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Discorsi di Pio XII imponenti ed importanti

Ultimo Aggiornamento: 07/12/2017 15:46
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DISCORSO DI SUA SANTITÀ PIO XII 
AL SACRO COLLEGIO ALLA VIGILIA DEL SANTO NATALE*

Giovedì, 24 dicembre 1942



 

Di anno in anno il Nostro cuore, e con Noi certamente anche il vostro, Venerabili Fratelli e diletti Figli, risente sempre più dolorosamente il contrasto, tanto penoso ad ogni animo cristiano e sacerdotale, tra il dolcissimo Messaggio del Principe della pace in Betlemme e l'angoscioso spettacolo di un mondo, che si dibatte e si dilania nella violenza; onde con rimpianto nostalgico rievochiamo il gaudio e la serenità dell'incontro natalizio del Sommo Pastore con l'eletta schiera dei membri del Sacro Collegio e della Prelatura Romana nei felici giorni di pace, quando tutto sembrava spirare armonia di pensieri e di cuori. Oggi invece per la quarta volta vi trovate con Noi sotto il triste incubo della guerra, nella oscura aspettazione di un avvenire, le cui prove, se la mano di Dio non interviene, potrebbero anche superare le sofferenze passate.

In altri tempi, Venerabili Fratelli e diletti Figli, tale intimo incontro nella santa Vigilia del Natale era interamente consacrato a voi; e il Romano Pontefice, accogliendo con gradimento il filiale omaggio dei vostri auguri e delle vostre preghiere, — come Ce lo ha testè porto con sì degna e alta parola, a nome di tutti, il venerando e amatissimo Cardinale Decano del Sacro Collegio —, soleva manifestare il Suo pensiero intorno alle più gravi questioni riguardanti il mondo cristiano.

Ma la crisi odierna, trasformatrice di tante cose e usanze, ha modificato in parte anche questa soave consuetudine; perché gli impedimenti, creati dalla guerra, al normale contatto tra Pastore e gregge, hanno fatto nascere il bisogno di dare, nella solenne ricorrenza delle feste natalizie, ai fedeli di tutto il mondo la bramata possibilità di udire direttamente la voce del Padre comune e di rallegrarsi così della santa e provvidenziale coadunanza, che al presepio del Salvatore, nonostante tutti gli sconvolgimenti bellici, li unisce al centro della Chiesa e al Rappresentante visibile del Re pacifico. Abbiamo perciò stimato opportuno di appagare anche quest'anno tale pio e filiale desiderio.

Nei Messaggi precedenti fu Nostro intento di esporre le norme e i presupposti di una vera pace tra i popoli, conforme, quindi, alla giustizia, all'equità e all'amore, e riuscì gradito all'animo Nostro non solo l'attestato della lieta riconoscenza dei Nostri figli devoti, ma ancora il rispettoso consenso di non pochi, che vivono fuori del corpo visibile della Chiesa.

Consapevole degli stretti ed essenziali rapporti tra l'equilibrio economico, sociale e intellettuale nei singoli Stati e la pace internazionale, il Nostro Radiomessaggio odierno si occuperà principalmente delle condizioni e dei fondamenti necessari ad una pacificazione e ad un vero ordine nell'interno delle Nazioni.

Mentre sarebbe cecità il disconoscere la gravezza dei danni e dei mali, di cui soffre la società; la convinzione dell'improrogabilità di una riforma sanatrice e miglioratrice si diffonde in ceti sempre più vasti e preveggenti e prende aspetti esteriori più ampi e fermi. Ma sovente l'umanità, debole e ritrosa all'emenda del peccato, sotto l'influsso della passione, segue la pericolosa tendenza a sostituire errori più o meno riconosciuti come tali con altri traviamenti o con semplici palliativi, che a nulla rimediano, invece di iniziare e promuovere senza indugio un risoluto e aperto ritorno alla verità e al bene. Quante volte si è così avverato il detto : Erit novissimus error peior priore !

Gli è che una sana concezione della società umana può solo appoggiarsi sul fondamento incrollabile delle norme eterne, scritte nella natura dell'uomo, compiute e perfezionate dal lume della rivelazione portata da Cristo, infallibile Maestro dalla culla alla croce. Dove sorge infatti una cattedra di dottrine e di riforme sociali, le cui tesi suonino quaggiù più convincenti del silenzio eloquente del Verbo divino incarnato, giacente nel presepio?

