A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

LETTERE OMELIE DISCORSI di Agostino di Ippona

Ultimo Aggiornamento: 15/12/2017 21:42
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
21/08/2015 16:42
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


Sant'Agostino - Augustinus HipponensisHomeLETTERE
Tutte le Opere - versione italiana > Lettere > Lettere




LETTERA 1

Scritta alla fine del 386 o all'inizio del 387.

A. spiega a Ermogeniano perché gli Accademici usarono un linguaggio ermetico adatto al loro tempo (n. 1), ma presentemente pericoloso, poiché potrebbe indurre all'agnosticismo (n. 2); gli chiede infine un giudizio su quanto afferma alla fine del III 1. del dialogo Contra Academicos (n. 3).

AGOSTINO AD ERMOGENIANO

Perché gli Accademici occultarono la verità.

1. Io non oserei mai, nemmeno scherzando, attaccare gli Accademici; come potrebbe infatti non impressionarmi l'autorità di persone tanto grandi, se non ritenessi che essi la pensavano molto diversamente da come si è creduto di solito? Perciò li ho imitati, per quanto mi è stato possibile, piuttosto che tentare di confutarli, cosa che non sono affatto capace di fare. Mi pare infatti si addicesse perfettamente a quei tempi che, se qualcosa di puro sgorgava dal fonte Platonico, lo si facesse scorrere tra macchie oscure e piene di spine, così da servire di nutrimento a pochissimi uomini, piuttosto che, effondendosi per luoghi facilmente accessibili, non potesse in alcun modo conservarsi limpido e puro per l'irrompere in esso delle bestie da ogni parte e senz'ordine. Che v'è infatti che più si addica a una bestia del ritenere corporea l'anima? Contro individui di tal fatta io penso che sia stato utilmente escogitato quell'accorto metodo di nascondere la verità. Ma nell'età nostra, in cui non vediamo più filosofi salvo che nel mantello (e questi io in verità non li posso reputare degni di un nome così venerabile), mi sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità, se qualcuno l'opinione degli Accademici ne ha distolto con la sottigliezza dei loro discorsi dal cercare di comprendere le cose; affinché quello che, date le circostanze, fu opportuno per estirpare degli errori profondamente radicati, non incominci ora ad essere di ostacolo nell'inculcare il sapere.

Il loro metodo può favorire l'agnosticismo.

2. Mi spiego: allora la passione per le ricerche filosofiche da parte delle varie scuole era così ardente che niente altro si doveva temere se non di prendere per vero il falso. Ognuno poi, distolto per quelle argomentazioni da ciò che di saldo e inconcusso aveva creduto di possedere, ricercava qualcosa di diverso con tanto maggiore costanza e cautela quanto più grande era lo zelo nel campo della morale e si riteneva che la verità si nascondesse quanto mai profonda e involuta nella natura e nelle menti. Ma ora così grande è la ripugnanza per la fatica e l'incuria per gli studi liberali che, non appena si sente dire che dei filosofi molto acuti hanno creduto che nulla si possa conoscere con certezza, gli uomini si perdono d'animo e rinunziano per sempre ai propri progetti. Non osano infatti ritenersi più acuti di quelli, sicché possa rivelarsi loro con chiarezza ciò che Carneade non è stato capace di trovare con tanto zelo, ingegno e tempo a disposizione; per di più con una cultura così vasta e molteplice e infine anche nel corso di una vita lunghissima. E se pure, resistendo un poco alla pigrizia, leggono i libri medesimi in cui pare sia dimostrato che alla natura umana è negata la conoscenza, si addormentano di un sonno così profondo che non si sveglierebbero neppure al suono della celeste tromba.

Agostino chiede il parere di Ermogeniano.

3. Perciò, essendo a me graditissimo il tuo sincero giudizio sui miei scritti, e tenendoti io in sì gran conto che, a mio avviso, l'errore non può trovare posto nella tua esperienza né la simulazione nella tua amicizia, più vivamente ti chiedo di esaminare con maggiore attenzione e poi di rispondermi se approvi quello che io, sulla fine del terzo libro, in modo forse più congetturale che certo, e tuttavia (a mio giudizio) con utilità maggiore di ciò che può esserci di inverosimile, ho pensato si debba credere. Effettivamente, qualunque sia il valore di quell'opera, mi compiaccio non tanto di aver vinto, come tu dici, gli Accademici (lo scrivi infatti mosso forse dall'affetto più che dal rispetto per la verità), quanto di essermi spezzato quell'odiosissimo freno per cui io ero tenuto lontano dal seno della filosofia per sfiducia di poter attingere la verità, che è il nutrimento dello spirito.




