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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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La falsa teologia dell'uomo di oggi

Ultimo Aggiornamento: 22/04/2017 16:13
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31/10/2015 12:32
 
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8. Domanda finale: perché l’autorità suprema non ha saputo combattere il risorgente modernismo, di chi soprattutto la colpa? Risposta: del successore di Pio XII, Giovanni XXIII.
Il lettore si chiederà a questo punto: ma l’autorevole e documentata denuncia di Garrigou-Lagrange è rimasta inascoltata? In realtà, non lo è stata. Il Papa allora regnante, Pio XII, intervenne dopo qualche anno con la famosa enciclica Humani generis, del 12 agosto 1950, definita da qualcuno (Romano Amerio) “il terzo sillabo”. In essa, il Romano Pontefice denunciava “alcuni gravi errori contro la fede cattolica, particolarmente dannosi se professati o insegnati da docenti cattolici, nelle scuole cattoliche”. L’enciclica, come è noto, censurava numerosi indirizzi del pensiero moderno e metteva sotto accusa, pur non chiamandoli per nome, quei teologi che avevano l’errata ed assurda pretesa di “esprimere i dogmi con le categorie della filosofia odierna, sia dell’immanentismo, sia dell’idealismo, sia dell’esistenzialismo o di qualsiasi altro sistema”. Riprovava inoltre altre storture che si professavano in campo esegetico e liturgico. Invitava infine le autorità competenti a prendere gli opportuni provvedimenti. E difatti, i vari de Lubac, Bouillard, Rahner, Congar, Küng e sodali furono costretti al silenzio, sospesi dall’insegnamento, le loro opere tolte dalla circolazione. Ma il linguaggio dell’enciclica era moderato, non si pronunciavano condanne solenni, non si facevano nomi, i provvedimenti contro i teologi fedifraghi furono in genere presi in modo informale. Costoro si misero comunque a recitare la parte dei perseguitati senza abiurare uno che fosse uno dei loro numerosi e gravi errori. Tacquero ed attesero, forti delle protezioni di cui pur godevano presso ben noti cardinali austro-tedeschi, alcuni dei quali poi esponenti di spicco della fazione neomodernista al Concilio. E difatti le cose cambiarono completamente con il pontefice successivo, Giovanni XXIII, l’uomo del “dialogo”. Asceso al sacro soglio nell’autunno del 1958, nel gennaio del 1959 indisse il Concilio, in seguito, disse, ad un’improvvisa ispirazione dello Spirito Santo. Ora, il concilio preparato in tre anni di duro lavoro dai teologi della Curia, ascoltati i pareri di tutti i vescovi che avessero voluto darli, sotto la supervisione del Papa, del cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio e del segretario di quella Congregazione, il gesuita olandese P. Sebastian Tromp, non si contrapponeva di certo allaHumani generis; anzi, ne ampliava e perfezionava l’impostazione. In almeno due degli schemi di costituzione dogmatica, la condanna degli errori moderni, sui quali faceva leva il risorgente modernismo, era ampia, articolata, netta e radicale, anche se espressa con i toni sfumati imposti dall’irenismo professato da Roncalli. E ugualmente netta era la censura delle deviazioni che si andavano profilando nell’esegesi e nella teologia cattoliche. Si batteva in breccia anche la corruzione dei costumi che cominciava a diffondersi nella società consumistica (edonismo di massa e rivoluzione sessuale agli inizi). Se il Concilio avesse potuto seguire il suo naturale e doveroso corso di concilio dogmatico, ben preparato com’era stato dai migliori teologi ortodossi, sì da potersi concludere con le opportune condanne solenni dei numerosi errori circolanti, per i neomodernisti sarebbe stata una disfatta di proporzioni immani, forse definitiva. Invece essi, rappresentati in Concilio dai ben noti cardinali della cosiddetta “Alleanza europea” (e più esattamente renana: franco-belga-olandese-tedesca-austriaca) con appendici in Italia (Montini, Lercaro), Sud America (Câmara) e Nord America; pur essendo una minoranza, riuscirono a rovesciare la situazione grazie all’acquiescenza complice di Papa Roncalli. Ciò risulta dai seguenti fatti, che espongo qui succintamente:
 
  1. Giovanni XXIII permise che nella fase preparatoria fossero inseriti tra gli esperti o “consultores” della commissione che si occupava dello schema di costituzione sulla riforma liturgica, proprio i teologi censurati e costretti al silenzio sotto Pio XII per le loro cattive e mai ritrattate dottrine. Notò lo storico Levillain: “La composizione di questa commissione faceva vedere che si era praticata una larga apertura. Tra i consultori si notava la presenza dei Padri Congar, de Lubac, Hans Küng etc. Tutta la squadra dei teologi condannati implicitamente dall’enciclica Humani generis nel 1950 era stata chiamata a Roma per volontà di Giovanni XXIII. Il Concilio si apriva in un’atmosfera di riconciliazione…”[22]. Di “riconciliazione” con l’errore, bisognerebbe dire, visto che nessuno degli erranti “riconciliati” si era pentito e pubblicamente ritrattato!
