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APPELLO di 50 fra teologi e vescovi ALLA CHIESA A NON TRADIRE LA DOTTRINA

Ultimo Aggiornamento: 16/09/2015 13:19
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Sinodo
 

Cinquanta teologi e filosofi esperti di morale accusano: il paragrafo 137 dell'Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo sulla famiglia distorce gravemente l'insegnamento dell'enciclica Humanae Vitae e va contro ogni principio della morale cattolica. 
Svista? 
Niente affatto: è la deliberata volontà di sovvertire il magistero della Chiesa cominciando a togliere di mezzo l'enciclica di Paolo VI che provocò una spaccatura nella Chiesa. 
E nelle prossime settimane ne avremo conferma.

- IL TESTO DELL'APPELLOdi David S. Crawford e Stephan Kampowski
- KASPER E LA CONTRACCEZIONEdi Renzo Puccetti

 

di Riccardo Cascioli

L’accusa è pesante: il paragrafo 137 dell’Instrumentum Laboris, ovvero il documento base per la discussione al prossimo Sinodo sulla Famiglia (4-25 ottobre) distorce gravemente il significato dell’enciclica di Paolo VI Humanae Vitae e fa fuori il senso stesso della morale cattolica. Non è cosa di poco conto perché «le inadeguatezze e le distorsioni contenute nell’Instrumentum laboris rischiano di avere conseguenze devastanti per i fedeli, che hanno diritto di conoscere la verità del depositum fidei. Infatti, se sarà avallato dal Sinodo, il paragrafo 137 seminerà confusione fra i fedeli».

Ad affermarlo è un documento – che presentiamo nella traduzione italiana (clicca qui) – redatto dai professori David S. Crawford (Istituto Pontificio Giovanni Paolo II di Washington) e Stephan Kampowski (Istituto Giovanni Paolo II di Roma) e sottoscritto da una cinquantina di teologi e filosofi cattolici di tutto il mondo esperti di morale (clicca qui per le firme). Si tratta di un appello ai padri sinodali perché correggano quel paragrafo 137 che costituisce un grave pericolo per l’insegnamento della Chiesa. Anzi «Il paragrafo 137 dovrebbe essere pertanto soppresso e sostituito da un paragrafo che parli della coscienza in modo più preciso, che celebri la saggezza e la bellezza della Humanae Vitae e che aiuti i coniugi a comprendere che le grazie sono a loro disposizione per vivere il piano di Dio riguardo al dono della sessualità».

Di cosa si tratta? In sostanza l’Instrumentum Laboris nell’affrontare il tema del discernimento morale mette l’un contro l’altro la coscienza ben formata dei coniugi con la norma morale oggettiva, proponendo di trovare un punto di equilibrio magari aiutati da un padre spirituale. È la negazione dell’enciclica Humanae Vitae(1968) di Paolo VI, pur furbescamente richiamata in modo elogiativo, della Veritatis Splendor (1993) di Giovanni Paolo II, e più in generale di tutta la morale cattolica.

In pratica l’Instrumentum Laboris - formato dai contributi provenienti dalle Chiese di tutto il mondo ma redatto dalla segreteria del Sinodo, guidata dal cardinale Lorenzo Baldisseri e da monsignor Bruno Forte – lascia intendere che le norme morali della Chiesa non corrispondano alla verità dell’uomo, dato che Dio può parlare alla coscienza del singolo suggerendo comportamenti diversi da quelli prescritti dalle norme morali oggettive. Insomma è come se di fronte a una norma che condanna l’adulterio senza se e senza ma, Dio potesse suggerire alla coscienza di qualche persona che in fondo in fondo, a certe condizioni, l’adulterio è anche accettabile. Dopodiché bisogna trovare un punto di equilibrio ricorrendo a un terzo (la guida spirituale) che però lui stesso deciderebbe arbitrariamente non avendo una norma oggettiva cui fare riferimento.