LETTERA 2

Scritta nello stesso tempo (386-7).

A. esprime a Zenobio la brama d'intrattenersi con lui anche di persona e di terminare la questione che avevano cominciato a discutere.

AGOSTINO A ZENOBIO

1. Siamo fra noi perfettamente d'accordo, come io penso, che tutte le cose che la nostra percezione fisica può attingere, non possono neppure per un istante rimanere nello stesso stato, ma passano, spariscono e non hanno nulla di attuale: cioè, per parlare chiaro, non hanno vera esistenza. Per questo la vera divina filosofia esorta a frenare e a sopire l'amore per esse, che è quanto mai funesto e fonte di moltissime pene; affinché l'anima, anche durante il tempo in cui guida questo corpo, con tutto il suo essere tenda e ardentemente aneli verso ciò che persiste sempre nel medesimo stato e non piace per una bellezza peregrina. Stando così le cose, e sebbene la mia mente ti veda in se stessa reale e schietto, come ti si può amare senza alcuna inquietudine, tuttavia confessiamo che quando ti diparti da noi fisicamente e sei in luoghi lontani, cerchiamo di incontrarti e di vederti e perciò lo desideriamo finché è possibile. Questo difetto, se ben ti conosco, senza dubbio non ti dispiace in noi, e, pur desiderando ogni bene per le persone a te più care ed intime, hai paura che esse ne siano guarite. Se poi tu hai una tale forza d'animo da poter riconoscere questa trappola e ridere di coloro che vi sono incappati, sei davvero grande e diverso. Io, per parte mia, desidero essere rimpianto nella misura in cui rimpiango un assente. Tuttavia faccio attenzione, per quanto posso, e mi sforzo di non amare nulla che possa essere lungi da me mio malgrado. Insieme con questo dovere io ti ricordo anche, qualunque sia la tua disposizione in proposito, che bisogna concludere la discussione iniziata con te, se abbiamo cura di noi stessi. Infatti non permetterei in nessun modo che si concludesse con Alipio, anche s'egli lo volesse. Ma non lo vuole, giacché l'educazione non gli permette ora d'adoprarsi meco per intrattenerti con noi col maggior numero possibile di lettere, dato che cerchi di evitarlo per non so quale necessità.




LETTERA 3

Scritta all'inizio del 387.

A. risponde a Nebridio che, ignorando molte cose, non può essere chiamato felice (n. 1). La vera felicità (n. 2); più che il corpo si deve amare l'anima (n. 3-4). Una questioncella grammaticale (n. 5).

AGOSTINO A NEBRIDIO

La felicità esclude l'ignoranza.

1. Resto incerto se io debba considerarlo effetto di non so quale tuo "blandiloquio", per così dire, oppure se la cosa stia veramente in questo modo: è infatti accaduto all'improvviso e non ho ancora chiarito abbastanza fino a che punto vi si debba credere. Tu attendi di sapere di che si tratti. Che cosa pensi? Tu mi hai quasi convinto, non che io sia beato (giacché un tale bene è possesso esclusivo del sapiente), ma certo quasi beato: come diciamo di uno che è "quasi uomo", paragonandolo alla immagine perfetta dell'uomo quale lo concepiva Platone, o diciamo "quasi rotonde" o "quasi quadrate" le cose che vediamo, sebbene siano molto lontane dal somigliare alle figure che pochi competenti vedono con gli occhi della mente. In verità ho letto la tua lettera al lume della lucerna, quando avevo già cenato; era vicino il momento di andarmi a riposare, ma non a dormire: e infatti, disteso nel letto, ho riflettuto a lungo tra me e me ed ho fatto, io Agostino, questi discorsi con Agostino: È dunque vero quello che pensa Nebridio, cioè che io sono felice? No di certo: giacché neppure lui osa negare che io sia ancora stolto. E se anche agli stolti potesse toccare una vita beata? È difficile: quasi che la stoltezza fosse una piccola miseria o vi potesse essere qualche altra miseria oltre ad essa. Perché dunque a lui è parso così? Forse che, dopo aver letto quei miei scritti, ha osato credermi anche sapiente? Non è così temeraria l'allegria, per quanto sia sfrenata, soprattutto in una persona che ben sappiamo con quanta ponderatezza proceda nelle sue considerazioni. È così, dunque: ha scritto quello che pensava mi avrebbe fatto molto piacere, poiché anche a lui ha fatto molto piacere tutto ciò che io ho messo in quello scritto; ed ha scritto in preda alla gioia, senza preoccuparsi di quello che conveniva affidare ad una penna trasportata dall'allegria. Che cosa sarebbe capitato, se avesse letto i Soliloqui ? La sua gioia sarebbe molto più grande e tuttavia non troverebbe un appellativo più elevato da darmi di quello di beato. Ha dunque avuto troppa fretta di spendere per me il nome più alto, e non si è riservato nulla da attribuirmi quando fosse più allegro. Vedi gli effetti dell'allegria!

