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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Chi si vergognerà di me anche io mi vergognerò di lui, parola di Gesù

Ultimo Aggiornamento: 18/01/2018 08:53
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27/04/2017 21:03
 
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   riflessione provocatoria


Perché non possiamo dirci cattolici

Non possiamo dirci cattolici perché i cattolici non contano niente.
Sì, lo so, non è una scusa. Ma è la realtà. Chi se li fila ancora, i cattolici? Non sono specie protetta, anzi, sono la sola specie che è possibile cacciare impunemente. Provate a toccare una qualsiasi minoranza di pervertiti, di stranieri, di lavoratori di qualche nicchia. I coltivatori di rucola e i sodomizzatori di capre possono trovare la loro sponda in Parlamento, la loro manifestazione, il loro articolo sul giornale che sancisca il loro sacrosanto diritto a qualche legge favorevole. L’indignazione, se qualcuno osa andare loro contro. I cattolici no. Guai se parlano.
Ogni cosa loro sostengano sarà inseguita e distrutta, nello sforzo corale di distruggere il cattolicesimo stesso. Di cancellarne ogni vestigia, così che non sia più possibile essere legalmente cattolici. Essere facilmente cattolici. Essere impunemente cattolici.

Con il plauso, l’approvazione o l’indifferenza di coloro che un tempo erano cattolici; e magari lo sono ancora, ma non lo dicono più. Perché non possono dirsi cattolici.

Così assisto allibito alla esaltazione, da parte di coloro che un tempo si chiamavano cattolici, delle peggiore castronerie contro il cristianesimo. Contro il suo popolo. Contro la famiglia. Contro le persone. Contro la vita.
Adempiendo forse al precetto evangelico di amare i propri nemici, e andando forse ancora più in là, adorandoli pure.
E tali nemici ne approfittano. Come talvolta c’è chi abusa di chi lo ama. Disfacendosene quando è ridotto ad un guscio vuoto, a niente. Perché niente gli importa. A questo siamo. Ad abbracciare il male non per tirarlo verso il bene, ma perché non lo sappiamo più distinguere dal bene.
Come possiamo trasmettere il fascino di ciò che non ci affascina? Spiegare ciò che non abbiamo capito? Invitare a credere in ciò in cui non crediamo?

Abbiamo dato ascolto a troppe bugie, rendendocene conto solo dopo; ed alla bugia successiva abbiamo dato ascolto ancora, dicendoci che questa volta sarebbe stato diverso. Ogni volta. Pecore senza discernimento in mano a pastori confusi.
Sì, è questo il nostro peccato più grande. Il solo grande peccato. Credere a tutto tranne che in ciò in cui dovremmo credere davvero. Essendo cattolici.

                                                   
Non credere più a Cristo. Non sapere più cosa ha detto. Non sapere più cosa dice. O, pur sapendolo, non fidandocene. Non credendoci veramente.
No, Signore, non andiamo a Gerusalemme. Là ci ammazzeranno.
Se ci andiamo non possiamo dirci cristiani. Non possiamo dirci cattolici. Ci farebbero del male. Non crederebbero a quello che diciamo.
E allora rinnegheremo. Non ci diremo più cattolici. Il gallo canterà, ma noi non piangeremo.
Quando Lui ci chiederà se lo amiamo, cosa risponderemo?

 


 CHIESA - QUEI CONTI CHE NON TORNANO

 




Il documento preparatorio al prossimo Sinodo considera soltanto i giovani "lontani" per i quali la Chiesa deve cambiare linguaggio e modo di presentarsi. 
Totalmente assenti invece quelli che col linguaggio della Chiesa non hanno problemi, magari amano la messa in latino e la tradizione. L'intento è chiaro: questi giovani non devono esistere.

di padre Riccardo Barile OP

Giovani e pregheira

Si sta avviando la macchina del prossimo Sinodo sui giovani previsto nell’ottobre 2018 con il Documento preparatorio “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, presentato da una breve lettera di Papa Francesco in data 13 gennaio 2017 e concluso da un questionario in vista della successiva redazione del Documento di lavoro o Instrumentum laboris.

I commenti e gli approfondimenti - non molti, perché il dibattito è ancora monopolizzato dal Sinodo trascorso e dall’Amoris Laetitia - si portano, come è normale, su quanto il documento dice, cioè su quello che c’è. E da questo punto di vista nulla da eccepire. Pur non tracciando «un’analisi completa della società e del mondo giovanile», si evidenziano delle difficoltà, ma soprattutto la positività dei giovani «che sanno scorgere quei segni del nostro tempo che lo Spirito addita ... alternative che mostrano come il mondo o la Chiesa potrebbero essere».

