltà alla propria Vocazione, e, a tutti il dono della conversione alla verità della Misericordia di Cristo.

Santo Natale!




[Modificato da Caterina63 29/12/2015 18:33]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/01/2016 15:09
 
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08 libro papa 2

LA BERGOGLIONATA ALL’INCONTRARIO DI PAPA FRANCESCO


Una bergoglionata  all’incontrario che ci è davvero piaciuta, se le cose stanno come riferisce Introvigne…

Onestà di cuore e di mente vuole che quando dobbiamo parlare per spiegare i fatti come sono, non ci si chiuda mai in uno stato di prevenzione mentale e di pregiudizio, ma che si colga – come insegna San Paolo – tutto ciò che è buono per fare un sano discernimento e dare così il vero contributo alla causa del Vangelo.

È il caso che andiamo ad analizzare sottolineando che a noi non è mai piaciuto il doppio gioco di Andrea Tornielli in questi ultimi anni, non ci piace il suo giornalaccio on-line che è al pari dei giornali a servizio della massoneria dell’Ottocento, non ci piace il suo catto-progressismo, non ci piace la sua cortigianeria nel quartiere romano di santa Marta, non ci piace la sua falsità narrativa di vaticanista senza scrupoli e senza sostanza nel riportare i fatti.

9788856653144_51b745299200d2ec851abc2402753e3aPremesso tutto ciò e affidandoci alla presentazione del suo ultimo libro fatta da La Nuova Bussola Quotidiana da Massimo Introvigne(suo degno compare), non possiamo tuttavia non intravvedere e non segnalare che, questo libro, potrebbe (condizionale d’obbligo) contenere una vera bergoglionata a chi sta usando il Papa Francesco dalla sua elezione per abbattere la Chiesa e la sua dottrina.

Naturalmente noi il libro non lo abbiamo ancora letto, ma ciò che riporta Introvigne è davvero interessante e non sarebbe onesto se noi facessimo finta di nulla. E non vogliamo neppure pensare lontanamente che Introvigne abbia inventato il contenuto dottrinale del libro e del Papa sulla vera Misericordia e sul valore pestilenziale del peccato.

Peccatori sì, ma non accettare lo stato di corruzione

Già Avvenire riportava, dall’analisi del libro che è un colloquio con il Papa, quanto il santo Padre Francesco torna a riflettere sulla distinzione tra peccato e corruzione. Quest’ultima, si osserva nel libro, “è il peccato che invece di essere riconosciuto come tale e di renderci umili, viene elevato a sistema, diventa un abito mentale, un modo di vivere”. “Il peccatore pentito, che poi cade e ricade nel peccato a motivo della sua debolezza – ribadisce – trova nuovamente perdono, se si riconosce bisognoso di misericordia. Il corrotto, invece, è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano, e con la sua doppia vita dà scandalo”. “Non bisogna accettare lo stato di corruzione come se fosse soltanto un peccato in più – è il monito del Pontefice – anche se spesso si identifica la corruzione con il peccato, in realtà si tratta di due realtà distinte seppur legate tra loro”. “Uno – constata – può essere un grande peccatore e ciononostante può non essere caduto nella corruzione”. Francesco fa l’esempio di alcune figure come Zaccheo, Matteo, la Samaritana, Nicodemo e il buon ladrone. “Nel loro cuore peccatore – afferma – tutti avevano qualcosa che li salvava dalla corruzione. Erano aperti al perdono, il loro cuore avvertiva la propria debolezza, e questo è stato lo spiraglio che ha fatto entrare la forza di Dio”.

Anche nell’analisi fatta da Introvigne su La Nuova BQ, si torna ad avere come perno centrale di questo colloquio il riconoscimento del peccato, lo stato del peccatore e l’autentico valore della Misericordia che non può essere data se la persona non si riconosce come peccatore e se non è davvero pentito del proprio peccato.

Intendiamoci, non è una rivoluzione! Il Papa non sta dicendo cose nuove e il libro non contiene alcuna novità.

