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Chi si vergognerà di me anche io mi vergognerò di lui, parola di Gesù

Ultimo Aggiornamento: 18/01/2018 08:53
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29/08/2016 19:33
 
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ed ecco la ciliegina (diremo il diavolo), sulla torta....  
IL CASO
 

Documenti hackerati rivelano come il finanziere Soros paghi organizzazioni cattoliche americane per spingere i vescovi a parlare di giustizia sociale invece che di famiglia e vita. Coinvolto anche il cardinale Maradiaga. E un uomo di Soros è arrivato ora a dettare la linea in Vaticano...

di Riccardo Cascioli
George Soros
 

Il finanziere George Soros ha dato consistenti contributi ad organizzazioni cattoliche per «spostare le priorità della Chiesa cattolica americana» dai temi vita e famiglia a quelli della giustizia sociale: occasione particolare, la visita di Papa Francesco negli Usa nel settembre 2015. È quanto emerso nei giorni scorsi, in aggiunta alle precedenti rivelazioni, dai numerosi documenti riservati hackerati alla sua Open Society Foundation. La notizia è circolata soprattutto negli Stati Uniti, focus dell’azione di Soros, ma merita di essere ripresa e conosciuta ovunque perché le sue implicazioni riguardano la Chiesa universale.

Partiamo dai fatti contenuti nei documenti pubblicati da DC Leaks: nell’aprile 2015 la Open Society ha versato 650mila dollari nelle casse di due organizzazioni legate ad ambienti cattolici progressisti, PICO e Faith in Public Life (Fpl), con lo scopo di «influenzare singoli vescovi in modo da avere voci pubbliche a sostegno di messaggi di giustizia economica e razziale allo scopo di iniziare a creare una massa critica di vescovi allineati con il Papa». Le due organizzazioni destinatarie dei versamenti sono state scelte, spiegano i documenti, perché impegnate in progetti a lungo termine che hanno lo scopo di cambiare «le priorità della Chiesa cattolica statunitense». La grande occasione è data dalla visita del Papa negli Stati Uniti e la fondazione di Soros punta esplicitamente ad usare i buoni rapporti di PICO con il cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, tra i principali consiglieri di papa Francesco, per «impegnare» il Pontefice sui temi di giustizia sociale e anche avere la possibilità di inviare una delegazione in Vaticano prima della visita di settembre in modo da far ascoltare direttamente al Papa la voce dei cattolici più poveri in America.

C’è poi un Rapporto del 2016, un bilancio dell'anno precedente, in cui la fondazione di Soros si ritiene soddisfatta di come sia andata la precedente campagna in vista della visita del Papa e anche per il numero di vescovi che, in vista delle presidenziali, hanno apertamente criticato i candidati che puntano sulle paure della popolazione, con evidente riferimento a Donald Trump ed altri candidati repubblicani.

Se questa soddisfazione sia giustificata o meno e quanto la visita del Papa sia stata effettivamente influenzata da questa azione di lobby, è certo materia di discussione. Ma ognuno può trarre le sue conclusioni ripercorrendo discorsi, incontri, conferenze stampa e polemiche legate a quella visita. Quello che qui preme sottolineare sono invece due realtà che tali documenti portano alla luce e che hanno un valore ben oltre la contingenza di una visita papale.

Il primo e più importante è il grande investimento che organizzazioni filantropiche tradizionalmente anti-cattoliche stanno facendo per sovvertire l’insegnamento della Chiesa. È questo il vero scopo del cambiamento di priorità invocato, dai temi su famiglia e vita a quelli di giustizia sociale. In questo Soros si colloca nel solco di una tradizione ultradecennale che vede protagoniste le principali fondazioni americane, dai Rockefeller ai Ford, dai Kellog a Turner e così via. È un progetto di “protestantizzazione” che il sottoscritto aveva già documentato in un libro pubblicato venti anni fa (Il complotto demografico, Piemme). Il motivo? La Chiesa cattolica che, in sede di organizzazioni internazionali ha come obiettivo fondamentale di difendere la dignità dell’uomo, è l’ultimo baluardo che si oppone all’instaurazione di un nuovo ordine mondiale che vuole ridurre l’uomo a semplice strumento nelle mani del potere. 