  2. Lasciò che i cardinali novatori, con una serie di iniziali e ben studiati colpi di mano procedurali, alterassero illegalmente lo svolgimento del Concilio, riuscendo a conquistare la maggioranza nelle dieci commissioni incaricate di redigere gli schemi dei documenti da votare in aula. In tal modo furono mandati al macero tutti gli schemi preparatori, tranne quello sulla liturgia perché parzialmente gradito ai novatori, grazie anche alla massiccia presenza nella fase preliminare della sua elaborazione della torva genìa appena menzionata qui sopra, al § 1. Le nuove commissioni cominciarono a riscrivere i documenti da votare secondo un’impostazione che rivelava l’infiltrazione neomodernista. Cominciò così una dura, triennale battaglia contro la minoranza “conservatrice”, mentre la palude, cioè la stragrande maggioranza dei vescovi, stava a guardare, cercando di capire da quale parte si sarebbe schierato il Papa. Paolo VI, proseguendo nel solco tracciato da Roncalli, si schierò con i neomodernisti, dei quali per temperamento e sensibilità faceva parte (era un devoto ammiratore di de Lubac, come del resto Giovanni Paolo II, suo amico personale, che lo fece addirittura cardinale). Tuttavia, come Papa e per salvaguardare almeno in parte il potere che gli derivava (per diritto divino) dal primato petrino, Paolo VI dovette intervenire più volte per temperare certi eccessi (anche se in genere questi suoi interventi non erano spontanei ma provocati dalla pressione della minoranza che difendeva il dogma). Alla fine, pur costretta a qualche compromesso, vinse, come sappiamo tutti, la “nouvelle théologie” vanamente denunciata a suo tempo da Garrigou-Lagrange, improntando di sé non solo lo stile, l’atmosfera dei documenti conciliari ma anche le loro dottrine, ambigue ed erronee su punti essenziali della nostra fede[23].
Tutti quelli che credono poter rinascere un domani la Chiesa senza dover preliminarmente mettere in discussione e riformare o cassare il pastorale Vaticano II; senza dover passare per le fiamme di un’autentica e radicale purificazione dottrinale, errano grandemente. Sono come il moscone che va a sbattere continuamente ed inutilmente contro i vetri trasparenti della finestra chiusa che lo separa dalla libertà, non rendendosi conto della loro esistenza.



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[NOTA DEL CURATORE: Si tratta del famoso e fondamentale articolo apparso sulla rivistaAngelicum, 23, 1946, pp. 136-154, nel quale il grande teologo domenicano (1877-1964), esponente di spicco del neotomismo anche in campo filosofico, denunciava il riapparire subdolo del modernismo fra i teologi, a partire dall’inizio degli anni Trenta del secolo scorso, in libri a stampa e in ciclostilati che circolavano anonimi tra il clero, seminando dubbi ed incertezze sulle verità di fede. L’attualità dell’articolo mi sembra fuori discussione. Le inserzioni tra parentesi quadre sono mie.  Le traduzioni dal latino sono riportate in note contrassegnate da lettere: a, b, c, etc.