C’è piuttosto un onesto e timido ritorno a quella dottrina che da tre anni a questa parte, proprio l’autore del libro – che fu tra quelli che strumentalizzarono la pastorale senza dottrina del Papa –  fa ritornare alla ribalta come se niente fosse, anzi, quasi fosse una novità…

La definiamo così una bergoglionata che davvero ci piace, questa del Papa gesuita! Perché è come se avesse accolto l’appello di non pochi alti prelati che lo hanno invitato più volte ad essere più chiaro nelle sue affermazioni.

Ci viene a mente l’episodio accaduto a San Padre Pio quando rispondendo ad un Bolletino Diocesano del vescovo di Padova che aveva fatto una affermazione che “puzzava di eresia” (così disse proprio Padre Pio), il prelato mandò a dire al Santo che era stato frainteso, che aveva capito male, e l’umile frate rispose: “No, io ho capito bene. Lui ha scritto male!”.

Dunque, la sostanza di questo libro ci sembra essere, sempre secondo la presentazione fatta da Introvigne, una sorta di chiarimento alle sue passate affermazioni suonate e risultate stonate in campo dottrinale cattolico, come se il peccato avesse preso delle ferie prolungate e come se la misericordia fosse data come un piatto di pastasciutta ad una delle tante mense della Caritas.

E no! Fa capire ora il Papa. L’invito ai confessori alla misericordia non significa che debbano assolvere sempre. Ci sono casi in cui l’assoluzione non si può dare. Ma in questi casi, «se il confessore non può assolvere, che spieghi il perché ma dia comunque una benedizione, anche senza assoluzione sacramentale» e non interrompa il dialogo con il penitente.

«La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio». Parola di Papa Francesco! Senza riconoscere il proprio peccato non si può incontrare la misericordia. «La misericordia c’è, ma se tu non vuoi riceverla… Se non ti riconosci peccatore vuol dire che non la vuoi ricevere, vuol dire che non ne senti il bisogno».

Il santo Padre Francesco insiste anche su Santa Faustina Kowalska, l’apostola della Divina Misericordia, la cui devozione unisce San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e l’attuale Pontefice. Egli cita pure un’impegnativa affermazione teologica del Papa teologo, Benedetto XVI: «La misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio, il volto con il quale Egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo, incarnazione dell’Amore creatore e redentore».

Ma per ricevere questa Misericordia, chiarisce finalmente El gesuita diventato papa, il peccatore deve chiarire a se stesso il proprio stato di peccatore, deve imparare ad avere vergogna del proprio peccato e deve ripudiarlo, deve andarsi a confessare… confessare il proprio stato di peccato e cambiare vita.

Ciò che sconcerta è che tutto ciò – insegnato dalla Chiesa in questi duemila anni – sia spacciato oggi come una novitàperché in questi ultimi tre anni non si è fatto altro che usare, delle parole di Bergoglio, una illusione mentendo (ma non ha mentito il Papa) sulla dottrina della Chiesa.

Il relativismo porta a perdere il senso del peccato. Il venerabile Pio XII, ricorda Papa Francesco, «più di mezzo secolo fa, aveva detto che il dramma della nostra epoca era l’aver smarrito il senso del peccato, la coscienza del peccato. A questo si aggiunge oggi anche il dramma di considerare il nostro male, il nostro peccato, come incurabile, come qualcosa che non può essere guarito e perdonato». Non si crede più al peccato, dunque non ci si confessa, ma si cercano gli aiuti più bizzarri nelle nuove religioni e nell’occultismo.

Papa Francesco ricorda pure di avere appreso dal cardinale Giacomo Biffi questa citazione dello scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton: «Chi non crede in Dio, non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto». E commenta: «Una volta ho sentito una persona dire: ai tempi di mia nonna bastava il confessore, oggi tante persone si rivolgono ai chiromanti… Oggi si cerca salvezza dove si può».

