È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!

A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

San Filippo Neri Dell'amore al proprio disprezzo

Ultimo Aggiornamento: 03/05/2015 00:51
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.989
Sesso: Femminile
03/05/2015 00:41
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota






ARTICOLO VI (I parte)

Dichiarazione dei mezzi più atti ad ottener l'amore al proprio disprezzo.


Di tal sorta di mezzi se ne propongono cinquanta, i quali, se saranno posti in esecuzione con fedeltà e con perseveranza, certamente ci disporranno a conseguir da Dio il gran dono d'amare il proprio disprezzo, e i quali contengono altresì un'eccellente pratica di tale amore.


1. Mezzo. La continua fervida e risoluta orazione per ottenere dal nostro buon Dio, che è Dio di verità e di giustizia, un amore quanto contrario e ripugnante all'inclinazione dell'uomo, altrettanto a noi profittevole e a Dio glorioso. Da una tale orazione debbono essere inseparabili primieramente la diffidenza di sé, perché se da per noi siamo impotenti a conseguire e operare un piccolo bene, fino a concepire un buon pensiero, come insegna s. Paolo, quanto più lo saremo rapporto ad un bene massimo e grandemente difficile come quello di cui si tratta? Secondariamente, la confidenza in Dio, fondata sulla di lui onnipotente bontà, grazie alla quale a lui è tutt'uno il concedere all'uomo e i minimi e i massimi beni, e sulla divina fedeltà e verità, attese le sue grandiose promesse: chiedete e vi sarà dato (Mt 7,7), tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato (Mc 11,24), e sugli infiniti meriti di Gesù, che stanno per noi, i quali non cesseremo d'allegare in nostro favore, spinti a ciò fare da Cristo medesimo: in verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà(Gv 16,23). 

Ci può servir di esemplare e modello di quest'orazione uno dei primi compagni di s. Francesco. Di lui si racconta nelle Cronache dei Minori (lib. 6 e 25) che avendo udita encomiare la stupenda umiltà di S. Francesco medesimo, per una parte sì eccellente nella perfezione, e ricolmo dei più grandi doni di Dio, e dall' altra sì umile, fino a reputarsi il maggior peccatore del mondo, si diede tutto all' orazione per ottenere anch'esso la santa umiltà, risolutissimo di non ricevere verun contento in questa vita, se non impetrava da Dio sì gran virtù. A tal fine pianse, sospirò, s' afflisse e cruciò con una perseveranza indefessa, finché un giorno udì la divina voce, che gli disse: che vuoi tu darmi, se io ti concedo la vera umiltà? Tutto tutto, o Signore, gli rispose, fino i miei occhi: e Dio allora replicò: ritienti i tuoi occhi, ed io li do l'umiltà.

2. Internarsi profondamente per via di intime e continue considerazioni, avvalorate dalla divina luce nel conoscimento del merito che abbiamo del disprezzo. Una tal cognizione è il fondamento su cui si stabilisce, e l'intrinseca radice da cui deriva in noi l'amore al disprezzo. Ben si sa, che chi vuole innalzare una gran fabbrica, è necessario che cominci da un ottimo fondamento, e chi brama di trarre abbondanti frutti da un albero, deve attendere fortissimamente a piantare la radice d'onde scaturiscono. Qui dunque, dopo l'orazione, bisogna insistere con tutto l'ardore di piantar bene e intimamente nel nostro spirito e nel cuore una vivacissima idea che veramente meritiamo il disprezzo. A tal fine molto potrà servire quello che si 'è detto nell'articolo primo, e sparsamente nel secondo, e nella terza avvertenza dell'articolo quarto. Sarà anche bene il leggere, e ben ponderare quel che ne scrive il p. Alfonso Rodriguez nel trattato terzo della seconda parte del suo Esercizio di perfezione, e il p. Pinamonti nel prezioso libretto intitolato Specchio che non inganna; e altri molti piissimi scrittori, che parlano molto bene di un tale argomento. Si avverta frattanto, che una siffatta cognizione del nostro demerito conviene rendersela sempre più fissa e abituale, e ogni giorno aumentarla e rinvigorirla con nuovi stimoli e riflessi; i quali potremo anche ritrarre da tutto ciò che succede a noi e ai nostri prossimi. E a questo proposito ci gioverà moltissimo riflettere che ogni giorno cresce in noi il merito del disprezzo, perché sempre cresce il numero dei nostri peccati, infedeltà e ingratitudini con Dio Signor nostro, essendo purtroppo vero, che ogni giorno ci facciamo rei di nuove mancanze e disgusti dati a lui, che accrescono sempre la massa delle nostre colpe e l'abuso delle divine grazie.

