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Cardinale Giacomo Biffi omelie, discorsi e libri

Ultimo Aggiornamento: 02/07/2017 09:00
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11/07/2015 18:19
 
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Cardinale Biffi: “Col ‘dialogo’ ad ogni costo i cattolici stanno preparando la propria estinzione”


 


 


 


“Dobbiamo salvare l’identità della Nazione dall’annichilimento dei più alti valori della nostra civiltà (…) 
Io non ho nessuna paura dell’Islam, ho paura della straordinaria imprevidenza dei responsabili della nostra vita pubblica. Ho paura dell’inconsistenza dei nostri opinionisti. (…) 
Sorprendente che gli opinionisti laici non si accorgano di questi pericoli. (…) 
Ho paura soprattutto dell’insipienza di molti cattolici. (…) 
I cristiani devono piantarla di dire che bisogna andare d’accordo con tutte le idee. (…) 
Il mio compito è di evangelizzare i musulmani. È un gravissimo errore rinunciare all’evangelizzazione. (…)

 

“Oggi è in atto una delle più gravi e ampie aggressioni al cristianesimo che la storia ricordi. Tutta l’eredità del Vangelo viene progressivamente ripudiata dalle legislazioni, irrisa dai ‘signori dell’opinione’, scalzata dalle coscienze specialmente giovanili. Di tale ostilità, a volta violenta a volte subdola, non abbiamo ragione di stupirci né di aver troppa paura, dal momento che il Signore ce l’ha ripetutamente preannunciato: ‘Non meravigliatevi se il mondo vi odia’. Ci si può meravigliare invece degli uomini di Chiesa che non sanno o vogliono prenderne atto. (…)

 

“L’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la ‘cultura del niente’, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale.

 

“Questa cultura del niente non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà. Solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.

 

“Purtroppo né i ‘laici’ né i ‘cattolici’ pare si siano resi conto del dramma che si sta profilando. I ‘laici’, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità. I ‘cattolici’, lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta, e sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice ‘dialogo’ ad ogni costo, inconsciamente preparano la propria estinzione”.

 

(Giacomo card. Biffi, Lettera pastorale “La città di S. Petronio nel terzo millennio”, ottobre 2000)





Ricordiamo il card. Giacomo Biffi con uno dei suoi scritti

 

Vidi salire dal mare una bestia” (Ap 13,1)

L’ottimismo è di rigore.

Una delle mode culturali più curiose invalse nella cristianità in questi decenni interdice a chi si accinge a stilare un documento o proporre una riflessione sulla odierna condizione umana e sui tempi presenti di iniziare dai rilievi “negativi”: è d’obbligo partire da una rassegna dei dati improntata a un robusto ottimismo; bisogna sempre collocare in capo a tutto un esame della realtà che non tralasci di mettere in giusta luce i valori, la sostanziale santità, la “positività prevalente”.

Qualche volta mi sorprendo a immaginare, per mio personale divertimento, come sarebbe stata la lettera ai Romani se, invece che da quell’uomo difficile e sdegnoso che era l’apostolo Paolo, fosse stata stesa da qualche commissione ecclesiale o da qualche gruppo di lavoro dei nostri giorni.
 
L’epistola avrebbe cominciato a notare nel primo capitolo col dovuto risalto tutte le ricchezze spirituali e culturali espresse dal mondo pagano: le altezze sublimi raggiunte dalla filosofia greca; la sete del trascendente e il naturale senso religioso rivelati dalla molteplicità dei culti mediterranei; gli esempi di onestà morale, di correttezza civica, di abnegazione disinteressata, offerte dalle vicende edificanti della storia romana che una volta si insegnavano al ginnasio. Senza dubbio se la litanìa immisericorde dei vizi e delle aberrazioni mondane contenuta nell’attuale pagina ispirata, fosse suggerita oggi come contributo al testo da qualche incauto collaboratore, susciterebbe una concorde indignazione. E in realtà il giudizio di Paolo suona alle nostre orecchie insopportabilmente sgradevole: per lui gli uomini senza Cristo sono “colmi di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia” (Rm 1,29-31).
Messi in bella evidenza i pregi del paganesimo, la nuova lettera ai Romani passerebbe poi a esaltare le prerogative dell’ebraismo e la funzione già incoattivamente salvifica della Legge mosaica, della circoncisione, delle prescrizioni rituali.