In altre parole si punta alla relativizzazione della morale, che ovviamente poi si estenderebbe ben oltre i confini della famiglia. Peraltro la formulazione del paragrafo 137 tradisce una concezione della norma morale che è soltanto negativa, coercitiva, quando invece dovrebbe spalancare alla bellezza della vita: «Suggerire che il contenuto oggettivo di una norma morale possa essere - dice il documento dei 50 moralisti -  “non rispondente alle esigenze della persona”, cosicché la conformità ai suoi comandamenti possa non promuovere il bene morale della persona, cioè il “bene della persona” (cfr. VS 50), è in contraddizione con la concezione cattolica della morale. La tesi secondo cui le norme morali possano anche non promuovere la felicità umana rispecchia una visione nominalistica e arbitraria della legge morale, visione secondo la quale un’azione è cattiva per l’unico motivo che è proibita. Una visione siffatta non corrisponde in alcun modo alla realtà della creazione di Dio. Va piuttosto affermato che, la legge morale, essendo corrispondente alla verità dell’atto creativo di Dio, esprime verità antropologiche in merito alla persona umana che non possono esser ignorate o violate senza ledere le nostre “esigenze e possibilità”, vale a dire senza far male a se stessi». 

L’appello dei 50 moralisti è sicuramente da leggere tutto e meditare perché chiarisce anche il livello dello scontro che si prepara al Sinodo.

È ovvio infatti che la formulazione del paragrafo 137, con la gravità delle sue affermazioni, non si deve alla sbadataggine o all’ignoranza dei redattori, bensì a una precisa volontà di sovvertire l’insegnamento morale della Chiesa. E le ultime dichiarazioni del cardinale Kasper, (che riprendiamo a parte commentandole,clicca qui) ne sono una ulteriore prova.

Si conferma ciò che già scrivevo il 20 marzo 2014: «Non c’è dubbio che qualcuno vuole usare i prossimi Sinodi sulla famiglia per prendersi la rivincita sulla Humanae Vitae. Anche allora Paolo VI era stato blandito per anni dal mondo laico e da quei vescovi che dopo il Concilio si aspettavano cambiamenti dottrinali importanti in materia di morale sessuale e familiare, salvo poi passare repentinamente al linciaggio quando quella enciclica che riaffermava la dottrina della Chiesa su vita e famiglia fu pubblicata deludendo i “progressisti”. Ma da allora si è sviluppato in alcuni episcopati, nei seminari, negli ordini religiosi un Magistero parallelo che ha insegnato e propagato come dottrina della Chiesa ciò che era frutto di alcuni intellettuali e teologi ansiosi soltanto di “essere del mondo”. Intellettuali, teologi e vescovi che hanno palesemente disobbedito ai Papi, teorizzando anzi il valore di una disobbedienza che non poteva che essere “profetica”. E sono gli stessi che oggi esaltano papa Francesco, scoprendosi più papisti del Papa, scatenando anche una caccia agli “eretici”, rei di non accodarsi a questa rivoluzione ormai inarrestabile». 

Le prossime settimane ci daranno certamente ulteriore riscontro.

 


UN APPELLO. Confermare l’insegnamento della Humanae Vitae e della Veritatis Splendor.

 
Dal sito dell'Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân per la dottrina sociale della Chiesa
Gli studi e gli appelli, anche autorevoli oltre che 'dal basso', non sono mancati. Tuttavia finora non sembra siano stati presi in considerazione. Tutto dipenderà da coloro che parteciperanno alla imminente Assise sinodale; ma anche da chi saprà trarne le conseguenze in base a quanto emergerà.