Parte fondamentale di questo progetto è la diffusione universale del controllo delle nascite,dell’aborto come diritto umano, della distruzione della famiglia e della promozione dell’ideologia di genere. Proprio negli anni ’90 del secolo scorso, in un ciclo di conferenze internazionali dell’ONU (dal vertice di Rio de Janeiro sull’ambiente nel 1992 fino al summit di Roma sull’alimentazione nel 1996) si scatenò una battaglia diplomatica senza precedenti tra Stati Uniti e Unione Europea da una parte e Santa Sede dall’altra proprio su questi temi. Sebbene possiamo oggi notare come quell’agenda abbia fatto passi da gigante a livello mondiale, la strenua resistenza della Chiesa, che aveva trascinato con sé molti Paesi in via di sviluppo (vittime di questo neo-colonialismo) ha ritardato e sta ostacolando quel progetto. Molto lo si deve a Giovanni Paolo II, il quale ha sempre avuto chiaro che la famiglia e la vita sono oggi il principale terreno su cui si gioca la battaglia per la dignità dell’uomo. Vale la pena ricordare per inciso che proprio per questo motivo e per questa battaglia, il Papa istituì allora il Pontificio Consiglio per la Famiglia e anche l’Istituto per gli studi su Matrimonio e Famiglia presso la Pontificia Università Lateranense (l’Istituto Giovanni Paolo II che nei giorni scorsi ha visto un cambiamento significativo alla sua guida).

Si può capire quindi come si siano intensificati gli sforzi internazionali per indebolire la Chiesa su questo fronte. Negare l’esistenza di princìpi non negoziabili e la promozione quasi esclusiva della giustizia sociale a scapito dei temi di famiglia e vita è la via maestra per raggiungere questo scopo. E i soldi di Soros sono parte di questi sforzi che però vanno ben oltre l’attività della sua Fondazione.

Del resto - e qui è la seconda questione - questi personaggi e queste organizzazioni trovano una facile sponda all’interno della Chiesa stessa in certi ambienti progressisti che già per conto loro condividono questo approccio. Proprio le due organizzazioni finanziate da Soros nel 2015 ne sono una dimostrazione. PICO, ad esempio, è stata fondata nel 1972 dal padre gesuita John Baumann e si propone di affrontare i problemi sociali attraverso l’organizzazione di cellule fondate sulle comunità delle varie religioni presenti, per intenderci un modello evoluto di comunità di base di sudamericana memoria. Proprio per questo PICO si è guadagnata il supporto del cardinale Maradiaga (c’è un video promozionale del 2013 in cui il cardinale invita a sostenere PICO). Ma tale organizzazione è anche ispirata dal “guru” comunista Saul Alinski, conosciuto come il “profeta” dell’organizzazione delle comunità di base e delle minoranze etniche. Del resto nell’elenco dei finanziatori di PICO troviamo le Fondazioni Ford e Kellogg in aggiunta a un’altra decina di fondazioni dalla forte identità liberal. Curiosamente, poi, si trova Alinski anche all’origine della carriera politica di Hillary Clinton e non può quindi sorprendere l’impegno di PICO, tra l’altro, nella campagna elettorale per le presidenziali.

Impegno ancora più esplicito per l’altra organizzazione finanziata da SorosFaith in Public Life, che tra i successi del 2015 – oltre alla “preparazione” della visita del Papa, tra cui un sondaggio ad hoc sui cattolici americani teso a supportare l’agenda liberal – cita anche la mobilitazione per bloccare la legge sulla libertà religiosa della Georgia, finalizzata tra l’altro a garantire l’obiezione di coscienza contro l’imposizione dell’ideologia gender e delle nozze gay. 

Quanto il cardinale Maradiaga e altri esponenti dell’episcopato sono coscienti o partecipi di questo disegno decisamente anti-cattolico? Non lo sappiamo e non ci azzardiamo a processarne le intenzioni. Possiamo solo notare come certi esponenti ecclesiali di primo piano vengano individuati come omogenei ai progetti di chi vuole distruggere la Chiesa, a prescindere poi dal successo o meno che abbiano certi tentativi di approccio. 