In che consiste la felicità.

2. Ma dov'è questa vita beata dove, dove mai? Oh, se consistesse nel rigettare la dottrina di Epicuro sugli atomi! Oh, se consistesse nel sapere che in basso non vi è nulla ad eccezione del mondo! Oh, se consistesse nel sapere che i punti all'esterno di una sfera nuotano più lentamente del suo centro ed altre cose di questo genere che noi parimenti conosciamo! Ora invece, come ed in che grado posso essere beato io che non so perché il mondo sia grande così, mentre l'essenza delle figure che lo compongono non impedirebbe affatto che fosse più grande quanto si vuole? Oppure come non mi si obietterebbe, anzi non saremmo costretti ad ammettere che i corpi sono divisibili all'infinito, così da potersi ricavare come da una data base un numero determinato di corpuscoli in una determinata quantità? Perciò, mentre non si ammette che esista un corpo che sia il più piccolo possibile, come possiamo ammettere che ne esista uno grandissimo, tanto che non ve ne possa essere uno più grande? A meno che non abbia un grande valore quello che dissi una volta in gran segreto ad Alipio: poiché il numero intelligibile cresce all'infinito, ma non decresce all'infinito (infatti non è possibile scomporlo oltre la monade), al contrario il numero sensibile (che altro è infatti il numero sensibile se non qualcosa di materiale, vale a dire la quantità dei corpi?) può diminuire all'infinito ma non può crescere all'infinito. E per questo forse a ragione i filosofi pongono la ricchezza nelle cose intelligibili, la povertà in quelle sensibili. Che cosa v'è infatti di più miserabile che poter diminuire all'infinito? E quale ricchezza più grande che crescere quanto vuoi, andare dove vuoi, tornare indietro quando vuoi e fin dove vuoi ed amare grandemente ciò che non può diminuire? Infatti chi comprende tali numeri, ama nulla tanto quanto la monade. E non è strano, dato che è grazie ad essa che si arriva ad amare tutti gli altri. Ma ciononostante perché mai il mondo è grande così? Avrebbe infatti potuto essere o più grande o più piccolo. Non lo so: in realtà è così. E perché è qui piuttosto che là? Neppure di ciò si deve far questione, altrimenti si dovrebbe fare sulla posizione di qualsiasi cosa. Soltanto questo mi turbava molto, cioè che i corpi fossero divisibili all'infinito. Al che si è forse dato una risposta con la teoria della proprietà contraria del numero intelligibile.

Il mondo e le immagini fisiche.

3. Ma aspetta un istante; vediamo che cos'è questo non so che, che mi viene in mente: certamente si dice che il mondo sensibile è immagine di non so quale mondo intelligibile. Ora è singolare quello che vediamo nelle immagini riflesse dagli specchi. Infatti per quanto grandi siano gli specchi, non rendono le immagini più grandi di quello che sono i corpi, per quanto piccolissimi, messi loro davanti. Negli specchi piccoli invece, come nelle pupille degli occhi, anche se si mette davanti ad essi un gran volto, si forma un'immagine piccolissima, proporzionata alla misura dello specchio. Dunque è possibile diminuire anche le immagini dei corpi, usando specchi più piccoli, ma non si può aumentarle usando specchi più grandi. Qui senza dubbio c'è sotto qualcosa, ma adesso bisogna dormire. E infatti non è cercando che appaio beato a Nebridio, ma forse scoprendo qualcosa. E che cos'è questo qualcosa? È forse quel ragionamento che son solito accarezzare come mio particolare e di cui son solito rallegrarmi molto?

Si deve amare più l'anima che il corpo.