15-09-2015 - di Stephan Kampowski e David S. Crawford
In vista del prossimo Sinodo sulla famiglia che inizierà il 4 ottobre 2015, cinquanta moralisti di fama internazionale hanno firmato un Appello che riportiamo qui in versione italiana. Qui si può leggere l’originale inglese pubblicato sulla rivista americana First Things e le firme dei sottoscrittori.
Il 23 giugno 2015 è stato pubblicato un Instrumentum laboris (“documento di lavoro”) approntato in vista della XIV Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Esso affronta una gamma di argomenti legati al tema della famiglia scelto per il Sinodo. Nel suo paragrafo 137 un documento-chiave del Magistero moderno, l’enciclica Humanae Vitae, viene trattato in un modo che pone in discussione la forza di quell’insegnamento e al tempo stesso propone un metodo di discernimento morale che è decisamente non cattolico. Questo modo di affrontare il discernimento contraddice quanto finora insegnato dal Magistero della Chiesa circa le norme morali, la coscienza e il giudizio morale, suggerendo che una coscienza ben formata possa trovarsi in conflitto con le norme morali obiettive.
 



Nella nostra qualità di teologi morali e filosofi morali cattolici, avvertiamo il dovere di prendere la parola contro la distorsione dell’insegnamento cattolico che è implicita nel paragrafo 137 dell’Instrumentum laboris. Se avallato dal Sinodo, questo testo difettoso dell’Instrumentum laboris provocherebbe confusione fra i fedeli. Il paragrafo 137 dovrebbe essere pertanto soppresso e sostituito da un paragrafo che parli della coscienza in modo più preciso, che celebri la saggezza e la bellezza della Humanae Vitae e che aiuti i coniugi a comprendere che le grazie sono a loro disposizione per vivere il  piano di Dio riguardo al dono della sessualità.
LA NORMA MORALE
La traduzione ufficiale inglese dalla pagina web del Vaticano recita:
In relation to the rich content of Humanae Vitae and the issues it treats, two principal points emerge which always need to be brought together. One element is the role of conscience as understood to be God’s voice resounding in the human heart which is trained to listen. The other is an objective moral norm which does not permit considering the act of generation a reality to be decided arbitrarily, irrespective of the divine plan of human procreation. A person’s over-emphasizing the subjective aspect runs the risk of easily making selfish choices. An over-emphasis on the other results in seeing the moral norm as an insupportable burden and unresponsive to a person’s needs and resources. Combining the two, under the regular guidance of a competent spiritual guide, will help married people make choices which are humanly fulfilling and ones which conform to God’s will.
Se la traduzione inglese è molto ambigua, l’originale italiano è ancora più problematico:
Tenendo presente la ricchezza di sapienza contenuta nella Humanae Vitae, in relazione alle questioni da essa trattate emergono due poli da coniugare costantemente. Da una parte, il ruolo della coscienza intesa come voce di Dio che risuona nel cuore umano educato ad ascoltarla; dall’altra, l’indicazione morale oggettiva, che impedisce di considerare la generatività una realtà su cui decidere arbitrariamente, prescindendo dal disegno divino sulla procreazione umana. Quando prevale il riferimento al polo soggettivo, si rischiano facilmente scelte egoistiche; nell’altro caso, la norma morale viene avvertita come un peso insopportabile, non rispondente alle esigenze e alle possibilità della persona. La coniugazione dei due aspetti, vissuta con l’accompagnamento di una guida spirituale competente, potrà aiutare i coniugi a fare scelte pienamente umanizzanti e conformi alla volontà del Signore.
Mentre la traduzione inglese ammorbidisce la divisione implicita tra la coscienza e le norme in quanto parla di “two principal points”, la versione italiana irrigidisce la divisione parlando di “due poli”. Mentre la traduzione inglese parla di una “over-emphasis”, la versione originale parla del “prevalere” di un lato sull’altro. La lingua di lavoro del Sinodo l’anno scorso è stato l’italiano, perciò si può presumere che lo stesso avverrà questo anno. Indipendentemente da quale delle due versioni si usi, il paragrafo 137 non presenta correttamente né il ruolo della coscienza né lo statuto delle norme. La formulazione del paragrafo è profondamente ambigua e tende a dipingere la norma morale come estrinseca alle persone umane e alla vita buona che sono chiamate a vivere. Così facendo suggerisce che la norma sia esclusivamente negativa e, per così dire, coercitiva. Porre in tal modo l’accento sulla funzione proibitiva della norma equivale a ignorare il ruolo positivo svolto dalla norma nel promuovere la crescita personale del soggetto morale e la sua realizzazione nel bene. Poiché il passo non insegna che la norma stessa, in tutta la sua oggettività, rivela qualcosa di indispensabile per la bellezza e la bontà della vita umana ben vissuta, esso dà anche l’impressione che le norme morali potrebbero essere “un peso insopportabile, non rispondente alle esigenze e alle possibilità della persona”. 