3. Da ciò ne segue, che dobbiamo noi reputare una stessa cosa l'avanzarci negli anni e l'avanzarci nel merito del disprezzo; il qual merito deve in se medesimo ravvisare ancora chi da Dio è stato arricchito di beni di natura e di grazia, e trovasi sollevato a dignità cospicue e dotato di doni soprannaturali; perché tutto ciò è di Dio, autore d'ogni bene, e l'uomo quanto a sé resta un niente, reo di immense ingratitudini, e di molte colpe ancora, e inchinevole ad ogni male. Anzi, in certa maniera il contrapposto dei divini doni fa maggiormente comparire la sua bassezza e la sua infedeltà e malizia, congiunta all'abuso di tante misericordie, e più gli danno motivo di doversi tenere coi capo basso e stimarsi disprezzabile. Il che gli riuscirà facilmente, se spesso si profonderà nella cognizione dell'esser suo estremamente povero dinanzi a Dio, e si farà familiare il lume del Profeta, che lo faceva esclamare: io sono l'uomo che ha provato la miseria (Lam 3,1).

4. Dopo che l'uomo si sarà adoperato di penetrare nel conoscimento della propria viltà, e nei motivi per i quali egli è meritevole del disprezzo, se vuole avanzarsi in questo cammino, deve tutto impiegarsi per concepire l'amore al proprio disprezzo, col favore dell'Onnipotente, che sinceramente implorato, non gli mancherà giammai. Quindi deve vibrare dei colpi sulla pietra del suo proprio cuore, e se non servono i primi, replicargli, raddoppiarli, rinforzargli con più ferventi preghiere, né mai stancarsi, finché non saltino fuori le scintille di questo fuoco d'amore, e alla fine compitamente s'accenda. A tal oggetto, oltre l'attenta considerazione e lettura degli articoli 3, 4 e 5 della presente operetta, gioverà il riflettere, che ogni creatura, per un certo connaturale istinto impressole dal creatore, ama nel suo modo il posto e il trattamento a sé conveniente. Così, per cagione di esempio, i sassi e tutti i corpi gravi amano di occupare il luogo più basso e al centro più accosto; e le acque per molto tempo si vedono in movimento per rintracciare il loro riposo, o in una profonda valle, o in pantano quantunque sordido e limaccioso, o nel seno del mare. Così tutti i generi di bestie amano i pascoli loro propri, sebbene vili, e le loro tane o grotte o caverne confacenti alla loro condizione, e quivi lietamente soggiornano, senza curare la bassezza e viltà di tali loro abitazioni. L'uomo altresì, se vuole operare conforme alla retta ragione e con giudizio, ama quel che conosce convenirsi al sito grado, e si vergogna di procurarsi un trattamento superiore alla sua sfera. Che se S. Filippo Neri, semplice sacerdote, amò talvolta d'occupare in pubblico nella gran Roma il posto dei cardinali, ciò appunto si mosse a fare per uno straordinario amore al proprio disprezzo, per esser quindi creduto un pazzo, o uno sfacciato e superbo, e conte tale ottenere di esserne cacciato fuori con dispetto e coli sita grandissima confusione, tra le beffe del popolo spettatore.
Fratello mio, se il nostro merito, la qualità e condizione nostra portano con sé la disistima e il vilipendio, se tale è il trattamento a noi confacente proporzionato, perché non amarlo? Perché non affezionarvi il cuore? Eh! A' fatti, a' fatti! Quindi si darà principio a produrre degli atti di questo amore, avvertendo di cominciare dai più facili e ovvi, onde a poco a poco assuefarsi con speranza di più felice riuscita in questo esercizio; se pure ad intraprendere di più, Dio non ci investisse subito di un grande spirito, da cui converrebbe lasci arsi condurre.
E si noti, che lo stesso desiderare e chiedere a Dio datore di ogni bene un tale amore deve considerarsi per un atto dello stesso amore, perché non si brama, né con premura si cerca con la sincera orazione se non quel che si ama. Il che presupposto, avremo qui un largo campo di produrre molti simili atti di amore con nostro gran vantaggio.
Di più reputeremo felici quelle anime che sono giunte al possesso d'un tale amore, e aspireremo ancor noi a partecipare della oro buona sorte.
Di qui passeremo a fervide aspirazioni, a vivissime giaculatorie, a lodi, a encomi, a commendazioni dell'abiezione e del disprezzo, al quale perciò rimireremo da qui innanzi con buon occhio, in qualità di amico e apportatore di altissimi beni, e come indiviso compagno di Gesù, che amorosamente l'accolse in seno nel suo nascere al mondo, lo seguì con impareggiabile fedeltà, in tutto il corso della sua vita mortale, e nella sua morte più che mai se lo abbracciò, se lo strinse, lo nobilitò infinitamente con una sì intima congiunzione, e ne formò in terra fino al terminarsi dei secoli il carattere dei veri servi di Dio, e di tutti gli insigni predestinati prescelti a partecipare prima delle umiliazioni e poi delle glorie del Verbo incarnato