Se da mutamenti semplicemente esterni tale riforma vuole arrivare a nuove e vitali istituzioni, deve prendere le mosse e la guida dalla « luce vera, la quale illumina ogni uomo, che viene in questo mondo », e lasciare che la maestà di una sanzione divina, e non la sola e temuta forza punitrice di magistrati umani, stenda sulla vita sociale le sue ali di protezione e di custodia. 

Ponendo la volontà del Padre al di sopra di ogni altra, Cristo, Principe della pace, incontrò il contrasto, occulto o palese, e l'incomprensione di coloro i quali, mossi da una idea meramente terrena della missione del loro popolo, videro nello specchio di ogni giustizia, bontà e misericordia un « segno di contradizione» (Luc. 2, 34).

Potrebbe dunque la Chiesa meravigliarsi, se la sua sorte è quella stessa del divino Maestro, e prende una forma rispondente al carattere agitato e sconvolto del mondo odierno?

Se la sposa di Cristo nella difesa della verità e della virtù, e i suoi ministri nella operosità e nella lotta per la conquista e il bene delle anime, sperimentano in sé il mistero del « segno di contradizione », spesso proprio quando si danno con supremo amore e sacrificio, con generoso disinteresse pronta dedizione, a combattere gli errori del giorno per far trionfare il Vangelo e tener lontane sciagure eterne; potrebbe ciò fornire occasione a lamenti, a pusillanimità, a infiacchimento di un coraggio apostolico, acceso dalla fiamma della carità e dello zelo? Certamente no.

Il lamento degno dell'apostolo, il lamento di cui l'operaio evangelico non ha da vergognarsi, è il rammarico che gravava sul cuore del Salvatore e gli faceva versare lacrime alla vista di Gerusalemme, la quale al suo invito e alla sua grazia opponeva quell'accecamento ostinato e quella pervicace sconoscenza, che la condussero lungo il cammino della colpa, fino al deicidio.

Tale cecità o incomprensione degli scopi più nobili della Chiesa nella sua azione dottrinale e pastorale di fronte a correnti del pensiero moderno, che, rinnegando verità centrali della nostra santa fede, inceppano con mille catene l'operosità dei suoi ministri, — talvolta da parte anche di malconsigliati cattolici, i quali ascoltano teorie avverse e si fanno mancipii di influssi estranei — fu, è, e sarà sempre; ciò nondimeno dovrà sopportarsi da quanti seguono il Signore in spirito e verità, e accettarsi con tutta la sua amarezza, come partecipazione al calice di Colui, che venne per salvare ciò che era perduto. Quando Dio vi chiamò al sacerdozio, quando a non pochi di voi ne concesse la pienezza, quando la fiducia dei Nostri Predecessori vi elesse qui, nel centro del mondo cattolico, ad essere consiglieri e collaboratori del Romano Pontefice nel governo della Chiesa universale; a tutti e a ciascuno di voi in grado diverso, secondo la misura della grazia ricevuta, venne rivolta la domanda: Potestis bibere calicem, quem ego bibiturus sum? (Matth. 20, 22). La vostra vita e operosità sacerdotale nella Chiesa e per la Chiesa, la vostra lotta per le anime e per la trasformazione spirituale del mondo, saranno tanto più efficaci e feconde, quanto più coraggiosa e incondizionata, giorno per giorno, ora per ora, diverrà e apparirà la risposta del vostro cuore alla domanda del Maestro.

Nulla sarebbe meno conforme ai particolari bisogni dell'ora presente, quanto la pusillanimità di coloro, in mezzo ai quali dimora il « magni consilii Angelus », che nell'abisso della sua sapienza ha tesori di consigli e rimedi per l'universo intero. Non suona forse proprio adesso per il Cristianesimo, per la fede nostra che vince il mondo, un'ora paragonabile a quella del primo incontro di Cristo con l'antico paganesimo; un'ora, se densa di gravi pericoli, pur ricca di grandiose promesse e speranze di bene?