Così come è valido e costruente il discorso che si snoda a partire da “Fede e vocazione” da far maturare attraverso “Il dono del discernimento” (riconoscere, interpretare, scegliere) e nel contesto della missione e dell’accompagnamento spirituale (l’ultima espressione è una moderna furbizia per evitare la “direzione spirituale”).

Ma se si passa a quanto il documento non dice, cioè a quello che non c’è, qui casca l’asino. Quale è infatti l’immagine di giovane che il documento ha presente e in funzione del quale si auspicano attenzioni e risposte dalla Chiesa? A parte i «giovani poveri, emarginati ed esclusi» verso i quali «ciascuna comunità è chiamata ad avere attenzione», i giovani sono quelli che parlano un’altra lingua: «Ci accorgiamo che tra il linguaggio ecclesiale e quello dei giovani si apre uno spazio difficile da colmare». E non si tratta solo di linguaggio: i giovani nutrono spesso «sfiducia (...) verso le istituzioni», compresa «la Chiesa nel suo aspetto istituzionale», che i giovani vorrebbero «più vicina alla gente». Ne segue che per la Chiesa «accompagnare i giovani richiede di uscire dai propri schemi preconfezionati, incontrandoli dove sono, adeguandosi ai loro tempi e ai loro ritmi» (e non si tratta solo di orari!). Anzi, visto che i giovani sono questi, la stessa pastorale vocazionale è invitata ad «uscire (...) da quelle rigidità che rendono meno credibile l’annuncio della gioia del Vangelo, dagli schemi in cui le persone si sentono incasellate e da un modo di essere Chiesa che a volte risulta anacronistico».

Frase più, frase meno, tutto è girato e rigirato in queste categorie.

Ora, è vero che ci sono questi giovani
 e che in assoluto sono anche la schiacciante maggioranza, ma tra i giovani - quei pochi - che si rivolgono alla Chiesa sembrano essercene di molto, molto diversi. Sono giovani che non hanno difficoltà verso il linguaggio della Chiesa, anzi desiderano apprenderlo e vi trovano sicurezza; frequentano la Messa e alla comunione cercano di ricevere l’ostia in bocca e qualcuno, se glielo permettono, si inginocchia; dicono il Rosario e altri la coroncina della Divina Misericordia; se hanno rapporti prematrimoniali o anche solo se hanno praticato una masturbazione, vengono a confessarsi, ritenendo di non potersi accostare all’Eucaristia. 


Se sono seminaristi sono attenti a presentarsi con un segno di riconoscimento che va dalla talare a un altro segno meno vistoso ma percepibile; non si scompongono se si cita loro il Denzinger o un discorso di Pio XII; non praticano la liturgia preconciliare ma prendono volentieri parte a una Messa in latino; hanno ripreso ad apprezzare l’adorazione eucaristica; non sono entusiasti di andare a sentire alcuni “mostri sacri” teologici e monastici del postconcilio invitati a parlare loro, ma ci vanno restando come in apnea (al riguardo ho in mente due nomi di mostri sacri e due eventi di questo tipo, ma mi autocensuro dal citarli con esattezza... devo pur vivere!).

E questi sono quelli “normali”. Ci sono poi i fans della Messa preconciliare, ci sono poi i lefevriani come frangia estrema. E chi vuole vada a cercarsi e si guardi il filmato “Sacerdoti per il terzo millennio” realizzato da un seminario lefevriano tedesco e doppiato in italiano quasi senza gregoriano di sottofondo e senza stucchevoli “voci da prete”: ci si sente allargare il cuore alla vista di tanta abbondanza e tanta gioiosa serietà, scelte rituali a parte sulle quali non mi fermo per non allungare.

Dunque a fronte di questi giovani non è il caso di inventare linguaggi nuovi, uscire dagli schemi, abbattere rigidità - ma ci sono veramente? - ecc.

E invece quale è l’opzione del nostro Documento? Il silenzio: questi giovani non ci sono. Ma siccome il fenomeno ha una sua diffusione e preoccupa con diversa intensità alcuni vescovi, rettori di seminari, superiori e formatori religiosi ecc., non si può pensare che si tratti di una dimenticanza dell’estensore. Per cui la vera scelta verso costoro non è: «Silenzio: non esistono»; ma: «Silenzio: Non devono esistere».

Il che pone un sinistro sospetto su quelle tante aperture all’ascolto e all’accoglienza della voce dello Spirito che risuona nei giovani: sì, purché la voce dello Spirito e financo le critiche e le contestazioni vadano in una precisa direzione... nella quale è possibile anche “hacer lio / fare casino”; in direzioni più tradizionali, no.

E non ci si limita al silenzio, ma spesso, di fronte ad una vocazione del genere, si lascia trasparire una sofferenza interiore tipo: “Aspettavamo una vocazione di centro sinistra o comunque progressista... invece sei arrivato tu... un animale così strano di fronte al giovane dei documenti... anche se, è vero, sei (iper)connesso... comunque sii il benvenuto... c’est la vie!”. Tralascio per ora che cosa succede o può succedere dopo, per non girare il ferro nella piaga.

