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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Chi si vergognerà di me anche io mi vergognerò di lui, parola di Gesù

Ultimo Aggiornamento: 18/01/2018 08:53
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07/03/2017 12:05
 
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 CARI VESCOVI, DELLA LITURGIA NON SIETE I PADRONI.....




IL CASO LITURGIAM AUTHENTICAM
 

Prepariamoci alla revisione di Liturgiam authenticam e ad un nuovo linguaggio del Messale italiano. In fondo in questo momento Dio ha affidato la sua Chiesa a questo tipo di professori e di studiosi. Quel Dio che scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini. 

di padre Riccardo Barile O.P.

«Se soltanto poteste sopportare un po’ di follia da parte mia! Ma, certo, voi mi sopportate» (2Cor 11,1). E allora, facendo seguito al contributo sulla costituzione di una commissione per rivedere l’Istruzione Liturgiam authenticam, che regolamenta i criteri e i modi della traduzione liturgica, con una dose di follia mi permetto di dire: è un lavoro inutile, una commissione inutile, utile solo a spendere soldi in viaggi e soggiorni di lavoro e a prendersi una rivincita “oggettiva”, sia pure con “soggettive” buone intenzioni. L’Istruzione Liturgiam authenticam è ancora oggi valida a orientare le traduzioni e a produrre un eccellente linguaggio liturgico aperto alle innovazioni. Queste valutazioni, che potrebbero sembrare irrispettose del “nuovo corso”, sono da comprendersi alla luce di ciò che segue.

Con le traduzioni “esatte” non si auspica un ritorno puro e semplice all’antichità. La formulazione di un linguaggio “attuale” non è affidata principalmente ai traduttori, ma è insita nel Messale uscito dopo il Vaticano II, che non si è limitato a riproporre “le cose vecchie”, ma ha adottato «con prudenza “le cose nuove” (cf Mt 13,52)». Alcune orazioni relative a «certe necessità proprie del nostro tempo, sono state interamente composte ex novo, traendo i pensieri e spesso anche i termini dai recenti documenti conciliari» (anche se, con buona pace di Paolo VI, in genere sono di una prolissità insopportabile e odorano più di conferenza che di preghiera). Certe espressioni antiche «di una certa mentalità sull’apprezzamento e sull’uso dei beni terreni», o legate a forme penitenziali di altri tempi, sono state modificate sembrando che, con un’operazione del genere, «non si recasse offesa alcuna al venerabile tesoro della tradizione». Così il n. 15 dell’attuale Proemio del Missale Romanum.

C’è però un rispetto dei tempi e dei momenti, che non sempre è presente nelle istanze di chi vuole riproporre oggi un nuovo linguaggio liturgico e rivedere Liturgiam authenticam. La Chiesa dei padri e dell’antichità ha creato un suo linguaggio liturgico e quella stagione non è replicabile oggi. È un po’ come le scelte dell’adolescenza e della giovinezza di un uomo che possono essere approfondite, ma non continuamente rimesse in discussione nelle successive età della vita. Così come è antistorica l’istanza di devolvere l’approvazione delle traduzioni in larga misura alle conferenze episcopali, perché oggi la comunicazione e il governo della Chiesa non possono più tornare alle situazioni del mondo antico.

Al riguardo è interessante il fatto che negli anni ’80 Dossetti fu invitato a partecipare «al lavoro per la proposta di un nuovo repertorio italiano di orazioni» e rispose negativamente perché «mi pareva che io e la mia comunità fossimo del tutto impreparati a dare un contributo originale all’impresa», e ciò perché Dossetti riteneva più urgente che «si dovesse fare qualche cosa per rieducare il popolo di Dio nella percezione più esatta e più rigorosa possibile delle formule eucologiche create dalle età più antiche» (Prefazione a M.F.T. Lovato, Messale Romano. Le Orazioni proprie del Tempo. Ed. San Lorenzo, Reggio Emilia 1991, pp. V-VII). Oggi per contro un gruppo di “professorini” è disposto a correre l’avventura di un nuovo linguaggio, guardandosi bene - questa volta - dal citare Dossetti.

