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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Cardinale Giacomo Biffi omelie, discorsi e libri

Ultimo Aggiornamento: 02/07/2017 09:00
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  OMELIA IN OCCASIONE DELLA "PASQUA DEGLI UNIVERSITARI"

Martedì, 23 marzo 1999, ore 18,30, Cattedrale di San Pietro

Il titolo di "maestro" nei Vangeli viene dato a Gesù con molta frequenza, anche da chi, più che delle illuminazioni, a lui chiede dei benefici. Gesù non ha alcuna riserva verso questo titolo e lo accetta come dovuto: "Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono" (Gv 13,13). Anzi se lo rivendica in modo esclusivo: "Uno solo è il vostro maestro, il Cristo"(Mt 23,10).

Cristo è l'unico maestro prima di tutto per una ragione oggettiva: perché in lui si compendia il disegno eterno del Padre. Poi perché di questo disegno è il grande rivelatore.

Andando dunque alla sua scuola e meditando su tutto ciò che ha fatto e su tutto ciò che ha detto, noi cresciamo nella comprensione del "mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi" (Col 1,26); e possiamo "conoscere l'amore di Cristo, che sorpassa ogni conoscenza" (Ef 1,19).

Avere a disposizione un maestro come il Signore Gesù è una fortuna di cui dobbiamo renderci conto, e una ragione di gioia, che non va mai dimenticata. Noi troviamo qui il fondamento delle nostre rasserenanti certezze, che, in mezzo al pullulare dei dubbi e delle insipienze, ci consentono di continuare a vivere da creature razionali.

"Uno solo è il vostro maestro": non ci sono altri maestri che siano veramente tali.

Tutti gli altri insegnamenti o non conducono alla verità (e dunque non sono autentici insegnamenti) o conducono a verità esistenzialmente irrilevanti o, in ultima analisi, derivano la loro autorevolezza, magari inconsciamente, da lui. E questa unicità di magistero ci salva dalla "dissensio sententiarum", cioè dalla contrastante e disorientante varietà delle opinioni correnti.

Questo è il maestro mandato proprio per noi, per farci uscire dallo scoraggiamento e dall'avvilimento che spesso insidiano i ricercatori della vera conoscenza, costretti a vivere immersi in una cultura scettica che sembra impegnata soprattutto ad annunciare il vuoto e l'assurdo. E questo ci scampa dalla "desperatio inveniendi verum".

Ma non basta avere il Maestro giusto. Bisogna anche andare alla sua scuola. "Ascoltatelo!" (cfr Mt 12,5), ci dice la voce del padre. Mettersi in posizione di ascolto davanti a Gesù è ciò che ci proponiamo di fare in questi giorni, ed è ciò che vogliamo fare  con più impegno, più assiduamente, più a lungo  nella nostra vita.

Che cosa ci insegna Cristo? Ci insegna tutto, tanto che, dopo la sua venuta nel mondo, la rivelazione di Dio si è conclusa, si è conclusa non per un'arbitraria volontà del Padre che ha deciso di ammutolirsi, ma perché, avendo mandato il figlio nel quale l'intero suo disegno si compendia, non aveva più niente da dirci per questo ordine di provvidenza.

Se però ci domandiamo: quali sono gli argomenti che più insistentemente di ogni altro sono presenti nei discorsi del Signore Gesù, non ci sono dubbi: sono il Padre e il Regno. Non c'è pagina di Vangelo dove l'uno o l'altro o tutti e due non facciano capolino.

Ci limitiamo qui a raccogliere solo l'insegnamento sul Padre.

Il Padre.

Dalla prima sua parola che ci è stata riferita ("Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" Lc 2,49) fino alla suprema offerta della croce ("Padre nelle tue mani consegno il mio spirito" Lc 23 46) Gesù parla continuamente di Dio e a Dio sempre qualificandolo "Padre". Questa è l'esperienza gioiosa fondamentale della sua vita interiore di uomo il vertice della sua conoscenza creata: "Io ti ho conosciuto" (Gv 17,25). Ed egli è anche ben consapevole che la sua è un esperienza unica e una conoscenza imparagonabile: "Nessuno conosce il Padre se non il Figlio" (Mt 11,27).

Da questa intuizione primigenia  l'intuizione, cioè, che Dio ci è Padre - deduce la possibilità per l'uomo di guardare il mondo e di affrontare la vita senza affanni e con inalterabile serenità (cfr Mt 6,25-34). Dalla paternità di Dio nasce il convincimento della inesauribile propensione al perdono, propria del Creatore, che lo rende sempre pronto ad abbracciare i figli sviati che ritornano a lui pentiti, qualunque cosa abbiano fatto (cfr la parabola del Figlio prodigo, Lc 15,11-32).