Il discorso ha però una sua serietà con alcune piste di considerazioni che mi limito ad enunciare senza svilupparle:

- questi giovani per lo più non rifiutano il Vaticano II ma l’applicazione concreta che ne è venuta dopo e spesso non tanto a livello di documenti, ma di prassi;

- a differenza dei giovani del postconcilio cresciuti in un clima un poco più clericale ed ecclesiastico del dovuto e quindi ansiosi di declericalizzare e secolarizzare, questi giovani sono cresciuti in una società secolarizzata e cercano una esperienza cristiana forte;

- cercare sicurezze è un atteggiamento sano e non da immaturi;

- le conseguenze del peccato originale toccano tutti, dal Pontefice Romano in giù, per cui bisogna stare attenti a non attribuire tutti i difetti di questi giovani alla loro scelta di Chiesa, ma alla normale debolezza umana;

- e poi i frutti: chi li accoglie accettando veramente le loro istanze in quello che hanno di azione dello Spirito - chiaro che deve viverle lui per primo - potrà certo raddrizzare dei difetti, ma soprattutto sperimenterà la fecondità e la bellezza della vita cristiana tradizionale, che è moderna;

- chi li rifiuta dicendo (assicuro che la frase è stata detta) “Piuttosto di avere vocazioni così è meglio non averne”, rischia di essere esaudito dal Signore, ma a suo danno.

Minima e ulteriore conferma: in data 8 dicembre 2016 è uscita la nuova “Ratio fundamentalis” per la formazione dei seminaristi sino al sacerdozio e oltre con la formazione permanente. È un documento molto ben strutturato e si dicono cose sagge sul Catechismo della Chiesa cattolica, sulla filosofia, sul giusto uso dei media, sulla serietà degli studi, sulla preghiera ecc.

Quando però si fanno delle critiche o si mette in guardia contro qualcosa, si mette in guardia contro il clericalismo, i princìpi astratti, la sicurezza dottrinale e spirituale, le certezze precostituite, la cura ostentata dalla liturgia ecc. (cf nn. 33, 41-42; 120). Mai una volta la messa in guardia dal pericolo di deviare dalla sana e buona dottrina scegliendosi maestri a piacere. No, quelle erano preoccupazioni di san Paolo (1Tm 1,10; 4,6; Tt 1,9; 2,1.7; 2Tm 4,3) e di certi giovani di oggi, “gente a cui si fa notte innanzi sera” (Petrarca, Trionfo della Morte I,39). Oggi sulla dottrina e sulla buona liturgia possiamo rimanere tranquilli e non è il caso di segnalare pericoli e fomentare tendenze pericolose tra i seminaristi.

Ma non sarà invece che si scrivono queste cose e se ne tacciono altre solo perché “è di moda”? Una canzoncina del 1800 che si usava nelle missioni popolari per correggere i costumi ad un certo punto faceva: «E mode non più; / chi segue le mode / non segue Gesù». Nessun dubbio che allora riguardasse gli abiti femminili: che oggi per caso non riguardi anche i Documenti?



 


Sapienti come noi

Il vescovo di Brobdingnag amava il progresso. Per questo non poteva soffrire i suoi parrochiani. Oh, sia ben chiaro, li amava tutti: In fondo era il loro pastore. Non è scritto però da nessuna parte che un pastore non possa trovare le pecore insopportabilmente ottuse.
Perché i fedeli della sua chiesa erano, insomma, troppo fedeli. Mancavano di immaginazione, di fantasia. Si accontentavano di quello che avevano sempre saputo, invece di mettersi al passo con i tempi. Non ci mettevano quella trasgressione, quella sana mancanza di rispetto all’autorità – non la sua, beninteso – che ne avrebbe fatto spiriti liberi.

Ma che ci volete fare, la pazienza è una virtù. Quella era la sua prima nomina: il vescovo era convinto che di lì a poco, dimostrando sufficiente spirito di iniziativa e di innovazione, lo avrebbero promosso ad una diocesi di altro spessore. Così aveva accettato quella cattedra storcendo un po’ il naso ma, come i suoi amici che avevano già fatto carriera gli confermavano, con la consapevolezza che era un male necessario. Magari, grazie a lui e alla sua guida, anche quei testardi contadinotti sarebbero finalmente entrati in una nuova era di comprensione.