L’inganno del postulato della incomprensibilità. Spesso si ritiene che il linguaggio liturgico tradizionale sia incomprensibile non solo quanto alle parole - incomprensibili o, se comprensibili, inaccettabili come “placare” Dio con un sacrificio di immolazione -, ma sia anche inattuabile dall’uomo di oggi come struttura, come stile del discorso. Il che forse non è vero e in ogni caso presuppone che il modo di parlare odierno sia una sorta di assoluto al quale adeguarsi e al quale il linguaggio liturgico classico avrebbe abbastanza poco da insegnare. Bisogna invece presupporre che il linguaggio liturgico classico parte da elementi “naturali” alla intelligenza umana e dunque “può” essere capito e praticato simultaneamente al linguaggio odierno corrente.

Qui la posta in gioco è il rapporto cristianesimo/mondo e in fondo è la stessa dinamica dei punti caldi di Amoris laetitia: o si parte correttamente dall’ideale venendo incontro alle persone o si parte dall’assoluto soggettivo delle persone costruendo un nuovo e scorretto ideale.

Quando poi si continua a ripetere che l’uomo di oggi non capisce il linguaggio liturgico, forse non si tiene conto dello scarto tra il non capire e il non essere interessati a capire, che deriva da un scelta di non conversione e, perché no, da un clima di edonismo diffuso. San Tommaso d’Aquino spiega che «dalla lussuria ha origine la cecità della mente, che esclude in modo quasi totale la conoscenza dei beni spirituali» (II-II, q 15, a 3). Ora, constatando un certo clima attuale di lussuria disponibile non solo “nella carne”, ma nel linguaggio e nelle immagini e dunque nella cultura, chi vive per sua scelta in tale atmosfera quale interesse potrà mai avere di entrare nel linguaggio della liturgia?

Bisogna infine entrare nella prospettiva che la liturgia è il roveto ardente con l’esigenza di togliersi i calzari, a cominciare dal linguaggio.

Il punto decisivo è però il punto di partenza, in quanto, come ammette anche chi persegue la traduzione esatta, molti testi tradizionali latini «così fortemente connotati non sono trasferibili in italiano in modo tale che la traduzione salvi ogni loro valore» (M.F.T. Lovato, Messale Romano..., p. 28). Chi parte dal tradurre esattamente e dal portare gli uomini di oggi nel linguaggio della tradizione, di fatto non tradurrà mai alla lettera e più di una volta non seguirà la sintassi originale perché improponibile e dunque produrrà come risultato un linguaggio liturgico... “attuale” e comprensibile dall’uomo di oggi ma avvicinandolo ai contenuti della tradizione, che sono una perenne giovinezza. Chi per contro parte dalla preoccupazione di un nuovo linguaggio e di un adattamento dei testi ritenuti incomprensibili all’uomo di oggi è esposto al rischio di creare non un nuovo linguaggio, ma un linguaggio ideologico legato alla cultura e alla teologia del momento.

Lasciare spazio alla intelligenza del cuore. Una traduzione «diverrebbe pericolosa se volessimo tradurre tutto, al punto da lasciare solo ciò che è immediatamente comprensibile alla ragione, ciò che risulta comprensibile solo alla banale quotidianità», dal momento che «esiste un comprendere del cuore che va oltre il comprendere delle parole» (J. Ratzinger, Il Dio vicino. San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, pp. 72-73). Le considerazioni di Ratzinger riguardano la permanenza di alcuni testi latini, ma si possono applicare anche alla traduzione dei testi in italiano: non è il caso che tutto sia assolutamente comprensibile, assolutamente attuale: c’è una comprensibilità generale e di fondo che è data dalla celebrazione stessa e dall’entrare nel mistero di Cristo e che è un cammino in cui a poco a poco si arriva a comprendere ciò che non si era compreso all’inizio.

