A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

San Martino de Porres un domenicano da riscoprire

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2015 19:51
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
12/10/2015 19:37
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


Spiritualità domenicana

 

  San Martino de Porres

 

      (Quanto riferiamo di san Martin de Porres è desunto da un ciclostilato curato da un salesiano a Lima
      
      PREMESSA 
      
      Caro lettore, 
      I dati biografici che leggerete su San Martin de Porres non sono ben altro che una ricapitolazione studiata e meditata dei fatti più importanti scritti su di lui dai suoi fedeli. 
      Non vi è dubbio che molti stenteranno a credere ai fatti straordinari che sono stati abbozzati in queste pagine, però potrete esser certi che non si tratta di leggende. Sono fatti confermati da giuramenti, da numerosi testimoni che hanno fatto queste dichiarazioni nel processo di beatificazione del Santo. 
      Il fatto è che i Santi, come diceva un bambino che ricordava le vetrate della sua chiesa, sono “uomini attraverso i quali passa la luce”. 
      Non vi è nulla di più esatto di questa definizione; infatti coloro che hanno ottenuto l’onore degli altari, sono sempre stati fari luminosi e pongono Dio sulla strada della nostra vita. 
      Che il nostro Santo con la sua Croce e con la sua Scopa possa continuare a meravigliare il mondo con i suoi miracoli e attragga sui suoi devoti e su tutto il Perù le benedizioni del Cielo. 
      
      Chaclacayo, 19 Ottobre 1972

HARRY MC BRIDE

 

      Come è bella l’esistenza dedicata a servire Dio e a fare del bene al nostro prossimo! 
      
      1. INFANZIA DI FRATE MARTINO 
      
      1.1 Alla metà del secolo XVI viveva nella città di Lima una famiglia, quella del Cavaliere Juan de Porres e di una graziosa giovane negra chiamata Ana Velasquez, oriunda del Panama che viveva onoratamente del suo lavoro in uno dei quartieri che oggi si chiamerebbe periferia della città. 
      Martino nacque il 9 dicembre 1569 nella città di Lima. 
      Era un mulatto simpatico e vivace la cui pelle, con il passare degli anni, divenne sempre più scura, fino ad acquistare il colore inconfondibile dell’origine africana che gli derivava dalla madre. D’altra parte, nei suoi lineamenti si andavano delineando i tratti dell’origine spagnola del padre, una fronte spaziosa, occhi scuri, narici piccole e labbra ben marcate. 
      Pieno di bontà fino dalla nascita non poteva veder soffrire nessuno e cercava subito di rimediare al male. Sua madre lo riprendeva spesso perché ritornava dagli acquisti con il cestino vuoto, per aver dato una cosa o un’altra, appena comprata, a quanti incontrava sul suo cammino. 
      La sorella di Martino, Juana era bianca come il padre, Juan de Porres, per cui questi qualche volta doveva rammaricarsi della pelle scura della moglie e del figlio Martino che l’aveva ereditata con il latte materno. 
      Infatti la società alla quale apparteneva non comprendeva che l’amore è al di sopra del colore e che dinnanzi all’onnipotente siamo tutti uguali, per cui Juan de Porres e Ana Velasquez non erano felici come avrebbero potuto essere. Vediamo dunque che l’argilla umana che Dio inventò per modellare questo gigante di virtù, non poteva essere più umile a giudicare dalle apparenze.

      1. INFANZIA DI FRATE MARTINO 
      (continua) 
      
      1.2 Martino fu battezzato nella Chiesa di San Sebastian de Lima, in quella stessa Chiesa dove venne battezzato qualche anno più tardi il fiore più bello della santità americana, Rosa de Santa Maria. 
      Alcuni anni più tardi, il padre rinunciando ai teneri affetti della famiglia, abbandonò per molto tempo i figli al triste destino dell’abbandono. Per questa ragione vennero a mancare alla madre gli aiuti necessari ed essa soffrì moltissimo per mantenere i suoi due figlioli. 
      A seguito delle osservazioni che vennero mosse al padre di Martino, allora governatore di Panama, questi provvide a mandarli a studiare a Guayaquil ove, per le doti naturali che avevano, fecero ben presto grandi progressi. 
      Purtroppo durò ben poco la sollecitudine paterna, perchè nominato dal Re di Spagna, governatore di Panama, Porres si vide obbligato ad affidare i figli alla cura materna in considerazione della sua situazione e per i suoi numerosi impegni. 
      La madre fu felice di vedersi restituire i due figli. Martino con la sua pelle nera in verità era diventato un ometto e Juana, dalla pelle bianca, si era trasformata in una graziosa damina.

      1. INFANZIA DI FRATE MARTINO 
      (continua) 
      
      1.3 Quando Martino seppe che la madre lo aveva designato a diventare aiutante ed apprendista dal Dott. Marcelo de Rivero, si spogliò dell’abito di gala che indossava e con tutta naturalezza lo diede a sua madre: “Non sono nato per coltivare del lusso, soprattutto sapendo a quale compito mi avete designato”. 
      Dopo pochi giorni si recò alla casa del Dott. de Rivero dove fu accolto come apprendista. 
      Sarà bene ricordare quale impegno egli mise nell’imparare il mestiere di infermiere, dentista e anche di barbiere. 
      Il medico era sempre più soddisfatto del suo dipendente. Lo difendeva a spada tratta contro quei clienti che dimostravano avversione verso i negri. Martino, da parte sua, dimostrò ben presto quanto aveva appreso dal suo dotto maestro.

      1. INFANZIA DI FRATE MARTINO 
      (continua) 
      
      1.4 Un giorno in cui il Dottore era assente si presentò un uomo, con il viso gonfio e l’aspetto di colui che non ha dormito per molte notti: 
      - Dov’è il Dottore? 
      - In che cosa posso servirla? rispose Martino inchinandosi al cliente. 
      - Che cosa? Un negro servire me? rispose il signore adombrato. 
      - Sono ai vostri servizi. 
      - Potreste per caso togliermi un dente del giudizio? 
      - Sarà un onore per me - e senza cessare di sorridere cominciò ad esaminare il cliente sofferente. Poi, dopo alcuni tocchi, gli porse un vaso di acqua e gli disse: 
      - Preso! si deve sciacquare la bocca. 
      - Stai scherzando? 
      - Non scherzo, Signore. Il fatto è che il dente è già estratto e gli mostrò le pinze con il dente che aveva appena tolto. 
      - Sei certo che il dente è il mio? 
      - Certo che sì - disse Martino, sorridente. 
      - Che hai, buon negro, in mano perché io non abbia sentito alcun dolore? E spinto da una forza strana gli prese la mano e la baciò con effetto. 
      
      Qualche minuto dopo, appena il cliente fu uscito, Martino si recò alla cappella dove vi era un Cristo che Martino chiamava essere il suo migliore amico e Gli disse: 
      - Perché hai permesso che quell’uomo non sentisse alcun dolore? Questa gente non comprende la Tua bontà e crede che io sia un ciarlatano.

      2. LA SUA VOCAZIONE 
      
      2.1. Pochi giorni dopo questo episodio, arrivò una lettera del Padre di Martino, nella quale egli comunicava di esser stato premiato dal Re e che quindi nulla sarebbe più mancato alla famiglia. 
      - Per cui non occorra che Voi lavoriate? 
      - Certo che no - rispose Juana - E non sarà nemmeno più necessario che tu vada ad aiutare il Dottor de Rivero. 
      - Allora andrò a servire il mio migliore Amico. 
      A partire da questo momento pensò di servire il Signore in un convento.

      2. LA SUA VOCAZIONE 
      (continua) 
      
      2.2 La decisione di Martino di entrare in convento fu una sorpresa per tutti, in special modo per il suo maestro che ne fu estremamente contrariato. 
      - Come è possibile, Martino, che dopo 3 anni che sei con me tu pensi di abbandonarmi? Che farò ora da solo? 
      - Sono certo, Dottore, che incontrerà altre persone che l’aiuteranno molto meglio di me e, oltretutto, non vi sarà più motivo di rimproverarla perché tiene un aiutante negro. Da parte mia la ringrazio per tutto quello che ha fatto per me.