Il modo in cui questo paragrafo presenta la norma morale non tiene conto di quanto si legge al n. 15 della Veritatis Splendor: “Gesù mostra che i comandamenti non devono essere intesi come un limite minimo da non oltrepassare, ma piuttosto come una strada aperta per un cammino morale e spirituale di perfezione, la cui anima è l’amore (cfr. Col 3:14)”. Interpretare la norma morale come qualcosa che stabilisce esclusivamente delle limitazioni estrinseche e potenzialmente in contrasto con il bene del soggetto morale, equivale a ignorare che Gesù Cristo insegna i comandamenti come qualcosa di pregno della pienezza di vita da Lui promessa.
 
Suggerire che il contenuto oggettivo di una norma morale possa essere “non rispondente alle esigenze della persona”, cosicché la conformità ai suoi comandamenti possa non promuovere il bene morale della persona, cioè il “bene della persona” (cfr. VS 50), è in contraddizione con la concezione cattolica della morale. La tesi secondo cui le norme morali possano anche non promuovere la felicità umana rispecchia una visione nominalistica e arbitraria della legge morale, visione secondo la quale un’azione è cattiva per l’unico motivo che è proibita. Una visione siffatta non corrisponde in alcun modo alla realtà della creazione di Dio. Va piuttosto affermato che, la legge morale, essendo corrispondente alla verità dell’atto creativo di Dio, esprime verità antropologiche in merito alla persona umana che non possono esser ignorate o violate senza ledere le nostre “esigenze e possibilità”, vale a dire senza far male a  se stessi. 
 
Sostenere che il contenuto oggettivo delle norme morali, così come si trova nelle Sacre Scritture e viene proposto dal Magistero, possa non corrispondere alle “possibilità” della persona, equivale a negare l’insegnamento esplicito, consolante e pieno di speranza del Concilio di Trento: “Nessuno poi, benché giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti; nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e condannata con la scomunica dai Padri, secondo la quale è impossibile all’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio infatti non comanda ciò che è impossibile, ma nel comandare ti esorta a fare tutto quello che puoi, a chiedere ciò che non puoi e ti aiuta perché tu possa; infatti ‘i comandamenti di Dio non sono gravosi’ (cfr. 1 Gv 5:3) e ‘il suo giogo è soave e il suo peso è leggero’ (cfr. Mt 11:30)” (sessione VI.11). Il paragrafo 137 dell’Instrumentum laboris non consiglia di affidarsi a Dio per trovare la forza di obbedire ai Suoi comandamenti, ma suggerisce invece che un agente morale potrebbe trovare un terreno intermedio sul quale bilanciare le “esigenze e possibilità” soggettive, percepite nel proprio discernimento, con il reale contenuto della legge morale. Così facendo, si perde completamente di vista il modo in cui il Concilio interpreta la grazia della redenzione di Cristo, riaffermato al capitolo II della Veritatis Splendor: “Perché non sia resa vana la Croce di Cristo.”

Il vero ministero pastorale non tenta di adattare la legge morale alle possibilità percepite dagli stessi coniugi (“gradualità della legge”), ma cerca piuttosto di accompagnarli in un cammino, magari lungo e arduo, di crescita morale, che la forza della grazia di Dio consente loro di intraprendere (“legge della gradualità”) (cfr. FC 34). La legge della gradualità sarà praticata dai confessori, i quali non dovranno mostrarsi severi con i coniugi che mancano ripetutamente di mantenersi fedeli al piano di Dio per la sessualità, ma invece avranno cura di incoraggiarli a ricercare con più ardore le grazie necessarie per ordinare opportunamente i loro desideri sessuali.

  continua...






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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