È ovvio che in quel «Oggi si cerca salvezza dove si può», il Papa stesso sa benissimo che l’unico posto dove questa salvezza si attiva è il confessionale e che è qui che bisogna far ritornare la gente. Non basta dire, ricorda il Papa, che riconosco il mio peccato e me ne pento davanti a Dio. «Ma è importante che io vada al confessionale, che metta me stesso di fronte a un sacerdote che impersona Gesù, che mi inginocchi di fronte alla Madre Chiesa chiamata a dispensare la misericordia di Dio. C’è un’oggettività in questo gesto, nel mio genuflettermi di fronte al prete, che in quel momento è il tramite della grazia che mi raggiunge e mi guarisce». Il Papa ricorda e spiega le sue immagini usate in omelie a Santa Marta secondo cui il confessionale non è né «una tintoria» né «una stanza delle torture». Quella della tintoria, spiega, era «un’immagine per far capire l’ipocrisia di quanti credono che il peccato sia una macchia, soltanto una macchia, che basta andare in tintoria perché te lavino a secco e tutto torni come prima». È l’atteggiamento di tanti che continuano a commettere lo stesso peccato, pensando che tanto poi se ne confesseranno.

Ci sembra di comprendere che in questo colloquio, ridotto a libro, il Papa Francesco abbia voluto mettere un po’ di ordine ai suoi tanti pensieri sparsi qua e là e spesso fraintesi o strumentalizzati come sul famoso «chi sono io per giudicare» riferito alle persone omosessuali, Papa Francesco qui nel libro spiega che «avevo detto in quella occasione: se una persona è gay, cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Avevo parafrasato a memoria il Catechismo della Chiesa cattolica, dove si spiega che queste persone vanno trattate con delicatezza e non si devono emarginare. Innanzitutto mi piace che si parli di “persone omosessuali”: prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità. E la persona non è definita soltanto dalla sua tendenza sessuale: non dimentichiamoci che siamo tutti creature amate da Dio, destinatarie del suo infinito amore. Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi».

Sbaglia chi oppone la misericordia alla verità o alla dottrina, spiega il Papa e sottolinea: «la misericordia è vera, è il primo attributo di Dio. Poi si possono fare delle riflessioni teologiche su dottrina e misericordia, ma senza dimenticare che la misericordia è dottrina».

Ci sembra così che questo libro possa offrire davvero dei chiarimenti a molte espressioni ambigue usate dal Papa e ci auguriamo che serva in primo luogo proprio all’autore del testo che da anni – strumentalizzando le parole del Papa – ha gettato nella rete molta confusione attraverso il suo giornalaccio on-line con ambiguità interpretativa…

Dal canto nostro non possiamo che far nostre queste parole del Papa, tratte sempre da questo libro: «Bisogna entrare nel buio, nella notte che attraversano tanti nostri fratelli. Essere capaci di entrare in contatto con loro, di far sentire la nostra vicinanza, senza lasciarci avvolgere e condizionare da quel buio. Andare verso gli emarginati, verso i peccatori, non significa permettere ai lupi di entrare nel gregge».


 



La “cosa” fa ben sperare, con la speranza che non si tramuti in un Alien    mi rifaccio anche all’articolo di Magister….

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2016/01/12/istruzioni-per-il-confessore-e-per-il-penitente-firmate-francesco/



 


IL LIBRO DEL PAPA
 

La misericordia di Dio non è a buon mercato. Il Papa, nel suo libro Il nome di Dio è misericordia, ci dice che la misericordia di Dio non può essere disgiunta dalla giustizia, che comporta il castigo per il malvagio e il premio per chi opera il bene, e dalla veritàlche esige che il male venga riconosciuto come male.

di Tommaso Scandroglio
La copertina del libro di papa Francesco: Il nome di Dio è misericordia