4. Di che cosa siamo composti? D'anima e di corpo. E di queste due parti qual è la migliore? L'anima, evidentemente. Che cosa si loda nel corpo? Nient'altro, vedo, che la bellezza. Che cos'è la bellezza fisica? La giusta proporzione delle parti, accompagnata da una certa vaghezza di colorito. Questa forma leggiadra è migliore dove è vera o dove è falsa? Chi oserebbe porre in dubbio che sia migliore dove è vera? Orbene, dove è vera? Nell'anima, naturalmente. Quindi l'anima si deve amare più del corpo. Ma in quale parte dell'anima si trova questa verità? Nella mente e nell'intelligenza. Che cosa offusca l'intelligenza? I sensi. Bisogna dunque resistere ai sensi con tutte le forze dell'anima? È evidente. E se le cose sensibili ci dilettano troppo? Si faccia in modo che non ci dilettino. Come si fa? Abituandoci a farne a meno e a desiderare cose migliori. E se l'anima muore? Allora anche la verità muore, o l'intelligenza e la verità non s'identificano, oppure l'intelligenza non ha sede nell'anima, oppure può morire una cosa in cui ha la sua sede alcunché d'immortale: ma che nessuna di queste eventualità possa verificarsi già è detto nei miei Soliloqui ed è sufficientemente dimostrato; ma per non so quale abitudine ai mali siamo atterriti e titubanti. Infine, anche se l'anima è soggetta alla morte, il che vedo assolutamente impossibile, tuttavia in questo periodo di riposo ho sufficientemente accertato che la vita beata non consiste nel godimento delle cose sensibili. Forse per queste e simili ragioni appaio al mio Nebridio, se non beato, almeno quasi beato. Potrei sembrarlo anche a me: che cosa ci perdo o perché dovrei rifiutare la buona stima? Questo mi dissi; poi, come al solito, mi misi a pregare e m'addormentai.

Una questioncella di prosodia.

5. Ecco quanto mi è piaciuto di scriverti. In verità mi allieta il fatto che tu mi ringrazi se non ti nascondo nulla di ciò che mi viene in bocca e sono contento di piacerti così. Con chi dunque dovrei scherzare più volentieri che con colui al quale non posso dispiacere? E se poi è in potere della fortuna che un uomo ami un altro uomo, vedi quanto sia fortunato io che godo tanto dei favori della fortuna e, lo confesso, desidero che tali beni mi crescano copiosamente. Ma i sapienti più autentici, che soli è lecito chiamare beati, non hanno voluto né che si temessero i beni della fortuna né che si desiderassero (cupi cupiri? veditela tu). E questo è venuto a proposito. Desidero infatti che tu mi dia chiarimenti su tale coniugazione; giacché, quando coniugo verbi di questo tipo, sono molto incerto. Cupio, infatti, come fugio, sapio, iacio, capio, sono verbi affini; ma non so se l'infinito sia fugiri fugisapiri sapi.Potrei propendere per iaci capi, se non temessi che mi prendesse e mi gettasse a suo capriccio, dove gli aggradi, chi riuscisse a convincermi che una cosa è iactum captum, un'altrafugitum, cupitum, sapitum. Così pure ignoro parimenti se queste ultime tre forme si debbano pronunciare con la penultima lunga ed accentata oppure non accentata e breve. Vorrei indurti a scrivere una lettera più estesa; mi auguro di poterti leggere un po' più a lungo. Giacché non sono in grado di dire appieno quanto mi faccia piacere leggerti.



LETTERA 4

Scritta dopo la precedente.

Agostino annuncia a Nebridio i progressi, fatti durante il suo ritiro, nella conoscenza degl'intelligibili (n. 1) per cui è convinto che la mente è superiore ai sensi (n. 2).

AGOSTINO A NEBRIDIO

Contemplazione delle cose eterne.

1. È assai strano quanto inaspettatamente mi sia accaduto che, mentre esaminavo a quali delle tue lettere mi fosse rimasto da rispondere, ne ho trovato una soltanto per cui ero ancora in debito, nella quale mi chiedi di informarti dei progressi che ho fatti nel discernere la natura sensibile e quella intelligibile, impiegando tutto il tempo che fra te credi o insieme con me desideri che io abbia. Ma io non penso che tu ignori che, se ciascuno tanto più si radica nelle false opinioni quanto più a lungo e familiarmente si immerge in esse, questo con molto maggior facilità accade alla mente in materia di verità. Però in tal modo progrediamo a poco a poco, come avviene per l'età. Giacché, sebbene grandissima sia la differenza tra un bambino ed un giovane, nessuno, se lo si è interrogato quotidianamente fin dalla puerizia, si dirà mai giovane.