5. Da tal divino lume rischiarati cominceremo ad umiliarci profondamente ed annichilirci dinanzi a Dio; e purché non ci disprezzi egli (il che però ci protesteremo di meritare, ma con una viva speranza che non succeda, per l'infinita bontà di Dio, per i meriti di Gesù e per l'intercessione della Santissima Vergine Maria) ci adatteremo a prendere volentieri dalla sua mano le umiliazioni che non contengono colpa e separazione da lui; sì interne, come insipidezze di spirito, tenebre, desolazioni, scarsezza di memoria, di comprensione, di abilità; sì esterne, come la povertà, la bassezza della condizione e dell'impiego, le poche forze della natura, la poca salute del corpo, e simili altre impotenze e mancanze: e reputeremo un favore singolare di Dio che egli ci baratti in queste sì piccole umiliazioni un cumulo incomprensibile di altissimi vilipendi che ci converrebbe: e soprattutto che egli, con questi tenui abbassamenti, pretenda di liberarci da un infinito ed eterno disprezzo. Facendo noi buon uso delle umiliazioni, che immediatamente da Dio ci provengono, ci disporremo grandemente ad amare il disprezzo, che dalle creature ci avviene.

6. Essere i primi noi a disprezzarci, non essendo possibile che si induca a ricever volentieri i disprezzi degli altri (il che è molto più arduo e malagevole) si comincia a disprezzarsi da sé.
Ciò in vista dei nostri gravi demeriti e dei nostri peccati si può esercitare con replicate proteste dinanzi a Dio, con confessarci rei, peccatori, ingrati, infedeli, ribelli, dissipatori delle sue grazie e del prezioso suo sangue, e ricolmi di malizia e d'empietà; purché questo si faccia sinceramente e di cuore, avvertendo che non si burla con Dio, il quale è un perfetto scrutatore dei cuori e delle più occulte intenzioni dell'uomo. Di più con rimproverarci in molte maniere, punirci, deprimerci, e con implorare sovente misericordia e perdono. Dopo di ciò, il vilipendio di noi medesimi si deve avere nel disprezzare i propri pareri, raziocini, riflessioni, desideri, geni, inclinazioni, e professare una inimicizia ed un orrore implacabile al proprio volere (Il che sempre si intende quando tutto il riferito non è veramente secondo Dio, e ciò anche ci sia manifesto; poiché in diverso caso si debbono apprezzare le nostre produzioni, ma non come nostre proprie, bensì come procedenti da Dio). Il sottometterci volentieri al giudizio, volontà, o correzione degli altri sarà anche un bell'esercizio pratico del disprezzo di se medesimo. A questo capo si riduce altresì l'esercizio dell'odio santo, indignazione e vendetta di se medesimo, cose tanto inculcateci nel Vangelo, e praticate dai Santi.

