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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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La falsa teologia dell'uomo di oggi

Ultimo Aggiornamento: 22/04/2017 16:13
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21/07/2016 13:49
 
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 "Pastorale" - "Misericordia" - "Ascolto" - "Discernimento" -

"Accompagnamento" - "Integrazione". 

Una Rivoluzione pastorale che rischia di scardinare la famiglia  
      

       

Molti conoscono lo schema storico che, basato sui documenti pontifici e sull’osservazione della realtà, propone il prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel suo capolavoro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione».

      In sintesi:

      - una prima Rivoluzione, il protestantesimo, tendente a distruggere l’ordine ecclesiastico;

      - una seconda Rivoluzione, quella francese, tendente a distruggere l’ordine politico;

      - una terza Rivoluzione, il comunismo, tendente a distruggere l’ordine sociale ed economico.

      Dal 1968 si parla di una quarta Rivoluzione, chiamata genericamente “culturale”, tendente a demolire ogni struttura morale e psicologica. Parte essenziale di questa Rivoluzione è la distruzione della famiglia, istituzione di ordine naturale poi elevata da Nostro Signore Gesù Cristo alla categoria di sacramento.

      È preciso dovere morale di ogni cattolico, in realtà di ogni persona di buona volontà, reagire contro l'ondata demolitrice, proteggendo la famiglia, fondamento di ogni ordine psicologico e sociale.

      È, dunque, con fondata inquietudine che gli occhi del mondo erano puntati verso i due Sinodi Episcopali sulla famiglia, tenutisi in Vaticano nel 2014 e nel 2015. Dal loro esito sarebbe dipesa la linea pastorale che la Chiesa avrebbe adottato in una materia così delicata.

      Duole dirlo, invece di un’esaltazione della sacralità dell’istituzione famigliare, accompagnata da una chiara linea pastorale in sua difesa, come auspicato da tanti prelati, ne è risultata una confusione come forse non si era mai vista nella storia recente della Chiesa.

      Anziché ammaestrati e guidati da mano ferma, i fedeli si sono ritrovati nel caotico frullatore di tale confusione, nella quale rischiano di saltare persino quei “valori non negoziabili” così cari a Benedetto XVI.

      L’autorevolissima “Civiltà Cattolica” parla addirittura di una vera e propria Rivoluzione pastorale.

      Questa Rivoluzione, però, è furba. Non contesta apertamente il Magistero della Chiesa ma lancia una serie di parole magiche o talismaniche che, manipolate dalla propaganda, cercano di produrre nei fedeli un trasbordo ideologico inavvertito. Cioè, vogliono cambiare la loro loro mentalità senza che essi se ne accorgano.

      Cosa sono le parole talismaniche? Come operano questo trasbordo ideologico inavvertito? Come può il fedele proteggersi contro di esse?

      A questo importantissimo tema, Tradizione Famiglia Proprietà ha dedicato un recente libro, scritto dallo specialista Guido Vignelli: «Una Rivoluzione pastorale. Sei parole talismaniche nel dibattito sinodale sulla famiglia» (TFP, Roma 2016).
E' possibile chiederne copie cartacee cliccando www.tfpitalia.it/libro-una-rivoluzione-pastorale/

Con il consenso della TFP Italia, totustuus.it rende disponibile il volume in formato digitale cliccando qui:

http://www.totustuus.it/modules.php?name=Downloads&d_op=viewdownload&cid=3



Un sacerdote risponde

Come superare il disagio ecclesiale in cui talvolta capita di vivere

Quesito

Salve Padre Angelo,
mi sono imbattuto per caso nel sito da lei curato e ho potuto con immensa gioia, notare la sua disponibilità nel rispondere le questioni poste in perfetto stile al nostro comune spettabile pensatore, quale Tommaso d'Aquino. Desideravo appunto approfittare di così tanta attenzione e cura ai dubbi di chi è in cammino dietro Gesù, per presentarle alcune domande e riflessioni che interiormente mi disorientano e destabilizzano. Confesso anticipatamente di non essere molto chiaro nell'esporre le questiones proposte ma ho tentato di tirar fuori quel che, scalpitando, dall'anima emergeva. 
............................

