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San Filippo Neri Dell'amore al proprio disprezzo

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2015 00:51
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03/05/2015 00:35
 
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INTRODUZIONE E DISEGNO DELL'AUTORE

Necessario a leggersi con ponderazione sul principio per formarsi una giusta idea dell'operetta

È cosa veramente da piangersi , che essendo l'amore dei proprio disprezzo un punto di sommo rilievo nel divino servizio, e per l' acquisto della cristiana perfezione, sì poco vi attendano per lo più non solo le persone scarsamente applicate alla pietà, ma quelle ancora che praticano una vita spirituale e devota. Che importi infinitamente per ottenere la santità, l'amore del proprio disprezzo, è chiaro, perché il fondamento di quella, secondo i Santi, è la vera umiltà, in guisa che, al dire di s. Agostino, la santità va del pari colla umiltà, e quella cresce, si aumenta a misura di questa. Or l'amore del proprio disprezzo è come la sostanza e la midolla della vera umiltà , e costituisce il più sicuro riscontro, se l'uomo,è sinceramente umile.
Quindi è che s. Filippo Neri, eccellente maestro della vita perfetta, dovendo esaminare lo spirito di taluno, si rifaceva dall'investigare se veramente fosse umile, e per discernerlo tale veniva tosto alla prova del disprezzo, e trovatolo saldo e costante a questa pietra di paragone giudicava, che egli investito fosse dallo spirito del Signore.

Di più il primo passo fondamantale ingiunto da Cristo nel Vangelo per chi vuol seguirlo dappresso è l'abnegazione, e l'odio santo di sè medesimo; e siccome ciascun cristiano per l'obbligo della sua professione è tenuto a seguirlo, perciò a tutti senza eccezione e riserva, o siano ecclesiastici, o secolari di qualunque sesso, stato e condizione, rivolse questo suo premuroso comando: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso" (Lc 9,23). 
Ma ciò è impossibile a conseguirsi senza atterrare il proprio orgoglio ed amore: e questi non cadranno giammai estinti senza amare il disprezzo di se stesso. 
Che poi poco universalmente pensino i cristiani, anche applicati alla devozione e alla vita spirituale, di fare acquisto di un tal amore, ce lo fa vedere la funesta esperienza, mentre nelle frequenti occasioni e casi pratici che occorrono alla massima parte degli uomini d'incontrare e soffrire vilipendi, invece di accogliergli con lieto viso, e di prevalersene per esercizio della più soda umiltà, per ordinario vanno a finire in molti atti di superbia, di querele, di sfoghi; e quindi trovano un forte inciampo nella strada di Dio ove trovati dovevano in potentissimo aiuto per battere con più vigore la gran carriera della virtù. E due sono le cagioni di sì lacrimevole disordine. 

La prima, perché comunemente non si crede in realtà di meritare il disprezzo; o se si crede, non si capisce e non si penetra bene ciò che vuoi dire dísprezzo, e quante e quali cose in particolare si contengono e si racchiudono nel merito dei disprezzo. La seconda cagione è perché generalmente noti si comprende la forza delle ragioni, che vi sono per amare il disprezzo, e perciò non si usano gli efficaci mezzi per far acquisto di un tal amore, e si trascura affatto l'arte così necessaria di abbattere il principale nostro nemico, che è la superbia, e di procurare il sodo e vero spirito che è l'amare la propria abiezione.
A ciò riflettè un sacerdote, il quale, sebbene sia scevro di questo spirito, come di qualunque altra virtù, pure come figliuolo (nonostante i suoi infiniti demeriti) di quel grande amatore del proprio disprezzo s. Filippo Neri, è rimasto impegnato a trattar di proposito di tal materia, e metterla nel più chiaro lume, che gli sia stato possibile, e ridurla come sminuzzata alla pratica, e presentare l'operetta singolarmente a quelle anime, che aspirano ad essere tutte di Dio, e perciò sono in dovere di attendere con. più studio all'esercizio della perfetta umiltà. Frattanto egli non diffida, che la stessa operetta, tal quale ella è, possa apportare vantaggio e profitto ancora a tutti quei cristiani, che vogliono vivere in conformità della loro santa Fede ed efficacemente salvarsi.

Ed ecco il metodo prefisso dall'Autore al presente suo picciolo Trattato, reputato il più utile per ottenere il suo fine, e per agevolare la pratica dell' amore al proprio disprezzo. In primo luogo si stabilisce per base fondamentale di tutta questa materia, che ogni uomo può, e deve sforzarsi a credere di sé di meritare il disprezzo, senza il qual fondamento troppo sarebbe difficile, per non dire impossibile, di,avanzarsi in questo cammino. 

Quindi si sviluppa e si sviscera un tal merito del disprezzo, e in distinti punti si traggono fuori alla luce e si pongono sotto gli occhi molti capi di particolari disprezzi, che scaturiscono, come tante conseguenze, da quel, generale principio di meritarsi il vilipendio, e per sola mancanza di riflessione è di lume non si capiscono, o almeno non si avvertono dalla più parte degli uomini, ancor devoti, dal che ne succede, che non stanno poi saldi nella pratica la quale, conforme la dottrina di s. Tommaso, tutta si aggira intorno ai casi particolari ("le considerazioni generiche in campo morale sono meni utili, perché le azioni umane sono particolari" S. Th., II II, Prol.).