Infine, arrivata al capitolo quinto, chiarirebbe che l’opera di Adamo non è stata poi così nefasta come una volta si diceva, dal momento che la creazione resta in se stessa buona; anzi in quanto è uscita dalle mani di Dio non può non essere già santa e sacra, senza che siano necessarie altre sopravvenienti consacrazioni.

Certo, a questo punto il discorso su Gesù Cristo, la sua redenzione, il suo intervento indispensabile per il riscatto dell’umanità dall’ingiustizia, dal peccato, dalla morte, dalla catastrofe, diventerebbe meno incisivo e convincente di quanto non sia nella prosa scabra e drammatica di Paolo; ma non si può avere tutto.
 
Non è che i ragionamenti qui giocosamente ipotizzati siano del tutto erronei in se stessi. Al contrario, contengono molta verità e vanno doverosamente compiuti, ma non come primo approccio alla realtà delle cose. Da essi non si può partire; ad essi si può solo approdare al termine di un lungo pellegrinaggio ideale: soltanto dopo che la visione della spaventosa miseria dell’uomo ci avrà aperto la mente e il cuore a desiderare e a capire la sospirata salvezza di Cristo, ci sarà consentito di apprezzare tutto quanto di bello, di giusto, di vero, riluce già nella notte del mondo, come riverbero del Redentore, che è la verità, la giustizia, la bellezza rese persona e divenute percepibili in un volto d’uomo.
 
Ogni autore cristiano ha sempre avviato il suo canto da un’ode tragica sull’umano destino per arrivare all’inno di vittoria e di gratitudine al Figlio di Dio crocifisso e risorto, unica nostra speranza, che solo ci ha ottenuto la salvezza.
 
L’uomo, che voglia celebrare veramente la propria grandezza, non può che principiare da un “epicèdio”, cioè da una lamentazione sullo stato di morte che enigmaticamente dall’inizio ha colpito l’universo e lo serra ancora in una morsa ineludibile.
 
Il fondamento dell’ottimismo cristiano non può essere la volontà di tener chiusi gli occhi. Bisogna per prima cosa guardare in faccia alla “Bestia” e renderci conto di quanto siano aguzzi i suoi denti e terrificanti i suoi artigli, se si vuole onorare e amare il “Cavaliere”, e si desidera capire davvero quale dono sia la nostra liberazione e la felicità che ci è stata assegnata in sorte.

(Giacomo Biffi “La Bella, la Bestia e il Cavaliere. Saggio di teologia inattuale.” JACA BOOK 1984)





Morto il card. Biffi. Il Papa: amò tenacemente la Chiesa

Il cardinale Giacomo Biffi - ANSA

Il cardinale Giacomo Biffi - 

11/07/2015 

Un vescovo che “ha servito con gioia e sapienza il Vangelo e ha amato tenacemente la Chiesa”. Papa Francesco ricorda così, in un telegramma di cordoglio, la scomparsa del cardinale emerito di Bologna, Giacomo Biffi, spentosi la notte scorsa, nella clinica felsinea dove era ricoverato da tempo, all’età di 87 anni. Per circa vent’anni – dal 1984 al 2003 – fu capo dell’arcidiocesi di Bologna come “guida sollecita e saggia”, scrive Francesco, che ne ricorda “l’instancabile servizio” alla “formazione umana e cristiana di intere generazioni”, sottolineando in particolare il “linguaggio diretto e attuale” col quale il porporato si poneva “al servizio della parola di Dio”. I funerali del cardinale Biffi saranno celebrati martedì mattina a Bologna nella cattedrale di San Pietro alle 10.30, presieduti dal cardinale arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra. Il servizio di Luca Tentori da Radio Vaticana:

"Si può allora anche dire che tutte le religioni hanno del buono e che tra esse si può scegliere a proprio gusto come si sceglie un libro da leggere o una musica da ascoltare. Si può dire, purchè non ci si dimentichi che il cristianesimo è un’altra cosa. Il cristianesimo è un fatto e i fatti non si scelgono, i fatti sono”.

Parole decise di un insegnamento chiaro e forte. Correva l’anno 1995 quando il cardinale Giacomo Biffi le rivolse ai giovani della sua città d’adozione: Bologna. A 87 anni, l’arcivescovo emerito del capoluogo emiliano, è morto questa notte in una casa di cura. Milanese, o meglio ambrosiano, è stato una figura di spicco dell’episcopato italiano negli anni ‘80 e ‘90. Era nato il 13 giugno del 1928, un dono di Sant’Antonio di Padova alla sua famiglia, come amava ricordare. Ordinato sacerdote per le mani del cardinal Ildefonso Schuster nel 1950 fu insegnante di teologia, parroco a Milano e ausiliare della diocesi meneghina fino al 1984 quando fu nominato arcivescovo di Bologna. Dopo le reticenze iniziali per l’incarico si innamorò presto della sua nuova Chiesa e decise di rimanervi a trascorrere gli ultimi anni della sua vita anche quando terminò il suo servizio pastorale nel 2003 per raggiunti limiti di età. Il suo pensiero di teologo e pastore non passava indifferente negli ambienti ecclesiali e della società Nel 1989 e nel 2007 ha predicato gli esercizi spirituali di quaresima a San Giovanni Paolo II a Benedetto XVI:

“Tre cose noi non dobbiamo dimenticare: la prima è che non siamo degli innocenti, siamo dei salvati. La seconda cosa è che possiamo ancora cadere. Ma noi sappiamo che il Signore è fedele e che vuol darci come dono quella perseveranza che non è nelle possibilità dell’uomo che confida in se stesso. La terza cosa è che di fronte alla debolezza e alle cadute dei nostri fratelli dobbiamo avvertire una specie di corresponsabilità che ci porti a condolerci con loro e talvolta anche a soffrire al loro posto. Al tempo stesso dobbiamo sentirci investiti e assimilati dall’onda della divina pietà, in modo da diventare nei confronti di chi sbaglia raffigurazione della misericordia del Signore”.

Ironico, pungente e schietto preferiva la sintesi alle frammentazioni del sapere e del pensiero teologico. Definì la sua Bologna “sazia e disperata”, organizzò nel 1997 il Congresso eucaristico nazionale a cui partecipò Giovanni Paolo II, rilesse le avventure di Pinocchio, era innamorato di Sant’Ambrogio e in uno dei suoi ultimi libri si definì un “italiano cardinale”. Difficile raccogliere in poche battute il suo impegno e il suo pensiero. Chiara la sua fede escatologica e il suo deciso cristocentrismo.

“La notte sta calando sulle illusioni umane. Essi non sanno o hanno dimenticato che il Signore è veramente risorto ed è con noi vivo e attivo tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Fateglielo sapere voi! Se vi impegnate in questo spenderete bene la vostra unica vita”.