Ciò precisato, prepariamoci alla revisione di Liturgiam authenticam e ad un nuovo linguaggio del Messale italiano che, salvo imprevisti, si tenterà di mettere in piedi. In fondo in questo momento Dio ha affidato la sua Chiesa a questo tipo di persone, di professori e di studiosi. Chi ne è fuori stia comunque tranquillo, perché mai come in questo caso la conclusione sarà che... «Dio scrive dritto anche sulle righe storte degli uomini» (J. Bossuet)!




IL RETROSCENA
 

Con un colpo di mano l'ala progressista in Vaticano sta mettendo mano alle traduzioni della Bibbia e della liturgia, aggirando le disposizioni dell'istruzione Liturgiam authenticam. La posta in gioco è di sostanza perché attraverso le parole viene comunicata l'immagine di Dio e l'atteggiamento con cui l'uomo si rivolge a Lui.

di padre Riccardo Barile O.P.

«Se non pronunciate parole chiare con la lingua, come si potrà comprendere ciò che andate di-cendo?» (1Cor 14,8). Le “parole chiare”, che san Paolo raccomandava alla comunità di Corinto - alla lettera “di un buon segno”, cioè “ben decifrabili” -, riguardano non solo la pronuncia, ma anche la comprensibilità linguistica. È a partire da qui che la Chiesa ha curato le traduzioni della Bibbia e della liturgia, perché «la parola di Dio vuole interpellare l’uomo, vuole essere da lui compresa e avere una risposta comprensibile, ragionevole» (J. Ratzinger, Il Dio vicino. San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, p. 71).

Per quanto riguarda la liturgia, tale movimento si è andato intensificando sino a un livello critico e polemico, come la notizia dei giorni scorsi di una nuova commissione per rivedere l’Istruzione Liturgiam authenticam (del 28 marzo 2001), che regola i principi e i modi di tradurre i testi liturgici, mettendo da parte addirittura il prefetto del dicastero competente, cioè il cardinal Robert Sarah: un colpo di mano dell’ala progressista! Cerchiamo di capire.

Anzitutto il fedele italiano ignora che cosa sia Liturgiam authenticam, non avendone speri-mentato né i benefici né i (presunti) disastri. Infatti il Messale italiano in uso (del 1983 con alcune integrazioni) è stato tradotto dall’edizione tipica latina del 1975 e i criteri della traduzione erano regolati dalla precedente Istruzione Comme le prévoit (25.1.1969).

Dopo il Messale italiano del 1983, il Messale tipico latino ha avuto una terza edizione del 2000 con una ristampa emendata del 2008. Bisognava dunque rivedere il Messale italiano alla luce di questa terza edizione, che comportava testi aggiunti e altre modifiche. Ma la revisione era postulata anche dal fatto che nel frattempo Liturgiam authenticam, tenuto conto di certi difetti delle traduzioni, aveva riformulato i criteri per la traduzione dei testi liturgici.

Da parte della Chiesa italiana tale lavoro di revisione iniziò quasi subito, ma, trascorsi quasi 15 anni - e sono tanti -, il nuovo Messale non è ancora uscito, per cui viene da pensare che non sia uscito perché qualcuno ha manovrato perché non uscisse. E a questo punto è ipotizzabile che a tempi brevi non uscirà, in quanto la nuova traduzione dovrebbe vedere la luce più o meno in contemporanea all’uscita di un documento che riformula i criteri per le traduzioni, per cui il povero Messale, appena uscito, sarebbe da rivedere...

A questo punto il fedele cattolico si trova confuso ed estraniato. In realtà la questione tocca proprio lui senza che l’interessato se ne accorga. Perché? Perché ad oggi quando va a Messa è destinatario di una traduzione uscita nel 1983 ed elaborata fine anni ’70 e inizio anni ’80, sostanzialmente fedele ma abbastanza “liberale”; se poi, invece di una traduzione più fedele, è in arrivo una revisione con criteri più innovativi, immaginarsi il risultato. A questo punto la posta in gioco non è di letteratura, ma di sostanza, in quanto attraverso le parole viene comunicata l’immagine di Dio e viene plasmato l’atteggiamento dell’uomo che si rivolge a Lui (come stare davanti a Dio, come lodarlo, che cosa chiedergli ecc.).

