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Quando e come un Papa favorisce l'eresia .....

Ultimo Aggiornamento: 14/12/2016 23:30
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12/07/2016 20:00
 
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GRAZIE CARDINALE CAFFARRA  


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Settimo Cielo di Sandro Magister

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Caffarra: "Schönborn sbaglia, e questo è ciò che vorrei dire al Santo Padre"

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caffarra

Così inizia la folgorante intervista sulla "Amoris laetitia" del cardinale Carlo Caffarra alla studiosa tedesco-americana Maike Hickson, pubblicata l'11 luglio sul blog OnePeter5:

*

D. – Lei ha già parlato, in una recente intervista, dell'esortazione papale "Amoris laetitia" e ha detto che specialmente il capitolo 8 non è chiaro e ha già causato confusione anche tra i vescovi. Se lei avesse la possibilità di parlare di questo con papa Francesco, che cosa gli direbbe? Quale sarebbe il suo suggerimento su ciò che papa Francesco potrebbe e dovrebbe ora fare, visto che c'è tanta confusione?

R. – In "Amoris laetitia" [308] il Santo Padre Francesco scrive: “Capisco coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione”. Da queste parole deduco che anche Sua Santità si rendeva conto che l’insegnamento dell’esortazione poteva dare origine a confusioni nella Chiesa. Personalmente, e così pensano tanti miei fratelli in Cristo cardinali, vescovi, e fedeli laici, desidero che la confusione sia tolta, ma non perché preferisco una pastorale più rigida, ma perché semplicemente preferisco una pastorale più chiara, meno ambigua.

Ciò premesso, con tutto il rispetto, l’affetto, e la devozione che sento il bisogno di nutrire verso il Santo Padre, gli direi: Santità, chiarisca, per favore, questi punti:

a) Quanto Vostra Santità dice alla nota 351 ["In certi casi… anche l'aiuto dei sacramenti] del n. 305 è applicabile anche ai divorziati-risposati che intendono comunque continuare a vivere "more uxorio"? E pertanto quanto insegnato da "Familiaris consortio" n. 84, da "Reconciliatio et poenitentia" n. 34, da "Sacramenttum unitati" n. 29, dal Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1650 e dalla comune dottrina teologica, è da ritenersi abrogato?

b) L’insegnamento costante nella Chiesa ed ultimamente rinnovato da "Veritatis splendor" n. 79, che esistono norme morali negative che non ammettono eccezioni, in quanto proibiscono atti, quale per esempio l’adulterio, intrinsecamente disonesti, è da ritenersi vero anche dopo "Amoris laetitia"?

Questo direi al Santo Padre. E se poi il Santo Padre, nel suo sovrano giudizio, avesse intenzione di intervenire pubblicamente per togliere la confusione, ha a disposizione molti modi.

*

Ma naturalmente anche il seguito dell'intervista è tutto da leggere.

Ad esempio dove il cardinale Caffarra dice che si rivolgerebbe così a un fedele cattolico confuso sulla dottrina del matrimonio:

"Io semplicemente gli direi: Leggi e rifletti sul Catechismo della dottrina cattolica, ai numeri 1601-1666. E quando senti dei discorsi sul matrimonio – anche da parte di preti, vescovi, cardinali – e tu verifichi che non sono in conformità con il Catechismo, non dare ascolto ad essi. Sono dei ciechi che guidano dei ciechi".

Oppure dove definisce l'esercizio dell'omosessualità "intrinsecamente irrazionale e quindi disonesto", argomentando poi con cura questo giudizio tagliente, specie alla luce della "profetica" enciclica di Paolo VI "Humanae vitae".

Ma di grande interesse è anche la confutazione che Caffarra fa di un passaggio chiave della recente intervista a "La Civiltà Cattolica" del cardinale Christoph Schönborn, l'esegeta della "Amoris laetitia" prediletto da papa Francesco:

*

D.– Come commenterebbe la recente asserzione del cardinale Christoph Schönborn secondo cui la "Amoris laetitia" è una dottrina obbligante e tutti i precedenti documenti del magistero su matrimonio e famiglia devono ora essere letti alla luce di "Amoris laetitia"?