7. Detestare al sommo il carattere di disprezzatore degli altri, come più a lungo si dirà in fine. Bisogna capire che esser disprezzato dagli altri, ed esser disprezzatore degli altri, sono due cose sommamente diverse e, contrarie tra loro: la prima di queste conviene amare, la seconda abborrire. Come si è comportato Gesù? Egli fu inesplicabilmente disprezzato dagli uomini, e amò oltre ogni credere un tal trattamento; ma fu anche alienissimo dal disprezzare gli altri; anzi, ebbe tale stima ed amore per tutti, anche i più vili, ingrati, ribelli, peccatori, persino i suoi spietatissimi persecutori e nemici, che per fare acquisto di loro e salvarli, sborsò un prezzo di infinito valore, cioè tutto il divino suo sangue. Lungi lungi dunque da noi il disprezzare gli altri, a somiglianza e imitazione di Cristo; anzi dobbiamo tutti apprezzare, amare, onorare, aiutare, compatire, beneficare, e, in una parola, proceder con essi affatto al rovescio di quello che è stato indicato negli ottanta punti dei disprezzo sopra allegati: persuadendoci, che noi non ci possiamo paragonare cogli altri, e che il disprezzo non ad essi, ma a noi conviene. A questo ci gioverà assai assuefarci, qualora si tratti di noi, a fissar gli occhi sul nostro, che è difettoso e cattivo; e qualora si tratta di altri, prender di mira quel che in essi riluce di Dio, e il persuaderci, al riflesso della nostra certa ed esplorata malizia, che se essi peccano, noi posti in tutte le loro circostanze, come v. g. di un'indole al bene più restia, di minori lumi e grazie divine, d'educazione meno colta, di naturale più inclinato al male, di tentazioni più fiere, di occasioni a peccare più frequenti e più gravi, ecc., facilmente avremmo fatto anche peggio di loro; e se non cadiamo, o almeno sì gravemente, come molti di essi, è dono interamente gratuito e liberale di Dio, al quale per altro viviamo ingratissimi; per questo dobbiamo senza fine umiliare e disprezzare solo noi stessi. E qualora, nel vedere altri umiliati e disprezzati, insorgesse in noi qualche interno moto di godimento - il che è troppo facile ad avvenire, specialmente se questi fossero stati talvolta nostri disprezzatori, o avessero dato occasione ad altri di disprezzarci - dobbiamo subito, con atti contrari di dispiacere verso di essi, reprimere tali cattivi effetti della guasta nostra natura, adoperandoci ancora per quanto ci sarà possibile, per consolarli nelle loro umiliazioni e disprezzi ricevuti, e procurando che non siano da altri disprezzati. Oh che gran merito ci acquisteremo con ciò dinanzi a Dio.

8. Stabilito un così saldo fondamento, bisogna star bene attenti a quello che ci succede nelle varie vicende e occasioni, per comportarci sempre come conviene. Se si riceve del bene, per piccolo che sia, guardiamoci d'attribuirlo al nostro merito, dovendo anzi supporre di non averlo, e di esserne indegni ma bensì riferirlo principalmente alla pura misericordia di Dio, poi all'altrui carità; e quindi ne riporteremo una modesta conclusione per vederci privi di merito e useremo gratitudine a chi ci benefica: tanto più che il piccolo bene considerato in se stesso, relativamente a noi diviene grande. Se poi si riceve del male, l'ascriveremo tutto al nostro vero demerito, e lo prenderemo come a noi per Giustizia dovuto: avvezzandoci ad accettarlo con tale spirito, prima con pazienza, poi con prontezza ed amore.

9. Dopo ciò sarà bene di rassegnare liberamente, e senza alcuna riserva ed eccezione, il nostro onore nelle mani di Gesù, e di offrirsi al Signore, massimamente col consiglio di chi ci guida, pronti a ricevere il disprezzo per mano altrui, purché egli ci sostenga colla vigorosa sua grazia, perché non cadiamo sul fatto. Che se la natura comincia a fremere a tali offerte, bisogna non attenderla, né curarla, anzi reprimerla e rampognarla come irragionevole, e recalcitrante al doveroso ed al giusto: e quindi abbandonarsi con viva fiducia alla divina condotta, sperando dal Signore tutte le forze opportune.

10. Successivamente è necessario amarsi più che mai e premunirsi di coraggio e fortezza cristiana e di vigilanza indefessa per non restar sorpresi alle occasioni del disprezzo, massime quando sono improvvise, e prevalga in noi lo spirito umano; è quando arriva il tempo di esercitare davvero l'amore al disprezzo, che si deve allora abbracciare tal quale ci viene, relativamente a ciascheduno dei menzionati ottanta punti, o ad altri molti e diversi ancora, perché di tutti siamo meritevoli, essendo compresi nel merito del disprezzo.

