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Il Corano stesso smentische che Cristiani e Musulmani hanno lo stesso Dio

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2017 12:15
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10/09/2015 09:56
 
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5.1 Il Corano “archetipo celeste” che contiene tuttavia contraddizioni (ed errori in materia biblica).


Prendendo spunto dal problema rappresentato dalla presenza di errori in materia biblica e contraddizioni evidenti, illustrerò adesso al lettore la natura specifica del Corano, sostanzialmente sconosciuta ai più: essi sanno solo che si tratta del “libro sacro” dei mussulmani, che contiene la “rivelazione” del loro profeta, ritenuta di origine divina. In realtà, per i mussulmani, il Corano non è un semplice libro. È anche un libro, ma soprattutto è un archetipo celeste, esistente da sempre presso Dio, Allâh in arabo. Pertanto, più che contenere la rivelazione, è la rivelazione, esistente da sempre.
“È il libro che contiene l’insieme dei messaggi celesti o rivelazioni che Maometto ritenne d’aver ricevuto testualmente in arabo da Dio, attraverso un messaggero sovrumano ch’egli, nella seconda fase (la medinese) del suo apostolato, identificò con l’angelo Gabriele. In arabo il nome è Qu’rān, che significherebbe recitazione o lettura ad alta voce: ma da Maometto ebbe un senso religioso particolare, modellato verisimilmente su quello d’un vocabolo affine della lingua ecclesiastica aramaica dei cristiani limitrofi all’Arabia, ossia: 
  1. la recitazione salmodiata di brani delle rivelazioni suddette;
  2. il testo stesso di tali brani;
  3. il complesso di tutte le rivelazioni ricevute.
In base a quest’ultimo senso fu chiamato Corano il libro sacro dell’islamismo”[11].
 
Da cosa risulterebbe “il senso religioso” particolare attribuito da Maometto all’originale cristiano? Il termine originale indicava solo la recitazione ad alta voce e salmodiata di testi liturgici o di brani della Scrittura che conservavano il loro nome, quale che fosse. Qui invece il nome della recitazione viene attribuito anche al testo stesso, al contenuto, e in modo da includere la totalità del testo.
Prosegue Nallino: “Suo sinonimo nella letteratura teologica e giuridica è al-Kitāb “la Scrittura” o “il Libro”, benché nel Corano questo vocabolo sia usato anche per i libri sacri anteriormente rivelati agli ebrei ed ai cristiani, onde l’espressione ahl al-kitāb “la gente della Scrittura”, che rimase poi anche nel linguaggio per designare l’insieme degli ebrei e dei cristiani, e l’epiteto kitābī“scritturario” frequentissimo nella letteratura giuridica per indicare chi professi una delle due religioni rivelate prima dell’islamismo”[12].

Che tuttavia i mussulmani ci considerino “gente della Scrittura” allo stesso titolo loro, come cercano di far intendere i propugnatori del c.d. “dialogo” con loro, non è vero, come spiegherò in seguito, dal momento che essi ritengono i nostri testi sacri falsificati da noi e comunque destinati ad esser abrogati dal Corano, vero e proprio sigillo della Rivelazione del Dio unico, grazie a Maometto, autoproclamatosi “sigillo dei profeti”! Ma procediamo con ordine.
 
“Per la dogmatica musulmana il Corano è la parola testuale di Dio; quindi, citandone dei passi, sarebbe cosa blasfema preporre la formula “Maometto dice” in luogo di “Dio altissimo dice”, come sarebbe blasfemo collocare il Corano sotto Maometto nei cataloghi di biblioteche. La dottrina ortodossa (sunnita) insegna che il Corano in quanto parola divina, è uno degli attributi eterni di Dio, distinti dalla sostanza divina ma, al pari di questa, non aventi avuto origine nel tempo nè per atto creativo; onde la formula “il Corano è increato”[13]. Se la parola divina deve considerarsi attributo eterno di Dio, dovrà avere gli stessi caratteri della sostanza divina cui inerisce, essere eterna e quindi ritenersi increata. Ne consegue che il Corano dice sempre il vero, in ogni sua parte, ed è immodificabile. La prova della sua autenticità è data per i mussulmani dalla sua “inimitabilità”, in pratica dalla sua stessa esistenza. Questa “parola di Dio” discesa dal cielo su Maometto è il miracolo (l’unico) di Maometto. Sarebbe come se un cattolico affermasse che i Vangeli sono la copia di un archetipo celeste, eterno ed increato, e che la loro semplice esistenza dimostra la loro origine divina e quindi la loro autenticità, ragion per cui non potrebbero nemmeno esser tradotti.
 