Il cardinale Biffi
 

Alle 2:30 dell'11 luglio è morto il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna e una delle figure più rappresentative della Chiesa italiana. Il 13 giugno scorso aveva festeggiato l’87° compleanno. Da mesi era ricoverato nella Clinica Toniolo di Bologna per seri problemi al sistema circolatorio. Gli ultimi tre anni e mezzo lo hanno consumato fisicamente e purificato spiritualmente, li ha vissuti con grande serenità e fede incrollabile.

di Luigi Negri e Giorgio Maria Carbone



- UN CARDINALE DALLA FEDE INCROLLABILE
di Giorgio Maria Carbone
Due mesi fa padre Giuseppe Barzaghi gli chiese cosa lo rendesse così sereno. Il card. Biffi gli rispose: «La considerazione dell’unitotalità che ho imparato leggendo i teologi russi e in particolare Solov’ëv», la considerazione che tutto è integralmente e simultaneamente presente allo sguardo di misericordia di Dio, 

tutto, proprio tutto e quindi anche tutto l’arco della nostra esistenza e nulla di buono va smarrito nello sguardo divino.

È stato un maestro nella fede fino alla fine. Per amore di sinteticità – che lo stesso cardinale apprezzava – riduco a due punti il patrimonio inestimabile che ci ha lasciato in eredità.

1) La convinzione che il cristianesimo primariamente e per sé non è una religione – cioè un insieme di riti e di precetti che ci mettono in relazione con Dio – ma è piuttosto un fatto, il fatto di Gesù Cristo, che è il Verbo incarnato che ha vissuto in mezzo a noi, è morto, è risorto e ora vive nella gloria. Questo è un evento che è accaduto storicamente duemila anni fa e che accade tuttora grazie alla mediazione della Chiesa e dei sacramenti. Perciò essendo un fatto, il cristianesimo non può essere paragonato a nessun tipo di religione. Ed essendo un fatto, chiede a noi di prenderne atto e di comportarci di conseguenza, cioè seguire Cristo che è l’autore e il principe della vita e della gloria.

2) A proposito dell’articolato tema dell’immigrazione il cardinale era intervenuto più volte pubblicamente e aveva sempre distinto vari livelli di analisi. Alla Chiesa e ai credenti compete la pratica della carità e dell’apostolato verso tutti, credenti e non credenti: da ciò deriva l’impegno della Caritas e dell’annuncio di Gesù. Alla Repubblica Italiana compete il discernimento sulle persone degli immigrati e la gestione dei cosiddetti flussi tenendo conto di un semplice dato fattuale: l’Italia non è una landa deserta e desolata, ma ha una sua identità, una sua precisa e invidiabile cultura e quindi è ragionevole sostenere che se chi ci governa avesse a cuore la futura pacifica convivenza delle genti nella nostra penisola dovrebbe sempre considerare la volontà reale e concreta dell’immigrato di integrarsi nella cultura italiana. E infine agli immigrati competono tutti i diritti umani, ma mai il diritto di invasione.

Il Cardinal Biffi nella sua schietta concretezza meneghina ha ricondotto tutto ai fatti, perché come lui stesso diceva i fatti una volta accaduti nessuno li può più cambiare, neanche Dio, che è Amore onnipotente.






 - UNA VITA "CRISTOCENTRICA"
di Luigi Negri
Il cardinale Biffi è stato senz'altro una grande intelligenza teologica, una delle più profonde e delle più vaste dell’ultimo secolo, raccolta attorno al grande tema di cui egli fu l’ispiratore, ovvero quello del “Cristocentrismo” assoluto, la centralità assoluta di Cristo come redentore dell’uomo e del mondo, centro del cosmo e della storia.


Raccolgo tutti i sentimenti, e tutti i pensieri che sorgono al ricordo del cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna. Un «italiano cardinale», come disse in quel gigantesco volume di memorie che diventa una lettura obbligata per chi voglia capire qualche cosa di questo nostro «disgraziato paese», come diceva Renzo del ducato di Milano. 