      2. LA SUA VOCAZIONE 
      (continua) 
      
      2.3 Si diresse rapidamente al convento di San Domenico, non lontano dalla sua casa. 
      Suonò il campanello e incontrò il Padre Barragan che era il portinaio del convento. 
      - Che desidera? 
      - Mi dica, che c’è qui dentro? 
      - La pace per chi la desidera, replicò il portinaio. 
      - E’ meraviglioso - rispose il mulatto 
      - Bene! Perché sei venuto? 
      - Perché desidero restare nel convento.

      2. LA SUA VOCAZIONE 
      (continua) 
      
      2.4 A tale risposta il Padre Barragan non seppe rispondere. 
      Martino ruppe il silenzio: 
      - Non potreste fare qualcosa affinché io possa restare qui? 
      - Il portiere lo scrutò un poco e gli disse: Bene, ragazzo, andiamo a vedere: seguimi! 
      Lo portò dove si trovava il Padre Priore, al quale spiegò brevemente i desideri dei giovane mulatto.

      2. LA SUA VOCAZIONE 
      (continua) 
      
      2.5 - E’ tanto grande il tuo desiderio di entrare in convento? gli chiese il Superiore. Martino abbassò la testa e rispose con una voce appena percettibile. 
      - Si, questo è il mio desiderio. 
      - Accetterai di essere un semplice converso? 
      - Converso è ultimo nella gerarchia? 
      - Sì. E’ l’ultimo della Comunità. 
      - Allora, grazie, Signore: entro in convento. 
      Da quel momento la sua vita fu una donazione totale, un’offerta perfetta al servizio di Dio.

      3. LA SUA UMILTÁ 
      
      Fin dal principio l’ex aiutante del Dott. de Rivero maneggiò subito stracci e scopa per pulire e riordinare tutti i locali del convento, dalla clausura fino alla cucina. 
      Quando il medico parlò con il Padre Priore, si prese cura dell’infermeria, alternando alla scopa gli strumenti medici e lo straccio della polvere con il bisturi, pulendo e riordinando al contempo tutti i locali dell’enorme convento. 
      Il lavoro del giovane mulatto, la sua entrata al convento, la carità che faceva erano già diventate oggetto di molti commenti in tutta Lima, arrivando fino alla città di Panama.

      4. IL PADRE DI FRATE MARTINO 
      
      4.1 Don Juan de Porres era un cavaliere orgoglioso, allora governatore di Panama e ascoltava con grande fastidio le informazioni che gli giungevano del figlio. Per questo un certo giorno decise di partire subito alla volta della capitale del Perù. 
      - Voglio far vedere a questi frati chi è Don Juan de Porres disse - Hanno forse creduto di convertire mio figlio in uno schiavo del convento? 
      Poche settimane dopo la carrozza del governatore di Panama si fermò rumorosamente dinnanzi al portale del convento più popoloso tra tutti quelli che i domenicani hanno in America. Si diresse immediatamente alla portineria. 
      - Dove si trova? 
      - Chi? - domandò Frate Barragan 
      - Mio figlio. 
      - Scusi, chi è vostro figlio? 
      - Don Martino de Porres. 
      - Vado a informare il Superiore. 
      Lasciò don Juan de Porres con il viso accigliato che stava studiando il modo per portar via il figlio. Pochi minuti dopo, si trovò di fronte al Padre Provinciale.

      4. IL PADRE DI FRATE MARTINO 
      (continua) 
      
      4.2 - Sono il padre di Don Martino de Porres. 
      - Benvenuto in questa casa, Eccellenza. 
      Considerando il tono impiegato del Superiore, Don Juan si mise a sbraitare: 
      - Perché tenete qui mio figlio come se fosse uno schiavo? Ho nobiltà a sufficienza per non mendicare e mio figlio ne tiene abbastanza perchè nessuna gli tolga il sangue dalle vene. Vengo a prenderlo. 
      - Non voglio trattenerlo, Eccellenza e se egli si dedica a umili lavori è perchè lo vuole e lo ha richiesto ripetute volte. 
      - E perchè non studia come gli altri? 
      - Perchè abbiamo, Eccellenza, dalle nostre leggi che dobbiamo rispettare. Queste leggi dicono che gli indios, i negri e i loro discendenti, non possono professare in alcun ordine religioso, per il motivo che si ritiene che queste razze siano poco preparate per la vita religiosa. 
      - Egli lo sa veramente? 
      - Sì, Eccellenza, lo sa, glielo abbiamo detto chiaramente al suo ingresso. 
      - Quindi chiedo di vederlo subito. 
      - Non vi è alcun problema.

      4. IL PADRE DI FRATE MARTINO 
      (continua) 
      
      4.3 Il padre stentò fatica a riconoscerlo. Quando era partito per il suo incarico, alcuni anni prima, Martino era un bambino. Ora era un uomo ben piantato, forte e nel pieno della sua giovinezza. Superata la prima impressione si lasciò vincere dall’affetto di padre e se lo strinse al petto. 
      Il Priore, che assisteva alla scena, disse a Martino: 
      Figlio mio, tuo padre mi ha chiesto se tu ti trovi bene nel convento. 
      - Sì, padre. Qui sono molto felice. 
      - Ma dimmi, Martino, ti basta essere un umile converso e restare così per tutta la vita? 
      - Sì, padre. La mia unica preoccupazione è di servire Dio in convento.

      4. IL PADRE DI FRATE MARTINO 
      (continua) 
      
      4.4 - La verità è che non riesco a capirti - esclamò il padre. 
      - Avrei ottenuto dal Re di farti nominare Gentiluomo, invece tu mi parli di cose che stento fatica a capire. 
      - Padre mio, ti supplico di non portarmi via, è l’ora di assistere i malati. Mi vuoi accompagnare? 
      Don Juan constatò la simpatia che il giovane mulatto aveva conquistato in ospedale. Appena lo vedevano, gli infermi non cessavano di chiamarlo, chiedendogli mille cose. Frate Martino aveva sempre una parola di consolazione per tutti. Andava e veniva felice di poter aiutare quei derelitti. 
      Suo padre restò attonito e in quel momento imparò moltissime cose. 
      - Figlio mio - esclamò - sono orgoglioso di te e non sarò io che renderò vana la tua vocazione all’umiltà. Lo strinse fra le braccia e gli disse: Addio, che il Signore ti illumini e guidi i tuoi passi.

      4. IL PADRE DI FRATE MARTINO 
      (continua) 
      
      4.5 Quando Juan de Porres salì in carrozza, gli rimase impresso nella mente il sorriso luminoso di suo figlio, che si diresse alla cappella e, prostratosi dinnanzi all’immagine dei crocifisso disse al Signore: 
      - Grazie per aver permesso che mio padre si senta orgoglioso di me. 
      Frate Martino sapeva quanto è difficile il cammino per il cielo, per questo si era imposto il proposito di fare tutto il possibile per arrivare il più possibile vicino al cielo.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
12/10/2015 19:38
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

  5. IL LAVORO QUOTIDIANO 
      
      5.1 Martino de Porres è già Frate Martino. 
      Vestito con lo scapolare nero, che risalta sulla tunica bianca, i religiosi lo vedano tutto il giorno in movimento. 
      Al mattino di buon’ora saliva alla torre campanaria per suonare l’ora della Messa. 
      Poi scivolava lungo il corrimano delle scale per aprire le porte dalla Chiesa. 
      Recita le sue orazioni durante le varie Messe e nei giorni in cui gli era permesso si comunicava con estremo fervore. 
      Dopo la colazione, che gli portava via ben poco tempo, si dedicava a far la barba ai confratelli, poi agli infermi, ai quali dedicava moltissime ore. 
      A metà giornata andava a pranzo e subito dopo passava alla portineria, dove si curava di infinite incombenze per soddisfare tutti coloro che accorrevano al convento.