Una tal connessione e necessaria dipendenza si mette con un breve raziocinio in veduta nei primi punti per meglio appagare il lettore, e a poco a poco addestrarlo in tal maniera a ravvisarla poi da per sé con leggera fatica nei punti seguenti, purché alquanto vi voglia riflettere: con che giungerà anche con l'uso e con la divina luce a intenderla in un' occhiata. Conseguentemente si passa a discorrere dell'amor del disprezzo non solo in generale, ma altresì in particolare: e si procura di dimostrare quanto al servo di Dio convenga, e sia necessario un tal amore: e per maggiormente allettare l'umano cuore a farne acquisto, con brevità si propongono gli altissimi beni, che dallo stesso amore a noi ne derivano. 

Dopo ciò si viene alla pratica, che è così importante in questa impresa, e, cominciando dai meno ardui, si espongono per ordine gli atti e gli esercizi utili ad accendere in noi quest'amore, i quali anche sono altrettanti mezzi per conseguirlo ed accrescerlo: e questi poi si riducono a tre principali, e sostanzialissimi per facilitarne l'esecuzione. In seguito efficacemente si esortano i fedeli a metter con grande impegno e risoluzione la mano all'opera. Finalmente per giovare a tutti, per modo di appendice, si fa vedere agli oltraggiatori del prossimo l'infelice loro condizione, e loro s' inculca di fare un pronto passaggio dall'essere disprezzatori all'essere disprezzati e amanti della loro abiezione: e si conchiude l'operetta nel Nome Santo di Dio.






ARTICOLO I

Verità fondamentale da supporsi necessariamente, che serve come di base alla presente materia:
il cristiano deve credere di meritare il disprezzo.


Chiunque ha lo spirito della cristiana umiltà riconosce facilmente e ben volentieri confessa di meritare il disprezzo, e con ciò si persuade di rendere testimonianza a una verità certa, incontestabile e divina. Per costoro potrebbe forse sembrare inutile lo stabilire all'inizio dell'opera il punto fondamentale del merito del disprezzo. Ma perché molti, che leggeranno queste pagine, non saranno ancora pervenuti al possesso di così bella, ma difficile virtù - quantunque vi aspirino - ed essendo noi nel nostro ministero debitori a tutti, anche ai deboli e principianti, è parso bene a riguardo loro, che sono in gran numero, di fissare per base e per fondamento della presente materia, che ogni cristiano può e deve giudicare, circa se stesso, di meritare il disprezzo.
Infatti, come potrebbero essere uomini di buona volontà e desiderosi di diventare umili, quali suppongono tutti quelli, che si adatteranno a sfogliare il presente libretto, se avessero difficoltà a credere di esser un nulla, e di essere peccatori? Dio stesso ci insegna queste due grandi verità, quando, per bocca di s. Paolo apostolo, ci avvisa che inganniamo noi stessi, se ci reputiamo qualche cosa, mentre in realtà siamo un nulla: "Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso" (Gal 6,3).

E qual diritto, o pretesa può avere il nulla sulla stima e l'onore? Noi stessi possiamo renderne una testimonianza superiore ad ogni obiezione. Nonostante la nostra superbia ed orgoglio, cent' anni fa non c'era in noi neppure l'ombra di puntiglio, di arroganza e di desiderio di onore: e anche se, per ipotesi, ci fossimo trovati in un'estrema non curanza e abiezione presso tutte le creature, ritenendo queste ultime superiore a noi un vilissimo verme che striscia per terra, non ne saremmo rimasti offesi; e lo stesso sarebbe accaduto, se tutti gli uomini, si fossero messi d'accordo a ricolmarci di obbrobri. E perché ciò? Ecco: perché eravamo un nulla, e il nulla non è suscettibile né d'onore, né di torto, od offesa, anzi è connaturalissimo al nulla, che nessun conto si faccia di lui. Ma santo cielo! 
Lo Spirito Santo, che non può mentire ci, assicura, come sopra si è visto, che ancora adesso noi siamo un nulla: e s. Paolo senza comparazione migliore di tutti noi e più fornito di grazie e di veri beni, al riverbero del divin lume ingenuamente confessa di sé di essere un nulla: "sono un nulla" (2 Cor 12,11); e non dovremo reputarci ancora noi per un niente? E che? Pretendiamo forse di superare nell' essere e nell'eccellenza il grande Apostolo delle genti? Non sarebbe questa una diabolica arroganza? Con ciò non si vuol dire che non abbiamo ricevuto qualche sorta di bene da Dio, ma deve tenersi per fermo - e anche qui sottomettere il nostro intelletto alla divina verità rivelante, come lo assoggettiamo in tutti gli altri misteri della nostra santa Fede - che il nostro capitale, il nostro retaggio, quello che veramente è proprio nostro, è il nulla; ed il merito di ciascuno scaturisce appunto da quel che è suo proprio, e da quel che la creatura si trova di avere di sua attinenza dinanzi a Dio, il cui giudizio è infallibile.

