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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Discorsi di Pio XII imponenti ed importanti

Ultimo Aggiornamento: 07/12/2017 15:46
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29/09/2017 23:31
 
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Fra i molteplici errori, che scaturiscono dalla fonte avvelenata dell'agnosticismo religioso e morale, vogliamo attirare la vostra attenzione, venerabili fratelli, sopra due in modo particolare, come quelli che rendono quasi impossibile, o almeno precaria e incerta, la pacifica convivenza dei popoli.


Il primo di tali perniciosi errori, oggi largamente diffuso, è la dimenticanza di quella legge di umana solidarietà e carità, che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine e dall'uguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, sia dal sacrificio di redenzione offerto da Gesù Cristo sull'ara della croce al Padre suo celeste in favore dell'umanità peccatrice.


Infatti, la prima pagina della Scrittura, con grandiosa semplicità, ci narra come Dio, quale coronamento della sua opera creatrice, fece l'uomo a sua immagine e somiglianza (Gn 1,26-27); e la stessa Scrittura ci insegna che lo arricchì di doni e privilegi soprannaturali, destinandolo a un'eterna ineffabile felicità. Ci mostra inoltre come dalla prima coppia trassero origine gli altri uomini, di cui ci fa seguire, con insuperata plasticità di linguaggio, la divisione in vari gruppi e la dispersione nelle varie parti del mondo. Anche quando si allontanarono dal loro Creatore, Dio non cessò di considerarli come figli, i quali, secondo il suo misericordioso disegno, dovevano un giorno essere ancora una volta riuniti nella sua amicizia (cf. Gn 12,3).


L'apostolo delle genti poi si fa l'araldo di questa verità, che affratella gli uomini in una grande famiglia, quando annunzia al mondo greco che Dio «trasse da uno stesso ceppo la progenie tutta degli uomini, perché popolasse l'intera superficie della terra, e determinò la durata della loro esistenza e i confini della loro abitazione, affinché cercassero il Signore ...» (At 17,26-27). Meravigliosa visione, che ci fa contemplare il genere umano nell'unità di una comune origine in Dio: «Un solo Dio e padre di tutti, colui che è sopra tutti e per tutti e in tutti» (Ef 4,6): nell'unità della natura, ugualmente costituita in tutti di corpo materiale e di anima spirituale e immortale; nell'unità del fine immediato e della sua missione nel mondo; nell'unità di abitazione, la terra, dei beni della quale tutti gli uomini possono per diritto naturale giovarsi, al fine di sostentare e sviluppare la vita; nell'unità del fine soprannaturale, Dio stesso, al quale tutti debbono tendere; nell'unità dei mezzi, per conseguire tale fine.


E lo stesso apostolo ci mostra l'umanità nell'unità dei rapporti con il Figlio di Dio, immagine del Dio invisibile, «in cui tutte le cose sono state create» (Col 1,16); nell'unità del suo riscatto, operato per tutti da Cristo, il quale restituì l'infranta originaria amicizia con Dio mediante la sua santa acerbissima passione, facendosi mediatore tra Dio e gli uomini: «Poiché uno è Dio, uno è anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù» (1Tm 2,5).


E per rendere più intima tale amicizia, tra Dio e l'umanità, questo stesso Mediatore divino e universale di salvezza e di pace, nel sacro silenzio del cenacolo, prima di consumare il sacrificio supremo, lasciò cadere dalle sue labbra divine la parola che si ripercuote altissima attraverso i secoli, suscitando eroismi di carità in mezzo a un mondo vuoto d'amore e dilaniato dall'odio: «Ecco il mio comandamento: amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi» (Gv 15,12).


Verità soprannaturali sono queste che stabiliscono profonde basi e fortissimi comuni vincoli di unione, rafforzati dall'amore di Dio e del Redentore divino, dal quale tutti ricevono la salute «per l'edificazione del corpo di Cristo, finché non giungiamo tutti insieme all'unità della fede, alla piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, secondo la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,12-13).


Al lume di questa unità di diritto e di fatto dell'umanità intera gli individui non ci appaiono slegati tra loro, quali granelli di sabbia, bensì uniti in organiche, armoniche e mutue relazioni, varie con il variar dei tempi, per naturale e soprannaturale destinazione e impulso. E le genti, evolvendosi e differenziandosi secondo condizioni diverse di vita e di cultura, non sono destinate a spezzare l'unità del genere umano, ma ad arricchirlo e abbellirlo con la comunicazione delle loro peculiari doti e con quel reciproco scambio dei beni, che può essere possibile e insieme efficace, solo quando un amore mutuo e una carità vivamente sentita unisce tutti i figli dello stesso Padre e tutti i redenti dal medesimo sangue divino.