      5. IL LAVORO QUOTIDIANO 
      (continua) 
      
      5.2 A tutti dava una parola di consolazione, medicine, abiti, cibo, preghiere e denaro e nessuno poteva sapere come poteva arrivare a capo di tutto, perché la cosa era semplicemente miracolosa. 
      Però restava ancora molto da fare alla sera. Spesso andava ancora al suo lavoro comune, e scopare, a tagliare capelli, a seguire malati, ad esercitare l’apostolato che teneva nelle strade. Qui vi sono poveri, sperduti nelle case, che si vergognano di chiedere l’elemosina e che è urgente aiutare, ragazzini che bisogna preparare per la prima Comunione. 
      Alla notte ritorna al convento e va in Sacrestia, all’infermeria, alle cucine a vedere se vi è ancora qualcosa da fare. Dopo la cena tutti si ritirano nelle celle per riposare. Lo stesso non è per Martino che si impegna ancora nelle attività spirituali, che non aveva potuto svolgere prima per non attirare l’attenzione dei suoi confratelli.

      5. IL LAVORO QUOTIDIANO 
      (continua) 
      
      5.3 Ecco la sintesi della vita di Frate Martino: lavoro e umiltà, giustizia e carità, completo impegno in una sincera pietà cristiana. 
      La Provvidenza gli fu prodiga, perchè gli diede la compagnia di molte anime della stessa tempra, così vediamo come le ore libere di certi giorni della settimane erano dedicate alla piacevole compagnia di Juan Macias che si santificò e che anch’egli salì agli onori degli altari. 
      L’arcivescovo Toribio Mogrovejo mori quando egli aveva circa 30 anni, già inserito nella lista dei Santi. Stava per compire i 40 anni quando un altro Santo, Francisco Solano, chiudeva gli occhi a Lima, il prodigioso apostolo del nuovo mondo. La piccola Rosa chiudeva la sua breve esistenza nell’anno 1617. 
      Come si vede, la Provvidenza non poteva essere più prodiga nel dare esempi di santità, per questo si può affermare che ogni anima può salire dal grado più basso fino al gradino più elevato della gloria e che può redimere il mondo con gli strumenti più umili del lavoro, quelli del falegname, quelli dei lavori domestici, come avvenne un giorno nella Sacra Famiglia della casa di Nazareth.

      6. LA SUA CARITA’ 
      
      6.1 Nel suo cuore dominavano tre passioni: la carità, particolarmente con i poveri e gli infermi; la penitenza, la più rigorosa e l’umiltà che alimentava tutte le sue altre virtù. 
      Quando una malattia stava per terminare, indipendentemente da quanto facesse prevedere il suo decorso, Martino distribuiva la sua attenzione a seconda delle necessità. 
      “State tranquillo” diceva agli infermi che si sentivano trascurati, “Quando non mi vedete venire è perché la malattia non è pericolosa”. Cominciò a circolare la frase tra i fratelli del convento: “Fratello tal dei tali morirà presto, perchè Martino va a vederlo molto spesso”.

      6. LA SUA CARITA’ 
      (continua) 
      
      6.2 Una volta si ammalò il Padre Cipriano de Medina e la sua malattia era tanto grave per cui era stato visitato già da 5 medici i quali avevano dichiarato che l’unica cosa da fare era di somministrargli i Sacramenti. L’infermo si rendeva conto della sua gravità però non si poteva dar pace di una cosa: che Martino lo avesse abbandonato e che non andasse a vederlo ormai da tanti giorni. 
      La notte era già iniziata quando l’infermo sentì un desiderio incontenibile di vedere Martino. Quando ormai aveva perso la speranza di incontrarlo, Martino entrò nella camera e l’infermo lo accolse con una serie di rimproveri. “Padre avreste dovuto comprendere di non essere in pericolo. Sapete già che quando vado spesso a visitare un malato è perché è molto grave. Non vi preoccupate se siete peggiorato. Per ora non morirete. Dio chiede che viviate e continuiate a darGli gloria nella religione”. 
      I fatti confermarono le parole di Martino, in quanto il Padre Cipriano migliorò e ben presto fu in grado di svolgere la sua attività di insegnante.

      6. LA SUA CARITA’ 
      (continua) 
      
      6.3 Un giorno, mentre si dirigeva alla periferia di Lima, vide diverse persone che lottavano con dei soldati per avvicinarsi ad una capanna sulla quale era dipinta una croce bianca, il segno della peste: Vada via di qui - sentì dire da un soldato - perchè questa gente ha la peste. 
      “Però questa gente ha bisogno di aiuto” - protestò Martino. 
      Robusto com’era gli fu facile dare una spinta ed entrare nella capanna. Il quadro che gli si presentò non poteva essere più sconvolgente. 
      Sopra un povero giaciglio stava il corpo di una donna, immobile, gli occhi chiusi, mentre due bambini intorno a lei la scrutavano impauriti. 
      “La mamma non parla” disse uno di loro mentre si avvicinava al mulatto. “Si è addormentata, perchè è molto malata”. 
      Martino strinse contro di sé le due creature e disse: “Andiamo via di qui. Nulla ora risveglierà la vostra mamma, perchè la sua anima è salita al Cielo”. Senza comprendere quanto stava succedendo i bambini seguirono Martino e non gli fu difficile trovare un ricovero per i due orfanelli.

      6. LA SUA CARITA’ 
      (continua) 
      
      6.4 Un altro giorno, al mercato, comprò una quantità di cose che occorrevano alla dispensa. 
      In un momento di distrazione di Martino un povero ragazzo allungò la mano e tolse delle banane dal cesto che il mulatto portava. 
      Tuttavia un poliziotto aveva visto tutto e, preso il ragazzo per un braccio voleva arrestarlo e punirlo severamente. 
      Quando Martino vide il ragazzo preso dalla polizia provò compassione per lui e, sorridendo come sua consuetudine, disse all’incaricato della legge: “Non ha rubato nulla, perché tutto quello che ha preso è da regalare ai poveri” e, detto questo, distribuì le cose che erano nel cesto tra le persone intorno a lui. 
      “Prendi, ragazzo, a te buona donna, per i tuoi figli.., e questo è per te...” e, tutto preso dalla sua opera di carità, senza rendersi conto di nulla, diede fondo a tutto quello che aveva e che gli chiedevano: scarpe, medicinali, frutta e generi alimentari. La gente lo guardava quasi con timore, senza comprendere quello che stava succedendo. Martino preso dalla carità e nell’intento di aiutare il ladruncolo stava realizzando un miracolo, senza nemmeno rendersi conto di quanto stava facendo.

      6. LA SUA CARITA’ 
      (continua) 
      
      6.5 Entrò nel convento affaticato e terribilmente preoccupato. A vederlo così il portinaio gli chiese: 
      - Che ti è successo Frate Martino? 
      - Una cosa molto strana. Per salvare un ragazzo .... e così raccontò tutto quello che era successo al mercato. 
      - E il cestino? chiese il portinaio. 
      - Eccolo. Lo mostrò, posandolo sulla tavola. 
      - Però non capisco, Frate Martino: come dite che avete dato via tutto se la cesta è ancora piena? 
      - Cominciò a mostrargli la verdura, la frutta, le uova e persino la carne. 
      - Che cosa? disse Martino con il viso turbato constatando che quanto il portinaio aveva detto era vero. Infatti il cestino era completamente pieno. 
      - Signore, non raccontare a nessuno quello che hai visto. Io ho dato via tutto. Perché mi hanno dato queste cose? 
      Con la testa bassa e meditabondo, il povero mulatto con il suo cestino salì fino alla sala capitolare dove, prostratosi davanti al Cristo che dominava la grande sala, Gli disse tutto contento: 
      - Sei tu che mi hai riempito il cestino, vero? Perchè lo hai fatto? Adesso crederanno che faccio i miracoli. E scrollando la testa se ne ritornò in cucina.