1. Il corsivo è nostro. [Henri Bouillard, gesuita, 1908-1981, esponente di rilievo della “nuova teologia” unitamente ai confratelli Henri de Lubac, Teilhard de Chardin etc.].
a “Negli studi di filosofia razionale e di teologia e nella formazione degli alunni in dette discipline i professori seguano interamente il metodo, la dottrina e i princìpi del Dottor Angelico, e vi si attengano religiosamente”.
2. Lo abbiamo spiegato più diffusamente in Le Sens commun, la philosophie de l’être et les formules dogmatiques, 4e éd., 1936, p. 362 ss.
3. Del resto è stato definito che le virtù infuse (soprattutto le virtù teologali), che derivano dalla grazia abituale, sono delle qualità, sono princìpi permanenti di opere sovrannaturali e meritorie; è necessario quindi che la grazia abituale o santificante (tramite la quale siamo in stato di grazia), da cui queste virtù procedono come dalla loro radice, sia essa stessa una qualità infusa permanente e non una mozione come la grazia attuale. Ora, la fede, la speranza e la carità sono state concepite come virtù infuse molto prima di San Tommaso. Cosa c’è di più chiaro? Perché perder tempo a mettere in dubbio le verità più certe e fondamentali con il pretesto di far avanzare i concetti? È un indice della deriva intellettuale del nostro tempo.
4. MAURICE BLONDEL [1861-1949] scriveva negli Annales de Philosophie chrétienne, 15 giugno 1906, p. 235: “Si sostituisce l’astratta e chimerica adaequatio rei et intellectus con la ricerca metodica in questo senso: l’adaequatio realis mentis et vitae”. Definire chimerica la definizione tradizionale della verità ammessa da secoli nella Chiesa e suggerire di sostituirla con un’altra in tutti gli àmbiti, compreso quello della fede teologale, implica una grande responsabilità. Le ultime opere di M. Blondel correggono queste deviazioni? Si è visto che non lo si può affermare. Egli scrive ancóra, L’Être et les êtres, 1935, p. 415: “Nessuna prova intellettuale – nemmeno quella dei princìpi assoluti in sé, dotati necessariamente di un valore ontologico – si impone con una certezza spontanea e infallibilmente cogente”. Per ammettere il valore ontologico di tali princìpi, bisogna operare una scelta libera. Prima di tale scelta, il loro valore ontologico è quindi solamente probabile. Ma bisogna ammetterli per le esigenze dell’azione secundum conformitatem mentis et vitae. Non potrebbe essere altrimenti se si sostituisce la filosofia dell’essere o ontologia con la filosofia dell’azione. La verità viene dunque definita non più in funzione dell’essere, ma dell’azione. Tutto è cambiato. Un singolo errore nel concetto primario di verità provoca errori a catena in tutto il resto. Vedi anche: Blondel, La Pensée (1934), t. I, p. 39, 130-136, 347, 355; t. II, p. 65 ss. op, 96-196.
b In conformità con la realtà extramentale e alle sue leggi immutabili o in conformità con le esigenze della vita umana che è in continua evoluzione?
5. Un altro teologo che citeremo più avanti ci invita a dire che all’epoca del Concilio di Trento si concepiva la transustanziazione come il cambiamento, la conversione della sostanza del pane in quella del corpo di Cristo, ma che oggi conviene concepire la transustanziazione senza tale cambiamento di sostanza, concependo tuttavia che la sostanza del pane, che resta, divenga il segno efficace del Corpo di Cristo. E si pretende ancóra di voler conservare il significato dei dogmi definiti al Concilio?
c “La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l’uomo, poiché evolve con lui, in lui e per lui”.
d Pervertono il concetto eterno della verità”.
e “Ammoniamo coloro che insegnano a persuadersi che l’allontanarsi anche di poco dall’Aquinatespecialmente in questioni metafisiche comporta un grave danno. Un piccolo errore nei princìpi, per utilizzare le parole dello stesso Aquinate, implica grandi conseguenze”.
f “La verità non si trova in nessun atto particolare dell’intelletto, nel quale si avrebbe la conformità con l’oggetto, come dicono gli scolastici, ma la verità è sempre in divenire e consiste nella progressiva adeguazione dell’intelletto alla vita, ovvero in un certo moto perpetuo tramite il quale l’intelletto si sforza di spiegare ciò che l’esperienza partorisce o ciò che l’azione esige; in modo tale, però, che in tutto il progresso non ci sia nulla di definito o stabile”.
g “Anche dopo aver concepito la fede, l’uomo non deve riposare nel dogma della religione e aderire ad essa fissamente e immobilmente, ma deve rimanere sempre ansioso di progredire verso un’ulteriore verità, con l’evolvere verso nuovi significati, anzi anche correggendo quel che crede”.
