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Pontificio Consiglio per la Famiglia e le Unioni di fatto

Ultimo Aggiornamento: 16/08/2015 23:43
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16/08/2015 23:33
 
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II - La famiglia fondata sul matrimonio e le unioni di fatto

Famiglia, vita e unione di fatto 

(9) Occorre comprendere le differenze sostanziali tra matrimonio e unioni di fatto. È qui che si radica la differenza tra la famiglia d'origine matrimoniale e la comunità originata da un’unione di fatto. La comunità familiare nasce dal patto d’alleanza dei coniugi. Il matrimonio che sorge da questo patto d'amore coniugale non è una creazione del potere pubblico, bensì un'istituzione naturale e originaria che lo precede. Nelle unioni di fatto, al contrario, si mette in comune l’affetto reciproco, ma allo stesso tempo manca quel vincolo coniugale di natura pubblica e originaria che fonda la famiglia. Famiglia e vita formano una unità che deve essere protetta dalla società, in quanto si tratta del nucleo vivente della successione (procreazione e educazione) delle generazioni umane. 

Nelle società aperte e democratiche di oggi, lo Stato e i poteri pubblici non devono istituzionalizzare le unioni di fatto, accordando loro uno statuto simile a quello del matrimonio e della famiglia. Tanto meno equipararle alla famiglia fondata sul matrimonio. Si tratterebbe di un uso arbitrario del potere che non contribuirebbe al bene comune, poiché la natura originaria del matrimonio e della famiglia precede e supera, in maniera assoluta e radicale, il potere sovrano dello Stato. Una prospettiva serenamente distante dall'aspetto arbitrario o demagogico, invita a riflettere molto seriamente, all’interno alle diverse comunità politiche, sulle differenze essenziali tra l'apporto vitale e necessario al bene comune della famiglia fondata sul matrimonio e l'altra realtà delle semplici convivenze affettive. Non sembra ragionevole sostenere che le funzioni vitali delle comunità familiari centrate sull'istituzione matrimoniale stabile e monogamica possano essere svolte in forma massiva, stabile e permanente, dalle unioni basate unicamente su relazioni affettive. Come fattore essenziale di esistenza, stabilità e pace, la famiglia fondata sul matrimonio deve essere attentamente protetta e promossa in una visione più ampia che tenga conto dell’avvenire e dell'interesse comune della società. 

(10) L'uguaglianza di fronte alla legge deve rispettare il principio di giustizia, che esige che si tratti ciò che è uguale come uguale, e ciò che è diverso come diverso; cioè che ciascuno abbia ciò che gli è dovuto in giustizia. Questo principio di giustizia si infrangerebbe se si desse alle unioni di fatto un trattamento giuridico simile o equivalente a quello spettante alla famiglia fondata sul matrimonio. Se la famiglia matrimoniale e le unioni di fatto non sono simili né equivalenti nei loro doveri, funzioni e servizi alla società, non possono neanche essere simili né equivalenti nello status giuridico. 

Il pretesto addotto da coloro che premono per il riconoscimento delle unioni di fatto (cioè la "non discriminazione"), comporta una vera discriminazione della famiglia matrimoniale, che sarebbe posta su un piano di uguaglianza con tutte le altre forme di convivenza, senza tenere assolutamente conto dell’esistenza o meno di un impegno di fedeltà reciproca e di generazione-educazione dei figli. La tendenza attuale di alcune comunità politiche a discriminare il matrimonio riconoscendo alle unioni di fatto uno statuto istituzionale simile o equivalente a quello del matrimonio e della famiglia o perfino equiparandolo, è un grave segno di deterioramento della coscienza morale sociale, di "pensiero debole" di fronte al bene comune, quando non si tratta di una vera e propria imposizione ideologica esercitata da gruppi di pressione influenti. 

(11) Occorre tenere ben presente, nello stesso ordine di principi, la distinzione tra interesse pubblico e interesse privato. Nel primo caso, la società e i poteri pubblici hanno il dovere di proteggerlo e promuoverlo. Nel secondo caso, lo Stato deve limitarsi a garantire la libertà. Dove l'interesse è pubblico, interviene il diritto pubblico. E ciò che risponde a interessi privati, deve essere rimesso, al contrario, all'ambito privato. Il matrimonio e la famiglia rivestono un interesse pubblico e sono il nucleo fondamentale della società e dello Stato; come tali, devono essere riconosciuti e protetti. Due o più persone possono decidere di vivere insieme, con o senza relazione sessuale, però questa convivenza o coabitazione non riveste per questo interesse pubblico. I poteri pubblici possono evitare di intromettersi in questa scelta, che ha carattere privato. Le unioni di fatto sono la conseguenza di comportamenti privati e su questo piano privato dovrebbero restare. Il loro riconoscimento pubblico o la loro equiparazione al matrimonio, con la conseguente elevazione degli interessi privati al rango di interessi pubblici, sarebbero pregiudizievoli per la famiglia fondata sul matrimonio. Nel matrimonio, l'uomo e la donna costituiscono tra di loro un’alleanza di tutta la vita, ordinata, per sua stessa natura, al bene dei coniugi, alla generazione e all’educazione della prole. A differenza delle unioni di fatto, nel matrimonio si assumono pubblicamente e formalmente impegni e responsabilità di rilevanza per la società, esigibili nell'ambito giuridico.