Così si era dato da fare per organizzare una serie di conferenze sulla nuova organizzazione pastorale che aveva elaborato. Era tempo di correggere qualcuno degli atteggiamenti retrogradi e obsoleti, indegni di una Chiesa moderna, che ancora affliggevano le sue parrocchie.
Aveva invitato a tenere con lui la discussione Giovanni Allamoda, il famoso filosofo e teologo, suo intimo amico. Certo, Allamoda non era proprio un credente: ma occorreva correggere quella visione arretrata per cui solo i cristiani potevano dire la loro sul cristianesimo. Bisogna imparare dalle altre esperienze, specie quelle più qualificate. La menta eccelsa dell’intellettuale, ne era certo, avrebbe sostenuto e validato il suo discorso.

La sera della conferenza il vescovo era rimasto a lungo indeciso. Come vestirsi? Da laico, per far vedere quant’era alla mano, suggerendo che non c’erano differenze tra lui e loro? Alla fine aveva optato per indossare tutti i paramenti, simbolo di autorità. Una strizzata d’occhio ai tradizionalisti, che così magari si sarebbero lasciati imbonire.

La chiesa era colma, anche se non stracolma come si sarebbe augurato. Il vescovo transitò nella navata, benedicendo e stringendo mani, fino a giungere ad un tavolo posto di fronte all’altare, dove già l’aspettava Allamoda. Dopo uno scambio di convenevoli, il vescovo attaccò il discorso che aveva preparato.
Era tempo di scrivere un nuovo capitolo del Vangelo, aveva esordito. Per troppo tempo la pastorale era stata appesantita da una dottrina troppo rigida, Era ora di liberarsi delle interpretazioni restrittive ed adeguarsi ai tempi, aprendo…
La gente lo ascoltava, immobile. Dalla prima fila un ragazzino alzò la mano. Il vescovo cercò di ignorarlo.
…accoglienza di colui che sbaglia: chiamarlo peccatore è discriminante, occorre comprendere che spesso è costretto delle pressioni della società a cui…
il ragazzotto agitava il braccio. L’oratore provò a lanciare occhiate ai genitori, ma questi non reagirono. Qualcuno cominciava a mormorare. Il vescovo capì che doveva liberrsi dell’impiccione, se voleva completare il suo programma per la serata.

Sorrise, un po’ rigidamente, al ragazzotto. “Sì figliolo? Hai qualche dubbio? Qualcosa non è chiaro?”
Il ragazzo si alzò in piedi. “Mi scusi, eccellenza, forse non ho capito bene. Sta dicendo che la verità può cambiare?”
Il vescovo ridacchiò. Povera mente confusa. “Oh, non la verità, ma come noi la vediamo. Quello che oggi è bianco, domani può essere nero, o un misto tra i due: rimane la verità, ma si adatta ai tempi e alle persone.”
“Quindi mi sta dicendo che quello che valeva prima per la Chiesa oggi non vale più, e domani potrebbe cambiare ancora?” insistette il giovane.
Oh, uno di quelli. Il vescovo allargò il sorriso. “In un certo senso. Si tratta di adeguare il Vangelo alle circostanze per farlo capire meglio, per renderlo pienamente utilizzabile da tutti, te compreso. Non ti farebbe piacere un Vangelo che capisse le tue esigenze, che ti facesse sentire a posto, giusto?”
“No.”
Il sorrso del prelato si congelò. “Come no?”
“A me non interessa qualcosa che si adatta a me. Come sono fatto lo so già, e non riesco a rendermi felice. Io sbaglio sempre. A me interessa qualcosa che non cambi, che rimanga sempre uguale in ogni momento e in ogni luogo, perché vuol dire che quello non può sbagliare, e lo posso seguire. Credevo che la Chiesa fosse così. Ma se non è così, se la Chiesa è come dite voi, non mi interesssa. Vuol dire che è solo una buffonata fatta dagli uomini. E perché dovrei starti a sentire, quindi?”
“Ragazzino, come ti permetti?”
“Scusami, vescovo, ma io stavo a sentirti solo perché pensavo che dicessi la verità. Ma se non esiste, ed è solo quello che piace a me o a te, allora con quale autorità mi dici che dovrei seguire qualcosa che ieri era sbagliato e domani cambierà ancora? Senza qualcosa che arriva attraverso i secoli direttamente da Dio sei solo un ometto vestito buffo che racconta le sue idee. Grazie tante, non mi interessano, ne conosco di migliori. Adesso penso andrò a casa.”
Si alzò ed uscì. I genitori, imbarazzatissimi, si alzarono a loro volta e lo seguirono. Come ad un segnale, altri si avviarono verso l’uscita fino a che la chiesa si svuotò quasi completamente.
Il vescovo era rimasto a bocca aperta. Annichilito, si volse verso il teologo, come in cerca di aiuto. Questo alzò le spalle. “Peggio per loro, sono ignoranti, dei sempliciotti. Mica tutti possono essere sapienti come noi.”



[Modificato da Caterina63 05/10/2017 17:16]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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