Però qui corre l’obbligo di aggiungere un dato inquietante ai documenti rivelati. Si può infatti facilmente capire che di tale progetto di cambiamento nella dottrina della Chiesa faccia parte anche un'opera di infiltrazione di specifici personaggi nei centri decisionali della Chiesa. E non si può non andare immediatamente al caso di Jeffrey Sachs, l’economista dell’ONU e direttore dell’Earth Institute che ha avuto un ruolo importante nell’enciclica “Laudato Sii”, tanto da essere chiamato dal Vaticano sia per le presentazioni dell’enciclica sull’ambiente sia per i convegni internazionali sullo sviluppo sostenibile. 

La sua inspiegabile onnipresenza è stata contestata nei mesi scorsi – oltre che dal nostro giornale (clicca quiqui e qui) – dalle principali organizzazioni pro-life e pro-family internazionali perché Sachs è ben noto come grande sostenitore delle politiche di controllo delle nascite. Ma è stato difeso a spada tratta dal presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, il vescovo argentino Marcelo Sanchez Sorondo, che ne ha anche sponsorizzato la nomina da parte di papa Francesco nella Pontificia Accademia da lui presieduta. Ebbene, ciò che forse non è stato detto, è che Sachs è anche conosciuto per essere un uomo di Soros (peraltro entrambi sono ebrei originari dell’Est Europa), da diversi decenni impegnato nella concezione e diffusione di teorie economiche a sostegno dell’Open Society perseguita da Soros. 

Alla luce dei documenti che attestano le strategie di Soros nei confronti della Chiesa cattolica, la presenza di Sachs nei piani alti del Vaticano risulta meno inspiegabile, sebbene ancora più inquietante. A questo punto sarebbe però opportuno che a spiegarsi siano il vescovo Sorondo, il cardinale Maradiaga e quanti altri sono coinvolti in questa rete.




IL CASO
 

”Verso un’economia più umana e giusta. Un nuovo paradigma economico inclusivo in un contesto di disuguaglianze crescenti”. E il titolo del convegno promosso dall’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, il Cortile dei Gentili e il Pontificio Consiglio della Cultura. Dove si é discusso di il Fil, cioè la Felicità Interna Lorda. 

di Rino Cammilleri
La felicità diventa indicatore economico

L’agenzia Zenit l’aveva annunciato, incuriosendomi. Ecco il lancio: «Più economia e meno finanza, più etica e meno deregulation. Una richiesta ai maggiori economisti del mondo di aderire alla visione di papa Francesco, già illustrata nella enciclica Laudato sii». Uno potrebbe dire: ma che bisogno c’è di convocare questo gotha per una cosa che già si sa? 

Comunque, il 21 settembre è andato in onda il convegno ”Verso una economia più umana e giusta. Un nuovo paradigma economico inclusivo in un contesto di disuguaglianze crescenti”. Insomma, tesi già bella e pronta, cui si può solo aderire-plaudire. Prestigiosa sede romana, Palazzo Borromeo, promosso dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede «in sinergia» col (e ti pareva) Cortile dei Gentili e collaborazione del Pontificio Consiglio della Cultura. Starring: il Premio Nobel economico Angus Deaton, Jean-Paul Fitoussi e Dominque Yvan der Mensbrugghe (economisti), i presidenti di camera&senato Laura Boldrini e Pietro Grasso, il ministro Giuliano Poletti (già presidente della Legacoop e ora a capo del dicastero del lavoro), il solito Giuliano Amato in qualità di presidente della fondazione Cortile dei Gentili. 

Last but not least, il cardinale Ravasi, deus ex machina del Cortile medesimo. Il quale, allapresentazione, ha sottolineato che il Cortile «è impegnato già da tempo ad approfondire il confronto sull’economia sostenibile». Mi riservo di approfondire (io) il concetto di economia INsostenibile, perché (io, almeno) mi ritrovo di anno in anno sempre più povero. Il Cortile, leggo, «presto aprirà un confronto sul tema del Fil, acronimo di Felicità Interna Lorda». I’chell’è (dicono i fiorentini)? Ecco: «che prende in considerazione indicatori come qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali». Ah. Vabbe’, seguiamo Zenit, che fa, due giorni dopo, il riassunto del convegno. 