La chiesa di Cristo, fedelissima depositaria della divina educatrice saggezza, non può pensare né pensa d'intaccare o disistimare le caratteristiche particolari, che ciascun popolo con gelosa pietà e comprensibile fierezza custodisce e considera qual prezioso patrimonio. Il suo scopo è l'unità soprannaturale nell'amore universale sentito e praticato, non l'uniformità, esclusivamente esterna, superficiale e per ciò stesso debilitante. Tutte quelle direttive e cure, che servono ad un saggio ordinato svolgimento di forze e tendenze particolari, le quali hanno radici nei più riposti penetrali d'ogni stirpe, purché non si oppongano ai doveri derivanti all'umanità dall'unità d'origine e comune destinazione, la chiesa le saluta con gioia e le accompagna con i suoi voti materni. Essa ha ripetutamente mostrato, nella sua attività missionaria, che tale norma è la stella polare del suo apostolato universale. Innumerevoli ricerche e indagini di pionieri, compiute con sacrificio, dedizione e amore dai missionari d'ogni tempo, si sono proposte di agevolare l'intera comprensione e il rispetto delle civiltà più svariate, e di renderne i valori spirituali fecondi per una viva e vitale predicazione dell'evangelo di Cristo. Tutto ciò che in tali usi e costumi non è indissolubilmente legato con errori religiosi troverà sempre benevolo esame e, quando riesce possibile, verrà tutelato e promosso. E il Nostro immediato predecessore, di santa e venerata memoria, applicando tali norme a una questione particolarmente delicata, prese generose decisioni, che innalzano un monumento alla vastità del suo intuito e all'ardore del suo spirito apostolico. Né è necessario, venerabili fratelli, annunziarvi che Noi vogliamo incedere senza esitazione per questa via. Tutti coloro che entrano nella chiesa, qualunque sia la loro origine o la lingua, devono sapere che hanno uguale diritto di figli nella casa del Signore, dove dominano la legge e la pace di Cristo. In conformità con queste norme di uguaglianza, la chiesa consacra le sue cure a formare un elevato clero indigeno e ad aumentare gradualmente le file dei vescovi indigeni. Al fine di dare a queste intenzioni espressione esteriore, abbiamo scelto l'imminente festa di Cristo re per elevare alla dignità episcopale, sul sepolcro del principe degli apostoli, dodici rappresentanti dei più diversi popoli e stirpi.


Tra i laceranti contrasti che dividono l'umana famiglia, possa quest'atto solenne proclamare a tutti i Nostri figli, sparsi nel mondo, che lo spirito, l'insegnamento e l'opera della chiesa non potranno mai essere diversi da ciò che l'apostolo delle genti predicava: «Rivestitevi dell'uomo nuovo, che si rinnovella dimostrandosi conforme all'immagine di Colui che lo ha creato; in esso non esiste più greco e giudeo, circonciso e incirconciso, barbaro e scita, schiavo e libero, ma tutto e in tutti è Cristo» (Col 3,10-11).


Né è da temere che la coscienza della fratellanza universale, fomentata dalla dottrina cristiana, e il sentimento che essa ispira, siano in contrasto con l'amore alle tradizioni e alle glorie della propria patria, o impediscano di promuoverne la prosperità e gli interessi legittimi, poiché la medesima dottrina insegna che nell'esercizio della carità esiste un ordine stabilito da Dio, secondo il quale bisogna amare più intensamente e beneficare di preferenza coloro che sono a noi uniti con vincoli speciali. Anche il divino Maestro diede esempio di questa preferenza verso la sua terra e la sua patria, piangendo sulle incombenti rovine della città santa. Ma il legittimo giusto amore verso la propria patria non deve far chiudere gli occhi sulla universalità della carità cristiana, che fa considerare anche gli altri e la loro prosperità nella luce pacificante dell'amore.


Tale è la meravigliosa dottrina di amore e di pace, che ha sì nobilmente contribuito al progresso civile e religioso dell'umanità. E gli araldi che l'annunziarono, mossi da soprannaturale carità, non solo dissodarono terreni e curarono morbi, ma soprattutto bonificarono, plasmarono ed elevarono la vita ad altezze divine, lanciandola verso i culmini della santità, in cui tutto si vede nella luce di Dio; elevarono monumenti e templi i quali mostrano a qual volo di geniali altezze spinga l'ideale cristiano, ma soprattutto fecero degli uomini, saggi o ignoranti, potenti o deboli, templi viventi di Dio e tralci della stessa vite, Cristo; trasmisero alle generazioni future tesori di arte e di saggezza antica, ma soprattutto le resero partecipi di quell'ineffabile dono della sapienza eterna, che affratella gli uomini con un vincolo di soprannaturale appartenenza.