La mente è superiore ai sensi.

2. Non voglio però che tu interpreti ciò in un senso tale da pensare che in questo campo io sia giunto, per così dire, ad una specie di giovinezza intellettuale per il vigoroso appoggio di una più sicura intelligenza. Sono infatti un bambino ma forse, come si suol dire, di belle speranze e non cattivo. Mi spiego: agli occhi della mia mente, stravolti e pieni di affanni per le violente impressioni prodotte dalle cose sensibili, solitamente procura respiro e sollievo quel modesto ragionamento, a te ben noto, che la mente e le facoltà intellettive sono superiori agli occhi e alla comune facoltà visiva. Il che non si verificherebbe se ciò che percepiamo per mezzo dell'intelligenza non fosse più reale di ciò che vediamo. Ti prego di esaminare attentamente con me se esista qualche valida obiezione a questo ragionamento. Intanto io, confortato da esso, allorché, invocato l'aiuto di Dio, ho cominciato a sentirmi elevare verso di Lui e verso le realtà assolutamente vere, in certi momenti sono preso da un così vivo pregustamento delle cose eterne, che talvolta mi meraviglio di aver bisogno di quel ragionamento per credere all'esistenza di cose che sono in noi tanto presenti quanto ciascuno è presente a se stesso. Controlla anche tu (giacché riconosco che in questo sei più preciso) se per caso io, senza saperlo, non sia ancora in debito di qualche risposta. Infatti non mi persuade il trovarmi così all'improvviso libero da un numero tanto grande di debiti di cui un giorno avevo fatto il conto: sebbene io non dubiti che tu abbia ricevuto da me delle lettere di cui non ho le risposte.



LETTERA 5

Scritta tra il 388 e il 391.

Nebridio si lamenta che i concittadini di A. ne disturbino la contemplazione coi loro affari e lo invita nella propria villa.

NEBRIDIO AD AGOSTINO

1. È dunque così, Agostino mio? Spendi energie e pazienza nelle faccende dei tuoi concittadini e non ti si restituisce ancora la sospirata tranquillità? Di grazia, chi ha il coraggio di importunare te che sei tanto buono? Credo quelli che non sanno quale sia l'oggetto del tuo amore e del tuo ardente desiderio. Non c'è nessuno dei tuoi amici che riveli loro le tue predilezioni? Né Romaniano né Luciniano? Ascoltino almeno me. Io proclamerò, io attesterò che tu ami Dio, vuoi servirlo ed essere a Lui unito. Vorrei attirarti nella mia casa di campagna e che ivi tu stessi tranquillo. Non avrò infatti paura d'essere chiamato seduttore dai tuoi concittadini che ami troppo e dai quali sei troppo amato.



LETTERA 6

Scritta nello stesso tempo (388-91).

Nebridio sottopone ad A. il problema della memoria la quale, a suo parere, è inseparabile dall'immaginazione (n. 1); questa poi ricava le sue immagini non tanto dai sensi quanto da sé medesima (n. 2).

NEBRIDIO AD AGOSTINO

Memoria e immaginazione.

1. Provo un grande piacere nel conservare le tue lettere come se si trattasse degli occhi miei. Infatti sono importanti non per l'estensione bensì per gli argomenti, e contengono importanti dimostrazioni di problemi importanti. Esse mi parleranno di Cristo, di Platone, di Plotino. Di conseguenza saranno per me piacevoli ad udirsi per la loro eloquenza, facili a leggersi per la loro brevità e salutari ad intendersi per la loro sapienza. Avrai cura perciò di farmi conoscere quello che a tuo parere sembrerà santo e buono. A questa lettera poi risponderai quando avrai esaminato più accuratamente il problema dell'immaginazione e della memoria. Io credo infatti che, sebbene non ogni immaginazione sia accompagnata dalla memoria, ogni ricordo tuttavia non possa verificarsi senza l'immaginazione. Ma tu mi obietti: che cosa accade quando ricordiamo di aver compreso o pensato qualche cosa? Contro questa osservazione io rispondo dicendoti che ciò si è verificato perché quando abbiamo percepito o pensato alcunché di corporeo e di soggetto al tempo, noi abbiamo prodotto una cosa che interessa la fantasia: infatti o abbiamo rivestito di parole le nostre percezioni e i nostri pensieri (e queste parole non sono indipendenti dal tempo e interessano i sensi o la fantasia), oppure il nostro intelletto o il nostro pensiero hanno subito una qualche impressione tale da poter lasciare una traccia nella fantasia. Queste cose io le ho dette senza averci pensato a lungo e in modo confuso, secondo il mio solito: tu le esaminerai e, rigettato ciò che vi è di falso, raccoglierai quello che c'è di vero in una lettera.