Oggi si vuole rivedere Liturgiam authenticam perché i suoi criteri sarebbero troppo stretti, perché c’è bisogno di un linguaggio nuovo e - sostiene qualcuno - anche di gesti nuovi e poi perché... è espressione “anche” di un clima restaurazionista di san Giovanni Paolo II, aiutato in questo “anche” dall’allora card. Joseph Ratzinger e dal card. Jorge Medina Estévez, firmatario di Liturgiam authenticam. Quanti allora non digerirono l’Istruzione, oggi o sono nella stanza dei bottoni o ricevono benevola udienza da chi dimora in quella stanza. Ovvio il tentativo della rivincita, credendo onestamente di aver subìto un sopruso, di aver ragione e di far avanzare la Chiesa nella fedeltà all’uomo e a Gesù Cristo. È capitato tante volte nella storia, sia da destra che da sinistra. Però, senza negare questo fattore, bisognerebbe sforzarsi di guardare la realtà.

Ora un sano atteggiamento verso la realtà è di lasciar parlare Liturgiam authenticam, troppo spesso taciuta nel dibattito. Che cosa dice? Tante cose che non interessano l’Italia, ma anche tante altre sulla traduzione e dunque sul linguaggio liturgico che interessano tutti i cattolici e che qui condenso in 5 punti.

1. Esattezza formale della traduzione. La traduzione è un aspetto della «opera di inculturazione» (n. 5), però «non sia un’opera di innovazione creativa, quanto piuttosto la trasposizione fedele e accurata dei testi originali in lingua vernacola» (n. 20). E qui Liturgiam authenticam chiede una traduzione che rispetti il più possibile le parole e le frasi così come sono: questo è il metodo delle “equivalenze formali”, contrapposto al metodo delle “equivalenze dinamiche”, che invece tende a tradurre con parole e frasi di oggi ciò che con parole antiche recepì il destinatario di ieri. Tanto per fare un esempio, la traduzione biblica a equivalenze dinamiche rende il termine paolino “carne” con “egoismo”, certo facilitando, ma perdendo un mucchio di sfumature. Liturgiam authenticam, rispettando lo Spirito, la tradizione della Chiesa e il destinatario, mette in guardia dal seguire una strada così disinvolta.

2. Legittimità di una lingua liturgica e di uno stile liturgico. A quanto sopra si potrebbe obiettare che, pur usando termini comprensibili, il risultato sarebbe un linguaggio che si discosta dal modo abituale di comunicare. Ebbene, Liturgiam authenticam prende il toro per le corna e ricorda che espressioni poco consuete (ma comprensibili), possono essere ritenute più facilmente a memoria e anzi possono sviluppare nella lingua odierna uno «stile sacro» (n. 27), «dove i vocaboli, la sintassi, la grammatica siano propri del culto divino» (n. 47). Ecco un’altra presa di posizione: è normale ed è positivo per chi ascolta che esista un linguaggio del culto e uno stile sacro, che, pur comprensibili, non vanno ridotti al modo abituale di comunicare.

3. Traduzioni né ideologiche né soggettive. I libri liturgici devono essere «immuni da qualsiasi pregiudizio ideologico» (n. 3) e non sempre le attuali traduzioni lo sono. Ad esempio la Liturgia delle Ore rende “instaurare omnia in Christo” con “fare di Cristo il cuore del mondo”, espressione che trasuda di Teilhard de Chardin († 1955): con quale autorità si impone il pensiero di Teilhard a migliaia di oranti? Di più: i testi tradotti non sono funzionali ad essere «in primo luogo quasi lo specchio della disposizione interiore dei fedeli» (n. 129). Il che significa che non bisogna addolcire o aumentare i testi solo per venire incontro a ciò che si desidera oggi - ad esempio aggiungendo un “giustizia e pace” dove non c’è -, poiché il testo della preghiera della Chiesa è una proposta che va oltre le nostre attese e i nostri gusti e così facendo ci costringe a rettificarci e ad arricchirci. Di nuovo, i paletti di Liturgiam authenticam, prima di essere severi, sono promozionali per il popolo di Dio e lo preservano dalle dittature ideologiche e sentimentali.