E Gesù riesce a parlare in termini così appassionati e persuasivi del Padre, perché il Padre è il suo più assiduo e ricercato interlocutore, al quale riserva uno spazio esclusivo anche nei suoi giorni più affaccendati.

Questo insegnamento di Gesù rimane di spiccata attualità. Anche oggi la questione prima e più decisiva per l'umanità è quella di riscoprire la Paternità di Dio.

Di solito si dice  - e c'è moltissima verità in questa affermazione - che la difficoltà più grave è di accettare la Chiesa: Cristo sì, Chiesa no, sarebbe la posizione di molti.

A un secondo livello, si nota - e anche qui c'è molto di vero - che è più facile trovare chi crede in Dio, che non trovare chi crede in Gesù di Nazaret e nella verità assoluta del suo Vangelo.

Io però non ho mai trovato nessuno, almeno nella popolazione di tradizione cattolica, che, rifiutando la Chiesa, poi accolga Gesù Cristo per quello che è; cioè come Figlio di Dio fatto uomo, crocifisso, risorto, oggi vivo. E non ho mai trovato nessuno che, rifiutando Cristo nella sua verità creda poi nel Padre; cioè, non in un Dio indifferente e lontano, ma nel Dio che c'è, che interviene nella nostra vicenda, che decide lui che cosa è bene e che cosa è male, che è offeso nel suo amore dalle nostre colpe, che ci ha assegnato come destino la sua stessa casa. Mi sono fatto perciò l'idea che la cosa più ardua e più necessaria per l'uomo di oggi è appunto quella di ritrovare il Padre. Chi arriva al Padre, presto o tardi arriva a colui che il Padre ha inviato per la nostra salvezza, e chi arriva a Cristo Dio e Salvatore, presto o tardi arriva a capire la bellezza della sua Chiesa.

Per una umanità "fraterna"

Solo ritrovando il Padre (e poi accogliendo il suo progetto centrato sulla croce) si può accettare il mondo stravolto e crudele in cui ci è capitato di vivere.

Il mondo - che pure, se correttamente esaminato sotto il profilo filosofico rimanda necessariamente a un Creatore - troppe volte ci appare come una smentita all'esistenza di Dio, se è guardato nelle sue condizioni esistenziali.

Solo la fede che il Creatore è anche un Padre e ha sull'uomo un suo disegno incomprensibile e strano, ma in ogni caso ispirato dall'amore,  un disegno in cui c'è posto per il peccato, per il dolore, per la sofferenza redentrice del Figlio di Dio, per il mistero della croce, riesce a farmi riconnettere il mondo alla sua Causa prima e a farmi ritenere che esso non sia un'assurdità. E dunque solo l'idea del Padre mi consente di convincermi che esiste una superiore ragionevolezza, cioè mi consente di esistere da uomo.

Va detto inoltre che solo ritrovando il Padre gli uomini possono sperare di convivere senza che il loro egoismo porti l'umanità all'autodistruzione.

Solovëv ha scritto da qualche parte che tutti i socialismi del suo secolo erano basati su questo curioso sillogismo: tutti gli uomini derivano dalla scimmia, dunque dobbiamo amarci tutti come fratelli. Credo che il giudizio di Solovëv colpisca nel segno: dalla fine del secolo XVIII è in atto il tentativo di salvare e attuare la conclusione cristiana, sostituendo alle premesse cristiane delle premesse scientiste. Il secolo XX - che è stato il secolo dei più vasti e ripetuti massacri tra gli uomini e delle società politiche più disumane - si è tragicamente incaricato del compito di dimostrare che il ragionamento non sta in piedi.

Se vogliamo vivere da fratelli e salvarci, dobbiamo ripartire dal Padre. E questo vale anche per la nostra vita spirituale. Gesù ci insegna che la prima, la più alta, la più necessaria delle devozioni è la devozione al Padre. Il senso di Dio e della sua paternità non può mai essere sottinteso nella nostra vita religiosa, ma deve offrire la premessa esplicita per ogni altro impegno e per ogni altro amore.





OMELIA NELLA SOLENNITÁ DEL CORPUS DOMINI
Giovedì 3 giugno 1999, ore 21.15, Sagrato Basilica S.Petronio

La celebrazione di questa sera, il nostro camminare pensoso e lieto per le strade della città che si sono fatte assorte e quasi oranti con noi, il nostro sostare in preghiera, ci aiutano a riscoprire la forza sempre giovane ed efficace dell'eucaristia: l'attualità cioè di una "parola" che è luce di verità ed energia di grazia: di una "parola" che è anche avvenimento salvifico; di una "parola" che è soprattutto una "persona": una "persona" totalmente donata - con la sua "carne" e col suo "sangue" - per la vita del mondo (cf Gv 6,51).

"Le parole che io vi dico sono spirito e vita" (Gv 6,64), afferma Gesù. Come a dire: voi ascoltate ogni giorno parole vane e talvolta addirittura parole mortifere; dalle mie parole invece potete attingere un nutrimento autentico e sostanziale.