Il cardinale Biffi ha raccolto la più grande tradizione intellettuale e morale dello spirito e della storia ambrosiana. Una grande intelligenza teologica, una delle più profonde e delle più vaste dell’ultimo secolo, raccolta attorno al grande tema di cui egli fu l’ispiratore, ovvero quello del “Cristocentrismo” assoluto, la centralità assoluta di Cristo come redentore dell’uomo e del mondo, centro del cosmo e della storia. Da questa conoscenza di quell’unicum irriducibile e imparagonabile con qualsiasi altra formulazione di carattere religioso filosofico, sgorgava una visione ampia e concreta della realtà, quell’ampiezza del pensare cristiano a cui ritornava spesso recuperando la grande lezione di sant’Ambrogio e di san Tommaso d’Aquino.

I grandi temi della dogmatica cattolica fino a quelle pagine straordinarie sull’escatologia; quell’indagare ripetutamente sul mistero della Santa Chiesa esplorato secondo connotazioni e aspetti complementari; e poi la passione per la società, per il popolo e per la società. Quella visione della vita sociale che solo se è illuminata dall’esperienza della fede e animata dalla testimonianza dei cristiani può sfuggire alla tentazione di assolutizzarsi, cioè di diventare fonte di dominio sull’uomo, sulla sua verità.

Il cardinal Biffi ispirò al cardinale Giovanni Colombo, di cui fu un appassionato collaboratore, quei discorsi alla città che negli anni “70 segnarono l’inizio di una nuova e più profonda immanenza della Chiesa di Milano alla società milanese, che incominciò da allora quel cammino tormentato e lacerato che si è concluso in questi ultimi anni.

Cardinale di Bologna, una delle diocesi più difficili ma che assunse con un piglio giovanile, condusse con una chiarezza ideale e con una capacità pastorale che lo segnalano tra i più grandi vescovi di questa epoca.

Viveva un amore appassionato alla Chiesa e al popolo di Dio: il cardinale Biffi non era un populista, così come non lo è il sottoscritto. Siamo nati in due grossi quartieri della città di Milano e il popolo per noi non è stato oggetto di riflessioni o di valutazioni scientifiche o sociologiche; il popolo è stata l’esperienza quotidiana della dignità di tanti uomini che in forza della loro fede vivevano la fatica del lavoro, la responsabilità della famiglia e dell’educazione dei figli. 

Protagonista di un magistero limpido e profondo, lontano dalla mentalità dominante, il cardinale Biffi non ha mai avuto il problema di cosa pensasse di lui la stampa; e me lo ha detto più volte. Mi diceva: «Il mio problema è cosa pensa di me Dio, cosa pensa di me la Chiesa, e cosa pensa di me il Papa».

Più di venti anni fa fece un intervento di grande prudenza e di grande intelligenza sul problema degli immigrati extracomunitari. Naturalmente fu respinto con la sufficienza tipica delle istituzioni politiche, un rifiuto di ascoltare che ha certamente aumentato la tragedia che quotidianamente verifichiamo. Se fosse stato ascoltato forse i problemi non sarebbero così devastanti.

L’ho visto l’ultima volta qualche settimana fa, subito dopo quella operazione che lo aveva privato di una gamba nel tentativo di frenare la cancrena che lo aveva assalito. Silenzioso mi ha guardato con occhi vivi, lucenti, interessati, appassionati sottolineando con l’approvazione della testa quello che andavo dicendo o con un diniego quando emergevano posizioni inassimilabili alla nostra posizione obiettivamente ortodossa. 

Il cardinale Biffi ha saputo mostrare come la verità sia fonte di carità e la giustizia di Dio sia fonte della misericordia. Tutto questo apparteneva alla concezione pacifica della Chiesa e del rapporto fra la Chiesa e il mondo. Oggi la mediocrità invade la vita ecclesiastica e dissolve la vita sociale. Il cardinale Biffi è stato certamente un grande uomo di Chiesa, non mediocre, la cui grandezza risulterà man mano che il tempo passerà. Onore quindi - come si diceva una volta in tempi forti e non mediocri -, onore a lui e alla sua grande testimonianza di fede, di cultura e di paternità pastorale.

* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio





[Modificato da Caterina63 13/07/2015 13:19]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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