      6. LA SUA CARITA’ 
      (continua) 
      
      6.6 Solitamente al convento si recava un ragazzino sui 9 anni che aveva diversi parenti tra i religiosi. 
      Un giorno, dopo una delle tante birichinate comuni al ragazzi della sua età, andò a rifugiarsi dove era certo che nessuno lo avrebbe trovato, cioè dietro il catafalco usato per le Messe dei defunti. Alzò la testa e quale fu la sua sorpresa nel vedere Frate Martino, il suo amico sollevato in aria proprio vicino al Cristo che si trovava colà. Si avvicinò per vedere meglio, e poi corse dai religiosi per raccontare quanto aveva visto dal suo nascondiglio.

      6. LA SUA CARITA’ 
      (continua) 
      
      6.7 Un’altra volta cercavano Frate Martino che stava assistendo il Padre Arce, gravemente malato. Non trovandolo da nessuna parte, mandarono un novizio a cercarlo. Questi si recò nella Sala Capitolare e, aperta la porta, lo vide sollevato in aria, abbracciato al Cristo e con le labbra sulla Divina piaga del costato di Gesù il converso corse dicendo: “Padre, guardate il mulatto che è in estasi”. 
      Entrarono tutti i Padri che videro la stessa scena. Pochi istanti dopo, come se nulla fosse accaduto, Martino discese e disse ai fratelli che erano presenti: “Dite a Padre Arce che predisponga le sue cose per seguire il cammino che tutti noi dobbiamo percorrere”. 
      Alle 4 Padre Arre passava da questo mondo all’eternità seguendo la previsione di Frate Martino. 
      E’ vero che la Santità non consiste in estasi: però è certo che questo dono è un segnale dell’unione intima dell’anima con Dio. 
      Questo fatto si manifestò quando il Signore apparve a Santa Caterina dicendole che l’avrebbe sollevata da terra e portata in cielo, perché l’unione dell’anima con il Signore è più perfetta che l’unione tra anima e corpo e così, Frate Martino de Porres, il mulatto di Lima, realizzò i più grandi miracoli con tanta naturalezza come se fossero un cammino obbligato della sua esistenza.

      6. LA SUA CARITA’ 
      (continua) 
      
      6.8 Un poeta peruviano ha riassunto così i fatti della sua vita con una poesia dedicata che dice: 
      
      Non vi fu guardiano del convento più modesto, né servo più mansueto che il fraticello Martino; i poveri lo trovarono sempre disposto. Chiedeva la grazia dell’ultimo posto, del letto più duro, del trattamento più pesante. 
      Benediceva la mano che lo spingeva verso le aspre strade dell’eternità e quando l’odio tormentava la sua esistenza, sulle sue labbra sbocciava l’amore, il più amabile sorriso della Santità.

      6. LA SUA CARITA’ 
      (continua) 
      
      6.9 Un giorno un uomo anziano, recatosi per una infermità al convento, mostrò le sue piaghe al Frate Martino e questi, con gli occhi rivolti a Cristo, lo sollevò sulle braccia e, lo portò fino alla propria cella, sulla sua branda. 
      Il giorno dopo, di buon mattino, il padre provinciale e tre religiosi lo videro dormire sulla porta della cella, con il capo appoggiato allo stipite. 
      “Perché non siete nella vostra cella?” 
      Frate Martino si mostrò sorpreso di trovarsi in quella posizione. Mezzo stordito ancora dal sonno rispose: “Padre, perdonate, però il povero aveva tanta febbre...” 
      - Ma, di che cosa stai parlando? 
      Uno dei monaci apri la porta della cella e vide sul giaciglio un vecchio dalla chioma e barba fluente e con il volto fasciato da Padre Martino. 
      - Ma, é proprio necessario mettere un sacco di immondizia nella propria cella? 
      - Vede, padre, con un poco di sapone si può lavare la coperta, ma neanche un torrente di lacrime potrebbe lavare la mia anima per essere stato duro di cuore
      - Martino replicò il Superiore, con questo non rispetti la clausura del convento. 
      - E’ vero Padre, però penso che per i poveri e gli infermi non valga questa regola, perché contro la carità non può valere alcuna legge. 
      Il Superiore lo guardò ammirato e dopo qualche momento di riflessione, gli disse: “Hai ragione Frate Martino, accogli quanti infermi vorrai però fuori dalla clausura, in modo che noi possiamo soddisfare questo precetto.”

      7. GLI SCHIAVI 
      
      7.1 Con il Cristianesimo si manifestò dall’Europa il fenomeno della tratta dei negri che è la negazione del Cristianesimo. 
      A quei tempi, gli schiavi che lavorano in aziende simili a quelle della Villa en Chorrillos, con 1500 schiavi, erano permanentemente costretti dalla frusta. 
      Molti commettevano atrocità marcando la pelle dei negri, come si attua ora negli allevamenti di cavalli e buoi. 
      Quando venne dalla Spagna la proibizione di marcare i negri, Martino aveva circa 38 anni e ciò significa che egli ha conosciuto i negri schiavi nel peggior momento della loro storia. 
      Si racconta che, ancora bambino, piagnucolante e indispettito sia corso nelle braccia della madre e le abbia detto: “Mamma, dei bambini mi hanno scacciato dal gioco perchè dicono che sono negro”. 
      Ana Velascuez gli disse: “Non piangere, piccolo. Non ti deve importare il colore della pelle. A Dio interessa solo il colore della tua anima”. 
      E il negro Martino mantenne sempre pura e bianca la sua anima fino al momento supremo. 
      Invano Frate Martino, la notte fredda sfiora il tuo viso con la sua ombra oscura; più bianca della neve è la tua anima, più chiara del sole di mezzogiorno.




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
12/10/2015 19:45
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

   7. GLI SCHIAVI 
      (continua) 
      
      7.2 Martino si rassegnò alla sua sorte, ma comprese ben presto quale terribile disgrazia pesava sulla sua razza. 
      Essendo figlio di una negra provò una grande stima per la gente di colore, prestando loro particolari cure ed affetto e lavorando incessantemente per far comprendere a questa gente gli splendori del Cristianesimo. 
      Una volta incontrò un negro che, avendo una piaga infetta, era sul punto di svenire. Mise le labbra sopra la piaga, la pulì, la bendò e benedisse il malato, dicendogli: “Non piangere, fratello, per il nostro colore..., il mondo passa.., la vita è breve.., un poco di odio, un poco di amore.., e tutto è gloria del cielo”. 
      Dopo 4 giorni di questa cura, il negro era guarito e sereno e lavorava con i suoi compagni.

      7. GLI SCHIAVI 
      (continua) 
      
      7.3 Verso sera andava per i campi alla ricerca dei suoi fratelli di sangue. Svolgeva il compito di infermiere e di padre. 
      Bendava le loro piaghe, distribuiva rimedi, curava le ferite di grandi e piccini. 
      Si piegava rispettoso sul dolore di quelle anime che cercavano conforto e compassione. 
      Tutti avevano confidenza in lui. 
      Bastava una parola o un’attenzione delle sue mani per diminuire le pene, asciugare le lacrime, rendere meno dure le ore amare della vita.

      8. IL SUO EROISMO 
      
      8.1 Un giorno il Superiore lo chiamò e gli disse: “Dobbiamo rinunciare ad alcuni oggetti d’arte, però senza che nessuno ne sia informato. I problemi economici del convento non vanno bene. Vi sono 250 religiosi che mangiano tutti i giorni. I debiti sono grandi e i creditori hanno poche speranze”. 
      Martino ricevette un quadro e alcuni candelabri e si recò al negozio di un antiquario che gli diede 20 pesos. Di ritorno a San Domenico, sentì le grida di un mercante di schiavi che offriva la sua merce umana... Frate Martino ne fu impressionato. “Qui vi sono due uomini, padre e figlio - proseguì il mercante - voglio essere buono con voi, quasi li regalo.., andiamo fate delle offerte”. 
      Un uomo, armato di scudiscio esclamò: “Dò 15 pesos”. 
      Martino sentì un nodo salirgli alla gola dinnanzi a quella scena deplorevole. Nella mano stringeva le monete che aveva avuto dall’antiquario e il suo cuore nobile gli fece esclamare: “Dò 20 pesos”. 
      Tutti si stupirono guardando il mulatto. Il mercante sorrise e rispose: “Siano aggiudicati questi due uomini al Padre Domenicano”. 
      Martino formalizzò la transazione e si portò i due negri al convento. Con il capo basso si diresse dal priore per presentargli i due schiavi.