6. Queste proposizioni condannate si trovano nel Monitore ecclesiastico, 1925, p. 194; nella Documentation catholique, 1925, t. I, p. 771 ss. e nelle Praelectiones Theologiae naturalis del padre Descops, 1932, t. I, p. 150, t. II, p. 287 ss. [L’ultima proposizione è la n. 12].
7. Il padre H. Bouillard, op. cit., p. 169 ss., giunto al nucleo del suo argomento, afferma per esempio che San Tommaso Iᵃ IIᵃᵉ, q. 113, a. 8 ad Iᵐ, circa la disposizione immediata alla giustificazione, “non fa più appello alla causalità reciproca” come nelle sue opere precedenti. Al contrario, risulta chiaro ad ogni tomista che è proprio di essa che parla San Tommaso, ed è proprio essa a chiarire tutta la questione. Del resto – ed è elementare – la causalità reciproca si verifica ogniqualvolta le quattro cause intervengono, vale a dire in ogni divenire. Qui si dice: “Ex parte Dei justificantis, ordine naturae prior et gratiae infusio quam culpae remissio. Sed si sumantur ea quae sunt ex parte hominis justificati prius est liberatio a culpa quam consecutio gratiae justificantis” [Dal punto di vista di Dio che giustifica, secondo l’ordine della natura anche l’infusione della grazia viene prima della remissione della colpa. Ma dal punto di vista dell’uomo giustificato, la liberazione dalla colpa è anteriore alla conseguenza della grazia giustificante”]. Qualsiasi studente di teologia che abbia ascoltato la spiegazione del trattato della grazia di San Tommaso articolo per articolo deve considerare che ci si trova di fronte a una verità che non è permesso ignorare.
8. Cf. Iª, q. 23, a. 1: “Finis ad quem res creatae ordinantur a Deo est duplexUnus, qui excedit proportionem naturae creatae et facultatem, et hic finis est vita aeterna, quae in divina visione consistit: quae est supra naturam cuiuslibet creatura, ut supra habitum est Iª, q. 12, a. 4. Alius autem finis est naturae creatae proportionatus, quem scil. res creata potest attingere sec. virtutem suae naturae”. Item Iᵃ IIᵃᵉ, q. 62, a. 1: “Est autem duplex homini beatitudo, sive felicitas, ut supra dictum est, q. 3, a. 2 ad 4; q. 5, a. 5. Una quidem proportionata humanae naturae, ad quam scil. homo pervenire potest per principia suae naturae. Alia autem est beatitudo naturam hominis excedens”. Item de Veritate, q. 14, a. 2: “Est autem duplex hominis bonum ultimum. Quorum unum est proportionatum naturae... haec est felicitas de qua philosophi locuti sunt... Aliud est bonum naturae humanae proportionem excedens”. Se non si ammette più la distinzione classica tra l’ordine della natura e quello della grazia, si dirà che la grazia è il compimento normale e obbligato della natura, ma nemmeno la concessione di un tale favore rimane gratuita – come la creazione e tutto ciò che ne segue –, perché la creazione non era affatto necessaria. A questa tesi il padre Descoqs S.J. risponde molto giustamente nel suo piccolo libro Autour de la crise du Transformisme (Sulla crisi del Trasformismo), 2ª ed. 1944, p. 84: “Questa spiegazione ci sembra essere in opposizione manifesta con i dati più certi dell’insegnamento cattolico. Essa suppone anche una concezione evidentemente sbagliata della grazia. La creazione non è affatto una grazia nel senso teologico della parola. Nella prospettiva secondo cui la grazia può essere concepita solo come presupposto della natura, l’ordine sovrannaturale sparisce”. [Con “trasformismo” si intendeva l’evoluzionismo pre-darwiniano o anche quest’ultimo.  Per la traduzione di questi testi tomistici, vedi le Note di commento, § 4].