4. Le parole giuste e varie. Alla varietà di vocaboli del testo originale «corrisponda, per quanto è possibile, una varietà nelle traduzioni» (n. 51). Qui si citano due casi: il primo è l’antropologia: “anima, animo, cuore, mente, spirito” andrebbero tradotti come sono, compresa “anima” che i traduttori aggiornati vorrebbero abolire o comunque limitare. L’altro esempio sono i modi di rivolgersi a Dio: Signore, Dio, Onnipotente ed eterno Dio, Padre ecc. La fedeltà della traduzione ci veicola un giusto concetto di Dio e aumenta il senso di rispetto e adorazione nel rivolgersi a Lui. Ciò che non sempre è capitato nelle traduzioni: ad esempio gli anni ’70 hanno prodotto in un ordine religioso delle orazioni che iniziavano con un “Tu o Dio”. Mi domando se ci si rivolgerebbe così a un impiegato al di là dello sportello.

5. Rispettare la sintassi originale. Questo è il punto più contestato e - si capisce - più decisivo: siano conservati, per quanto è possibile, la relazione delle frasi in «proposizioni subordinate e relative», la «disposizione delle parole», i «vari tipi di parallelismo» (n. 57a). Oggi tendiamo a parlare sparando delle frasi accostate: è il linguaggio della pubblicità e della comunicazione virtuale. La liturgia tende invece a collegare le frasi mettendole in ordine armonico tra di loro; soprattutto una richiesta non è generalmente formulata per prima, ma dipende da una precedente memoria delle meraviglie operate da Dio, che plasmano la richiesta stessa. Questo ordine e questa bellezza del linguaggio è ciò che il mondo classico ha prodotto e che la liturgia trasmette a tutti.

Ecco, è un poco tutto questo che si vuole rivedere e ripensare (accantonare? scartare?), creando un nuovo linguaggio più secondo l’uomo di oggi. 
Quanto sopra richiederebbe ulteriori approfondimenti, ma il lettore che ha avuto il coraggio di arrivare fin qui, sarà stanco, per cui rimando a un prossimo intervento.




SE IL PRIMO MINISTRO LUSSEMBURGHESE E SUO “MARITO” VENGONO RICEVUTI UFFICIALMENTE IN VATICANO

Se il primo ministro lussemburghese e suo “marito” vengono ricevuti ufficialmente in Vaticano

di Massimo Viglione

Il Primo Ministro del Lussemburgo è venuto in visita in Italia con suo “marito”. Il fatto è che è pure lui un uomo. Nonostante ciò, nelle varie visite ufficiali e ricevimenti, ha portato con sé un altro uomo presentandolo appunto come “marito” (il che lascia supporre che lui sia la “moglie”).

Evidente è l’intento non tanto provocatorio, quanto dissolutorio: certamente lo ha fatto su commissione di altre forze, che hanno stabilito che sia giunto il momento di “rompere anche questo tabù” a livello diplomatico internazionale. Insomma, si tratta come ovvio di una messinscena orchestrata all’uopo, non nel senso che i due non siano realmente omosessuali e amanti (suppongo di sì), ma al fine di ottenere un risultato ben preciso. Un passo avanti non così secondario e scontato come si è voluto far credere.

E questo è il punto della questione. Questi due signori sono stati ufficialmente ricevuti dal Presidente della Repubblica e dalla alte cariche dello Stato, come se niente fosse. Non solo. Sono stati ricevuti in Vaticano… come se niente fosse. Sorge la domanda: li hanno ricevuti come due amiconi in gita o veramente come “marito e moglie”?

La domanda non è secondaria o semplice frutto di venatura polemica. Solo qualche anno fa sarebbe stato del tutto inconcepibile e non solo in Vaticano. Sono sempre esistiti ovviamente politici e anche capi di Stato omosessuali: ma nella loro vita privata. Poi si è passati alla denuncia pubblica. Poi al “matrimonio”. Ora all’ufficializzazione internazionale del “matrimonio”. Perfino in Vaticano.