La misericordia di Dio è a buon mercato? Vi sono alcuni passaggi del libro intervista del Papa Il nome di Dio è misericordia che ci fanno capire che la misericordia di Dio non può essere disgiunta dalla giustizia – la quale richiede che chi opera il bene riceva un premio e chi compie il male sia punito – e dalla verità – la quale invece esige che il male venga riconosciuto come male. Andrea Tornielli, che ha intervistato il Pontefice, ad esempio, ricorda una sua omelia a Santa Marta in cui Francesco, spiegando l’incontro di Gesù con l’adultera che stava per essere lapidata, rammenta che Cristo «difende il peccatore da una condanna giusta». Il Papa, quindi, ci dice che il peccato merita una condanna che, per giustizia, non può che essere proporzionalmente severa tanto quanto la gravità del peccato.

Un peccato che non è solo, nella visione pauperista della dottrina, di carattere sociale ed economico, ma soprattutto di carattere intellettuale, aspetto che più da vicino interessa l’ortodossia: «E non ci sono soltanto le malattie sociali e le persone ferite dalla povertà, dall’esclusione sociale, dalle tante schiavitù del terzo millennio. Anche il relativismo ferisce tanto le persone: tutto sembra uguale, tutto sembra lo stesso». Il Pontefice, poi, chiarisce che ci devono essere due atteggiamenti affinché la grazia di Dio possa operare, cioè affinché il nostro peccato sia perdonato. L’ammissione sincera e dispiaciuta del proprio errore e l’emenda, cioè la volontà di cambiare, di non peccare più. Sul primo atteggiamento Francesco afferma che se non c’è coscienza del peccato ovviamente non ci può essere perdono. 

É la ferita forse più profonda del momento storico in cui viviamo, spiega il Pontefice ricordando che Pio XII «più di mezzo secolo fa, aveva detto che il dramma della nostra epoca era l’aver smarrito il senso del peccato, la coscienza del peccato». Poi aggiunge, riferendosi appunto alla condizione interiore che porta a provare dolore per i peccati commessi, che «quando uno sente la misericordia di Dio, ha una grande vergogna di se stesso, del proprio peccato. […] La vergogna è una delle grazie che Sant’ignazio fa chiedere nella confessione dei peccati davanti al Cristo crocefisso. […] Colui che si confessa è bene che si vergogni del proprio peccato: la vergogna è una grazia da chiedere, è un fattore buono, positivo che ci fa umili». Poi, citando Sant’Agostino, aggiunge: «Quando pecchiamo dobbiamo provare dispiacere di noi stessi, perché i peccati dispiacciono a Dio». I Padri della Chiesa – e queste ritornano a essere le parole del Papa – «insegnano che questo cuore a pezzi è l’offerta più gradita a Dio. È il segno che siamo coscienti del nostro peccato, del male compiuto». 

Francesco, inoltre, illustra che per confessarsi con le disposizioni adeguate occorre che il penitente «sappia guardare con sincerità a se stesso e al suo peccato. E che si senta peccatore. […] La misericordia c’è, ma se tu non vuoi riceverla…. Se non ti riconosci peccatore vuol dire che non la vuoi ricevere, vuol dire che non ne senti il bisogno». Dunque, l’amore di Dio per noi non può essere disgiunto dal riconoscere con verità il male che abbiamo commesso. Così il Papa: «La Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità: questo è un peccato». A seguire il Pontefice esplicita questo pensiero riferendosi ad un caso particolare: l’omosessualità. «Io preferisco che le persone omosessuali vengano a confessarsi. […] Puoi consigliare loro la preghiera, la buona volontà, indicare la strada». Se le condotte omosessuali non fossero scelte peccaminose, perché il Papa dovrebbe consigliare alle persone omosessuali di confessarsi e di tentare di cambiare strada? 