Terribile è nelle parole umane la capacità di illudere, di ricamare sogni fascinosi sulla tela del nulla, di erigere castelli in aria che alla luce della verità e al maturare dell'esperienza si dissolvono come nebbia al sole, lasciando il cuore deluso e amareggiato.

Terribile è il maleficio di certe parole sordide e avvilenti, le quali, anche quando sono udite incolpevolmente, lasciano nell'uomo l'impressione di essere stato contaminato.

Terribile è il condizionamento e perfino il plagio di certi slogan e di certe frasi ossessivamente martellate, che non esprimono neanche un briciolo di ragionamento o di saggezza.

Ma noi, che crediamo nell'eucaristia, siamo alla scuola della Parola vivente, parola divina e rivestita di accenti umani, parola eterna ed echeggiata per nostra fortuna nel tempo. Infondendoci "spirito e vita", essa ci fa uomini liberi, ci sottrae alla schiavitù del linguaggio falso e alienante, ci ridona la nostra nativa attitudine a valutare, a scegliere , a decidere.

Questa è parola che mantiene ogni sua promessa, che non delude mai, che consola gli animi feriti dai giudizi degli altri; giudizi spesso senza comprensione e impietosi.

Essa risuona in tutta la sua potenza trasformante, quando l'ascoltiamo in silenzio e ci disponiamo ad aprirci con docilità al suo magistero.

Ogni custodito raccoglimento interiore può favorire questa emozionante comunione con il Verbo del Padre. Ma la condizione più propizia a questa vitale attenzione della mente e del cuore ci è offerta dal silenzio adorante, di cui circondiamo la presenza eucaristica. Sembra una presenza muta, ed è in realtà la più eloquente, perché ci pone a contatto non solo con l'insegnamento salvifico, ma anche con lo stesso nostro Salvatore e Maestro.

Anche le pagine del Libro sacro - non dissimili in di apparenza da quelle inerti tutti gli altri libri - quando sono lette al cospetto del mistero eucaristico, risplendono e si infiammano per opera dello Spirito, che l'Ospite dei nostri altari e dei nostri tabernacoli effonde dalla sua pienezza su chi gli è davanti in ascolto intento e affettuoso.

*** *** ***

La Parola vivente del Padre, presente nell'eucaristia , va accolta e assaporata nel segreto dell'anima. Però non possiamo mai dimenticare che essa ci è data "per la vita del mondo". Il silenzio adorante è quindi la premessa e il continuo alimento dell'annuncio, dell'ansia evangelizzatrice, della testimonianza esistenziale.

Mai come oggi l'umanità aspira alla "vita"; e mai come oggi la insidia e sembra quasi disistimarla.

L'età media si prolunga sempre più, si combatte la morte con interventi chirurgici prodigiosi, la cura della buona forma e della salute è diventata una specie di religione ossessiva. Ma tutto ciò è contrastato e quasi smentito dall'imperversare delle guerre, dalle stragi ideologiche, dagli attentati fanatici e vili, dalle vergognose leggi contro le creature umane che ancora non hanno visto la luce, dall'incoscienza con cui spesso si circola sulle nostre strade.

Anche la diffusione della droga e la ridicola sessuomania che domina la cultura del nostro tempo danno il loro contributo a una incomprensibile autodistruzione dell'uomo.

Questo spettacolo desolante - che ci preoccupa e ci addolora - dà certo una pena infinita anche al cuore di Cristo. Egli però non ci abbandona, non ci abbandona mai quali che siano le nostre prevaricazioni e le nostre insipienze. Il mistero dell'eucaristia - che lo mantiene veramente, realmente, corporalmente presente in mezzo a noi - è il segno più convincente della fedeltà del Signore Gesù alla famiglia dei figli di Adamo, che è anche sua.

Egli non è venuto per giudicare e condannare il mondo, ma per salvarlo (cf Gv 12,47). E del Suo "Corpo dato" e del Suo "Sangue versato" ha fatto la sorgente inesauribile di una vitalità nuova che, contro la vecchiezza ripetitiva e monotona delle trasgressioni umane, mantiene desto nella nostra coscienza l'ideale di una convivenza più giusta, più illuminata, più libera, più fraterna.

Sotto i veli conviviali del pane e del vino, la Parola di Dio si è fatta per noi cibo e bevanda; e noi, che di essa ci nutriamo, dobbiamo diventare viventi parole di Dio per i nostri contemporanei.

L'Eucaristia, assimilata nella fede e nell'amore operoso, faccia allora di ciascuno di noi un annuncio di verità, di speranza, di gioia per ogni uomo che incontriamo sul nostro cammino.



[Modificato da Caterina63 21/05/2015 15:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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