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Il Corano stesso smentische che Cristiani e Musulmani hanno lo stesso Dio

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2017 12:15
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10/09/2015 09:55
 
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3. Un generoso ma utopistico appello “catto-islamico” del 2006.
Sulla base delle dichiarazioni conciliari citate, il noto giornalista egiziano Magdi Allam, convertitosi al cattolicesimo ma al tempo ancora formalmente mussulmano, nell’estate del 2006 si appellò al culto di Maria dei mussulmani al fine di stabilire un “dialogo” saldo con i cattolici. Il suo appello fu ripreso da Vittorio Messori, il celebre giornalista e saggista cattolico, in questo modo, sul Corriere della Sera del 15 giugno del 2006.
“L’egiziano [Magdi Allam] che, per rifarsi al titolo del suo libro, “ama l’Italia” forse più di molti italiani, ha addirittura lanciato un appello scandaloso o, almeno, incomprensibile per una certa intellighenzia: ‘Musulmani italiani, fratelli miei, facciamo del culto di Maria un momento unificante con i cristiani e del pellegrinaggio a Loreto [occasione dell’appello] e in ogni altro santuario dedicato a Lei un momento di condivisione e di fratellanza tra le persone di buona volontà’. Allam – prosegue l’articolo – ha ricordato ciò che molti cristiani hanno ormai dimenticato e che, in ogni caso, lascia indifferente la loro cecità a ciò che muove davvero le masse. Il Corano dedica alla Madre di Gesù un’intera Sura, ne fa il nome venerato per quaranta volte, l’innalza sino al fianco di Fatima, la figlia prediletta del Profeta, le affida un ruolo di maternità misericordiosa, ne difende l’onore contro gli ebrei che la diffamano [...] Tutta la Tradizione islamica successiva non ha fatto che esaltare la “Signora Maria”, come la chiamano. Chi, in ambiente cristiano, la bestemmi è considerato, al massimo, un maleducato. Chi osasse farlo tra i musulmani, chi ne mettesse in dubbio la purezza perpetua rischierebbe il linciaggio sul posto da parte della folla inferocita. Magdi Allam ha ricordato ciò che tanti nostri “esperti” ignorano o non sanno valutare: proprio i santuari mariani sono, in terra d’Islam, i luoghi d’incontro tra cristiani e musulmani. Gesù è venerato ma solo come penultimo dei profeti, come annunciatore di quello definitivo, Muhammad [= il lodato, lat. mediev.:Machometus, ital. mediev.: Maometto, poi rimasto nell’uso]. Al rispetto per il Nazareno si accompagna non solo la venerazione ma anche l’amore appassionato per la Madre”.
A proposito di questo “amore appassionato”, Messori ricordava le ripetute “apparizioni” della Madonna sulla cupola della chiesa copta di Zeitoun, sobborgo del Cairo, nel 1968; apparizioni cui concorsero grandi folle musulmane. Queste “apparizioni” furono giudicate autentiche dal patriarca copto e da quello cattolico dell’Egitto. (Non mi risulta, tuttavia, che siano state riconosciute autentiche dalla Chiesa e l’articolo non ci illuminava in proposito: che siano da ritenersi autentiche, date le modalità e il contesto, è alquanto dubbio). L’articolo si concludeva con un vero e proprio appello: per cercare di evitare il disastroso “scontro di civiltà” che si profilava in modo sempre più radicale tra noi e l’islam, bisognava riscoprire “questo luogo d’incontro che è la persona della Vergine”.
 