Non è necessario risalire al passato più lontano per rendere idea del livello di sovversione raggiunto. Non è necessario nominare qualche sovrano medievale o moderno. Nemmeno dell’anteguerra. È sufficiente rimanere nel nostro mondo postbellico, quello delle repubbliche democratiche in cui tutti viviamo felicemente: ve lo immaginate Amintore Fanfani che riceve i due piccioncini “sposati”?

Non è necessario andare ai papi medievali, a Pio IX, a san Pio X e nemmeno a Pio XII. È sufficiente rimanere nell’ambito nuova chiesa conciliare: ve l’immaginate Paolo VI o Giovanni Paolo II ricevere i due piccioncini? Ricordo solo che ancora nei primi anni postconciliari era in uso nella Chiesa che il papa non riceveva coppie conviventi o divorziate. La chiesa del terzo millennio invece riceve in visita ufficiale internazionale in Vaticano una coppia omosessuale che si presenta apertamente come “marito e moglie” . “Contra factum non valet argomentum”.

La domanda è: quando verranno – questi due o altri che immancabilmente verranno – con i “loro” bambini comprati chissà dove, li riceveranno ugualmente con tutti gli onori? Onoreranno il nuovo mercato degli schiavi? E non aggiungo altro…

E allora ti sorge una domanda nel cuore: cosa combattiamo a fare le nostre battaglie in difesa del matrimonio sacramentale o comunque naturale, della famiglia vera, soprattutto dei bambini?

“Ma sono obbligati dall’etichetta diplomatica!”, sento già la risposta. Risposta falsa. Sia perché in passato, e in un passato ancora recentissimo, come appena detto, l’etichetta l’imponeva la Chiesa e non la diplomazia laica, sia perché nessuno può obbligare un qualsiasi Capo di Stato – laico o ecclesiastico – a fare qualcosa. L’unico obbligo di statisti veri è servire il Bene della società. L’unico obbligo degli uomini di Chiesa è servire la Verità nella Carità. Nel momento in cui è caduta perfino questa barriera, non potranno allora più rifiutare tra qualche tempo di ricevere le “famiglie” con i bambini comprati al mercato, stile Vendola, altrimenti saranno accusati di razzismo e omofobia. E così saranno sempre più complici della dissoluzione.

Chiudo però con la vera considerazione che volevo fare e riguarda l’insegnamento da trarre da questa non abbastanza approfondita pagina di follia contemporanea. Ovvero, che – come sanno perfettamente le forze della Rivoluzione dissolutiva – noi… ci abituiamo a tutto. Ma proprio a tutto. Tutto, con il passar del tempo, diviene possibile. E, di conseguenza, normale. Normale! Ecco la responsabilità di chi li ha accolti e di tutti noi che tacciamo o addirittura giustifichiamo tale “normalizzazione” di ciò che solo venti anni fa era impossibile.

La verità… è che fare resistenza alla corrente del fiume, essere scomodi all’opinione pubblica, non conviene. Dà fastidio. Richiede sforzo e coraggio, ma soprattutto capacità di sofferenza. Ancor più: richiede amore per Dio. Un amore immenso per la Verità e immensa carità per i veri deboli di questa società, che non sono gli immigrati che ci mandano per invaderci.

Vedendo queste cose, ti viene la voglia di appendere la spada e mandare tutti a quel paese. Invece, oggi più che mai, tocca a noi laici cattolici ancora legati – nemmeno alla Tradizione, ma – al solo Bene comune, fosse anche solo quello dei nostri bambini, combattere la battaglia più importante di tutta la storia umana.

Perché… «Quando cadono i grandi, tocca ai piccoli guidare» (Tolkien).

Questa visita è più sovversiva di una guerra mondiale. E tutti fanno finta di non capire. 

 





[Modificato da Caterina63 30/03/2017 23:52]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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