R. – Rispondo con due semplici osservazioni. La prima. Non si deve solo leggere il precedente magistero sul matrimonio alla luce di "Amoris laetitia", ma si deve leggere anche "Amoris laetitia" alla luce del magistero precedente. La logica della vivente tradizione della Chiesa è bipolare. Ha due direzioni, non una. La seconda è più importante. Il mio caro amico cardinale Schönborn nell’intervista a "La Civiltà Cattolica" non tiene conto di un fatto che sta accadendo nella Chiesa dopo la pubblicazione di "Amoris laetitia". Vescovi e molti teologi fedeli alla Chiesa e al magistero sostengono che su un punto specifico ma molto importante non esiste continuità, ma contrarietà tra "Amoris laetitia" e il precedente magistero. Questi teologi e filosofi non dicono questo con spirito di contestazione al Santo Padre. Ed il punto è questo: "Amoris laetitia" dice che, date alcune circostanze, il rapporto sessuale fra divorziati-risposati è lecito. Anzi applica a questi, a riguardo delle intimità sessuali, ciò che il Concilio Vaticano II dice degli sposi [cfr. nota 329]. Pertanto o è lecito un rapporto sessuale fuori del matrimonio: affermazione contraria alla dottrina della Chiesa sulla sessualità; o l’adulterio non è un atto intrinsecamente disonesto, e quindi possono darsi delle circostanze a causa delle quali esso non è disonesto: affermazione contraria alla tradizione e dottrina della Chiesa. E quindi in una situazione come questa il Santo Padre, come già scrissi, deve secondo me chiarire. Se dico “S è P” e poi dico “S non è P”, la seconda proposizione non è uno sviluppo della prima, ma la sua negazione. Nè si risponda: la dottrina resta, si tratta di prendersi cura di alcuni casi. Rispondo: la norma morale “non commettere adulterio” è una norma negativa assoluta, che non ammette eccezioni. Ci sono molti modi fare il bene, ma c’è un solo modo di non fare il male: non fare il male.

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NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica, in italiano, inglese, francese e spagnolo.

Gli ultimi tre servizi di "www.chiesa":

11.7.2016
> La povertà secondo Francesco. Virtù e vizio insieme
È caposaldo del magistero del papa. Che la esalta come valore salvifico ma nello stesso tempo la condanna come nemico da combattere. Un filosofo analizza questa non risolta contraddizione del pontificato

 



 Correggere i superiori?






Cattura


Dopo il cardinal Burke, il cardinal Napier, altri cardinali che lo hanno fatto personalmente, anche il cardinal Caffarra ha “ripreso” pubblicamente, con rispetto profondo ed amore, papa Francesco, in particolare sul documento Amoris Laetitia.


Cosa succede? Accade che nella Chiesa vi è un dibattito,


che non toglie a Pietro il suo ruolo e il suo compito. Caffarra è un cardinale che è stato vicinisismo a Giovanni Paolo II, che lo stimava immensamente, e a Benedetto XVI. Anche Francesco ha avuto modo di esprimergli la sua stima in varie occasioni.


E allora? Ritornare sull’argomento è importante, per evitare di smarrirsi. Il papa, del resto, non può che essere contento: ha chiesto più volte il dibattito, che certo non può limitarsi al parere di un Alberto Melloni, di un Eugenio Scalfari, o di un Antonio Spadaro.


Lo facciamo riportando un vecchio articolo, del padre domenicano Raimondo Spiazzi, su una rivista, 30 Giorni, su cui allora scrivevano Andrea Tornielli, Luigi Giussani, Antonio Socci…e che l’allora cardinal Bergoglio leggeva  e apprezzava.


Vi si spiega quando e come è lecito riprendere i propri superiori, compreso il papa, rimamendo nel rispetto della fede e della Tradizione di Agostino, Tommaso….


 
Cattura


 

“Correggere” il Papa? Sì, si può. Lo spiega il padre domenicano Spiazzi


Abbiamo trascritto per voi quest’articolo (ne manca solo un parte) del teologo domenicano P. Raimondo Spiazzi — riportato oggi dal sito Libertà&Persona — riguardo la correzione dei superiori da parte dei sudditi. La Chiesa non solo lo permette, ma in certi casi, addirittura lo raccomanda.

Correggere i superiori? A volte è carità

di Padre Raimondo Spiazzi, O.P.

D’altra parte, se esclude il timore servile, afferma anche in questo caso la necessità del timore reverenziale, che ispira anche il “debito modo” nel fare la correzione fraterna (che anzi si direbbe filiale) a chi è costituito in autorità: “Essa cioè non va fatta con insolenza né con durezza, ma con mansuetudine e con rispetto”. San Paolo diceva: “Come a un padre” (1Tim 5,3). Paolo VI raccomandava: “Con amore, senza amarezza”.

La critica nella Chiesa e alla Chiesa ha preso negli ultimi decenni toni di amarezza e di arroganza che difficilmente sono conciliabili con la legge della carità che comanda la correzione fraterna (e filiale). Oltre la conformazione allo spirito e alle mode del secolo, denunciata a suo tempo, da padre Henri de Lubac, in molti casi — anche ben noti — era ed è presente un fattore di patologia psicologica che porta ben oltre l’esercizio dell’opera di misericordia e può comportare errori teologici e falli di ordine spirituale oggettivamente gravi.

In particolare occorre riflettere sulla necessità dell’amore filiale e del timore reverenziale nei confronti del “prelato” – Papa, vicario di Cristo nella Chiesa che è tutta “sub uno”, come dice San Tommaso (cfr.II-II, q.39,a1) e commenta il Gaetano: ” Sono scismatici coloro che vogliono costituire per conto proprio una Chiesa particolare” (cfr. San Tommaso in IV Sent. D.13, q.2, a.1, ad 2); oggi si potrebbe dire una Chiesa parallela, o dei gruppi cristiani a sé stanti contestativi per principio. C’è da chiedersi se persone e gruppi del dissenso non si muovano su questa linea, che non è quella della carità.