11. In coerenza di questo, non appena ci si accosta un disprezzo, è necessario di chiudere gli occhi della carne e dell'umana ragione, ed aprir quelli della fede, ravvisando al lume di essa i nostri disprezzatori come strumenti della divina giustizia sopra di noi, prescelti da Dio fin dall'eternità in questo preciso tempo e momento, per eseguire in noi le giustissime sue ordinazioni; e come tali considerati, avremo per essi della venerazione e del rispetto; e riconoscendo il vilipendio che ci si presenta per mezzo loro come porzione del calice a noi spedito dal Padre celeste, che ci benefica nel tempo stesso che ci batte e castiga, e ci umilia per sollevarci, entreremo nei sentimenti del buon Gesù, quando cadde in potere dei suoi furibondi avversari con infinito suo vilipendio: non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato? (Gv 18,119. Quindi, con la parte superiore del nostro spirito ci sforzeremo subito di accettarlo volentieri (invocato con qualche ardente sospiro il divino aiuto), di gradirlo, di abbracciarlo come a noi conveniente, di stringercelo al seno, e racchiudercelo nelle viscere, con procurare di più, che non ce ne scappi neppure una stilla, malgrado tutta la ripugnanza della natura, e di soffocare, per quanto è possibile, i risentimenti, gli sfoghi, le esagerazioni, i discorsi e le ragioni in contrario, e molto più le impazienze, le mormorazioni, e qualunque moto della passione e della superbia. E specialmente si avverta in tali casi di non adoperare l'umano raziocinio, ma la nuda fede, e parlar molto con Dio, se non altro con gemiti e sospiri, e con esporre dinanzi a lui le angustie del nostro cuore, perché lo rinforzi; e poco o nulla parlarne cogli uomini, se non fosse per ricevere qualche spirituale aiuto e conforto da persone capaci, o per qualche vera necessità, per tale riconosciuta dinanzi a Dio.

12. Se nell'atto pratico ci vengono meno le forze della grazia, e cresce la ribellione e la ripugnanza della natura e della passione, bisogna in tal tempo imitare S. Pietro apostolo. Passeggiando egli francamente sopra le onde del mare, affidato sulla parola del Redentore, gli mancò lo spirito per la gagliardia del vento, che fuor della sua aspettazione cominciò ad infierire; e già egli cominciava ad affondarsi, quando in un tratto, ripreso fiato, esclamò:Signore, salvami! E gli venne tosto il rimedio, perché Gesù fu prontissimo a trarlo fuori dal precipizio (Mt 14,30). Comportiamoci così anche noi, quando siamo in procinto di smarrirci all'incontro di un disprezzo che eccede la nostra virtù, facciamo qualche sforzo e risalto di fervente ricorso a Dio con ardentissimo impegno e risoluzione; ravviviamo con grande energia la speranza e la fede; gettiamoci nel profondo con atti intensissimi di umiltà, che siano del tutto contrari alla passione predominante, gemiamo, sospiriamo; e vedremo scendere sopra di noi la misericordia onnipotente di Dio. E singolarmente soffochiamo sul primo nascere tutte le riflessioni favorevoli all'amor proprio, e diamo solo luogo ai dettami e alle verità rivelate da Dio, e massime a quelle che sogliono avere più forza nel nostro cuore: e ad un tal lume divino riconosciamo e confessiamo, che piccolo è il disprezzo che ci si presenta in comparazione del nostro merito, e che ogni torto sopra di noi si raddrizza, e diviene una ragione, a motivo dei nostri peccati. Beato chi, al riverbero della fede, lascia svanire i propri disprezzi! Ciò potremo facilmente ottenere se, alle occasioni che più ci colpiscono nell'onore, adopereremo la bilancia giustissima del Santuario, in cui da un lato si pongano le ingiurie o affronti contro di noi scaricati, e dall'altro il nostro vero merito, non però relativamente solo a qualche fatto o azione particolare (nel che per lo più si prende un gravissimo abbaglio dagli uomini), ma bensì per rapporto alla massa di tutti i nostri peccati, ingratitudini e infedeltà, che Dio ha diritto di punire in qualunque luogo, tempo, modo e circostanza; e se non abbiamo perduto il senno e la fede, vedremo chiaramente preponderare di molto il nostro merito ai ricevuti vilipendi, che ci compariranno piccolissimi, e cadranno affatto per terra. Oltre di questo poniamo i nostri disprezzi, che ci sembrano insostenibili, al paragone di quelli tollerati da Gesù, confrontando bene insieme il numero e la gravità e le circostanze e il merito ed il carattere personale di Gesù col nostro, e ci confonderemo e ci vergogneremo di fare un minimo conto dei nostri pretesi affronti, in faccia a quelli del nostro Dio. Se non altro saremo costretti ad esclamare con il penitente ladrone pendente dal lato di Cristo sulla croce: noi patiamo giustamente, perché riportiamo una pena ben dovuta ai nostri eccessi; ma Gesù, che male ha fatto? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male (Lc23,41).