Le immagini della fantasia.

2. Senti un'altra cosa: perché, di grazia, non diciamo che la fantasia ricava tutte le immagini da se stessa, piuttosto che dai sensi? Infatti come l'intelletto è spinto dai sensi a vedere il mondo intelligibile, che gli è proprio, piuttosto che ricevere qualcosa da essi, così può darsi che anche la fantasia sia spinta dai sensi a contemplare le immagini che sono in lei piuttosto che attingere qualcosa da essi. Giacché può darsi che per questo avvenga che quello che i sensi non vedono essa tuttavia lo possa vedere: e questo è un indizio che ha in sé e da sé tutte le immagini. Anche su questo problema mi risponderai esponendomi il tuo pensiero.




LETTERA 7

Scritta nello stesso tempo (388-91).

A. risponde alla lettera precedente dicendo che la memoria può esistere anche senza l'immaginazione (n. 1); i fantasmi sono generati nell'anima attraverso i sensi (n. 2-3); essi sono di tre generi (n. 4); e possono influire nefastamente sull'anima (n. 5): risolve un'obiezione ed esorta Nebridio a resistere ai fantasmi prodotti dai sensi (n. 6-7).

AGOSTINO A NEBRIDIO

Può darsi memoria senza immaginazione.

1. 1. Lascerò da parte i preamboli e comincerò prontamente a trattare quello che impazientemente desideri che io ti dica, tanto più che non arriverò presto alla fine. Tu credi che non possa esservi affatto memoria senza quelle immagini o rappresentazioni, che sono frutto di immaginazione, che hai voluto chiamare fantasie; io la penso diversamente. Bisogna dunque, innanzitutto, osservare che noi non ci ricordiamo sempre di cose che passano, ma per lo più di cose che durano. Perciò, sebbene la memoria rivendichi a sé il compito di ricordare fedelmente il passato, tuttavia è certo che essa in parte è memoria di cose che ci lasciano, in parte di cose che sono lasciate da noi. Infatti, quando mi ricordo di mio padre, evidentemente ricordo una cosa che mi ha lasciato ed ora non è più; quando invece mi ricordo di Cartagine, ricordo una cosa che esiste e che io ho lasciato. Tuttavia in entrambi questi casi la memoria conserva il ricordo del passato. Giacché tanto quell'uomo quanto questa città io li ricordo per quello che ho visto, non per quello che vedo.

La memoria e l'atto di ricordare.

1. 2. A questo punto tu forse domandi: a che mirano codeste tue considerazioni? Tanto più che osservi come entrambe queste cose non possano giungere alla memoria se non attraverso la visione fantastica. Ma a me basta avere intanto dimostrato che si può parlare di memoria anche a proposito di cose che non sono ancora passate. Procura comunque di ascoltare attentamente che vantaggio io ne tragga. Alcuni criticano, senza fondamento, quella celeberrima scoperta di Socrate per cui si sostiene che ciò che apprendiamo non s'imprime in noi come cosa nuova, ma è richiamato alla memoria per reminiscenza, e sostengono che la memoria riguarda le cose passate e che invece quello che noi apprendiamo per mezzo dell'intelligenza, per asserzione dello stesso Platone, dura sempre e non può perire e perciò non è passato. Costoro però non badano al fatto che è passata la visione durante la quale abbiamo un tempo contemplato con la mente queste cose; e poiché ci siamo allontanati da esse ed abbiamo cominciato a vedere altri oggetti in modo diverso, le rivediamo per reminiscenza, cioè per mezzo della memoria. Perciò se, per omettere altri esempi, l'eternità in sé dura sempre e non ha bisogno di alcuna immagine fantastica per servirsene quasi come veicolo per giungere alla nostra mente (e tuttavia non potrebbe giungervi se non la ricordassimo), si può avere memoria di certe cose senza alcuna immaginazione.

L'anima senza l'uso dei sensi non può avere immagini.