      8. IL SUO EROISMO 
      (continua) 
      
      8.2 - Come, hai comprato due negri? 
      Martino fece segno di sì con vari cenni della testa. 
      - Martino, per tutti i Santi del cielo, ti mando per risolvere dei problemi economici e tu mi porti due bocche in più!. 
      - Ma credo, Padre, che tutto si possa risolvere. 
      - Come? 
      - Ci ho pensato bene. Ho chiesto al mercante di schiavi e mi ha detto che valgo molto. Vendetemi al mercato di schiavi e al mio posto questi due uomini possono lavorare per me. 
      Non era il momento di scherzare e lo aveva detto in tutta serietà. Il Priore chiuse gli occhi mentre con una mano asciugava una lacrima che gli scendeva sulle guance. 
      - Ritirati, Martino, e non insistere. Qui sei necessario per pregare più che per lavorare. Sono certo che le tue preghiere al Signore ci daranno la soluzione che stiamo cercando. 
      E fu così in effetti. Un cavaliere, padre di un ragazzo che Martino aveva salvato alcuni giorni prima, portò una borsa di monete e la consegnò il giorno stesso in cui avvenne la scena che abbiamo narrato, senza dire nulla. Martino, radiante di gioia, si ricordò delle 20 monete che aveva impegnato per comprare i due negri e si precipitò al convento per consegnarle al Superiore.

      9. IL SUO AMORE PER I POVERI 
      
      9.1 Dio, che tutto vede, aveva posto il suo sguardo colmo di grazia sul servo mulatto, che aveva trasformato ogni minuto della sua vita in un atto straordinario di amore a Dio. 
      Come per corrispondere a questo amore sincero, il Signore gli concesse di fare cose tanto meravigliose da trasformarlo in uno dei Santi più straordinari di tutta la geografia cristiana, come provano alcuni dei numerosi fatti che narreremo. 
      Lima era una città dove confluivano popoli dell’America, dell’Europa e dell’Africa. 
      Per le sue strade si incrociavano bianchi, creoli, indio e negri. 
      Martino era europeo per parte di padre, africano per parte di madre ed americano per nascita: nessuna delle tre razze sfuggiva alla sua carità. 
      Meticcio o spagnolo, negro o bianco, libero o schiavo, uomo o donna, bambino o anziano, tutti erano sempre intorno a questo prodigioso frate laico.

      9. IL SUO AMORE PER I POVERI 
      (continua) 
      
      9.2 Non si accontentava di dimostrarsi affettuoso cose fanno taluni, con la sola parola. 
      Intercedeva per loro, attraendoli con la sua bontà ampia e generosa, per la sua incomparabile giustizia e carità. 
      Con queste armi otteneva dai ricchi, con insistenza, petizioni, facendoli riflettere, ciò che gli serviva per la sua continua e copiosa carità umana, quella carità che Dio ha nascosto nel più intimo di tutti i cuori perché la rivolgiamo nell’immenso mare delle miserie umane. 
      Precursore e praticante della giustizia sociale, diceva ai ricchi: “Fatevi degli amici con le vostre ricchezze, perché un giorno i poveri vi ricevano in Paradiso e ricordate che l’unico modo per pagare i debiti che avete contratto con Dio è fare elemosine, quelle elemosine che coprono l’enormità dei vostri peccati”.

      9. IL SUO AMORE PER I POVERI 
      (continua) 
      
      9.3 Ai proprietari di fattorie, che avevano accantonato delle fortune sulla base del lavoro forzato degli indio e degli schiavi, ripeteva: “Guai a Voi che siete sazi! Un giorno avrete fame!”. 
      Ai commercianti, i cui capitali erano stati creati con le lacrime e il sangue dei poveri, ammoniva: “Fate elemosine, fratelli, con i vostri beni. Cercate di guardare intorno a voi tutte le necessità: in questo modo otterrete che il Signore si volga a guardarvi in viso”. 
      Ricordava all’autorità: “Al popolo povero e bisognoso occorre dare lavoro, pane e casa prima di fare prediche minacciose che i cuori non possono comprendere”.

      9. IL SUO AMORE PER I POVERI 
      (continua) 
      
      9.4 Agli stessi Sacerdoti diceva: “Il corpo è il cammino attraverso il quale l’anima si eleva e all’affamato bisogna dare prima il pane, poi i buoni consigli”.
      Per dare un esempio non mancò mai di aiutare a dare cibo a chi ne aveva bisogno. 
      Molte volte appariva in luoghi imprevisti, per lasciare un soccorso insperato e il suo cuore ascoltava le chiamate dei poveri che si vergognavano della loro miseria. 
      In tal modo se per caso, in quei momenti gli veniva a mancare qualcosa, ricorreva al miracolo che otteneva per concessione Divina, secondo le esigenze e la sua volontà.

      9. IL SUO AMORE PER I POVERI 
      (continua) 
      
      9.5 Nelle dichiarazioni che sono state fatte sulla sua vita da Juan Vasquez, amico e confidente di Frate Martino, si racconta la forma intelligente e ordinata con la quale distribuiva i benefici della sua generosità. 
      Infatti era ordinato sia nel chiedere che nel distribuire aiuti. 
      Il martedì e il mercoledì raccoglieva elemosine per le famiglie povere, le fanciulle, le vedove, ecc. 
      Il giovedì e venerdì raccoglieva elemosine per i sacerdoti e gli studenti poveri. 
      Il sabato e il lunedì per i suffragi alle anime del purgatorio. 
      Le elemosine della domenica servivano per comprare vestiti e coperte che distribuiva alle famiglie più povere del suburbio. 
      Si è calcolato che Frate Martino dava aiuto ogni giorno a circa 200 poveri e che settimanalmente distribuiva oggetti e denaro per più di 7000 soles (antica moneta spagnola).

      9. IL SUO AMORE PER I POVERI 
      (continua) 
      
      9.6 Non si accontentava di amare i poveri. 
      Frate Martino parlava e intercedeva per loro. 
      Girando e questuando per loro, per le strade di Lima, si rese conto di quanto fosse grande la miseria e la miseria materiale e morale nella quale si trovavano tanti poveri bambini. 
      Pensò allora ad una fondazione a favore dei bambini, grande abbastanza per coprire le necessità di tutta la città. Grazie al suo prestigio ottenne ben presto l’approvazione del Viceré, dell’arcivescovo e di tutte le autorità civili e militari, ottenendo tra l’altro un contributo di 200.000 pesos che gli vennero date per fondare l’ospizio di Santa Cruz che ancora oggi esiste a Lima sotto altro nome.

      10. IL DONO DELL’UBIQUITÀ 
      
      10.1 Ogni giorno cresceva la capacità caritativa di Martino e dato che i suoi compiti giorno per giorno raggiungevano posti sempre più lontani, Dio gli diede il dono dell’ubiquità e la facoltà di rendersi invisibile tanto da poter operare in luoghi diversi. 
      Del resto, il corpo di un Santo vivente e che è vicino a Dio può trovarsi in qualunque luogo e in vari luoghi nello stesso tempo; questa è una cosa strana per molti. Tuttavia si è potuto provare questo miracolo in non poche storie di persone santificate, però no, mai con la stessa frequenza con la quale si è riscontrato per Frate Martino de Porres y Velasquez. 
      Ricorderemo alcuni fatti che comprovano tale affermazione. In un ospedale un forestiero ormai vicino alla morte stava rantolando, quando furtivamente nella notte e, senza che nessuno lo avesse chiamato, entra Martino e si reca al capezzale dell’infermo per dirgli soavemente: “Come non sei stato battezzato amico? E pensi di morire?”. 
      Continuò poi a conversare cordialmente con lui, lo commosse e lo convinse a farsi battezzare.