h “Il peccato del diavolo non fu in qualcosa che apparteneva all’ordine naturale, ma secondo qualcosa di sovrannaturale”.
i “Sono state dette molte cose, ma non con sufficiente ponderatezza, circa una ‘nuova teologia’, che si evolverebbe parallelamente al continuo evolversi di tutte le cose, e che sarebbe sempre in ricerca senza raggiungere mai la meta. Se quest’opinione dovesse essere abbracciata, che cosa ne sarebbe della perenne immutabilità dei dogmi cattolici? Che ne sarebbe dell’unità e della stabilità della fede?”.
j Per autorità di Dio rivelatore.
k “Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così ancheper l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita [eterna]. Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti”.
9. Cfr. L’Épître aux Romains, del padre M. J. Lagrange O.P., 3ª ed., Commento del cap. V.
10. Le difficoltà sul fronte delle scienze esatte e della paleontologia sono esposte nell’articoloPolygénisme del Dict. de théol. cath. Gli autori di questo articolo, A. e J. Bouyssonie distinguono precisamente, col. 2536, l’àmbito della filosofia, “in cui il naturalista, in quanto tale, è incompetente”. Sarebbe stato auspicabile che l’articolo avesse trattato la questione da tre punti di vista: quello delle scienze esatte, quello della filosofia e quello della teologia, in particolare riguardo al dogma del peccato originale. Secondo molti teologi, l’ipotesi secondo cui sarebbero esistiti sulla terra, anteriormente ad Adamo, degli uomini la cui razza si sarebbe estinta, non sarebbe contraria alla fede. Ma secondo la Scrittura il genere umano che popola la superficie della terra discende da Adamo, Gn, 111, 5.20, Sap 10, 1; Rom 5, 12.18.19; At 17, 26. Inoltre, dal punto di vista filosofico, è stato necessario un intervento libero di Dio per creare l’anima umana, e anche per predisporre il corpo a riceverla. Un ente generatore di natura inferiore non può produrre tale predisposizionesuperiore alla propria specie; il superiore discenderebbe dall’inferiore, contrariamente al principio di causalità. Infine, com’è detto nell’articolo citato, col. 2535, “per i mutazionisti (odierni) la nuova specie nasce all’interno di un germe unico. La specie è inaugurata da un individuo eccezionale”.
11. Il corsivo è nostro. Idee quasi altrettanto stravaganti si trovano in un articolo del padre TEILHARD DE CHARDIN [1881-1955], Vie et planètes, apparso in Les Études del maggio 1946, soprattutto pp. 158-160, e 168 – Vedi anche Cahiers du Monde nouveau, agosto 1946: Un grand Evénement qui se dessine: la Planétisation humaine, dello stesso autore. Si è citato recentemente un testo dello stesso scrittore, estratto da Études 1921, t. II, p. 543, in cui egli parla della “impossibilità per il nostro spirito – nel punto in cui si trova – di concepire, nell’ordine fenomenico, un inizio assoluto”. – A cui Salet e Lafont hanno giustamente risposto in L’Évolution regressive, p. 47: “Non è forse la creazione un inizio assoluto?”. Ora, la fede ci insegna che Dio crea quotidianamente anime di bambini, e che originariamente egli ha creato l’anima spirituale del primo uomo. Del resto il miracolo stesso è un inizio assoluto che non contraddice in nulla la ragione. Su questo punto, cfr. il padre DESCOQS S.J., Autour de la crise du transformisme, 2ª ed. 1944, p. 85. Infine, come sottolinea lo stesso padre DESCOQS, ibid., p. 2 e 7, i teologi devono ormai smetterla di parlare tanto di evoluzionismo e di trasformismo, adesso che anche i più grandi esperti, come per esempio il padre Lemoine, professore al Museum, scrivono: “L’evoluzione è una sorta di dogma a cui i suoi sacerdoti non credono più, ma che mantengono in piedi per il loro gregge. Bisogna avere il coraggio di dirlo affinché gli uomini della prossima generazione orientino le loro ricerche in un altro modo”. Cfr. Conclusion del t. V della Encyclopédie Française (1937). Anche il Dr. H. Rouvière, professore alla Facoltà di Medicina di Parigi, membro della Académie de Médecine, scrive in Anatomie philosophique. La finalité dans l’Évolution, p. 37: “Si è verificato un vero tracollo nella dottrina trasformista... La maggioranza dei biologi si sono allontanati da essa perché i difensori del trasformismo non hanno mai apportato la benché minima prova in appoggio alla loro teoria e perché tutto ciò che si sa a proposito dell’evoluzione parla  contro di essa”.
