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NUOVO Documento rapporti ebraismo a 50 anni da Nostra aetate

Ultimo Aggiornamento: 23/01/2016 18:47
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11/12/2015 18:57
 
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6. Il mandato evangelizzatore della Chiesa in relazione all’ebraismo

40. È facile capire che la cosiddetta "missione rivolta agli ebrei" è una questione molto spinosa e sensibile per gli ebrei, poiché, ai loro occhi, riguarda l’esistenza stessa del popolo ebraico. Anche per i cristiani è un tema delicato, poiché considerano di fondamentale importanza il ruolo salvifico universale di Gesù Cristo e la conseguente missione universale della Chiesa. La Chiesa deve dunque comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei, che credono nell’unico Dio, in maniera diversa rispetto a quella diretta a coloro che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del mondo. Ciò significa concretamente che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei. Fermo restando questo rifiuto -per principio- di una missione istituzionale diretta agli ebrei, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono farlo però con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah.

41. Il concetto di missione deve essere presentato correttamente nel dialogo tra ebrei e cristiani. La missione cristiana trae origine dall’invio di Gesù da parte del Padre. Gesù rende i discepoli partecipi di tale chiamata riguardo al popolo di Dio, Israele (cfr. Mt 10,6), e poi anche, come Signore Risorto, in relazione a tutte le nazioni (cfr. Mt 28,19). Così il popolo di Dio assume una nuova dimensione per mezzo di Gesù, che istituisce la sua Chiesa chiamando sia ebrei che gentili (cfr. Ef 2,11-22), sulla base della fede in lui, il Cristo, attraverso il battesimo, ovvero attraverso l’incorporamento nel suo Corpo, che è la Chiesa ("Lumen gentium", n. 14).

42. La missione cristiana e la testimonianza cristiana, sia nella vita che nell’evangelizzazione, sono inseparabili. Il principio che Gesù trasmette ai suoi discepoli quando li invia in missione è subire la violenza piuttosto che infliggerla. I cristiani devono riporre la loro fiducia in Dio, che compirà il suo piano universale di salvezza in modi noti soltanto a lui; essi sono infatti testimoni di Cristo, ma non sono loro a dover attuare la salvezza dell’umanità. Lo zelo per la "casa del Signore" e la solida fiducia nel successo dell’azione divina non possono essere scissi. La missione cristiana significa che tutti i cristiani, nella comunione della Chiesa, confessano e proclamano il compimento, nella storia, della volontà salvifica universale di Dio in Gesù Cristo (cfr. "Ad gentes", n. 7). I cristiani sperimentano la presenza sacramentale di Cristo nella liturgia e la rendono tangibile nel servizio agli altri, specialmente ai bisognosi.

43. È e rimane un tratto qualitativo della Chiesa della Nuova Alleanza il fatto che essa sia composta da ebrei e gentili, anche se il rapporto quantitativo tra giudeo-cristiani e gentili può dare a prima vista un’altra impressione. Come dopo la morte e risurrezione di Gesù Cristo non esistevano due Alleanze tra loro non correlate, così il "popolo dell’Alleanza di Israele" non è scollegato dal "popolo di Dio composto dai gentili". Piuttosto, il ruolo permanente del "popolo dell’Alleanza di Israele" nel piano salvifico di Dio deve essere rapportato in maniera dinamica al "popolo di Dio composto da ebrei e gentili uniti in Cristo", in Colui che la Chiesa confessa quale mediatore universale della creazione e della salvezza. Nel contesto della volontà salvifica universale di Dio, tutti coloro che non hanno ancora ricevuto il Vangelo sono posti sullo stesso piano del popolo di Dio della Nuova Alleanza: "In primo luogo quel popolo al quale furono dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9,4-5), popolo molto amato in ragione della elezione, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (cfr. Rm 11,28-29)" ("Lumen gentium", n. 16).


7. Gli obiettivi del dialogo con l’ebraismo

44. Il primo obiettivo del dialogo è l’approfondimento della conoscenza reciproca tra ebrei e cristiani. Si può amare soltanto ciò che si è imparato gradualmente a conoscere e si può conoscere realmente e profondamente soltanto ciò che si ama. Questa conoscenza approfondita si accompagna sempre ad un mutuo arricchimento, nel quale i partners di dialogo diventano i destinatari dei rispettivi doni. La Dichiarazione conciliare "Nostra aetate" (n. 4) parla del ricco patrimonio spirituale che dovrebbe essere ulteriormente scoperto passo dopo passo attraverso studi biblici e teologici e mediante il dialogo. In tal senso, da un punto di vista cristiano, un importante obiettivo è quello di riportare alla luce le ricchezze spirituali custodite nell’ebraismo per i cristiani. Al riguardo, va menzionata soprattutto l’interpretazione delle Sacre Scritture. Nella prefazione dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger al documento del 2001 della Pontificia Commissione Biblica, "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana", si mette in evidenza il rispetto dei cristiani per l’interpretazione ebraica dell’Antico Testamento. E si sottolinea: "i cristiani possono imparare molto dall’esegesi giudaica praticata per 2000 anni; a loro volta i cristiani sperano che gli ebrei possano trarre utilità dai progressi dell’esegesi cristiana." Nel campo dell’esegesi, molti studiosi ebraici e cristiani adesso collaborano e trovano la loro collaborazione fruttuosa per entrambi, proprio perché appartengono a tradizioni religiose diverse.