Confessiamo dunque anche noi con S. Paolo, e con tutti i veri servi di Dio, che siamo un nulla, "sono un nulla": e che perciò ben ci sta l'abiezione, ed è nostro dovere il tenerci adesso volontariamente in un contegno simile a questo, in cui siamo stati per secoli eterni, prima della nostra creazione; in altre parole, in una profonda bassezza e avvilimento, considerando l'onore come un bene che non è nostro e il disprezzo come del tutto confacente a noi. Questo è il primo fatto vero da cui deriva in noi il merito di essere vilipesi e confusi.

Tutto ciò però è poco rispetto all'altra causa del merito del disprezzo: il fatto che noi siamo peccatori. Il peccato è un male di gran lunga peggiore del nulla: di conseguenza chi merita il vilipendio, perché è nulla, incomparabilmente di più lo merita, come peccatore. E questa appunto è la nostra misera condizione. Il Signore in più luoghi della divina scrittura ci avverte che nell' orrore del peccato è la nostra origine, che siamo figliuoli dell'ira e dell' inferno, che al peccato siamo portati come da un'inclinazione naturale, che tutti in molte cose offendiamo Dio, Maestà e Bontà infinita, onde commettiamo frequentemente un male sommo, che di gran lunga eccede la comprensione che possiamo averne.
Quindi siamo spinti dallo Spirito di Dio e dalla santa Chiesa, nelle nostre più solenni orazioni, a confessarci rei e peccatori; così nella santa messa pubblicamente si prega che il gran sacrificio dell'altare ridondi a vantaggio anche a noi peccatori: prima di accostarci alla sacra mensa dichiariamo dinanzi al Cielo e alla terra di avere moltissimo peccato in pensieri, parole e opere; e tutto il giorno invochiamo la gran Madre di Dio, affinché preghi per noi peccatori. 

Ciò è tanto vero, che persino le anime innocenti e pure non possono escludersi dal numero e dalla società dei peccatori, sia perché, senza una speciale divina rivelazione - quasi a nessuno concessa - non sono certe di non esser mai cadute in colpa mortale; sia perché, se ciò è avvenuto, è stato veramente un effetto di una straordinaria misericordia di Dio, che prodigiosamente, e per pura sua grazia ha arrestato il corso alla loro malizia - altrimenti, da parte loro, sarebbero cadute, come gli altri, e forse peggio degli altri -; sia perché nessuna di loro è rimasta esente dal peccato di origine e dalla conseguente propensione ad ogni male; sia finalmente perché è certissimo che anche esse hanno commesso molte colpe veniali, a motivo delle quali, di fronte al Signore, veramente sono peccatrici. E chi di sé dicesse o pensasse altrimenti mentirebbe, come ci avvisa lo Spirito Santo per bocca di S. Giovanni: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi" (1 Gv 1,8)

Ma santo cielo! E chi potrà pensare di sé, di essere annoverato tra le anime più pure, e innocenti, che risplendono nella chiesa militante, mentre i più grandi santi, vissuti anche sempre innocentissimi, si reputavano i maggiori peccatori dei inondo? Ma, dall'altra parte, se Dio stesso ci assicura, che siamo peccatori, come potrà esser nell'uomo inizio di buona volontà e di spirito umile, se non si convince, con prontezza e facilmente, a credere al suo Dio, di esser peccatore, e non scolpisce nel suo cuore questa fondamentale verità? Se un cristiano si giudica peccatore, come è tenuto a fare, eccolo subito in necessità di credersi meritevole di vilipendio e di disprezzo. Ed infatti, che altro merita un peccatore come tale, uno che ha mancato di sottomissione e rispetto all'infinita maestà di Dio, che ha oltraggiato l'unico e sommo bene, se non disprezzo e castigo?
Vogliamo pertanto pensare che i devoti lettori della presente operetta non rimarranno offesi, se si suppone e si pretende da loro che siano ben convinti di meritare il disprezzo, e, per quanto possono, si sforzino di crederlo.

Ma prima è necessario sviluppare e far luce su ciò che si racchiude nei termini del disprezzo, e di trarre fuori una moltitudine di conseguenze poco avvertite e poco intese da buon numero di persone anche spirituali e illuminate, le quali non si arrendono del tutto all'idea di meritare il disprezzo; si tratta di verità pratiche, degne di tutta la più seria considerazione dell'uomo cristiano.
Infatti, una cognizione generale e astratta di un oggetto arduo per sé medesimo e tenuamente percepito non fa gran colpo ordinariamente nel nostro cuore, e poco giova, se non è sminuzzata, digerita, tirata fuori pezzo per pezzo dalle tenebre e applicata ai casi particolari, intorno ai quali si aggirano le umane azioni, come bene osserva l'Angelico S. Tommaso: "le considerazioni generiche in campo morale sono meno utili, perché le azioni umane sono particolari" (S. Th., II II, Prol.).
E questo appunto intendiamo intraprendere, non prima di avere invocato con tutto il cuore il potente aiuto di Dio, da cui deriva ogni bene.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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