Possa la potente grazia di Dio suscitare tra il clero e in mezzo al laicato quegli animi ardenti e generosi, i quali all'umanità errante, ma famelica e sitibonda di unità e di fratellanza, spianino la via alle nobilissime norme e pratiche di vita individuale e sociale, emananti da Colui, a cui la Chiesa rivolge nell'Avvento la commovente invocazione : O Rex Gentium, et desiderato earum, lapisque angularis, qui facis utraque unum : veni, et salva hominem, quem de limo formasti!

Con questa preghiera sul labbro, pregna dell'ansioso desiderio di tutto il genere umano verso quella concordia, che nasce dalla pace, cui il divin Bambino di Betlemme col canto degli angeli ispira agli uomini di buona volontà, impartiamo a voi tutti, Venerabili Fratelli e diletti Figli, a coloro che sono con voi uniti nel Signore, e specialmente a quelli che in maniera particolare soffrono delle sciagure dei tempi, con immutato affetto paterno la Nostra Apostolica Benedizione.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, IV, 
  Quarto anno di Pontificato, 2 marzo 1942 - 1° marzo 1943, pp. 319-323





PIO XII

UDIENZA GENERALE*

Mercoledì, 1° aprile 1942


 

Ai ciechi di guerra dell'Istituto di Assistenza di Roma

Singolarmente cara torna oggi al paterno animo Nostro la vostra presenza, Venerabile Fratello e diletti figli, figli tanto più diletti, perché la dolce luce, che consola e allieta Noi e quanti vi circondano del loro affetto e delle loro benevole e vigili cure, non giunge in fondo alla vostra pupilla, da voi sacrificata al dovere di comandanti, di ufficiali, di soldati. A coloro i quali hanno accompagnato e guidato i vostri passi nell'omaggio di devozione filiale, che a Noi, — come già al Nostro immortale Predecessore Pio XI, — avete bramato di presentare con quel vivo fervore che promana dalla intensità della vostra fede, va la Nostra riconoscenza per averCi procurato la gradita occasione di vedervi qui adunati nella casa del Padre comune, e di rivolgervi una parola che sia conforto al vostro cuore, come fu un giorno la luce al vostro occhio.

Anche il cuore, diletti figli, ha i suoi occhi, e vede più in là e più alto che l'occhio della fronte. La sua luce non è il sole che tramonta e lascia dietro a sé la notte; ma è il sole della verità e del bene che scende dall'intelletto a fare del cuore medesimo una volontà illuminata e poderosa, la quale non si accascia sotto il peso della sventura, ma della sventura stessa si fa una scala per salire a maggiori altezze, alle altezze della fede, ai monti delle notti divine di Cristo orante, agonizzante, morente in croce fra le tenebre avvolgenti la terra. Ore di preghiera sono le ore notturne; e in quella solitudine e in quel silenzio del tempo e della natura, quante anime si prostrano innanzi a Dio e inneggiano a Lui! Nella notte dei vostri occhi anche voi avete cercato e incontrato la fede; perché anche la fede cammina nella oscurità, ma con piede franco e con passo si curo, come quella che è « sustanzia di cose sperate e argomento delle non parventi» (Par. XXIV, 64-65 — Hebr. II, 1). Anche voi avete — oh quante volte! — levata la voce dal profondo verso Dio (Ps. 129, i), e nella vostra lunga notte, toccandovi gli occhi, avete detto : Dominu dedit, Dominus abstulit : sit nomen Domini benedictum ( Job 1, 21): Il Signore ha dato e il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore! Non un lamento — ce ne fa certi h viva vostra fede — è stata la vostra preghiera, ma rassegnazione, sospiro di pace, conformità e uniformità all'altissima e amabilissima volontà di Dio, il quale tutto dispone e volge a nostro bene. Come al Signore piacque, avete esclamato, così è avvenuto!. In tal guisa non avete voi forse imparato che nell'oscurità della vostra giornata l'anima meglio si concentra, meglio entra in se medesima, meglio ne esce a rivolgersi al cielo, a contemplare dalla soglia della vostra notte l'alba che scende da altri firmamenti più sublimi, più vicini a Dio? Oh sì: voi avete certo compreso che la vostra notte è simile alla oscurità della fede; ma sapete pure che nella oscurità della fede splende una luce più fulgida del sole, dalla quale fu fatto il sole e l'universo; quella luce vera che illumina ogni uomo il quale viene in questo mondo, il Verbo di Dio incarnato, che abitò tra noi e disse di sé: «Io sono la luce del mondo ; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce di vita» (Io. 8, 12). Al declinare dei raggi di un sole che tramonta, un'unica caligine avvolge la terra; ma credendo in Cristo e seguendo Lui, sole del mondo soprannaturale delle anime, non camminiamo al buio; abbiamo ai nostri passi via, verità e vita; ed entriamo nel novero di quei fortunati di cui Cristo stesso ebbe a dire: Beati coloro che non hanno veduto e hanno creduto : Beati, qui non viderunt, et crediderunt (Io. 20, 29). «Tutti siam ciechi», veggenti o non veggenti, innanzi a Dio e ai suoi misteri della vita e della grazia, che rifulgono dalla gioia non meno che dal dolore. Aprite il cuore alla speranza! Voi sapete che il vostro Redentore vive e che, all'ultimo giorno, nella risorta vostra carne vedrete il vostro Dio; lo vedrete voi medesimi; lo contempleranno i vostri occhi; occhi restituiti intatti e non più corruttibili: serbate il balsamo di questa speranza consolatrice riposta nel vostro seno (cfr. Job 19, 25-27).