***


Venerabili fratelli, se la dimenticanza della legge di carità universale, che sola può consolidare la pace, spegnendo gli odi e attenuando i rancori e i contrasti, è fonte di gravissimi mali per la convivenza pacifica dei popoli, non meno dannoso al benessere delle nazioni e alla prosperità della grande società umana, che raccoglie e abbraccia entro i suoi confini tutte le genti, si dimostra l'errore contenuto in quelle concezioni, le quali non dubitano di sciogliere l'autorità civile da qualsiasi dipendenza dall'Ente supremo, causa prima e Signore assoluto sia dell'uomo che della società, e da ogni legame di legge trascendente, che da Dio deriva come da fonte primaria, e le concedono una facoltà illimitata di azione, abbandonata all'onda mutevole dell'arbitrio o ai soli dettami di esigenze storiche contingenti e di interessi relativi.


Rinnegata, in tal modo, l'autorità di Dio e l'impero della sua legge, il potere civile, per conseguenza ineluttabile, tende ad attribuirsi quell'assoluta autonomia, che solo compete al Supremo Fattore, e a sostituirsi all'Onnipotente, elevando lo stato o la collettività a fine ultimo della vita, a criterio sommo dell'ordine morale e giuridico, e interdicendo, perciò, ogni appello ai princìpi della ragione naturale e della coscienza cristiana.


Non disconosciamo, invero, che princìpi errati, fortunatamente, non sempre esercitano intero il loro influsso, principalmente quando le tradizioni cristiane, più volte secolari, di cui si sono nutriti i popoli, rimangono ancora profondamente, anche se inconsciamente, radicate nei cuori. Tuttavia, non bisogna dimenticare l'essenziale insufficienza e fragilità di ogni norma di vita sociale che riposi su un fondamento esclusivamente umano, s'ispiri a motivi esclusivamente terreni e riponga la sua forza nella sanzione di un'autorità semplicemente esterna.


Dove è negata la dipendenza del diritto umano dal diritto divino, dove non si fa appello che ad una malsicura idea di autorità meramente terrena e si rivendica un'autonomia fondata soltanto sopra una morale utilitaria, qui lo stesso diritto umano perde giustamente nelle sue applicazioni più gravose la forza morale, che è la condizione essenziale per essere riconosciuto e per esigere anche sacrifici.


È ben vero che il potere basato sopra fondamenti così deboli e vacillanti può raggiungere talvolta, per circostanze contingenti, successi materiali da destar meraviglia ad osservatori meno profondi; ma viene il momento, nel quale trionfa l'ineluttabile legge che colpisce tutto quanto è stato costruito sopra una latente o aperta sproporzione tra la grandezza del successo materiale ed esterno e la debolezza del valore interno e del suo fondamento morale. Sproporzione che sussiste sempre, quando la pubblica autorità misconosce o rinnega il dominio del sommo Legislatore, il quale se ha dato la potestà ai reggitori, ne ha per altro segnato e determinato i limiti.


La sovranità civile è stata voluta dal Creatore, come sapientemente insegna il Nostro grande predecessore Leone XIII nell'enciclica Immortale Dei,(5) affinché regolasse la vita sociale secondo le prescrizioni di un ordine immutabile nei suoi princìpi universali, rendesse più agevole alla persona umana, nell'ordine temporale, il conseguimento della perfezione fisica, intellettuale e morale e l'aiutasse a raggiungere il fine soprannaturale.


È quindi nobile prerogativa e missione dello stato il controllare, aiutare e ordinare le attività private e individuali della vita nazionale, per farle convergere armonicamente al bene comune, il quale non può essere determinato da concezioni arbitrarie, né ricevere la sua norma primariamente dalla prosperità materiale della società, ma piuttosto dallo sviluppo armonico e dalla perfezione naturale dell'uomo al quale la società è destinata, quale mezzo, dal Creatore.


Considerare lo stato come fine, al quale ogni cosa dovrebbe essere subordinata e indirizzata, non potrebbe che nuocere alla vera e durevole prosperità delle nazioni. E ciò avviene, sia che tale dominio illimitato venga attribuito allo stato, quale mandatario della nazione, del popolo, o anche di una classe sociale, sia che venga preteso dallo stato, quale padrone assoluto, indipendente da qualsiasi mandato.


Se lo stato infatti a sé attribuisce e ordina le iniziative private, queste, governate come sono da delicate e complesse norme interne, che garantiscono e assicurano il conseguimento dello scopo ad esse proprio, possono essere danneggiate, con svantaggio del pubblico bene, venendo avulse dall'ambiente loro naturale, cioè dalla responsabile attività privata.