Certo, non vi è uomo di Chiesa che già in terra possegga la perfezione. Forse nemmeno i Santi riconosciuti dalla Chiesa hanno superato tutti i difetti, tutte le imperfezioni derivanti dalla natura, mentre erano in terra, nemmeno San Pio X!

Il nostro maestro di noviziato ci spiegava che l’importante era che non ci fosse in loro (e in noi tutti) il peccato veniale deliberato, mentre poteva ancora esserci quellosemideliberato, ossia dovuto a una non pronta resistenza a un moto della natura (per esempio in un atto di impazienza o di golosità). Lasciamo stare.

Il Gaetano pone una questione ben più ardua: quella di un papa che, come persona, è in conflitto col suo ufficio, col suo dovere di papa (cfr. in II-II, q.39, a,1, n.6).

Charles Journet, in quel monumento di sapienza teologica, di ecclesiologia, di spiritualità che è la sua opera L’Eglise du Verbe Incarnè, esamina le ipotesi di un “papa cattivo, ma ancora credente” (vol. I, pag. 547 ss.), di un “papa eretico” (pag. 625), di un “papa scismatico” (vol. II, pag. 839 ss.). Ed applica a questi casi la dottrina del Gaetano, secondo il quale è lecito correggere anche in pubblico i superiori in due casi: quando errano nella fede e insegnano i propri errori agli altri; e quando scandalizzano gravemente il popolo con i loro costumi. “E a questo sono tenuti sia i prìncipi della Chiesa sia quelli del mondo civile, quando il papa scandalizzasse la Chiesa, e ammonito privatamente con rispetto, non desse segni di resipiscenza” (in II-II, q.33, a.4).

In caso, dunque, di pervicacia.

Oggi si tratta di ipotesi teoriche, delle quali nemmeno i più accaniti antipapisti e antiromani oserebbero seriamente asserire l’attuazione nella Chiesa contemporanea. Le critiche odierne sembrano aver di mira l’abbondanza o sovrabbondanza del Magistero centrale, che porterebbe alla riduzione dei limiti nel campo della ricerca e, come si diceva ai tempi di San Tommaso, della disputa teologica.

Forse sarebbe utile ricordare, con lo stesso Aquinate, che esistono due tipi di dispute. Una è quelle che tende a rimuovere i dubbi circa l’esistenza di una verità (an sit verum); e in tale disputa teologica bisogna servirsi al massimo delle autorità ammesse dalla controparte (Bibbia, Padri e Dottori della Chiesa). È chiaro che il Magistero centrale e locale ha una funzione essenziale soprattutto in questo campo, dove è sempre più intervenuto per l’insorgenza dei problemi di fede e di morale e il disorientamento prodotto spesso nei fedeli da maestri inidonei o ambigui.

“L’altro tipo di disputa è quello magistrale, volto non tanto a rimuovere l’errore, ma ad istruire gli uditori (o lettori) e portarli alla penetrazione della verità che si intende spiegare, per far capire la ragionevolezza di ciò che si dà (quomodo sit verum): altrimenti, se il maestro determina la questione con la sua autorità, l’uditore (o il lettore) verrà a sapere che quella è la verità (secondo la Chiesa) ma non acquisterà nulla dal punto di vista scientifico e se ne tornerà vuoto (vacuus abscedet)…”(Quodlibetum IV, q.9, n.3).

Qui è l’immenso campo di lavoro per il teologo, il quale però, come ogni credente, non potrà non tener conto “dell’autorità della Chiesa universale (…) la quale autorità risiede principalmente nel Pontefice” (II-II. q.11, a.2, ad 3).

Se poi si desse il caso di una correzione fraterna (o filiale) nei confronti dell’autorità della Chiesa, l’atto di carità non potrà non essere accompagnato dall’umiltà (cfr. II-II q.33, a.4, ad 3).

San Paolo nel “resistere in faccia a Pietro davanti a tutti” (Gal 2,14), non si presentava con presuntuosa superbia, ma con lealtà, tanto più che “in qualche modo era pari di Pietro in difesa della fede. E pur essendo anche suo suddito, lo rimproverò pubblicamente per il pericolo di scandalo nella fede. Sicché Sant’Agostino commenta: “Pietro stesso diede l’esempio ai superiori di non sdegnare di essere corretti dai sudditi, quando capita di allontanarsi dalla giusta via” (in Gal 2,14)” (II-II q,33, a.4, ad 2).

In questa linea di Sant’Agostino anche l’Aquinate conduce la sua analisi e spiegazione del comportamento di Paolo nel commento alla Lettera ai Galati (cfr Lectio III, vv. 11,14).

© 30Giorni – giugno 1992 n.6



 
[Modificato da Caterina63 14/07/2016 21:00]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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