l “Nessuna proposizione astratta può essere tenuta come immutabilmente vera”.
m “Anche dopo aver concepito la fede, l’uomo non deve riposare sui dogmi della religione e aderire ad essi fissamente e immobilmente, ma deve rimanere sempre ansioso di progredire verso un’ulteriore verità, con l’evolvere verso nuovi significati, persino correggendo quel che crede”.
n “La quale conversione [del pane e del vino] la Chiesa definisce con molta esattezza transustanziazione”.
12. Ci vien detto allo stesso punto: “Nella prospettiva scolastica il concetto di cosa-segno si è smarrita. In un universo di prospettiva agostiniana, in cui un oggetto materiale non è solo sé stesso, ma anche un segno delle realtà spirituali, si può concepire come una cosa, che è per volontà di Dio il segno di un’altra cosa, sia potuta diventare essa stessa un’altra senza che la sua apparenza sia cambiata”. In realtà, nella prospettiva della Scolastica il concetto di cosa-segno non si è mai smarrito. San Tommaso afferma, Iª, q. 1, a. 10: “Auctor S. Scripturae est Deus, in cuius potestate est, ut non solum voces ad significandum accomodet (quod etiam homo facere potest) sed etiam res ipsas [l’Autore della S. Scrittura è Dio, che ha il potere di conferire significato non solo alla voce – come l’uomo – ma anche alle cose stesse]”. Così, Isacco che sta per essere immolato è la figura del Cristo e la manna è una figura dell’Eucarestia. San Tommaso lo fa notare parlando di questo sacramento. Ma attraverso la consacrazione eucaristica il pane non diviene solamente il segno del Corpo di Cristo, e il vino solo il segno del Suo Sangue, come hanno pensato i sacramentaristi protestanti, cfr. D.T.C. art. Sacramentario (controversie, su); ma, come è stato definito formalmente al Concilio di Trento, la sostanza del pane viene convertita in quella del Corpo di Cristo, che è reso presente per modum substantiae sotto le sembianze del pane. E non si tratta semplicemente qui del modo in cui i teologi dell’epoca del Concilio concepivano la consacrazione: si tratta bensì della verità immutabile definita dalla Chiesa.
o “La conversione di tutta la sostanza del vino nel Sangue, mentre rimangono solo le apparenze del pane e del vino”.
13. San Tommaso aveva nettamente distinto tre tipi di presenza di Dio: 1. La presenza generale di Dio in tutte le creature, che Egli conserva in esistenza (Iª, q. 8, a. 1); 2. La presenza speciale di Dio nei giusti per mezzo della grazia: Egli si trova in loro come in un tempio in qualità di oggetto quasi sperimentalmente conoscibile (Iª, q. 43, a. 3); 3. La presenza del Verbo nell’umanità di Gesù per mezzo dell’unione ipostatica. E allora è certo che dopo l’Incarnazione Dio è stato più presente nella terra di Giudea che altrove. Ma se si ritiene che San Tommaso non abbia nemmeno saputo porre questi problemi, ci si lancia in ogni avventura possibile, e si giunge al modernismo con la disinvoltura che si può osservare in queste pagine.
p Vedi nota e.
q Vedi nota f.
r Vedi nota c.
s Vedi nota d.