13. Può essere a molti di gran vantaggio attendere nelle occasioni alla seguente pratica. Appena si sente l'uomo pungere e ferire da qualche ingiuria, che lo tocchi sul vivo, rientri in se medesimo; e osservata la ragione della sua amarezza, la ridurrà a uno degli ottanta capi di particolari disprezzi esposti nel secondo articolo, e rifletta alla connessione che vi è tra quell'individuale vilipendio e il disprezzo generale che certamente egli merita: e allora concluda che ben gli sta un tale oltraggio; perché meritando egli una totale umiliazione, ed essendo il presente doloroso incontro una specie d'ingiuria e di avvilimento, che pur si comprende nel generai disprezzo da noi meritato, assai bene se gli conviene, e non se gli si fa torto o ingiuria a proceder cori esso in sì fatta guisa. E ciò eseguito, applichi tosto il cuore ad amare ed accogliere di buon grado quella speciale umiliazione, che in tal momento gli presenta Iddio. Questa pratica servirà d'un grande aiuto a molti nelle congiunture singolarmente non premeditate, facendoci l'esperienza toccar con mano, elle non basta per lo più portare impresso nell'anima un buon generale principio, v. g. io merito il disprezzo; e neanche di aver nel cuore la virtuosa disposizione di amare la propria abiezione; ma è necessario di applicare e il conoscimento e l'affetto h quel caso individuale vestito delle sue più minute circostanze, con cui ci si para dinanzi; perché in tal tempo quel disprezzo così particolarizzato e modificato ci fa la guerra; e se con prontezza non si ravvisa l'oggetto dei nostro merito e del nostro amore alla umiliazione, e se il cuore non si lancia velocemente incontro a lui, l'amor proprio con vigore si risveglia, e spande dense tenebre e neri vapori sulla mente, onde non avverte e non ravvisa, almeno con vivacità e chiarezza, in quell'oggetto presente d'umiliazione, il suo merito, e l'esecuzione della divina giustizia: e da ciò avviene che il debole cuore, lungi dall'amare quei particolare disprezzo, ne concepisce dell'orrore e dell'odio. Ed ecco offesa la virtù, ecco perduta la buona occasione, ecco mettersi in movimento la superbia e l'orgoglio, con deplorabile pregiudizio della santa umiltà. Dunque una pronta e risoluta applicazione vi vuole - di tutti i generali principî - al presente caso di nostra umiliazione, grazie alla quale in un batter d'occhio si conchiuda così, o in equivalente maniera: questo che ora mi si para davanti è una specie di disprezzo, almeno quanto alla mia apprensione e alla mia arroganza; dunque mi si compete per giustizia, perché io merito ogni vilipendio; dunque mio impegno deve essere di amarlo e riceverlo di buon cuore. Ecco pertanto che io l'abbraccio e me lo stringo al seno in questo medesimo istante, e nella forma in cui Dio me lo manda: forza, mio buon Gesù, forza. Chi fa così, è come un bravo soldato che sorpreso anche all'improvviso dal nemico, impugna tosto la spada, lo investe e ne rimane vincitore. Altrimenti si comporta come un soldato vile e codardo, il quale con tutta la spada al fianco, per difetto di uso della medesima, nella presente sorpresa, cade vinto e atterrato, quando eri tempo di trionfare. Fratel mio, la prova ti farà conoscere l'importanza di questo avviso.

14. Bisogna singolarmente guardarci in tempo di disprezzi, dal formare veruna risoluzione sotto qualsivoglia pretesto, se non è evidentemente evangelica e richiesta da Dio, o d'obbedienza, o di precisa necessità, per timore che la passione in tali incontri irritata non ci inganni e rovini. Ugualmente non si deve allora prorompere in querele, doglianze e lamenti, quasi ci sia fatto torto ed ingiuria. Come può esserci vero torto ed ingiuria a chi è disprezzabile, e altro non merita che oltraggi ed affronti? Se volessimo dar luogo ai lamenti, converrebbe querelarci della piccolezza del disprezzo in paragone dei nostri falli, come era solita di praticare nelle sue vessazioni l'innocentissima ed umilissima S. Rosa di Lima; onde poco abbiamo luogo di scontare per i nostri peccati, e molto ci rimarrà da pagare, perché alla fine si ha da fare il paragone tra noi, e la divina giustizia, e peggio a dismisura ci andrà, se troppo s'indugia a farlo. Quindi in simili casi ci asterremo di far ricorso per esagerare le nostre ragioni (se ciò non è assolutamente necessario) a chi supponiamo che se la intenda col nostro amor proprio e superbia; il che anzi dovremo fare con la maggiore schiettezza e umiltà, con chi ci dica liberamente la verità, e ci dia il torto; e se si incontra taluno, che ci compatisca, o parli e si esprima in nostro favore, sarà bene che c'investiamo delle ragioni di chi ha operato contro di noi, e mettendole in buona vista più che si può, sforzandoci prima di creder noi, e poi di far credere agli altri, che i nostri disprezzatori abbiano la ragione, e noi il torto.