“Dogmatica musulmana e storia sono d’accordo nel riconoscere che il Corano fu rivelato a Maometto a brani isolati, spesso brevissimi, durante il periodo della sua predicazione religiosa, che abbraccia circa venticinque anni, dei quali gli ultimi dieci (622-632) a Medina. Brani che da età immemorabili si trovavano scritti in un archetipo celeste, detto nel Corano “l’originale della Scrittura” o “la Tabella custodita”, [o “la madre del libro”], e che Maometto, quando ne riceveva la comunicazione, affidava dapprima alla memoria, ma più tardi dettava ai suoi segretari, che li scrivevano sul materiale più svariato: cortecce di rami di palma, brani di pelle conciata, ossa larghe, cocci etc.”. Le “rivelazioni” – ricordo al lettore – avvenivano in genere di notte, verso l’alba, a Maometto avvolto per terra nel suo mantello, in preda ad una forte e prolungata agitazione dello spirito.
 
“Ad un ordinamento di tutto questo materiale inorganico Maometto non pensò, se non forse in modo occasionale e rudimentale, tanto più che la chiusura delle rivelazioni non sarebbe avvenuta se non con la sua morte [improvvisa]. La raccolta dei brani in libro fu opera dapprima personale di alcuni suoi compagni; la redazione definitiva ufficiale, quella che costituisce il Corano attuale accolto da tutti i mussulmani ortodossi ed eterodossi, fu fatta fare dal terzo califfo ‘Uthman (644-656 AD)”.
 
L’esposizione contenuta nel Corano non segue un ordine logico rigoroso. I redattori hanno messo i capitoli “in ordine quasi degradante di lunghezza, sicché gli ultimi sono brevissimi; senza contare che i capitoli lunghi, salvo la massima parte del XII, sono in realtà conglomerati di rivelazioni venute in tempi diversi e senza rapporto d’argomento fra loro. Cosicché il Corano risulta nella sua parte maggiore un libro nel quale si salta di palo in frasca, senza transazione da un argomento all’altro, senza concatenazione logica di pensiero: solo i capitoli più brevi, quelli del periodo più antico (il meccano) della missione religiosa di Maometto, rappresentano, ma non sempre, qualche cosa di organico”. I capitoli si chiamano sure (sūrah, pl. suwar), vocabolo di origine incerta introdotto da Maometto. Sono 114 di lunghezza varia, suddivisi in versetti, da un minimo di tre (sura 108) a un massimo di 286 (sura 2). Il testo è in prosa ritmata, con assonanze verso la fine del versetto, non mantenuta nelle sure più lunghe. Per i mussulmani esso è “modello inarrivabile di lingua e di stile”. Ad ogni sura, tranne che alla nona, è premessa la formula detta básmalah, ossia “in nome di Dio clemente e misericordioso”. Si indica se la sura sia meccana o medinense, cosa questa non sempre facile da determinare, opera dei commentatori dopo la redazione ufficiale fatta fare dal Califfo Othman. Ogni sura porta un nome o più, “desunti, non si sa con qual criterio, da analogo vocabolo ricorrente nella sūrah stessa; e con questi nomi i musulmani sogliono citare, anziché col numero come facciamo noi”[15].