 

Le unioni di fatto e il patto coniugale 

(12) La valorizzazione delle unioni di fatto presenta anche una dimensione soggettiva. Siamo di fronte a persone concrete, con una visione propria della vita, con la loro intenzionalità, in una parola, con la loro "storia". Dobbiamo considerare la realtà esistenziale della libertà individuale di scelta e della dignità delle persone, che possono sbagliare. Però nell'unione di fatto, la pretesa di riconoscimento pubblico non riguarda solo l'ambito individuale delle libertà. È opportuno pertanto affrontare questo problema dal punto di vista dell'etica sociale: l'individuo umano è una persona e pertanto un essere sociale; l'essere umano non è meno sociale che razionale[9]

Le persone si possono incontrare nel dialogo e riferirsi a valori condivisi e ad esigenze comuni per ciò che riguarda il bene comune. In questo campo, il riferimento universale, il criterio non può essere altro che quello della verità sul bene umano, una verità oggettiva, trascendente e uguale per tutti. Raggiungere questa verità e rimanervici è condizione di libertà e di maturità personale, vero scopo di una convivenza sociale  ordinata e feconda. L'attenzione esclusiva al soggetto, all'individuo, alle sue intenzioni e alle sue scelte, senza il minimo riferimento a una loro dimensione sociale e oggettiva, orientata al bene comune, è il risultato di un individualismo arbitrario e inaccettabile, cieco ai valori oggettivi, contrario alla dignità della persona e nocivo per l'ordine sociale. "Occorre dunque promuovere una riflessione che aiuti non solo i credenti, ma tutti gli uomini di buona volontà, a riscoprire il valore del matrimonio e della famiglia. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: La famiglia è la cellula originaria della vita sociale. È la società naturale in cui l’uomo e la donna sono chiamati al dono di sé nell’amore e nel dono della vita. L’autorità, la stabilità e la vita di relazione in seno alla famiglia costituiscono i fondamenti della libertà, della sicurezza, della fraternità nell’ambito della società.[10]Alla riscoperta della famiglia può arrivare la stessa ragione, ascoltando la legge morale inscritta nel cuore umano. Comunitàfondata e vivificata dall’amore,[11]la famiglia trae la sua forza dall’alleanza definitiva di amore con cui un uomo e una donna si donano reciprocamente, diventando sempre collaboratori di Dio nel dono della vita”[12]

Il Concilio Vaticano II segnala che il cosiddetto amore libero ("amore sic dicto libero")[13]costituisce un fattore disgregante e distruttore del matrimonio, mancando dell'elemento costitutivo dell'amore coniugale, che si fonda sul consenso personale e irrevocabile mediante il quale gli sposi si donano e si ricevono reciprocamente, dando origine in questo modo a un vincolo giuridico e a un’unità suggellata da una dimensione pubblica di giustizia. Ciò che il Concilio qualifica come amore "libero", contrapponendolo al vero amore coniugale, era allora - ed è ora - il germe che genera le unioni di fatto. In seguito, con la rapidità con cui si producono oggi i cambiamenti socio-culturali, ha fatto ugualmente sorgere il progetto attuale di conferire uno status pubblico a queste unioni di fatto. 

(13) Come qualsiasi altro problema umano, anche quello delle unioni di fatto deve essere affrontato da un punto di vista razionale, più precisamente dal punto di vista della "recta ratio"[14]. Con questa espressione dell'etica classica si vuole indicare che la lettura della realtà e il giudizio della ragione devono essere oggettivi, liberi da ogni condizionamento quali l'emotività disordinata, la debolezza di fronte a situazioni penose che inclinano a una compassione superficiale, o eventuali pregiudizi ideologici, pressioni sociali o culturali, influenza di gruppi di pressione o partici politici. Certamente il cristiano ha una visione del matrimonio e della famiglia il cui fondamento antropologico e teologico affonda le sue radici, in maniera armonica, nella verità che procede dalla Sacra Scrittura, dalla Sacra Tradizione e dal Magistero della Chiesa[15]. Ma la luce della fede insegna che la realtà del sacramento matrimoniale non è posteriore o estrinseca, come una semplice aggiunta "sacramentale" esterna all'amore dei coniugi, bensì che al contrario è la realtà naturale dell'amore coniugale assunta da Cristo come segno e mezzo di salvezza nell'ordine della Nuova Alleanza. Il problema delle unioni di fatto, di conseguenza, può e deve essere affrontato a partire dalla "recta ratio". Non è tanto una questione di fede cristiana quanto di razionalità. La tendenza a contrapporre su questo punto un "pensiero cattolico" confessionale a un "pensiero laico" è un errore[16].




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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