15. Conseguentemente al detto di sopra procureremo di non giustificarci e discolparci, quando ci sembra di essere contro la verità e giustizia offesi nell'onore, quando non siamo costretti a ciò fare, come si dirà nel seguente paragrafo. Questo è il più bello nel presente negozio, il distruttivo della superbia e dell'amor proprio, la vera abnegazione di se stesso, la compiuta imitazione di Gesù e dei grandi santi, è la strada efficace e compendiosa per giungere all'amore del disprezzo. Altrimenti operando, si soddisfa e si contenta la natura, e si nutre e si ciba, onde seguita a vivere, e sfugge la morte di se medesima, come di continuo si vede succedere. Chi ha orecchi per intendere intenda! (Mc 4,9; Lc 8,8. 14,35).

16. Si faccia questa ben giusta riflessione, che sebbene sia falso d'aver noi commessi quei falli, dei quali siamo incolpati, è però vero che si trova in noi il merito, che la gente pensi male dei fatti nostri, ed è verissimo; che per parte nostra eravamo capacissimi di cadere in quelli eccessi, che ci sono imputati, e in peggiori ancora, e gli avremmo anche effettivamente commessi se l'onnipotente divina misericordia non ce ne avesse, contro il nostro merito, scampati. Resti dunque, resti a Dio tutto l'onore e la gloria dei non esservi incorsi, e noi frattanto prendiamoci la confusione, come se in fatti ne fossimo rei, atteso singolarmente che Dio ce la manda, e gustiamocela con amore. Non può mai dirsi quanto siano efficaci per aumentare la virtù e il merito dell'eterna gloria somiglianti occasioni ben ricevute dal servo di Dio, che si astiene dal giustificarsi, e se la passa in silenzio, perché al suo Signore soltanto risalti la gloria. Ma qui si avverta, che non basta il silenzio della sola voce, avvenendo sovente, che nell'uomo taccia la lingua, ma non tacciano gli occhi, i gesti, i moti, gli atteggiamenti, il contegno del volto e di tutta la persona. No, non sia così, ma colla lingua tutto l'esteriore del servo di Dio s'accordi a tacere, onde non trasparisca al di fuori, qualora ci sembri d'essere contro la verità e la giustizia aggravati, che abbiamo ragione e crediamo di averla: anzi si deve di più praticare in simili casi un silenzio interiore, che consiste nel distogliere la mente dalla veduta e ponderazione delle nostre ragioni, e dal non attendervi; e così farne un regalo al Crocifisso: e, invece di quelle che sono in favore dell'amor proprio, riflettere col lume di Dio alle inconfutabili ragioni, per cui siamo dinanzi all'Altissimo convinti di meritare il disprezzo. Quindi vedremo, che le nostre ragioni si convertono in torti, se pretendiamo di scansare gli obbrobri.