La speranza non «fugge i sepolcri», come non fugge il dolore e la sventura; e voi avete provato che il dolore è ai generosi e ai valorosi scuola e palestra di amore, e che dalle cicatrici del vostro occhio e del vostro corpo guarda e parla l'amore del dovere e della patria, la quale vi decora il petto delle insegne anche auree della sua riconoscenza. Destinati a una patria oltre le stelle, ma ancora pellegrini sulla terra, voi avete una patria anche quaggiù, a voi cara come un nido dove foste dolcemente nutriti, dove l'affetto vi lega agli avi e ai figli, dove i monti e le valli, le pianure e le acque, la storia e i monumenti, le lotte e le vittorie, i dolori e le gioie, la religione e la vita, tutti vi affratellano sui campi della fatica, dello studio, dell'azione, del sacrificio. E del vostro più alto e luminoso sacrificio, nobilissimo al pari della luce che vi ha involata, il segno, che portate nel vostro volto, è il sigillo della vostra carità di patria, il quale, mentre vi sublima innanzi agli uomini, vi sprona a prostrarvi più riverenti davanti a Dio in quella carità più eccelsa che vi stringe a Lui e, esaltandovi in Lui, tutto soffre, tutto crede, tutto spera, tutto sostiene.

Alla patria voi avete donato e sacrificato i bei giorni lucidi e splendenti della vostra vita: oggi la servite nell'ombra e nell'oscurità con un lavoro che per voi è una seconda vita e insieme una seconda luce. Giacché al vostro lavoro, se non porge aiuto la luce dell'occhio, concorre la luce degli altri sensi, ai quali sogliamo nel parlare estendere la dignità e la certezza della visione dell'occhio (cfr. S. Th. i, p. q. 67 a. 1). Perciò, specialmente nella lingua latina, la parola videre, vedere, trovasi usata anche nel significato generico di percepire coi sensi; onde il sommo poeta Virgilio potè scrivere: «mugire videbis sub pedibus terram»: vedrai la terra mugghiare sotto i piedi (Aen. l. IV v. 490-491): « visaeque canes ululare per umbram» (Aen. l. V1 v. 257).