2. 3. Quanto poi alla tua opinione che l'anima possa immaginare oggetti corporei anche senza servirsi dei sensi, si dimostra falsa in questo modo: se l'anima, prima di far uso dei sensi per la percezione dei corpi, può con la fantasia rappresentarsi questi stessi corpi, e (cosa che nessuna persona sana di mente mette in dubbio) si trovava in uno stato migliore prima di essere impigliata in questi sensi ingannatori, si trovano in uno stato migliore le anime delle persone che dormono che le anime di quelle che sono deste, quelle dei frenetici che quelle di coloro i quali non sono affetti da una tale calamità: infatti sono colpite dalle stesse immagini da cui erano colpite prima di avere i sensi, questi messaggeri quanto mai fallaci; e allora o sarà più vero il sole che essi vedono di quello che vedono le persone sane e deste o le cose false saranno superiori a quelle vere. Se queste conclusioni sono assurde, come effettivamente lo sono, l'immaginazione, o mio Nebridio, non è altro che una ferita che giunge [all'anima] attraverso i sensi; per opera dei quali avviene non un'evocazione, come tu scrivi, in modo che si formino nell'anima siffatte visioni, ma l'azione stessa di introdurre o, per dirlo più precisamente, di imprimere [in essa] queste false immagini. Quanto poi alla tua osservazione, come sia possibile che immaginiamo dei volti e delle figure che non abbiamo mai viste, essa è acuta. Perciò farò una esposizione che renderà questa lettera più lunga del normale: non però ai tuoi occhi, cui nessuno scritto è più gradito di quello che mi reca a te più loquace del solito.

Le varie specie d'immaginazioni.

2. 4. Io vedo che tutte queste immagini che tu, con molti, chiami fantasie si dividono molto opportunamente e veracemente in tre categorie, la prima delle quali è stata impressa [in noi] dalle cose percepite attraverso i sensi, la seconda da quelle opinate e la terza da quelle trovate razionalmente. Esempi del primo tipo si hanno quando la mia mente si raffigura il tuo volto o Cartagine o il nostro defunto amico Verecondo e qualsiasi altra delle cose che esistono ancora o sono scomparse, che però io ho visto e sentito. Nella seconda categoria si devono mettere le cose che noi pensiamo siano state o siano in un determinato modo, ad esempio quando per esporre la nostra opinione su qualcosa facciamo volutamente delle supposizioni che non sono affatto di ostacolo per giungere alla verità, oppure quello che immaginiamo quando leggiamo la storia e quando ascoltiamo delle favole o le componiamo o le inventiamo. Io infatti mi immagino come mi piace e come mi viene in mente il volto di Enea, quello di Medea coi suoi serpenti alati legati al giogo, quello di un Cremete e di un Parmenone. A questa categoria appartengono anche quelle cose che hanno raccontato sia i saggi, adombrando qualche verità sotto tali figurazioni, sia, come verità, gli stolti fondatori delle svariate e false religioni: ad esempio il tartareo Flegetonte, le cinque grotte degli abitanti delle tenebre infernali, l'asse settentrionale che tiene insieme il cielo, e mille altre invenzioni fantastiche dei poeti e dei seguaci di false dottrine. Però diciamo anche nel corso di un ragionamento: supponi che vi siano uno sull'altro tre mondi fatti come lo è questo; e: supponi che la terra abbia forma quadrata, e cose di questo genere. Tutto ciò infatti noi immaginiamo e ipotizziamo a seconda delle circostanze in cui si svolge il nostro ragionamento. Quanto poi alle cose riguardanti la terza specie di immagini, si tratta soprattutto di numeri e di dimensioni. Ciò in parte trova riscontro in natura, ad esempio quando per via di ragionamento si trova la forma del mondo, e a questa scoperta segue, nella mente di colui che pensa, l'immagine; in parte nelle scienze che formano oggetto di insegnamento, come le figure geometriche, i ritmi della musica e l'infinita varietà dei numeri. Queste cose, per quanto vengano colte, come io penso, nella loro verità, tuttavia producono delle false immaginazioni cui l'intelletto stesso a stento riesce a sottrarsi; sebbene neppure in un ragionamento condotto con metodo rigoroso sia facile sottrarsi a questo inconveniente, quando nelle distinzioni e nelle conclusioni facciamo conto quasi di usare dei sassolini fatti per il calcolo (4 bis).

L'anima è soggetta alle falsità delle immagini.