Il Corano è, tranne la prima sura, “tutto in forma di discorso rivolto a Maometto da Dio [“Dì:”; “O voi che credete:” “O tu, l’avvolto nel mantello”]. Il contenuto è assai vario. Nei brani rivelati alla Mecca [fase iniziale della “missione” di Maometto] l’argomento è tutto religioso e morale […] Invece nei brani rivelati a Medina, quando Maometto era divenuto anche capo assoluto e teocratico d’uno Stato da lui medesimo fondato, lo stile poetico si attenua o scompare addirittura, la predicazione morale e religiosa passa in seconda linea, si accende la polemica acre contro la “gente del Libro” [ebrei e cristiani] che non vogliono riconoscere la missione divina di Maometto; e d’altro canto il Corano si trasforma in alcune parti, pur figurando sempre Dio come narratore, in una specie di diario delle azioni politico-militari del profeta e dei suoi. Nella fase medinese la rivelazione entra in argomenti che ad un occidentale parrebbero del tutto profani, come norme legislative su materie per noi completamente estranee al campo religioso, e perfino rimproveri alle donne di Maometto per pettegolezzi sorti fra esse”[16].

5.2 L’abrogante e l’abrogato, esempi di contraddizione nel Corano

Su 6200 versetti, 500 sarebbero norme giuridiche, che comprendono anche il culto. La tematica giuridica è esposta in modo frammentario nelle sure medinensi, “cosicché sarebbe impossibile ricostruire il sistema sulla base dei versetti coranici. La cosa è aggravata dal fatto che si incontrano talvolta norme fra loro contraddittorie, perché rivelate in epoche alquanto diverse e sotto l’influsso di circostanze speciali; contraddizioni che il Corano stesso giustifica, asserendo che Dio può abrogare sue precedenti disposizioni e sostituirle con nuove. Onde la necessità, affermata dagli stessi musulmani, di conoscere, in tali casi, quale sia il versetto cronologicamente anteriore e quale il posteriore abrogante, qualunque sia la loro rispettiva posizione nel libro”[17].