L’ambasciatore Mancini ha detto che «si nota una accentuazione delle diseguaglianze». Anzi, «sidilata a dismisura la forbice dei redditi». Perciò, «serve un modello distributivo più equo». Infatti, «nell’enciclica Laudato Si’, Papa Francesco ha indicato la non sostenibilità del sistema economico attuale». Poi Ravasi, il quale «nel pamphlet che accompagnava l’incontro» ha spiegato che (cito) «l’uomo primordiale esprime la sua umanità quando dipinge, canta, prega, compone, danza, gioca, quando cioè non realizza un’operazione economica». Come vincere, allora, l’egoismo brutale teso al possesso? Con l’agape inteso come «amore e dono». 

Mi sembra corretto, in fondo anche un cardinale è un prete. Non si portano tutte le domeniche, daparte del popolo, i “doni” all’altare? «Il dono è una componente prodigiosa e preziosa dell’economia», ha ribadito. Ne sa qualcosa l’Africa (penso io) che da mezzo secolo piglia “doni” occidentali ma di decollo economico non se ne parla. Il “dono” l’ha solo ingolosita, tant’è che ora viene a prenderselo a domicilio (nostro). Mi sia consentito di risparmiarvi gli interventi della Boldrini e del Grasso, che sono facilmente intuibili. Immagino che, data l’originalità del tema e la (sia detto senza offesa) prevedibilità degli interventi (del resto, il titolo del convegno era praticamente un diktat), tutti gli occhi si siano puntati, a quel punto, su Deaton, il Nobel. 

Il quale, bontà sua, ha ricordato che nell’ultimo mezzo secolo il tanto vituperato capitalismo ha   ridotto di parecchio la povertà, la mortalità infantile e pure quella degli anziani. «È vero che sono ancora tanti (quelli, ndr) che soffrono di sottosviluppo e ingiustizie, ma in generale il mondo sta migliorando sempre di più». Sono gli argomenti che gli hanno meritato il Nobel e hanno fatto chiedere a un lettore del blog diRepubblica se Deaton sia «di destra». Forse memore di questo e del titolo del convegno, a un certo punto, però, ha tuonato contro le lobby affaristico-finanziarie, la speculazione etc., in un crescendo culminato in Donald Trump (sic!) indicato come «una vera minaccia per la democrazia!». Con tanto di punto esclamativo. 

Uno potrebbe chiedersi che cosa gliene freghi a lui, che è scozzese e pure sir britannico. Ma la veradomanda, mi si consenta, è quella di Giuda: la spesa per convegni del genere non sarebbe meglio “donarla” ai poveri? 

 



PARMA
La stanza del silenzio di Parma (Repubblica)
 

All'ospedale di Parma l'Asl e le università hanno creato la stanza del silenzio: un luogo in cui meditare sul dolore e la morte ma senza simboli religiosi, per dialogare con tutti.
E in prima fila, tra gli entusiasti, c'è la diocesi.
Che ha abbandonato l'insegnamento sulle verità della vita e della morte, unendosi al coro degli epigoni della religione mondiale 2.0 e gettando alle ortiche il criterio oggettivo con cui leggere la realtà attraverso gli occhi della fede.

di Andrea Zambrano

Non ci sarà nulla. Proprio nulla: né arredi, né oggetti, né sedie. Perché non servono allo scopo e lo scopo è quello di affrontare il dolore della malattia o la perdita della morte. L’hanno ribattezzata Stanza del silenzio e quelli di Repubblica, che di queste novità sono sempre ghiotti, l’hanno confezionata così: “Parma, una stanza dove le preghiere non hanno bandiere”. 

Facile immaginare il senso: siccome le cappelle col Santissimo offendono le altre fedi, bisogna creare qualche cosa che vada bene a tutti. Ma che cosa? Semplice: una stanza dove annullare qualunque riferimento al sacro e che nelle intenzioni si dica che possa andare bene a tutti: cattolici, buddisti, musulmani, induisti, ebrei e persino atei dato che al tavolo nazionale voluto  da un Forum interreligioso del quale si disconosce l’autorevolezza devono starci proprio tutti. 

Non è la prima stanza del silenzio che viene creata. Sempre Repubblica ci informa che negli Stati Uniti è ormai una prassi e che l’idea nacque all’Onu nel lontano 1954 quando l’allora segretario della Nazioni Unite fece predisporre una camera di meditazione per i dipendenti del quartiere. Così con la scusa del pluralismo religioso, si abbandonano le specificità delle varie religioni che sulla morte hanno elaborato un pensiero profondo, per mettere pari tutti. Come avrebbe detto Totò: dato che la morte è una livella, anche la riflessione su di essa deve vedere tutti partire dallo stesso punto. Che non è come avrebbe detto un Sant’Alfonso la consapevolezza che di fronte all’ora fatale non ci sono né re né plebei, ma è il nulla, appunto. 