Molto spesso vedo attorno a me come degli allarmanti sintomi dicotomici tra ciò che, quasi banalmente, definirei la Dottrina della Chiesa e il modo di pensare e agire di molti cristiani, uomini di chiesa, chierici, a partire dal livello personale a volte sino a quello pastorale.
Molto spesso ho avuto la sensazione di vedere un rifiuto, in pieno stile sessantottino di contestazione, nei confronti della struttura tradizionale e dogmatica della Chiesa, che volendo arrivare ai cosiddetti “più poveri e lontani”, mina a decostruire tutto ciò che sa in senso negativo di statico, monumentale, dogmatico appunto, quasi perde la sua identità, la sua appartenenza costitutiva alla Tradizione della fede cattolica.
È certamente necessario raggiungere gli ultimi e i più lontani e verso di essi occorre indirizzare le nostre forze e inventive missionarie di evangelizzazione.
È certamente necessario confrontarsi e rinnovarsi a seconda del tempo e alla cultura attuale, così da parlare un linguaggio che possa essere un veicolo intendibile e accogliibile da chi ascolta. Ma a tal proposito cosa voleva dire Paolo di Tarso avvertendoci di non conformarci alla mentalità del secolo? Pare che Cristo sia lo stesso ieri, oggi e sempre… Pare che lo stesso concilio Vaticano II abbia puntualizzato il compimento dell’atto rivelativo in Cristo Gesu nel "mistero Pasquale"?!
Dunque quanto è reale il rischio di corrompere l'originalità del Mistero rivelativo, nel volersi adeguare ai tempi presenti? Come equilibrare la difficile sfida tra dottrina e pastorale, prassi e costumi, teoria e pratica?
Sarà forse la mia sensibilità a far sì che avverta questa grande problematica, sono convinto ad ogni modo che prima diandare, prima di partire, sia necessario essere, essere qualcuno, avere qualcosa da dire, da comunicare, da condividere.
(…) Ho paura, che nella chiesa ci sia tanta corruzione, che inseguendo la sempre più imperante smania modernista, si stia svuotato e banalizzato il messaggio di Gesù Cristo riducendo la religione ad un fatto puramente sociale, antropologico, antropo-dipendente, ad un mero saper stare in compagnia, come tra amici, volendosi bene, rinunciando alla Verità di uno specifico status d’essere e operare.
(...) Inevitabile a questo punto è da domandarsi: cos’è che Gesù ha veramente voluto rivelare all’umanità? E ancor più a fondo qual è il centro della nostra fede Cristiana Cattolica? È forse contenuto tutto nel rispetto amoroso e la concordia vicendevole? Cos’è che ci contraddistingue e formula la nostra identità di cristiani e cattolici?
Perché essere Cristiano Cattolico, perché credere nella fede trasmessa dalla Chiesa? È forse un caso fortuito, influenzato dalla società o forse è una consapevole scelta, capace di reggere le specifiche di un’identità rispetto a ciò che è altro?
Se una cosa vale un'altra, chi può dare la vita per un’opinione? 
(…). In Cristo affido lei e il suo servizio alla protezione di Maria, nostra madre.
Lorenzo


Risposta del sacerdote

Caro Lorenzo,
1. concordo ampiamente con quanto hai scritto.
Il disagio è palpabile.

2. Io però mi comporto così: vado dietro a Gesù Cristo, a Cristo che si presenta a me in particolare nella liturgia della Chiesa.
Ogni giorno lo incontro, ogni giorno mi parla. Mi seduce e mi chiede di seguirlo fino in fondo.
È Lui la mia misura. La misura alla quale sono chiamato a conformarmi per essere quello che sono chiamato ad essere e nella quale e solo nella quale c’è ogni appagamento. La misura che senza sosta mette in luce la mia inadeguatezza e mi chiama a continua conversione e combattimento.
So che al termine dei miei giorni sarò giudicato su questo, che sento come il mio principale compito.