2. 5. In tutta questa selva d'immagini, io sono convinto che tu non credi che la prima specie riguardi l'anima prima che sia connessa coi sensi, e su questo punto non c'è bisogno di indugiare a discutere. Sulle altre due si potrebbe ancora a buon diritto porre il quesito se non fosse palese che l'anima, quando ancora non è stata colpita da ciò che vi è di vano nelle cose sensibili e nei sensi, è meno soggetta ad ingannarsi: ma chi potrebbe mettere in dubbio che codeste immagini siano molto meno vere delle cose sensibili? Infatti ciò che pensiamo e crediamo oppure inventiamo è in ogni parte assolutamente falso, e certamente, come tu capisci, è molto più vero quello che vediamo e sentiamo. Infine, per la terza specie, qualsiasi spazio corporeo io mi rappresenti con la mente, sebbene il pensiero sembri averlo creato in base a rigorosi principi scientifici che non permettono il minimo errore, io dimostro irrefutabilmente che è falso poiché sono di nuovo questi stessi principi a provarlo. Perciò io non posso credere in nessun modo che l'anima quando ancora non percepiva attraverso il corpo, quando ancora non era stata colpita, tramite i sensi sommamente fallaci, da sostanza mortale e passeggera, giacesse in tanta e così vergognosa falsità.

Si risolve una obiezione.

3. 6. Donde ha dunque origine il fatto che noi ci rappresentiamo le cose che non abbiamo mai viste? Che cosa puoi pensare se non che vi è una facoltà di diminuire e di aumentare, insita nell'anima, che essa porta necessariamente con sé dovunque vada? Questa facoltà si può avvertire specialmente nel campo dei numeri. Per essa accade che, se ci si pone per dir così dinanzi agli occhi la figura di un corvo, per esempio, che cioè ci sia nota per averla già osservata, col togliere e con l'aggiungere ad essa qualcosa, si trasforma in una figura qualsivoglia assolutamente mai vista. Per essa accade che, indugiando abitualmente il nostro spirito in siffatte cose, figure di questo genere invadono quasi spontaneamente i nostri pensieri. È dunque possibile all'anima, servendosi dell'immaginazione, formare da quello che il senso ha introdotto in essa (togliendo, come si è detto, e aggiungendo qualche cosa) delle immagini che nessun senso riesce a cogliere nella loro totalità, ma che sono parti di ciò che aveva colto in questo o quell'oggetto. Così noi da fanciulli, pur nati ed allevati nell'entroterra, vedendo l'acqua anche solo in un piccolo bicchiere, potevamo già immaginarci il mare; mentre il sapore delle fragole e delle corniole in nessun modo ci sarebbe venuto in mente prima che le gustassimo in Italia. Da questo dipende il fatto che coloro che sono ciechi fin dalla tenera infanzia, quando vengono interrogati sulla luce e sui colori non sanno che cosa rispondere. Giacché nessuna immagine del colore possono avere quelli che non hanno mai percepito alcuna immagine.

Si deve resistere alle immaginazioni sensibili.

3. 7. Né devi stupirti come mai gli oggetti, che in natura hanno una forma e possono immaginarsi, non si trovino fin da principio insiti nell'anima che è in ciascuno, non avendoli essa mai percepiti dall'esterno attraverso i sensi. Infatti anche noi quando, per lo sdegno o la gioia e per gli altri sentimenti dell'animo di tal fatta, produciamo nel nostro corpo vari atteggiamenti e colori, il nostro pensiero non può concepire tali immagini prima che noi possiamo provocarle. Queste cose avvengono secondo quei mirabili procedimenti (che lascio alla tua meditazione), che si verificano quando nell'anima si agitano i numeri in essa nascosti senza alcuna falsa rappresentazione corporea. Di conseguenza io vorrei che tu, poiché avverti che vi sono tanti moti dell'anima privi di tutte le immagini su cui ora vai investigando, capissi che l'anima ha in sorte il corpo per qualsivoglia altro impulso piuttosto che per aver pensato a forme sensibili, che io ritengo non possa in alcun modo percepire prima di far uso del corpo e dei sensi. Pertanto per la nostra amicizia e per la fedeltà alla stessa legge divina, amico carissimo e amabilissimo, io vorrei caldamente raccomandarti di non stringere alcuna amicizia con codeste ombre infernali e di non indugiare a rompere quella che da te è stata stretta con esse. Giacché in nessun modo si resiste ai sensi, e questo è per noi il dovere più sacro, se accarezziamo le piaghe e le ferite da essi inferteci.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 12:17. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com