      10. IL DONO DELL’UBIQUITÀ 
      (continua) 
      
      10.2 Un commerciante, amico suo, era gravemente infermo in Messico. 
      Insperatamente riceve la visita del miracoloso mulatto. Lo rincuora, chiacchiera a lungo con lui e gli annuncia una pronta guarigione. 
      Al suo ritorno in Perù, il commerciante andò a visitare Frate Martino ed apprese con stupore che questi non aveva mai lasciato Lima. 
      Nel cuor della notte un postulante gemeva per la febbre che lo tormentava, quando vide aprirsi improvvisamente la porta del noviziato ed entrare Martin de Porres che gli portò refrigerio e conforto.

      10. IL DONO DELL’UBIQUITÀ 
      (continua) 
      
      10.3 In una delle celle dell’infermeria si trovava un soldato ferito. 
      - Come va questo braccio? Gli chiese con tutta cordialità. 
      - Sembra che migliori, grazie a Voi, fratello. 
      - No, amico, in ogni caso grazie a Dio che ha voluto che voi guariste. 
      - Mi avete detto la stessa cosa in Africa, quando mi avete assi¬stito. 
      Frate Martino guardò perplesso il malato ed il malato continuò: “Non vi ricordate? E’ la seconda volta che ci vediamo. 
      Il viso di Martino si alterò, egli terminò di curare il malato e poi sparì con una certa precipitazione.

      10. IL DONO DELL’UBIQUITÀ 
      (continua) 
      
      10.4 Alcune persone che erano a fianco del soldato ferito, lo guardarono perplesse e il soldato disse loro: “Non credete che sia stato là? Fu lo scorso anno quando Frate Martino venne in Africa”. 
      - Ma sei sicuro di quello che dici? Chiese uno dei religiosi che si trovava nella stanza. 
      - Sicurissimo. Lo riconoscerei tra un milione di persone. Dubitereste della mia parola? 
      Il religioso di fronte a queste affermazioni restò perplesso. 
      E’ certo che Frate Martino non ha mai lasciato Lima da che sta in convento. 
      - Se dubiti di me, chiedilo a lui - replicò l’infermo. 
      Il Domenicano scosse la testa e senza dir nulla sparì dalla sala.

      10. IL DONO DELL’UBIQUITÀ 
      (continua) 
      
      10.5 Cominciò a veder chiaro nei prodigi del mulatto e dopo aver riflettuto per un po’ decise di cercare Frate Martino alla cella. - In che cosa posso servirla, padre? - chiese timoroso il fraticello, vedendo Frate Juan sul limitare della porta. Invece di rispondere, il sacerdote lo guardò con dolcezza e finalmente gli disse: - Ha mentito quell’uomo? Questo eccezionale mulatto, con gli occhi fissi a terra, rispose con un filo di voce: “Non ha mentito”. - Allora conosci questo soldato? - Sì lo conosco. Si fece un silenzio pesante. - È sicuro quello che ha detto? - Certo, Frate Juan. - Ma, Dio Santissimo, come è possibile?

      10. IL DONO DELL’UBIQUITÀ 
      (continua) 
      
      10.6 Frate Martino sollevò la testa e rispose con un sorriso tutto innocente: - Il Signore ha molte strade per soccorrere chi ha bisogno e perché mai dovremmo penetrare nei suoi disegni? Che importanza ha lo strumento del quale si serve? 
      Frate Juan comprese allora tutte le cose straordinarie che aveva veduto senza intendere. Era un nuovo miracolo di Frate Martino poter essere a Lima e in altri luoghi nello stesso tempo. 
      - Perdonami per aver dubitato si scusò Frate Juan, e con la testa bassa usci dalla cella. 
      Martino fissò gli occhi nel crocifisso che teneva al capezzale dei suo giaciglio e gli disse: “Oh Signore! Tu sai che non desidero che si conoscano i doni che Tu mi concedi con tanta misericordia, però Tu che tutto puoi, dammi la forza necessaria per continuare restando umile al Tuo servizio”.

      10. IL DONO DELL’UBIQUITÀ 
      (continua) 
      
      10.7 Una volta, dovendo restare in una fattoria di Limatambo per qualche giorno, affidò a un fratello laico il compito di suonare la campana all’alba, durante la sua assenza. 
      Il fratello lo sostituì per qualche giorno finché, sopraggiunto un impegno, questi chiamò un servo negro pregandolo che lo sostituisse, promettendo un reale, se avrebbe assolto il suo incarico. 
      Un giorno il negro si dimenticò di andare alla torre e quando vi arrivò trovò frate Martino che stava suonando le campane. Sorpreso gli chiese: come è salito alla torre? 
      Il Santo, per tutta risposta, gli disse: “Prendi il tuo reale e non dire nulla”, e sparì.

      10. IL DONO DELL’UBIQUITÀ 
      (continua) 
      
      10.8 Un fatto più importante è il seguente: due persone che stavano sfuggendo alla polizia, conoscendo la carità di Martino si presentarono alla porta della sua cella, chiedendo il diritto di asilo. 
      Il Santo, preso da compassione, li fece entrare, raccomandò loro di affidarsi a Dio e li nascose tra dei materassi che si trovavano in quel luogo. 
      Entrarono poi le guardie e, perlustrato il locale, ispezionarono con ogni attenzione la cella, ma non trovarono traccia dei fuggitivi. 
      Lasciarono il convento e poco dopo lo lasciarono anche i due rifugiati, non senza aver ringraziato con molte effusioni Frate Martino.

      10. IL DONO DELL’UBIQUITÀ 
      (continua) 
      
      10.9 Dimostrò anche il dono dell’ubiquità a 30 novizi che erano andati a passeggio. 
      Si stavano divertendo tanto che né i ragazzi, né lui si erano resi conto del tempo che trascorreva. 
      La notte li sorprese all’aperto e Martino per un momento fu sconcertato. 
      “Che dobbiamo fare?” 
      I novizi temevano di essere castigati. 
      Il mulatto si mise a pregare con grande fervore. Gli si illuminò il viso e disse ai novizi: “Andiamo, seguitemi”. 
      Nessuno seppe che cosa era successo. 
      Il fatto è che dopo alcuni passi si trovarono tutti all’ombra del convento e, senza disturbare nessuno attraversavano le porte che erano già chiuse a chiave e all’ora giusta cominciavano a recitare il rosario nel coro, come avevano sempre fatto. 
      Più tardi, considerando la distanza, nessuno di loro dubitò del fatto che il Signore avesse operato un prodigio per mezzo del suo servo Martino. 
      “Come incontrava le anime sofferenti? Nel segreto di Dio e nel segreto della sua anima! Questo è il prezzo della sua umiltà e un dono del cielo per la salvezza delle anime”.

      11. I SUOI PRODIGI 
      
      11.1 L’angelo tutelare di Lima segue il suo cammino senza sorprendere nessuno, per quanto avvenissero cose straordinarie sul suo cammino. 
      Tutto in lui è naturale. 
      Tutto si svolge con tanta gentilezza e con tanta naturalezza da far pensare che questo sia l’ordine normale delle cose. 
      Nessuno pensò che egli fosse la causa prima di tanti rapimenti meravigliosi e prodigiosi.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
OFFLINE
Post: 39.987
Sesso: Femminile
12/10/2015 19:51
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota


  Santi da scoprire 
San Martin de Porres
Il patrono della giustizia sociale in Perù




Il 3 novembre, il calendario dei santi ci indica san Martìn de Porres, che è, insieme a santa Rosa da Lima, uno dei santi più venerati dell'America Latina, ma che da noi non è certo molto conosciuto, salvo forse nei segni lasciati da qualche emigrante nelle nostre valli: in una chiesetta della Leventina ho visto un dipinto della Madonna che consegna il rosario a San Domenico e a Santa Rosa.

San Martin de Porres nacque a Lima il 9 dicembre 1579 da un cavaliere spagnolo, che inizialmente non riconobbe il figlio, e da una schiava nativa di Panama, appartenuta ad una delle moltissime famiglie spagnole della Conquista, ma poi riscattata, grazie alle leggi promulgate da Bartolomeo de las Casas nel 1530 in favore degli schiavi.