3. Gli altri? La Chiesa? La amo anch’io la Chiesa. Vivo per lei e sono disposto a morire per lei perché non vedo soluzione di continuità tra lei e Cristo.
Sono consapevole dei tanti mali che la affliggono.
Alcuni vanno a toccare la sua stessa missione, che è quella di chiamare gli uomini a conversione e alla vigilanza per salvezza eterna.
Ma il nostro impegno per la Chiesa non si può esaurire nelle analisi e nel dire che cosa si dovrebbe fare.
Il nostro principale e insostituibile lavoro all’interno della Chiesa è quello di attendere alla santità.

4. Dobbiamo essere convinti che il più piccolo atto di amore puro per il Signore giova a noi stessi e a tutta la Chiesa più che tante altre attività esteriori, che non di rado vanno solo a devastare la vigna a motivo dell’amor proprio che ci si mette.
Questo era il convincimento di san Giovanni della Croce.
Ed era anche il pensiero di colei che scrisse: “Ogni anima che si eleva, eleva anche il mondo” (elisabeth leseur, Journal et pensées de chaque jour, Paris 1918, p. 31).

5. Attraverso le vicende attuali della Chiesa e del mondo il Signore ci parla e spinge a conversione.
La strategia pastorale è necessaria. Pastori e fedeli sono interpellati e devono dare risposte.
Ma la prima e insostituibile risposta è quella che dobbiamo dare con la nostra vita personale. Oserei direi, se non corressi pericolo di essere frainteso, con la nostra vita interiore.
Questa molto spesso viene data per scontata, ma è la premessa insostituibile per le nostre pianificazioni o strategie pastorali.
Senza di essa, tutto il gran da fare è come un inseguire il vento. Non lo si afferra mai.

6. Non si deve dimenticare che il Regno di Dio consiste principalmente in quello che viviamo dentro di noi.
San Tommaso d’Aquino diceva che “Regnum Dei in interioribus actibus principaliter consistit” (“Il regno di Dio consiste principalmente negli atti interiori”;  Somma teologica I-II, 108, 1, ad 1).
E poco dopo, esemplificando, diceva che il Regno di Dio consiste “nella  giustizia interiore, nella pace e nella gioia spirituale” (Ib.).

7. Pertanto tutto quello che avviene in noi e attorno a noi deve infine mirare a questo: a edificare il Regno di Dio dentro di noi e dentro il cuore del nostro prossimo, portando ad un’unione sempre più perfetta con i sentimenti di Cristo (ecco la giustizia interiore!), a incrementare la pace che è uno dei frutti più belli dell’unione con Dio e a vivere nel gaudio spirituale.

Ti auguro tutto questo, convinto che questo sia il meglio che si possa augurare ad una persona.
Ti ricordo al Signore e ti benedico. 
Padre Angelo

 
EDITORIALE
Agostino Giovagnoli
 

Al convegno ecclesiale di Loreto del 1985, Giovanni Paolo II indicò alla Chiesa italiana una via per l'unità che passa da una presenza come avvenimento di fede, tesa alla missione, capace di incontrare le altre componenti della società italiana, contro una visione che riduce l'unità a omologazione. Risposta allo storico Giovagnoli.

di Luigi Negri*
 

Pubblichiamo una lettera aperta di monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, al professor Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all'Università Cattolica di Milano, in seguito al suo intervento al Meeting di Rimini in cui presenta una rilettura della storia della Chiesa italiana degli ultimi trenta anni, a partire da una critica al Convegno ecclesiale di Loreto del 1985 (clicca qui per leggere i principali passaggi discutibili a cui si riferisce monsignor Negri).

Carissimo Giovagnoli,

ti scrivo usando quella confidenza e sincera lealtà con cui abbiamo vissuto i nostri rapporti fin quando sono stato docente della Università Cattolica. Ricordo i nostri bei dibattiti svolti fra una lezione e l’altra: ho cercato di aprirmi alle tue ragioni, molto diverse dalle mie, ma credo che anche tu in questo dialogo abbia potuto identificare il senso e la ragione della mia presenza in Cattolica e nella Chiesa italiana.

Sono rimasto molto colpito, negativamente, dal tuo intervento al Meeting di Rimini sul genio della Repubblica. Certamente sono affermazioni, le tue, che richiederanno chiarimenti e approfondimenti, ma intanto sto al senso del tuo intervento.