La mancanza di questa condizione del foro interno chiamata contrizione (dolore del peccato in sé perché così ho offeso Dio) o attrizione (dolore per il peccato commesso perché sono timoroso del castigo di Dio) non può portare alla remissione dei peccati. Questo è ben evidenziato quando il Papa spiega che alcune volte il confessore non può assolvere e si dovrà limitare a una benedizione del fedele. In merito al secondo atteggiamento che chiede l’impegno per una conversione seria e profonda della propria vita, Francesco mette in guardia i fedeli dall’intendere la confessione come una tintoria: uno entra in confessionale, dice i suoi peccati e automaticamente questi vengono lavati via. Ciò non accade se non c’è un proposito di radicale di abbandonare la via del male.

Più in particolare il Papa fa un distinguo importante: c’è chi cade e si rialza e cade nuovamente ma non abbandona la lotta spirituale. E poi c’è chi – il “corrotto” - si sente a posto e quindi non si pente dei propri peccati e dunque non vuole convertirsi: «Il corrotto […] è colui che pecca e non si pente, colui che pecca e finge di essere cristiano e con la sua doppia vita dà scandalo». Costui si sottrae volontariamente alla misericordia di Dio.














[Modificato da Caterina63 17/01/2016 13:04]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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19/01/2016 01:50
 
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La prima forma di misericordia dell'uomo credente, inoltre, è quella rivolta a se stesso; è questa che la Scrittura comanda dicendo: «Abbi misericordia della tua anima, piacendo a Dio».
Di qui la misericordia, crescendo, si estende al prossimo, in modo tale che sia adempiuto il precetto: «Amerai il prossimo tuo come te stesso».
Dunque la vera misericordia che si spende per il prossimo va spesa a questo fine, che anche il prossimo piaccia a Dio: è a questo fine che il prossimo va chiamato, esortato, educato e istruito.
Difatti anche le stesse elemosine che si offrono per le necessità corporali e per la vita temporale vanno fatte con il proposito e l'intenzione di far sì che coloro a cui sono fatte amino quel Dio per dono del quale sono fatte.


(sermoni di Erfurt sant'Agostino)




 


EDITORIALE
Un particolare delle Opere di Misericordia del Caravaggio
 

L’etimologia popolare del termine misericordia rimbalza dal suono della parola stessa: "miseris cor dare", dare il cuore ai miseri. La misericordia non è appena un secondo nome del perdono, ma naviga in un mare più ampio. Il perdono è già cosa grande: tu non metti più nel conto il male che l’altro ti ha fatto e anzi gli condoni tutti i debiti. 

di Angelo Busetto


Il perdono è già cosa grande: tu non metti più nel conto il male che l’altro ti ha fatto e anzi gli condoni tutti i debiti. Inoltre, compi forse qualche gesto di reciprocità, come dare il saluto, magari a denti stretti, e arrivi svuotare il cuore da ogni forma di rancore e di odio. Il che ti pare già tanto, e anche troppo.

La misericordia imbocca una strada più lunga e laboriosa, più lieta eariosa. Misericordia significa “avere a cuore”, prendersi cura, come Gesù si prende cura di noi per sempre. Sull’esempio della multiforme azione di misericordia del Signore Gesù e sul rilancio della sua Grazia, si percorrono i quattordici sentieri delle “opere di misericordia”. In un quadro di Caravaggio le sette opere di misericordia corporale sono riunite in una sola raffigurazione, mossa e complessa. In una composizione serrata il dipinto concentra insieme diversi personaggi di un tipico vicolo popolare di Napoli. 

Sulla parte superiore, a supervisionare la scena, la Madonna colBambino e la cornice di due angeli. Sulla destra, seppellire i morti: si scorgono i piedi di un cadavere, con un diacono e un portatore che compiono il “pietoso ufficio”. "Visitare i carcerati" e "Dar da mangiare agli affamati" sono concentrati in un singolo intenso episodio: il condannato a morte per fame in carcere, viene nutrito dal seno della figlia. "Vestire gli ignudi" appare concentrato in una figura di giovane cavaliere che dona il mantello ad un uomo, avendo accanto uno storpio e realizzando così anche l’opera del "Curare gli infermi".  Un uomo beve da una mascella d'asino: "Dar da bere agli assetati". Per "Ospitare i pellegrini" vengono rappresentate due figure, un uomo rivolto verso l’esterno e uno con la conchiglia del pellegrino.