Non so se oggi sia Allam che Messori riscriverebbero un appello del genere. L’ho riportato qui non per criticarne gli autori, la cui sincerità e buona fede devono considerarsi fuori discussione, ma solamente per far vedere a quale confusione di idee possa portare la mancata comprensione del vero significato dell’onore tributato nel Corano a “Maria, madre di Gesù”, presentato dal Concilio simile a quello nostro verso la Madre di Dio, salvo il piccolo particolare che i musulmani non credono affatto nella divinità di Cristo, per loro spaventosa bestemmia, che merita a chi la pronuncia la morte immediata, sul posto. E allora, si chiederà smarrito l’ignaro fedele, in che senso onorano la “Madre di Gesù”? Se non la considerano “Madre di Dio” (un abominio per loro) è evidente che non possono onorarla come l’onoriamo noi. E come, allora? È proprio quello che bisognerebbe una buona volta spiegare al popolo dei fedeli, al fine di chiarire i gravi equivoci disseminati tra i cattolici, a partire dal “pastorale e non dogmatico” Vaticano II, a proposito del “Gesù, figlio di Maria” del Corano, che non è affatto quello dei Vangeli, così come la “Maria” del Corano non è affatto la S.ma Vergine dei Vangeli. Le cose sono presentate, oggi, come se la Maria e il Gesù del Corano e della tradizione mussulmana, fossero più o meno gli stessi dei nostri Testi sacri, tranne che per la divinità di Gesù, Nostro Signore! È ovvio anche al semplice senso comune che la negazione coranica della divinità di Gesù implica che sia il “Gesù” che sua “Madre” ivi menzionati non possano essere gli stessi delle nostre fonti. E se non sono gli stessi, parlare di “dialogo” non è assurdo?
4. Il “dialogo” con l’islam nello “schema ecumenico” del cardinale Agostino Bea SI.
Subito dopo il Concilio, il cardinale Agostino Bea SI, uomo di fiducia di Giovanni XXIII, eminenza grigia del Concilio e tra i suoi principali protagonisti in senso neomodernista, non ha esitato a scrivere, commentando positivamente il citato par. 3 della Nostra Aetate: “ A proposito dell’Islam, la dichiarazione mette innanzitutto in rilievo i numerosi punti di contatto [les nombreux points de contact] che esso presenta con il Cristianesimo”[5]. Numerosi “punti di contatto” tra la nostra fede e quella predicata dal Profeta dell’islam? E quali sarebbero, quelli elencati nella Nostra Aetate? Ma il cardinale l’aveva mai letto il Corano? Chiunque abbia una conoscenza anche minima della teologia, della dottrina morale, della prassi delle due religioni, sa che i “numerosi punti di contatto” dati per sicuri dal testo conciliare e da Bea non esistono affatto. Dove sembrano esserci, come nel caso della coranica “Signora Maria” e di “Gesù, figlio di Maria”, della fede nel Giudizio finale o del modo di pregare e di soccorrere il prossimo, sono del tutto apparenti ed ingannevoli. In realtà non c’è nessun “punto di contatto” tra cristianesimo ed islam, né potrebbe esserci. C’è anzi una radicale opposizione.
 
In italiano questo libro fu pubblicato da Morcelliana con il titolo: Il cammino all’unione dopo il Concilio. In esso il cardinale Bea teorizzava apertamente la prospettiva ecumenica che ci è diventata familiare in questi ultimi cinquant’anni, sostenendo che essa corrispondeva pienamente alle esigenze poste dal Concilio, del cui spirito era considerato autorevole e qualificato interprete: dall’unità nella “libertà religiosa” con i “fratelli separati”, all’auspicata “unità della famiglia umana”, grazie al dialogo ecumenico esteso all’umanità come tale, senza che si ponesse mai l’esigenza della conversione a Cristo della stessa, né come condizione dell’unità né quale conseguenza della stessa[6]. Quest’opera, come in genere altri interventi simili del suddetto cardinale, non rivelava profondità di pensiero né di cultura. È importante come documento, perché fa vedere quale fosse (e sia ancora) l’interpretazione autentica fornita dai protagonisti del Vaticano II e dai loro continuatori per ciò che riguarda gli scopi ultimi dell’ecumenismo e del dialogo:
  1. unione con “i fratelli separati”(mediante “il dialogo” interconfessionale, con le sue molteplici iniziative, comprese le liturgie interconfessionali);
  2. unione “con tutta la famiglia umana” (mediante “il dialogo” interreligioso e le relative liturgie, oggi sempre più corrotte in senso profano, new-age, in un crescendo che sembra inarrestabile)[7].
Le due fasi si sono da tempo fuse in un unico, assordante, tanto intimidatorio quanto teologicamente assurdo discorso “inclusivo”, “irenico”, “umanitario”, “popolare” ed “ecumenico”, che mira all’instaurazione di un’era di pace globale nel mondo, con il Papa quale possibile guida morale (e magari anche politica, come si intuisce dalle Encicliche e dai discorsi di Bergoglio) dell’intera umanità (già salvata in blocco dalla dannazione poiché con l’Incarnazione Cristo si sarebbe unito ad ogni uomo – Cost. conc. Gaudium et Spes, 22.2) [qui - qui]. Tutto ciò, per chiunque abbia cognizione della storia della Chiesa ed anzi delle eresie, configura una riedizione dell’errore millenarista di un tempo, con l’aggravante dell’errore cristologico concernente l’Incarnazione (che avrebbe in quanto tale inspiegabilmente già salvato tutti) e la conseguenteinversione della Missione della Chiesa, ora esclusivamente intramondana e in sostanzaantropocentrica. Un vero e proprio traviamento della Missione assegnata da Nostro Signore Risorto alla Chiesa da Lui fondata: “Andate dunque e fate [miei] discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che io ho comandato a voi (Mt 28, 19-20)”.
 