L’iniziativa di Parma è significativa però, rispetto ad altre già create in Italia, come Torino, per due motivi.

Anzitutto è sponsorizzata da numerosi enti pubblici, i quali attuano direttive di scristianizzazione già affermate e utilizzano i nostri soldi anche per questi scopi che al contribuente potrebbero sembrare discutibili per il semplice fatto che esulano dalle loro competenze: che si debba incaricare l’Asl di Parma di livellare tutte le esperienze religiose di fronte a come reagire alla morte è alquanto discutibile, che a collaborare a questo progetto ci siano professionisti, immaginiamo ben pagati, di alcune università, come quella di Modena-Reggio e quella di Padova, è folcloristico, perché da sempre gli atenei sono i luoghi del sapere. La loro presenza in questo tipo di progetti invece certifica che le Università non hanno praticamente nulla da dire se non il silenzio e una meditazione tanto vaga quanto sterile. 

La seconda specificità è che alla causa ha portato acqua anche la Diocesi di Parma che, sostiene sempre Repubblica, ha accettato di partecipare entusiasta alla creazione della stanza del silenzio. E ti pareva: non bastava aver lodato i grandi epigoni del laicismo italiano come Pannella e Dario Fo come improbabili cristiani inconsapevoli, adesso le gerarchie ecclesiastiche sono prone persino nello svendere a buon mercato ciò che hanno ricevuto in custodia: l’anima delle persone e la verità sul loro destino eterno. 

In Diocesi a Parma si vede che si è pensato di tradurre alla lettera la profezia di John Lennon che in Imagine si augurava un mondo finalmente senza religioni. Eccolo accontentato, grazie a vescovi che hanno scambiato il mito del dialogo come un risvolto moderno e rattrappito dell’evangelizzazione. Accantonando la verità per far posto al disorientamento, smettendo di dare criteri per leggere la realtà attraverso la fede. 

A noi viene in mente un’altra canzone, di Gino Paoli: il nulla in una stanza. Il cielo non c’è più. Di fronte al silenzio come grido nel vuoto e non, come direbbe il cardinal Sarah, luogo privilegiato dell’ascolto, non ci resta che il nulla. 

E’ evidente che non c’è stato nessun buddista che si sia lamentato con la direzione dell’ospedale per non aver trovato una cappella di suo gradimento durante il ricovero; né che i musulmani abbiano chiesto di avere a disposizione una camera di meditazione dove stendere lo stuoino tra un ciclo e un altro di chemio. Si procede per false risposte a bisogni veri: siccome ormai non siamo più cattolici, trasformiamo tutto in modo che vada bene a tutti. Però qualche spazio ci vuole perché la morte è assurda e noi, dopo aver cacciato Dio dalle nostre porte principali non ce lo vediamo più.  

Con buona pace per la verità sull’uomo che difficilmente potrà trovare pace e risposte tra quattro mura agghindate con quadri da biennale e suppellettili sincretiche. E’ proprio vero che quando uno non crede più a niente diventa credulone. A Parma, complice la direzione sanitaria e uno stuolo di cultori autorevoli della nuova religione 2.0, quella che dovrà affratellare i popoli senza un briciolo di verità, si adora il vitello d’oro del silenzio nichilistico, ma elevandolo a religione perché è questo che deve tenere legati gli uomini: una indistinta e informe di sentimenti vacui e terribilmente umani.

E a certificare tutto questo c’è la complicità di pastori che hanno deciso di abbandonare la loro missione per accontentarsi del dio ignoto degli ateniesi. Anzi, più che ignoto: il Dio assente, il Dio del così è se vi pare. Però quella stanza una cosa la dice: dopo aver fatto di tutto per cacciare Dio dalla propria vita si ritorna come in un gioco dell’oca al punto di partenza. Con le stesse domande, ma senza pretendere una risposta, che a ben guardare sarebbe a portata davvero di tutti. 

 















[Modificato da Caterina63 25/10/2016 18:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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