Oltre il quadro drammatico e geniale del grande pittore, è la vita stessa a provocare l’adempimentodelle opere di misericordia, non solo materiali. Poveri e bisognosi di tutte le fogge insistono alle porte delle chiese e vi entrano, e assai più se ne incontrano nei contatti con persone e famiglie. Ma, con modalità per niente schematiche, ci inseguono le opere di misericordia spirituale. In particolare, cosa vuol dire oggi Consigliare i dubbiosi, Insegnare agli ignoranti, Ammonire i peccatori, Consolare gli afflitti? Viviamo in un contesto di persone confuse, tristi, smarrite, incerte, dentro una mentalità corrosiva che contesta tutto, toglie ogni certezza morale e dissesta le persone. Quando viene tarpato il legame con l’origine; quando si perde il nome del padre e persino della madre; quando svanisce la coscienza di essere maschio o femmina, allora, che ne è dell’identità e del destino personale? Come non sentirsi provocati a sostenere il senso stesso della vita e dell’identità degli essere umani? 

La Chiesa ospedale da campo agognata da papa Francesco, non punzecchia gli offesi né innalzabarriere, ma apre braccia, mani, cuore, e aguzza l’intelligenza per consigliare senza prevaricare, insegnare senza soverchiare, ammonire senza offendere, consolare senza sfasature sentimentali. Mostra il nostro Dio che è Padre, Gesù Cristo Maestro e Salvatore, e lo Spirito Consolatore. Quanta strada le opere di misericordia dovranno percorrere per raggiungere questa nostra povera umanità…

   

 

Intervista a Papa Francesco del settimanale "Credere": testo integrale

Papa Francesco - AFP

Papa Francesco - AFP

Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervista che Papa Francesco ha rilasciato al settimanale “Credere”, rivista ufficiale del Giubileo della Misericordia:

1. Padre Santo, ora che stiamo per entrare nel vivo del Giubileo, ci può spiegare quale moto del cuore l’ha spinta a mettere in risalto proprio il tema della misericordia? Quale urgenza percepisce, a tale riguardo, nell’attuale situazione del mondo e della Chiesa?

Il tema della misericordia si va accentuando con forza nella vita della Chiesa a partire da Paolo VI. Fu Giovanni Paolo II a sottolinearlo fortemente con laDives in misericordia, la canonizzazione di Santa Faustina e l’istituzione della festa della Divina Misericordia nell’Ottava di Pasqua. Su questa linea, ho sentito che c’è come un desiderio del Signore di mostrare agli uomini la Sua misericordia. Non è quindi venuto in mente a me, ma riprendo una tradizione relativamente recente, sebbene sempre esistita. E mi sono reso conto che occorreva fare qualcosa e continuare questa tradizione.
Il mio primo Angelus come Papa fu sulla misericordia di Dio e in quell’occasione parlai anche di un libro sulla misericordia regalatomi dal cardinale Walter Kasper durante il Conclave; anche nella mia prima omelia come Papa, domenica 17 marzo nella parrocchia di Sant’Anna, parlai della misericordia. Non è stata una strategia, mi è venuto da dentro: lo Spirito Santo vuole qualcosa. È ovvio che il mondo di oggi ha bisogno di misericordia, ha bisogno di compassione, ovvero di patire con. Siamo abituati alle cattive notizie, alle notizie crudeli e alle atrocità più grandi che offendono il nome e la vita di Dio. Il mondo ha bisogno di scoprire che Dio è Padre, che c’è misericordia, che la crudeltà non è la strada, che la condanna non è la strada, perché la Chiesa stessa a volte segue una linea dura, cade nella tentazione di seguire una linea dura, nella tentazione di sottolineare solo le norme morali, ma quanta gente resta fuori. Mi è venuta in mente quell’immagine della Chiesa come un ospedale da campo dopo la battaglia; è la verità, quanta gente ferita e distrutta! I feriti vanno curati, aiutati a guarire, non sottoposti alle analisi per il colesterolo. Credo che questo sia il momento della misericordia. Tutti noi siamo peccatori, tutti portiamo pesi interiori. Ho sentito che Gesù vuole aprire la porta del Suo cuore, che il Padre vuole mostrare le Sue viscere di misericordia, e per questo ci manda lo Spirito: per muoverci e per smuoverci. È l’anno del perdono, l’anno della riconciliazione. Da un lato vediamo il traffico di armi, la produzione di armi che uccidono, l’assassinio d’innocenti nei modi più crudeli possibili, lo sfruttamento di persone, minori, bambini: si sta attuando – mi si permetta il termine – un sacrilegio contro l’umanità, perché l’uomo è sacro, è l’immagine del Dio vivo. Ecco, il Padre dice: “fermatevi e venite a me”. Questo è quello che io vedo nel mondo.