Sono due i punti di dissenso dalla tua posizione:

Il primo riguarda una rilettura scorretta, gravemente scorretta, di quello che è stato il grande convegno di Loreto del 1985. In quell’occasione Giovanni Paolo II si prese la responsabilità di indicare le linee di una identità dei cattolici italiani nel loro servizio al bene comune, riproponendo in maniera esplicita il valore insostituibile della Dottrina sociale della Chiesa, considerata come elemento dinamico così come era stato lungo la storia degli ultimi secoli. 

Tu accenni a una resistenza: io ricordo bene il clima di resistenza e di distanza in cui l’intervento del Santo Padre fu seguito quasi senza nessun applauso. Applausi che invece debordarono moltissimi nei confronti dell’allora presidente dell’Azione Cattolica, di cui purtroppo ora non ricordo il cognome ma che era certamente su posizioni molto diverse da quelle di san Giovanni Paolo II. Il Papa chiuse allora una stagione triste della Chiesa italiana piena di complessi di inferiorità, piena di reticenze, di resistenze; ha chiuso il dualismo fede-politica, fede-cultura, fede-ragione, ridando il senso dell’avvenimento della fede come avvenimento unitario, globale, aderendo al quale si procede verso il cambiamento integrale della propria intelligenza, della propria affezione. 

Il contributo che Loreto ha indicato ai cattolici italiani era quello di una presenza fortemente identificata. Non contro nessuno: fortemente identificata come avvenimento di fede, fortemente identificata come appartenenza al mistero della Chiesa e soprattutto tesa a investire la realtà della vita sociale di una presenza missionaria nella quale - e attraverso la quale - avveniva un significativo incontro tra i cattolici e le altre componenti della vita sociale italiana.

Il modo per lavorare per l’unità – e qui entro nel secondo livello delle mie osservazioni – è esattamente questo appena descritto. Non di lavorare senza identità, senza caratterizzazioni per una unità del popolo italiano che così come viene adombrata da te non c’è mai stata; per una unità che è tutto sommato una sorta di indifferenza che è la promessa se non già l’esperienza di una omologazione, che è certamente oggi il grande pericolo della nostra società.

Ciascuno non sa più chi sia veramente perché mancano le possibilità di quell’approfondimento della propria identità che – come diceva il mio grande maestro don Luigi Giussani – è la condizione per una effettiva possibilità di dialogo. Il dialogo è il dialogo tra identità, non è una sorta di meccanismo neutrale che c’è per forza propria. Io ho lavorato più di sessanta anni per la Chiesa in Italia, e credo che il contributo che ho dato insieme a tantissimi amici di Comunione e Liberazione (Cl) sia stato quello del recupero di una identità cristiana in funzione di una missione sempre più forte, più libera, capace di creare effettivamente una società più vera, più libera, più umana.

Adesso tanti fatti, tanti avvenimenti e tante esperienze della vita di Cl mi sembra siano presentate secondo una ottica ideologica che non posso condividere perché questi avvenimenti non sono accaduti come vengono descritti oggi. E poi perché mi sembrano di una enorme banalità.

Caro Giovagnoli, sono intervenuto perché ci sia una possibile chiarificazione tra noi, e ci si aiuti a integrarsi. Ma lasciami anche dire che ho aspettato invano che ci fossero voci libere come la tua che ricordassero ai responsabili del Meeting e a tutti che non è possibile che venga negato nell’ambito del Meeting il diritto di parola a gente che porta sulle sue spalle il peso di una fedeltà alla Chiesa che ha significato martirio, a volte offerta della vita (il riferimento è a quanto accaduto per il dibattito sulla normalizzazione dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti, clicca qui). Mi è suonata terribile l’affermazione di una responsabile del Meeting secondo cui lo spirito del Meeting «non è di dare voce a chi non può parlare». Vorrei dire a costoro: scusatemi, io per 36 anni non solo ho avuto questa esperienza ma ho lavorato perché chi non aveva voce nella società potesse averla almeno nello spazio libero di un dialogo fra identità operate o sostenute dall’amore a Cristo e all’uomo.

* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio






[Modificato da Caterina63 27/08/2016 17:21]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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