17. Per impegnarci al fin qui esposto silenzio, lasciate a parte le nostre ragioni, ha una forza incredibile l'esempio dì Gesù Cristo, che tralasciò di giustificarsi, mentre si trovò caricato ed oppresso dalle più orribili imposture e calunnie. Ma qui è da considerarsi, che le falsità e le calunnie contro Gesù furono, come abominevoli sudiciumi, apposte ad un oggetto infinitamente rispettabile, di infinito e immenso pregio e purezza; e perciò infinitamente disdicevoli e ripugnanti al di lui merito ed eccellenza: laddove le falsità contro di noi sono a guisa di macchie apposte ad un oggetto vile per se medesimo, e già tutto ricolmo per altra parte di sordidezze e sozzure, e perciò da non farne caso, né che se ne parli. Nella guisa e proporzione, che una deforme macchia disconviene assai ove cada sulle vestimenta preziose di un re o di una regina; ma quella stessa macchia (e molto più se è di gran lunga minore) non si valuta nello straccio di un misero carbonaio o di un abbietto mendico. Or contro Gesù, splendore purissimo della gloria del divino suo Padre, e sostanziale immagine della sua infinita bellezza, si scaricarono le più nere calunnie e abominazioni, ed egli le sopportò senza discolparsi fino a comparire di fronte a tutti ricoperto da capo ai piedi delle più infami lordure, e frattanto non aprì la sua bocca (Is53,7). E noi, vilissime creature in faccia del sì disonorato Signore che se li passa in silenzio, non potremo tollerare un minimo sfregio sulla nostra reputazione, e penseremo tosto a scuoterlo e dissiparlo con ardente vivvezza? E non è questo un diportarsi come se noi, e non Gesù, fossimo un oggetto d'altissimo pregio, d'ineffabile purità ed innocenza, e perciò meritevoli d'un sommo riguardo? Ed è possibile, che un amante del Crocifisso non si riempia di confusione e vergogna a quest'occhiata, e non si trovi impegnato a sorbir cheto cheto unitamente con il suo Gesù il calice delle ignominie? Anime cristiane, aprite gli occhi, e penetrate la forza di questo stranissimo ed impercettibile contrapposto. Tace Gesù, e volete parlar voi? Soffre in silenzio le più atroci calunnie e la intera perdita dell'onore chi ha infinita ragione di difendersi e farsi valere, e in vista di lui niente niente vorrà soffrire chi dinanzi a Dio ha già perduto l'onore, e per tanti capi e motivi merita il disprezzo? Dov'è l'imitazione del Crocifisso? Dov'è il rispetto a Dio stesso dovuto?

18. Ma per ben conformarsi al divino esemplare crocifisso sul monte Calvario, è necessario, che chi riceve le ingiurie, e a torto è aggravato e messo in discredito, non si contenti di tutto questo, se aspira alla vera umiltà: conviene di più che si comporti in maniera che il suo silenzio nelle imposture, la sua mansuetudine, il buon viso, l'amore, la beneficenza verso i propri oltraggiatori non compaiano, per quanto è possibile, come atti di umiltà e di affetto alla propria abiezione, perché in tal guisa, non si otterrebbe il bramato fine; e invece dell'umiltà, crescerebbe in noi una fina superbia: dal che Dio ci guardi. Bisogna dunque usare un tal contegno nell'esteriore che, ingiuriati, vilipesi, scherniti, motteggiati, derisi, ecc., gravati con false imposture, mostriamo di non accorgercene per balordaggine e cortezza d'intendimento, e di non sentire gli affronti, imitando il santo re David che, oltraggiato da più persone, poteva dire francamente di sé: io, come un sordo, non ascoltoÖ sono come un uomo che non sente e non risponde. (Sal 38 (37), 14-15); oppure diamo luogo di credere, con accettare la confusione, che in verità ci riconosciamo aggravati di quelle macchie ed eccessi che ci vengono apposti, che per mancanza di ragioni ci troviamo impegnati a chinare la fronte, a tacere, a soffrire, più per necessità che per elezione, più per debolezza di spirito e di coraggio che per virtù, più per impotenza di mostrare la nostra illibatezza che per esercizio di merito, più per non incontrare un più obbrobrioso trattamento che per assomigliarsi a Gesù. Beato chi sa regolarsi così alle occasioni! E più ancora beato chi passa innanzi, e in certi casi molto umilianti, invece di discolparsi dalle falsità, sa manifestare, con destrezza e disinvoltura, qualche suo vero difetto, onde il disprezzo si accresca e ci ferisca anche sul vero! Gran virtù, gran merito sarebbe questo per noi! Insomma, non si deve mai perder di vista, né allontanare dal nostro cuore il bellissimo avviso di S. Bernardo, secondo il quale il vero umile deve aspirare, e tutto adoperarsi a comparir vile e disprezzabile; non umile e amatore del disprezzo: il che vi è tutto il luogo di esercitare negli incontri sinistri, fin qui riferiti. A questo capo appartiene, che se come ignoranti e smemorati siamo da altri istruiti, non mostriamo di sapere quello che ci viene insegnato; e, come viziosi corretti, rampognati, avviliti, non ci curiamo di esser creduti innocenti e di specchiati costumi.

 





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 00:16. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com