In antitesi, almeno parziale, alla Nostra AetateBenedetto XVI, nel famoso discorso di Ratisbona del 2006 [qui], rammentò il carattere intrinsecamente irrazionale della concezione maomettana di Dio e la conseguente vocazione alla violenza di quella religione. Attaccato da tutte le parti, non ebbe purtroppo la forza di mantenere la critica e di approfondirla, facendola fruttare anche sul piano pratico. Ciò, del resto, avrebbe significato entrare in conflitto con l’indirizzo “ecumenico” imposto alla Chiesa dal Concilio, il che sarebbe stato certamente un andare al di là delle sue convinzioni. Così anch’egli finì con l’avallare di fatto l’idea del tutto assurda delle “tre grandi religioni monoteistiche che adorano l’unico Dio”, da considerarsi pertanto tutte e tre allo stesso modo vere, e si recò a pregare nella moschea di Istanbul, partecipando poi sino alla fine improvvisa ed inaspettata del suo Pontificato ai riti obbligati dell’ecumenismo, oggettivamente apostatici, bisogna dire. Certo, Papa Ratzinger non è arrivato al punto di baciare pubblicamente un Corano che gli veniva donato, in senso di rispetto ed omaggio, come ha incredibilmente fatto Giovanni Paolo II. Del quale va anche ricordata la dichiarazione pro-islam durante una celebre visita in Marocco, nel 1985 [vedi], applaudito in uno stadio da migliaia di giovani maomettani, precettati per l’occasione dal re di quel Paese ed opportunamente istruiti sull’accoglienza da tributare al “Papa di Roma”, come lo chiamano i mussulmani. “Abramo è per noi lo stesso modello di fede in Dio, modello di sottomissione [islam] alla Sua volontà e di fiducia nella Sua generosità. Crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea il mondo e porta a perfezione le sue creature”[8].
5. L’Abramo del Corano non è quello vero, della Bibbia.
Non sappiamo quanto Papa Woytila effettivamente conoscesse dell’islamismo. In ogni caso, Abramo non può essere per noi cristiani “lo stesso modello di fede in Dio”, così come lo è per i mussulmani. L’Abramo dei mussulmani (Ibrahim) non ha nulla a che vedere con quello autentico della Bibbia. Come ha ricordato più volte, e non è stato certamente il solo, l’insigne arabista ed islamista Padre Antoine Moussali, lazzarista libanese (1921-2003), perfetto conoscitore del Corano stesso, il vero Abramo, nell’Antico Testamento, è il protagonista dell’Alleanza con Dio, dal quale riceve la Promessa di salvezza per il genere umano. Abramo, nostro padre nella fede (Eb 11, 8) è dunque l’uomo dell’Alleanza con Dio Padre e della Promessa di salvezza da Lui ricevuta. Egli intercedette anche per i Sodomiti, già condannati alla distruzione per l’ostinato perdurare nel loro abominevole peccato e l’assenza di ogni bontà (Gn 18, 22 ss.; Ez 16, 49)[9]. La Promessa fatta ad Abramo è giunta a compimento con la Nuova Alleanza, firmata con il suo sangue innocente dall’Agnello di Dio, grazie alla quale l’uomo può esser considerato “figlio adottivo di Dio”. “Figlio”, aggiungo, che presta la dovuta obbedienza alla verità rivelata da Dio, ai suoi comandamenti, ma sempre come “ossequio razionale”, come diceva san Paolo, ossia esercitando nel modo giusto il suo libero arbitrio, nonostante gli impedimenti provocati a tale esercizio dalle conseguenze del peccato originale.
 
Nella sura 23 o dei credenti, ai vv. 12-16, si narra in questo modo la creazione dell’uomo. “ 12. In verità, noi creammo l’uomo di argilla fina. 13. Poi lo ponemmo come in una goccia di sperma in un ricettacolo sicuro [l’utero materno]. 14. Poi trasformammo la goccia di sperma in sangue coagulato, poi il sangue coagulato in un pezzo di carne, il pezzo di carne in ossa, e le ossa noirivestimmo di carne, quindi portammo esso alla luce, come un’altra creazione; benedetto sia quindi Dio, il migliore dei creatori! 15. Poi, certamente, voi, dopo di ciò, morrete. 16. E in seguito, voi verrete risuscitati il giorno della risurrezione”[10]. L’uomo appare qui come un semplice oggetto nelle mani di Allah che lo plasma dall’argilla, senza fornire spiegazioni e senza benedirlo, assieme alla donna, della cui creazione si accenna altrove. Gli annuncia morte e resurrezione, che restano inspiegabili. È il decreto di Allah, e tanto basta.
 
Un essere umano che viene ad esistere ad opera della volontà inspiegata di Dio, è sempre e solo “sottomesso a Dio”, in modo assoluto, totalmente passivo, senza che si richieda l’adesione del suo intelletto ai Decreti di Allah. Deve obbedire, e basta. In cambio, Allah lo ricompenserà materialmente in questo mondo, spiritualmente e materialmente nell’altra vita, mentre l’Inferno, se ci andrà, non sarà mai eterno per lui. Poche sure sembrano ammettere l’esistenza del libero arbitrio nell’uomo, all’opposto di altre più numerose che affermano il contrario e che costituiscono il dogma ufficiale dell’islam, mentre i sostenitori dell’esistenza di un libero arbitrio nell’uomo (detti “razionalisti” o mutaziliti) sono considerati eretici. Il dualismo di determinismo e libero arbitrio rappresenta uno dei casi più noti di contraddizione nel Corano, anche se l’esistenza di tale dualismo è negata dall’interpretazione ortodossa (sunnita).






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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