Il cavaliere spagnolo era don Juan de Porres, "di qualificata nobiltà, che fu Governatore di Panama, funzionario della Corte di Lima, addetto a questioni militari e amministrative della Colonia e Cavaliere dell'Ordine di Alcantara".1) Questo Ordine era sorto nel 1156 per iniziativa di alcuni cavalieri di Salamanca, allo scopo di riunire la nobiltà spagnola nella lotta contro i Mori islamici e aveva cercato di seguire l'esempio dei templari di Francia. I Cavalieri d'Alcantara dovevano essere d'autentica nobiltà e di vita illibata, legati con voti canonici, che furono poi attenuati nel XIV secolo.
"La figura della mamma di San Martìn è appena accennata dalle testimonianze del tempo. Quasi che i primi biografi si vergognassero di lei, si sorvola sulla sua situazione: una specie di favorita negra, dalla quale qualcuno aveva avuto dei figli, senza poterla sposare legalmente (...) dato che nel Seicento era proibito il matrimonio ecclesiastico tra gli spagnoli e le negre."

Dopo un periodo passato in Ecuador presso il padre dei suoi figli, Anna Velasquez con i due bambini mulatti, per ragioni facilmente comprensibili, ebbe l'ordine di tornarsene a Lima e lì Martìn cominciò a guadagnarsi da vivere andando a bottega da un barbiere. Siccome a quei tempi il barbiere era anche cerusico, cavadenti e chirurgo, il ragazzo imparò tutti i segreti del mestiere, dal far salassi al curare ferite o fratture.
Se nella bottega del barbiere regnava un ambiente di pettegolezzi, intrighi e chiacchiere, Martìn potè sperimentare un'altra atmosfera seguendo dapprima i corsi di catechismo parrocchiale e poi il Catechismo del pueblo, che era stato voluto dall'arcivescovo di Lima, Toribio di Mongrovejo, diventato poi santo. A questo catechisnmo erano ammessi tutti i poveri della plebe, molti meticci, alcuni mulatti, i figli stessi degli schiavi negri e pochi indios della periferia. Oltre ai catechismi parrocchiali, i religiosi dovevano a turno "insegnar la dottrina cristiana conforme lo comanda il Concilio di Trento" in forma interparrocchiale o di categoria, con un corso quadriennale che era obbligatorio per tutti i minori di età.

"A Martìn aveva fatto scuola di catechismo un vecchio frate laico che era stato a 'lavorare' nelle 'dottrine' del Cuzco e persino nella vallata del Pilcomayo (vicino a Sucre, in Bolivia)". Anche dopo la conclusione del corso di catechismo, Martìn continuò a far visita a fray Firmìn, la domenica in convento, per farsi raccontare storie di santi, come quella di San Domenico.
Si racconta che la mamma di San Domenico, quando era incinta, sognò che dava alla luce un cagnolino bianco e nero che si metteva a correre per la stanza, prendeva una torcia in bocca e andava in giro a bruciare tutto. E la spiegazione del sogno era che il bambino che sarebbe nato avrebbe portato il fuoco dovunque andasse: l'Ordine di San Domenico, con il vestito bianco e nero, che si sarebbe diffuso in ogni parte del mondo. Commnentava Martìn, che anche il suo padrone, quando era ubriaco lo chiamava "cane nero". Ma fray Firmìn gli rispondeva: -Se tu diventassi domenicano, anche solo come 'donato', saresti un cagnolino bianco e nero!- (...)La vocazione religiosa di questo giovane, che prometteva di divenire, chissà, un abile medico nella capitale della Colonia, nasce lì, alla scuola di un vecchio catechista il quale gli fa balenare l'idea di una fiamma che può cambiare anche il nuovo mondo. Ma per poter incendiare anche il cuore dei suoi fratelli dalla pelle scura, degli umili, dei miserabili, doveva far da cane nero al livello più basso. (...) Nel 1595 (...) il mulatto Martìn, figlio di Anna Velasquez e di padre sconosciuto, si presentò come 'oblato' alla comunità del Capitolo dei Frati Predicatori e gli fu consegnata la tonaca bianca con uno scapolare nero. Ma senza cappuccio." Infatti i canoni non permettevano l'accesso agli ordini da parte dei figli d'unioni tra soggetti indios o negri, meticci, mulatti e simili.
Più tardi il padre lo riconobbe, affinché fosse cancellato l'obbrobrio dell'atto battesimale, dove si leggeva che era figlio di uno sconosciuto.

"Nel convento di Santo Domingo si aveva in quel tempo il centro più importante di studi filosofici e teologici dell'America. (...) Martìn il donato, faceva pulizia sotto i portici - dove professori e studenti conducevano dotte disquisizioni - e ricordava le dispute del suo maestro, il peluquero, sull'uso del sangue di piccione..."

Nel convento la vita tra i religiosi non era certo perfetta e Martìn si ritrovò a subire i modi piuttosto bruschi che molti dei cento frati usavano nei confronti della servitù, abituati a trattare gli umili con la durezza dei conquistatori.
"In quel tempo Martìn scoprì il valore della preghiera e in special modo del rosario che gli pareva una scuola continua di umiltà e donazione."
Quando verso il 1600, con il sopraggiungere di una carestia il convento fu in grosse difficoltà, al Priore, che lo mandava sempre più spesso al mercato a vendere suppellettili e roba preziosa per farvi fronte, un giorno Martìn, che aveva allora 21 anni, propose di essere venduto come schiavo, perché aveva osservato la vendita degli schiavi nel patio del governatore e i prezzi che venivano offerti per schiavi giovani e forti.

Oltre che fare i lavori più umili (è il "fra Martino campanaro" della canzoncina che conosciamo tutti!), Martìn cominciò a collaborare con il Fratel Infermiere e poi, diventato questi vecchio, lo sostituì completamente: doveva assistere gli ammalati, ripulirli durante il giorno, distribuire le medicine, rifare le fasciature, confortare i sofferenti... Uno studioso, che curò un libro su San Martìn e l'arte medica, si meravigliava che "il giovane frate, oltre alle incombenze della peluquerìa e alle campane da suonare, alle preghiere corali e alle penitenze personali, oltre al servizio ai malati interni e le premure per i poveri d'ogni specie, trovasse modo anche di curare i malati fuori del convento", come i carcerati della prigione che si trovava poco distante dal convento e che subivano ogni sorta di maltrattamenti.
A un condannato a morte, che fu graziato in extremis, dopo le preghiere di Martìn, provvide in tutto e per tutto, perché portesse ricominciare una vita nuova. E due ladruncoli recidivi, che Martìn aveva conosciuto in carcere, e che si erano rifugiati in infermeria per sfugire alle guardie, rischiarono di far rispedire in Spagna il Priore del convento per insubordinazione e favoreggiamento. 

Era impressionante come "riuscisse a provvedere a veri interventi chirurgici d'emergenza, precedesse il medico del convento nel diagnosticare e curare le malattie più gravi. (...) egli doveva conoscere molto più di quanto non sembrasse i principi teorici e la pratica della medicina, come era applicata a quei tempi nella Colonia. (...) Già in quei primi anni usava molti rimedi naturali e cercava sempre nuove erbe per i suoi malati. (...) Cominciò a circolare la voce che l'ayudante faceva miracoli: egli si difendeva sostenendo che erano le medicine, o il rosmarino (...), le preghiere di quel santo padre o di quella santa madre."

Innumerevoli sono gli esempi di guarigioni da tutte quelle malattie che, anche sotto l'influsso del clima della regione e aggravate dalla scarsità di nozioni d'igiene e dall'assenza di medicinali appropriati, si sviluppavano in modo virulento: morbillo, scarlattina, paralisi, febbri quartane ed eruttive, coliti e infiammazioni intestinali, scorbuto, scabbia, emorragie.
Martìn aveva trasformato l'infermeria del convento in una specie di pronto soccorso, malgrado i suoi superiori cercassero di convincerlo che quello non era un ospedale. Venivano accolti ogni sorta di malati, di feriti, o di agonizzanti. "Molti finirono per accorgersi che c'era un santo fra di loro. Altri tuttavia continuavano a maltrattarlo e disprezzarlo,(...) a chiamarlo 'cane nero' o 'bugiardo d'un mulatto' (...) Il donato Martìn continuava a sorridere, sfuggendo ad ogni elogio e cercando sempre nuove umiliazioni (...), inginocchiandosi dinnanzi a chi l'insultava o rimproverava e chiedendo sempre perdono. Poi, con la solita calma, s'alzava e andava a servire i suoi fratelli sofferenti."
"Le sue preghiere stavano ottenendo davvero effetti straordinari, guarigioni inattese, un aiuto insperato per pagare un debito, la pace di un'anima in pena (...). Con l'andar del tempo, ricordando che i santi facevano grosse penitenze per ottenere dei favori speciali, si diede pure a digiuni interminabili ed a mortificazioni penosissime in un crescendo di asprezze da far rabbrividire."