2. Lei ha detto che, come tutti i credenti, si sente peccatore, bisognoso della misericordia di Dio. Che importanza ha avuto nel suo cammino di sacerdote e di vescovo la misericordia divina? Ricorda in particolare un momento in cui ha sentito in maniera trasparente lo sguardo misericordioso del Signore sulla sua vita?

Sono peccatore, mi sento peccatore, sono sicuro di esserlo; sono un peccatore al quale il Signore ha guardato con misericordia. Sono, come ho detto ai carcerati in Bolivia, un uomo perdonato. Sono un uomo perdonato, Dio mi ha guardato con misericordia e mi ha perdonato. Ancora adesso commetto errori e peccati, e mi confesso ogni quindici o venti giorni. E se mi confesso è perché ho bisogno di sentire che la misericordia di Dio è ancora su di me.
Mi ricordo – l’ho già detto molte volte – di quando il Signore mi ha guardato con misericordia. Ho avuto sempre la sensazione che avesse cura di me in un modo speciale, ma il momento più significativo si verificò il 21 settembre 1953, quando avevo 17 anni. Era il giorno della festa della primavera e dello studente in Argentina, e l’avrei trascorsa con gli altri studenti; io ero cattolico praticante, andavo alla messa della domenica, ma niente di più... ero nell’Azione Cattolica, ma non facevo nulla, ero solo un cattolico praticante. Lungo la strada per la stazione ferroviaria di Flores, passai vicino alla parrocchia che frequentavo e mi sentii spinto a entrare: entrai e vidi venire da un lato un sacerdote che non conoscevo. In quel momento non so cosa mi accadde, ma avvertii il bisogno di confessarmi, nel primo confessionale a sinistra – molta gente andava a pregare lì. E non so cosa successe, ne uscii diverso, cambiato. Tornai a casa con la certezza di dovermi consacrare al Signore e questo sacerdote mi accompagnò per quasi un anno. Era un sacerdote di Corrientes, don Carlos Benito Duarte Ibarra, che viveva nella Casa del Clero di Flores. Aveva la leucemia e si stava curando in ospedale. Morì l’anno successivo. Dopo il funerale piansi amaramente, mi sentii totalmente perso, come col timore che Dio mi avesse abbandonato. Questo è stato il momento in cui mi sono imbattuto nella misericordia di Dio ed è molto legato al mio motto episcopale: il 21 settembre è il giorno di San Matteo, e Beda il Venerabile, parlando della conversione di Matteo, dice che Gesù guardò Matteo “miserando atque eligendo”. Si tratta di un’espressione che non si può tradurre, perché in italiano uno dei due verbi non ha gerundio, neppure in spagnolo. La traduzione letterale sarebbe “misericordiando e scegliendo”, quasi come un lavoro artigianale. “Lo misericordiò”: questa è la traduzione letterale del testo. Quando anni dopo, recitando il breviario latino, scoprii questa lettura, mi accorsi che il Signore mi aveva modellato artigianalmente con la Sua misericordia. Ogni volta che venivo a Roma, poiché alloggiavo in via della Scrofa, andavo nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a pregare davanti al quadro del Caravaggio, appunto la Vocazione di san Matteo.