45. Questa acquisizione di conoscenza reciproca non deve limitarsi agli specialisti. È importante che gli istituti di istruzione cattolici, in particolare nel campo della formazione dei sacerdoti, includano nei loro curricula sia "Nostra aetate" che i documenti successivi della Santa Sede sull’attuazione della Dichiarazione conciliare. La Chiesa è altrettanto riconoscente per gli sforzi compiuti nella stessa direzione all’interno della comunità ebraica. I cambiamenti fondamentali nelle relazioni tra cristiani ed ebrei introdotti da "Nostra aetate" (n. 4) devono essere resi noti anche alle generazioni future e da loro accolti e divulgati.

46. Un importante obiettivo del dialogo ebraico-cristiano consiste indubbiamente nell’impegno comune a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo. È possibile che nel passato diverse religioni, sulla base di una rivendicazione di verità intesa in maniera ristretta e di una intolleranza ad essa conseguente, abbiano contribuito a fomentare conflitti e scontri. Oggi, tuttavia, le religioni non dovrebbero essere parte del problema, ma parte della soluzione al problema. Soltanto quando le religioni dialogano con successo le une con le altre, contribuendo in tal modo alla pace mondiale, questa pace può essere realizzata anche a livello sociale e politico. Prerequisito di tale dialogo e di tale pace è la libertà di religione garantita dalle autorità civili. Al riguardo, il banco di prova consiste nel modo in cui le minoranze religiose sono trattate e in quali diritti vengono loro concessi. Nel dialogo ebraico-cristiano, di grande rilevanza è la situazione delle comunità cristiane nello Stato di Israele, poiché là –come in nessun altro luogo al mondo- una minoranza cristiana si trova davanti ad una maggioranza ebraica. La pace in Terra Santa –una pace che manca e per la quale si prega costantemente- svolge un ruolo considerevole nel dialogo tra ebrei e cristiani.

47. Un altro importante obiettivo nel dialogo ebraico-cattolico consiste nella lotta comune contro ogni manifestazione di discriminazione razziale verso gli ebrei e contro ogni forma di antisemitismo, il quale certamente non è ancora stato sradicato e riaffiora in modi diversi in vari contesti. La storia ci insegna dove possono condurre perfino quelle forme di antisemitismo all’inizio appena sottintese: alla tragedia umana della Shoah, in cui due terzi degli ebrei europei sono stati annientati. Entrambe le tradizioni di fede sono chiamate, insieme, a mantenere sempre sveglie vigilanza e sensibilità, anche nell’ambito sociale. Per lo stretto legame di amicizia che unisce ebrei e cattolici, la Chiesa cattolica si sente particolarmente in dovere di fare quanto è in suo potere, insieme ai nostri amici ebrei, per respingere le tendenze antisemite. Papa Francesco ha più volte sottolineato che un cristiano non può mai essere un antisemita, soprattutto a motivo delle radici ebraiche del cristianesimo.

48. Giustizia e pace non dovrebbero comunque essere concetti astratti nel dialogo, ma dovrebbero concretizzarsi in modo tangibile. La sfera sociale-umanitaria offre un ricco campo di attività, poiché sia l’etica ebraica che l’etica cristiana comprendono l’imperativo di assistere i poveri, i deboli e i malati. Ad esempio, la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo della Santa Sede ed il Jewish Committee on Interreligious Consultations (IJCIC) hanno lavorato insieme nel 2004 in Argentina nel periodo in cui il paese era attraversato dalla crisi finanziaria, per organizzare mense popolari comuni per i poveri e i senzatetto e per permettere ai bambini privi di mezzi di sussistenza di frequentare la scuola, offrendo loro i pasti. La maggior parte delle Chiese cristiane hanno grandi organizzazioni umanitarie, simili a quelle esistenti all’interno dell’ebraismo; esse potrebbero dunque collaborare per alleviare la miseria umana. L’ebraismo insegna che il comandamento di camminare in tutte le vie del Signore (cfr. Dt 11,22) richiede l’imitazione degli Attributi Divini ("imitatio Dei") attraverso la cura rivolta alle persone vulnerabili, bisognose e sofferenti (Talmud di Babilonia, Sotah 14a). Questo principio è in linea con l’insegnamento di Gesù sulla necessità di assistere i bisognosi (cfr. ad es. Mt 25,35-46). Ebrei e cristiani non possono semplicemente accettare la povertà e la sofferenza umana; devono piuttosto impegnarsi attivamente per il superamento di tali problemi.

49. Quando ebrei e cristiani, attraverso un’assistenza umanitaria concreta, apportano insieme il loro contributo alla giustizia ed alla pace nel mondo, offrono testimonianza dell’amorevole premura di Dio. Non più in discordante contrapposizione, ma cooperando a fianco gli uni degli altri, ebrei e cristiani dovrebbero adoperarsi per un mondo migliore. Ad una simile collaborazione ha invitato il Santo Papa Giovanni Paolo II nel discorso pronunciato il 17 novembre 1980 davanti ai membri del Consiglio centrale degli ebrei in Germania e della Conferenza dei rabbini di Magonza: "Giudei e cristiani, quali figli di Abramo, sono chiamati ad essere benedizione per il mondo […], in quanto si impegnano insieme per la pace e la giustizia tra tutti gli uomini e i popoli, e lo fanno in pienezza e profondità, come Dio stesso le ha pensate per noi, e con la disponibilità ai sacrifici, che questo alto intento può esigere".

10 dicembre 2015

Cardinale Kurt Koch 
Presidente

S.E. Mons. Brian Farrell 
Vice-Presidente

P. Norbert J. Hofmann, SDB 
Segretario








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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