"Martìn de Porres non si fece santo d'un colpo, né divenne perfetto sviluppando solo le doti particolari ricevute sin dalla nacita: costruì lentamente la sua santità, tentando varie vie, soffrendo insuccessi (che gli agiografi volentieri dimenticano), arricchendosi interiormente attraverso preghiere interminabili, penitenze durissime, esercizio continuo di pazienza, d'umiltà, di lavoro faticoso, sopprattutto di amore per gli infelici. Il nucleo centrale della sua spiritualità è certamente improntato all'esempio di San Domenico che vende i suoi libri per riscattare un poverello, che si sferza di notte per il suo prossimo (...) Fray Martìn dedicò tutto il tempo libero di cui disponeva ai disgraziati, al sottobosco della miseria d'ogni colore (...). Egli non riusciva a capacitarsi come in una città dove (...) 'l'oro scorreva a fiumi e per cui passavano tonnellate d'argento', non ci fosse alcuna organizzazione assistenziale per gli orfani, non un ospedale, non un ricovero per i senza tetto. Si dedicò quindi a una forma di carità pubblica imparziale, al di là di ogni discriminazione o d'ogni legalità, così che, secoli dopo, i suoi connazionali non hanno esitato a proclamarlo 'Patrono della giustizia sociale nel Perù'. (...) L'Ayudante cominciò ad occuparsi dei poverelli che ogni giorno sfilavano a mendicare alla porta del convento: indios, spagnoli, meticci, negri, stranieri falliti, disoccupati, vecchie in miseria. Raccoglieva i resti del refettorio, ci metteva l'intera sua porzione, che gli passavano i frati, domandava aiuto a chi frequentava la chiesa. In questo modo aumentava il contenuto di un pentolone che distribuiva sorridendo, appena il frate portinaio andava a fare la siesta."

Un altro aspetto importante è il rapporto che Martìn aveva con gli schiavi, che lavoravano a centinaia nelle coltivazioni di cotone, o con gli ex-schiavi.
"Come figlio di una schiava, il nostro mulatto si sentiva partecipe delle sofferenze dei suoi fratelli incatenati al giogo come bestie. (...) andava a visitare quei suoi amici prediletti, portava loro regali, si intratteneva con loro, specie alla sera, li consolava, cantava e pregava con loro, sorrideva sempre a tutti. Oltre ai negri che lavoravano nei pressi della città, ai quali accudiva con frequenza, aveva da curare vari gruppi di negri e liberti ai quali riservava vestiti, leccornie, frutta tropicale e corone del rosario, fatte con bacche rosse."
I padroni non si opponevano alla sua presenza "perché, dicevano, vale più di un veterinario. (...) Agli ex-schiavi ottenne di poter devolvere l'eredità che gli lasciò morendo il cavalier Juan de Porres verso il 1625 o 1626. (...) Rimane poi una pagina bianca da riempire: la sua attività nascosta e silenziosa in favore anche degli schiavi fuggitivi che si raccoglievano nelle huacas, cioè negli occulti luoghi di sepoltura incaica disseminati nella pianura del Rimac."

"Con l'andar del tempo, i Priori che si succedevano a Santo Domingo, gli diedero carta bianca e, d'altra parte, non avrebbero potuto controllare l'enorme contabilità nell'amministrazione del Terziario donato per il semplice fatto che non tenne mai registri né fece mai consuntivi e preventivi. Gli bastava tenere una lista delle famiglie bisognose e una specie di calendario settimanale nel quale suddivideva le entrate secondo i diversi tipi di soccorsi ai quali s'era impegnato in nome della Divina Provvidenza."

Una particolare attenzione poi Martìn la riservava ad ogni tipo di animali in difficoltà: cani, gatti topi, corvi o .galinazos., tori... Nella causa di Beatificazione e nel .Sagro Diario Domenicano. troviamo un'infinità di esempi a questo proposito. Come quando i topi invasero il ripostiglio dell'infermeria, dove si teneva la biancheria per i letti degli ammalati. "Vedendo che l'invasione aumentava e che i padri mettevano trappole dappertutto, prese in mano un topino che era uscito da un guanciale di piume e gli tenne una conferenza molto diplomatica:'Fratello mio, dica a questi suoi compagni che sono ormai dannosi alla comunità. Io li compatisco perché li manca il sostento e però non ho voluto che li ammazzino; horsù dica loro che vadano alla tal parte del nostro giardino, che ivi li porterò il quotidiano sostento." E i topi fecero come era stato loro detto: aspettavano che Martìn portasse loro il cibo quotidiano e, con meraviglia di tutti i religiosi, all'arrivo del Santo uscivano dai loro nascondigli per venirgli incontro.
O ancora: dopo una notte di preghiera, fece risuscitare un cane, di proprietà del Procuratore del convento, che, dopo aver tentato invano di scacciarlo dal convento, lo aveva fatto uccidere da due schiavi perché era diventato troppo vecchio. Martìn, con umiltà, fece al procuratore una fraterna correzione, perché aveva ripagato in quel modo poco pietoso la creatura che lo aveva servito e accompagnbato fedelmente per tanti anni...
E gli esempi si potrebbero moltiplicare. C'era chi metteva in dubbio questi avvenimenti, perché "Dio non suole operare cose inutili e senza necessità." Ma non è forse questo un segno della capacità di guardare la realtà all'interno del grande disegno di Dio e perciò, nell'affidamneto totale a lui, la capacità di valorizzarne qualsiasi aspetto, anche il più apparentemente banale?


L'autore del testo dal quale abbiamo attinto tutte queste notizie, dice "di aver scorto uno spiraglio del segreto di San Martìn de Porres solo nella volontà di umiliazione (...), al fine di poter servire con ineguagliabile amore il ghetto dei poveri, i più umili, gli infimi della scala sociale.(...) Ma se si vuol parlare di carismi e di modelli specialissimi secondo i segni dei tempi, si scopre lo specifico del Terziario di Lima nella sua confessione di medico, di consolatore e soprattutto di riparatore dei peccati delle due razze che urgevano in lui." Chi ricerca più a fondo, al di là di segreti del mestiere o di una carità vissuta al massimo grado, "capisce che nel piano divino di salvezza i doni della Provvidenza spingevano il figlio della schiava negra e del cavaliere di Burgos all'offerta di se stesso come vittima d'.espiazione per i peccati di due razze., per la riconciliazione di due mondi, per l'inaugurazione d'un regno di carità fatto di perdono e di servizio."

San Martìn de Porres morì, dopo due settimane di malattia, il 3 novembre 1639, all'età di sessant'anni. Aveva accettato per obbedienza di essere steso sul letto dell'infermeria con delle lenzuola. Ma oltre che dai confratelli, era assistito dalla Vergine Maria, da san Domenico e dagli angeli, tanto che, rapito in estasi proprio quando era venuto a visitarlo il Viceré, fu rimproverato dal priore perché aveva fatto aspettare questa importante persona...
Morì mentre i confratelli, e nel chiostro i novizi, cantavano il Credo, dopo aver cantato, come è l'uso domenicano in questa circostanza, il Salve Regina.


1) Tutte le notizie e citazioni sono tratte da: P. Reginaldo Francisco O.P. "Il primo santo dei negri d'America - San Martìn de Porres", Ed. Studio Domenicano, Bologna 1994







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 09:12. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com