Ma la nobiltà della luce e della visione la eleviamo e applichiamo particolarmente all'intelletto; e alla vostra intelligenza e memoria, nel buio della vostra giornata, ancora splende il sole che al vivace vostro sguardo illuminava le aurore, i meriggi e i tramonti dei più limpidi giorni della vostra adolescenza e giovinezza. Le immagini e i ricordi della luce non sono in voi le illusioni tattili di un cieco nato, bensì un invito e un ritorno a rivedere le bellezze della natura e dell'arte, le dure palestre e gli aperti campi del vostro sudore e del vostro valore, che un dì contemplaste irradiati dal sole, e che ancora rischiarano la vostra mente e ne confortano e sostengono la scienza e il sapere che vi fanno lavoratori, maestri e artisti. Le vostre mani a voi, al vostro operare sono occhi; con esse palpando conoscete quel che non vedete; guidati dall'udito, che nella cecità più si affina, voi potete dalle corde armoniche con le vostre dita destare un'onda di suoni che v'inebriano lo spirito. Non è forse l'udito a voi più che luce? Dove il vostro sguardo è muto di ogni lume, vigila più attento e percettivo il vostro orecchio; e se non giunge lontano il vostro occhio, fin da oltre i monti e i mari perviene e parla a voi la portentosa voce del genio Marconiano. Così per l'udito, come già per la fede, voi acquistate e accrescete il sapere e la scienza; e luce per voi è chi vi dirige nella pietà e nei doveri religiosi; luce sono quelle anime gentili che vi visitano, che si fanno lettrici davanti a voi, per quella venerazione e quel fraterno affetto, la cui più profonda radice è la carità di Cristo, che mette fiori anche nella carità di patria.

Che se il sole è luce e calore, ancor più di luce e calore è generosa la fede, in cui si assorellano le anime innanzi a Dio e al Redentore divino. Questa luce di fede, questo calore di fede, che sono verità e vita, Noi ben sappiamo quanto intensamente vivano in voi e in coloro che a voi dedicano le loro assidue premure, e come nella fede il vostro lavoro si illumini e si elevi a merito di una vita migliore. Voi, dilette figlie, che visitate e assistete, come angeli consolatori, cotesti Grandi Mutilati di Guerra, e che nella lettura vi fate occhio alla loro spenta pupilla, voi in loro confortate Cristo che vi dirà un giorno : «Ero infermo e mi avete visitato» (Matth. 25, 36). Casa della benevolenza e della riconoscenza vuoi essere dunque, amati figli, la vostra Casa di Lavoro, una Casa di Nazareth per voi, se un pio pensiero e affetto vi richiami alla mente il divino creduto « figlio del legnaiuolo » (Matth. 13, 55), che nell'ombra e nel lavoro della sua matura adolescenza celava il mistero di quel Vangelo che doveva essere luce nel mondo. Eppure questo Dio nascosto non ha cessato di operare e lavorare in voi e con voi; perché Egli vi sostiene col verbo del suo vigore, Egli che ha creato tutte le cose e opera e governa nel mondo della natura e nel mondo sopra la natura; artefice invisibile e onnipotente così degli enigmi dei firmamenti scrutati dall'occhio degli astronomi, come dei misteri della provvida sua bontà, sempre paterna e benigna, e quando ci apre le pupille alla luce, e quando ce le chiude nel buio.

Nel corso del vostro lavoro vi siano presenti lo sguardo e la mano di Dio; nella voce di quelle labbra, che vi leggono, vi parlano e vi rispondono, ravvisate l'affabilità degli amici di Dio e di voi; in chi guida i vostri passi riconoscete un fratello dell'arcangelo Raffaele mandato dal Signore al cieco Tobia quale compagno di viaggio per il suo figliuolo; e abbiate verso tutti, — chi vi dirige e chi presiede alla vostra Casa di Lavoro, — quella gratitudine, ch'è onore e decoro per voi il sentire altamente e il rendere un bisogno del cuore. E di gratitudine siamo debitori anche Noi, diletti figli, a voi e a quanti vi hanno qui accompagnati, direttori, compagni, amici e persone di vostra famiglia. Se il Nostro sguardo non si è incontrato col vostro, col vostro cuore si è incontrato il Nostro; e la Nostra parola di affettuoso Padre comune ha risposto ai vostri sensi di filiale devozione e di pietà cristiana. Sicché la Nostra consolazione ora altro non brama che di espandersi nell'invocare sopra di voi, diletti figli, e su quanti avete nel cuore, — anzi su tutti i Ciechi di guerra che nel mondo intiero hanno con voi comune la sorte, — i celesti favori, che accrescano negli animi vostri e loro l'operosità sapiente, la tranquillità dello spirito, l'intensità della fede, della speranza e della carità, tre luci che illuminano il firmamento della grazia di Dio, e sono balsamo di ogni sventura, non meno che arra di gaudio eterno.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, IV, 
  Quarto anno di Pontificato, 2 marzo 1942 - 1° marzo 1943, pp. 21-25






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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