Esiste dunque nell’islamismo un’esegesi dell’abrogante (nâsikh) e dell’abrogato (mansûkh): il versetto che contraddica un altro, si ritene abrogato da quest’ultimo, considerato evidentemente posteriore. Allah è onnipotente, come crea tutto continuamente così può ricrearlo continuamente e abrogare ciò che ha appena decretato. Il fondamento di tale singolare concezione si ritrova nel Corano stesso, ci ricorda Nallino. Si tratta della sura 13 o del tuono: “39. Dio cancella ciò che vuole o lo conferma, e presso di lui è la madre del Libro”; e della sura 2 o della vacca: “100. Per qualsiasi brano che abrogheremo o ti faremo dimenticare, ne accorderemo uno migliore o eguale ad esso; non sai che Dio è onnipotente?” . Tuttavia, precisa sempre l’illustre studioso, “questa dottrina dell’abrogante e dell’abrogato non ha riflessi sulla costruzione dogmatica, poiché le abrogazioni riguardano solo norme del fiqh [ossia del diritto]”[18]. Vediamo alcuni esempi di contraddizioni presenti nel Corano.
  1. Un determinismo assoluto domina nelle azioni umane: sura 54 o della luna: “50. E il nostro comando non è se non una parola sola, a guisa di un batter d’occhio. 51. Già abbiamo sterminato nazioni, simili a voi [miscredenti]; però, havvi forse chi accetti l’avvertimento? 52. Ma ogni cosa che essi hanno fatto è registrata nei libri. 53. E ogni azione, piccola o grande che sia, è ivi vergata”; sura 7 o dell’A’râf : “177. Coloro che Dio dirige, quegli è bendiretto; coloro, invece, che egli travia, quelli sono i perditori. 178. Abbiamo, inoltre, creato per la gehenna un gran numero di ginn e di uomini, i quali hanno cuori con cui non comprendono, hanno occhi con cui non vedono, hanno orecchi con cui non odono…”.
    Accenni all’esistenza del libero arbitrio: sura 4 o delle donne: “81. Qualsiasi fortuna ti tocchi, essa viene da Dio e qualsiasi sfortuna ti incolga, essa viene da te stesso”. Sura 18 o della caverna: “28. Di’: la verità viene dal vostro Signore, e chi vuole, creda, e chi vuole, non creda. Noi, certo, abbiamo preparato, per gli iniqui, un fuoco, il cui turbine di fumo li avvolgerà…”.
  2. Tra i passi coranici che invitano alla pace, famoso è il seguente: sura 5 o della tavola imbandita: dopo aver descritto a modo suo l’episodio di Caino e Abele, la voce che parla nel Corano dice: “35. A causa di ciò prescrivemmo ai figli di Israele che chi uccida un uomo, senza che questi abbia ucciso un altro uomo, o abbia portato la corruzione nel paese, sarà come abbia ucciso tutto il genere umano, e chi ne abbia salvato uno, sarà come abbia salvato tutto il genere umano”.
    Ma nella stessa sura si incita allo sterminio dei miscredenti, poco dopo, al versetto 37 : “La retribuzione di coloro che fanno la guerra a Dio e al suo apostolo [Maometto] e si adoperano a portare la corruzione sulla terra, sarà unicamente che essi vengano messi a morte o crocefissi, o vengano loro tagliate le mani e i piedi, in modo alternato, o vengano esiliati dal loro paese. Ciò sarà per essi un’ignominia in questo mondo, e nell’altro ad essitoccherà grave castigo”. Si potrebbe tuttavia affermare che la contraddizione è apparente perché i “miscredenti”, nell’ottica crudele del Corano, sono di per se stessi colpevoli; individui che, a causa della loro “miscredenza” nella missione di Maometto, portano “la corruzione” sulla terra e meritano pertanto di essere torturati e messi a morte! Non si tratterebbe più della morte dell’innocente, come nel caso di Abele, assassinato da Caino per invidia.
  3. Sempre nella stessa sura, si ordina ai mussulmani di non avere rapporti con ebrei e cristiani : “56. O voi che credete, non prendete per amici gli ebrei e i cristiani; essi sono amici gli uni degli altri; chi di voi li prenderà per amici, egli certamente diverrà uno di essi; Dio, in verità, non guida gli uomini iniqui”. Nella stessa sura, al versetto 85, questi stessicristiani, inclusi poco prima tra gli “iniqui”, vengono considerati i migliori amici dei mussulmani: “Tu, per certo, troverai che i pi­ù violenti nell’inimicizia contro coloro che credono, sono i giudei e i politeisti e troverai, d’altra parte, che quelli che sono più vicini per affetto a quelli che credono sono coloro che dicono: ‘noi siamo cristiani’; ciò avviene perché di essi alcuni sono preti e monaci, ed essi non sono orgogliosi”[20].
Certo, queste “contraddizioni” si possono spiegare perché contenute in “rivelazioni” avvenute in epoche diverse e quindi rispondenti a bisogni diversi, dipendenti dalle esigenze del momento (Nallino). Tuttavia, osservo, resta il fatto che il Corano, presentato addirittura come “archetipo celeste”, viene inteso in ogni sua parte come verità atemporale ed eterna, staccata quindi da ogni contesto storico particolare, che possa giustificare il divergere contraddittorio di certi versetti. I significati contrapposti che si ricavano da massime supposte eterne e quindi vere in assoluto si possono allora comporre solo ricorrendo ad una soluzione che appare artificiosa: il volontarismo assoluto, applicato all’idea di Dio. Che tale “volontarismo” possa armonizzare l’ermeneutica dell’abrogante e dell’abrogato con l’idea della natura eterna ed increata del Corano, è assai dubbio. Si tratterebbe di una vera e propria quadratura del cerchio.
 
Il decreto che abroga il precedente “fatto scendere” su Maometto viene per forza di cose dopo nel tempo, rispetto all’abrogato. Si ha quindi un’azione di Dio successiva nel tempo, di segno opposto a quella precedente, quanto al suo contenuto. Ma ciò significa che il contenuto della precedente non può considerarsi “increato”, se poi viene appunto soppresso dall’azione del decreto successivo. Deve considerarsi finito e quindi creato. Hanno ragione gli Sciiti. Il Corano non può essere “increato”, se vi sono versetti che sono stati aboliti da chi li aveva creati. “Creati”, appunto, altrimenti non avrebbero potuto essere aboliti. Aboliti da una successiva creazione. Increata e quindi eterna è solo la volontà di Colui che crea, non la cosa da Lui creata. Se questa cosa, questa realtà è riformabile continuamente con una nuova creazione, perché l’onnipotenza di Dio non conosce limiti, allora nessuna parte del Corano può considerarsi eterna ed increata.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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