3. Secondo la Bibbia, il luogo dove dimora la misericordia di Dio è il grembo, le viscere materne, di Dio. Che si commuovono al punto da perdonare il peccato. Il Giubileo della misericordia può essere un’occasione per riscoprire la “maternità” di Dio? C’è anche un aspetto più “femminile” della Chiesa da valorizzare?

Sì, Lui stesso lo afferma quando dice in Isaia che si dimentica forse una madre del suo bambino, anche una madre può dimenticare... “io invece non ti dimenticherò mai”. Qui si vede la dimensione materna di Dio. Non tutti comprendono quando si parla della “maternità di Dio”, non è un linguaggio popolare – nel senso buono della parola – sembra un linguaggio un po’ eletto; perciò preferisco usare la tenerezza, propria di una mamma, la tenerezza di Dio, la tenerezza nasce dalle viscere paterne. Dio è padre e madre.

4. La misericordia, sempre se ci riferiamo alla Bibbia, ci fa conoscere un Dio più “emotivo” di quello che talvolta ci immaginiamo. Scoprire un Dio che si commuove e si intenerisce per l’uomo può cambiare anche il nostro atteggiamento verso i fratelli?

Scoprirlo ci porterà ad avere un atteggiamento più tollerante, più paziente, più tenero. Nel 1994, durante il Sinodo, in una riunione dei gruppi, dissi che si doveva instaurare la rivoluzione della tenerezza, e un Padre sinodale – un buon uomo, che io rispetto e al quale voglio bene – già molto anziano, mi disse che non conveniva usare questo linguaggio e mi diede spiegazioni ragionevoli, da uomo intelligente, ma io continuo a dire che oggi la rivoluzione è quella della tenerezza perché da qui deriva la giustizia e tutto il resto. Se un imprenditore assume un impiegato da settembre a luglio, gli dissi, non fa la cosa giusta perché lo congeda per le vacanze a luglio per poi riprenderlo con un nuovo contratto da settembre a luglio, e in questo modo il lavoratore non ha diritto all’indennità, né alla pensione, né alla previdenza sociale. Non ha diritto a niente. L’imprenditore non mostra tenerezza, ma tratta l’impiegato come un oggetto – tanto per fare un esempio di dove non c’è tenerezza. Se ci si mette nei panni di quella persona, invece di pensare alle proprie tasche per qualche soldo in più, allora le cose cambiano. La rivoluzione della tenerezza è ciò che oggi dobbiamo coltivare come frutto di questo anno della misericordia: la tenerezza di Dio verso ciascuno di noi. Ognuno di noi deve dire: “sono uno sventurato, ma Dio mi ama così; allora anche io devo amare gli altri nello stesso modo”.

5. È famoso il “discorso alla luna” di papa Giovanni XXIII, quando, una sera, salutò i fedeli dicendo: “Date una carezza ai vostri bambini”. Quell’immagine divenne un’icona della Chiesa della tenerezza. In che modo il tema della misericordia potrà aiutare le nostre comunità cristiane a convertirsi e a rinnovarsi?

Quando vedo i malati, gli anziani, mi viene spontanea la carezza.… La carezza è un gesto che può essere interpretato ambiguamente, ma è il primo gesto che fanno la mamma e il papà col bambino appena nato, il gesto del “ti voglio bene”, “ti amo”, “voglio che tu vada avanti”.

6. Ci può anticipare un gesto che intende fare durante il Giubileo per testimoniare la misericordia di Dio?

Ci saranno tanti gesti che si faranno, ma un venerdì di ogni mese farò un gesto diverso.



[Modificato da Caterina63 09/02/2016 00:27]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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