14. Autori come Téder et Papus, nella loro esposizione della dottrina martinista, insegnano un panteismo mistico e un neo-gnosticismo secondo il quale tutti gli esseri scaturiscono da Dio per emanazione (vi è così una caduta, un male cosmico, un peccato originale sui generis), tutti aspirano a reintegrarsi nella divinità e tutti vi riusciranno. È lo stesso concetto del Cristo moderno, della Sua pienezza di luce astrale che si trova in molte opere occultiste recenti, in un senso che non è più affatto quello della Chiesa e che ne è anzi la contraffazione blasfema, poiché si tratta sempre della negazione panteistica del vero sovrannaturale, e a volte persino della negazione della distinzione tra il bene morale e il male morale, lasciando sussistere solamente quella tra il bene dilettevole o utile e il male cosmico o fisico, che, con la reintegrazione di tutti senza eccezioni, sparirà.
t      Vedi nota i.
15. Ammettiamo senza dubbio che la vera esperienza mistica – che nell’uomo giusto proviene dai doni dello Spirito Santo, soprattutto da quello della saggezza – conferma la fede, perché essa ci mostra che i misteri rivelati corrispondono alle nostre aspirazioni più profonde e ne suscitano di più elevate. Vi è in questo, lo riconosciamo, una verità di vita, una conformità dello spirito con la vita dell’uomo di buona volontà, e una pace che è il segno della verità. Ma quest’esperienza misticasuppone la fede infusa e l’atto di fede suppone esso stesso l’evidente credibilità dei misteri rivelati. Allo stesso tempo, come afferma il Concilio Vaticano, possiamo avere la certezza dell’esistenza di Dio autore della natura tramite la luce naturale della ragione. Ma per questo è necessario che iprincìpi di queste prove, in particolare quello di causalità, siano veri per conformitatem ad ens extramentale, e che siano certi di una certezza oggettivamente sufficiente (anteriore alla libera scelta dell’uomo di buona volontà) e non solamente di una certezza soggettivamente sufficientecome quella della prova kantiana dell’esistenza di Dio. Infine, la verità pratica della prudenza per conformitatem ad intentionem rectam suppone che la nostra intenzione sia veramente retta in rapporto al fine ultimo dell’uomo, e il giudizio sul fine dell’uomo deve essere vero secundum mentis conformitatem ad realitatem extramentalem. Cfr. Ia  IIae ,   q. 19, a. 3, ad 2.
16. Aristotele, La Fisica, tr. it. note e introduz. di A. Russo, Laterza, Bari, 1968, p. 36, 194b, 25).
17. Hermann Weyl, Was ist Materie? Zwei Aufsätze zur Naturphilosophie (1924), ora in ID.,Mathematische Analyse des Raumproblems, rist. anast. Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 1977, pp. 1-88 della seconda sezione del libro; pp. 1-18, per la teoria della materia come sostanza. 
18. Ernst Cassirer, Determinismo e indeterminismo nella fisica moderna (1937), tr. it. di G. A. De  Toni, present. di G. Preti, La Nuova Italia, Firenze, 1970, p. 193.
19. Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi, Milano, 2014, p. 41.
20. Werner Heisenberg, Fisica e oltre, Mondadori, Milano, 2010, pp. 157-413; p. 200;  pp. 204-205.
21. Per tutti questi esempi, dal fotone alla carica elettrica, alla collisione tra le particelle: Steven Weinberg, The First Three Minutes. A Modern View of the Origin of the Universe, updated edit., 1993, Basic Books, New York, pp. 53-54; p. 89; p. 93.
22. Philippe Levillain, La mécanique politique de Vatican II. La majorité et l’unanimité dans un concile, con prefaz. di R. Rémond, Beauchesne, Paris, 1975, p. 77.
23. Per chi volesse approfondire sulle gravi responsabilità di Papa Roncalli circa l’andamento anomalo del Concilio, mi sia consentito rinviare a: Paolo Pasqualucci, Il Concilio parallelo. L’inizio anomalo del Vaticano II, Fede & Cultura, Verona, 2014, pp. 123. Il “Concilio parallelo” è quello che Roncalli, nella decisiva fase iniziale, è riuscito ad imporre al Concilio preparato dalla Curia, per soddisfare le esigenze di “aggiornamento” della fazione neomodernista, da lui evidentemente condivise.







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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