Anche la prima ed essenziale cellula della società, la famiglia, come il suo benessere e il suo accrescimento, correrebbe allora il pericolo di venir considerata esclusivamente sotto l'angolo della potenza nazionale e si dimenticherebbe che l'uomo e la famiglia sono per natura anteriori allo stato, e che il Creatore diede ad entrambi forze e diritti e assegnò una missione, rispondente a indubbie esigenze naturali.


L'educazione delle nuove generazioni non mirerebbe a un equilibrato armonico sviluppo delle forze fisiche e di tutte le qualità intellettuali e morali, ma ad una unilaterale formazione di quelle virtù civiche, che si considerano necessarie al conseguimento di successi politici; quelle virtù invece, che dànno alla società un profumo di nobiltà, d'umanità e di rispetto, meno s'inculcherebbero, quasi deprimessero la fierezza del cittadino.


Davanti al nostro sguardo si profilano con dolorosa chiarezza i pericoli che temiamo potranno derivare a questa generazione e alle future dal misconoscimento, dalla diminuzione e dalla progressiva abolizione dei diritti della famiglia. Perciò Ci eleviamo a fermi difensori di tali diritti in piena coscienza del dovere che Ci impone il Nostro apostolico ministero. Le angustie dei nostri tempi, sia esterne che interne, sia materiali che spirituali, i molteplici errori con le loro innumerevoli ripercussioni da nessuno vengono assaporati così amaramente come nella piccola nobile cellula familiare. Un vero coraggio e, nella sua semplicità, un eroismo degno di ammirato rispetto sono spesso necessari per sopportare le durezze della vita, il peso quotidiano delle miserie, le crescenti indigenze e le ristrettezze in una misura mai prima sperimentata, di cui spesso non si vede né la ragione né la reale necessità. Chi ha cura d'anime, chi può indagare nei cuori, conosce le nascoste lacrime delle madri, il rassegnato dolore di numerosi padri, le innumerevoli amarezze, delle quali nessuna statistica parla né può parlare; vede con sguardo preoccupato crescere sempre più il cumulo di queste sofferenze e sa che le potenze dello sconvolgimento e della distruzione stanno al varco, pronte a servirsene per i loro tenebrosi disegni.


Nessuno, che abbia buona volontà e occhi aperti, potrà rifiutare nelle condizioni straordinarie, in cui si trova il mondo, al potere dello stato un corrispondente più ampio diritto eccezionale per sovvenire ai bisogni del popolo. Ma l'ordine morale, stabilito da Dio, esige, anche in tali contingenze, che s'indaghi tanto più seriamente e acutamente sulla liceità di tali provvedimenti e sulla loro reale necessità, secondo le norme del bene comune.


Ad ogni modo, quanto più gravosi sono i sacrifici materiali richiesti dallo stato agli individui e alle famiglie, tanto più sacri e inviolabili devono essergli i diritti delle coscienze. Può pretendere beni e sangue, ma non mai l'anima da Dio redenta. La missione assegnata da Dio ai genitori, di provvedere al bene materiale e spirituale della prole e di procurare ad essa una formazione armonica pervasa da vero spirito religioso, non può esser loro strappata senza grave lesione del diritto. Questa formazione deve certamente aver anche lo scopo di preparare la gioventù ad adempiere con intelligenza, coscienza e fierezza quei doveri di nobile patriottismo, che dà alla patria terrestre tutta la dovuta misura di amore, dedizione e collaborazione. Ma d'altra parte una formazione che dimentichi, o peggio, volutamente trascuri di dirigere gli occhi e il cuore della gioventù alla patria soprannaturale, sarebbe un'ingiustizia contro gli inalienabili doveri e diritti della famiglia cristiana, uno sconfinamento, a cui deve essere opposto un rimedio anche nell'interesse del bene del popolo e dello stato. Una simile educazione potrà forse sembrare a coloro, che ne portano la responsabilità, fonte di aumentata forza e vigoria; in realtà sarebbe il contrario, e le tristi conseguenze lo proverebbero. Il delitto di lesa maestà contro «il Re dei re e il Signore dei dominanti» (1 Tm 6,15; Ap 19,16), perpetrato da un'educazione indifferente o avversa allo spirito cristiano, il capovolgimento del «lasciate che i pargoli vengano a me» (Mc 10,14) porterebbero amarissimi frutti. 

Lo stato invece, che toglie ai sanguinanti e lacerati cuori dei padri e delle madri cristiane le loro preoccupazioni e ristabilisce i loro diritti, promuove la sua stessa pace interna e pone il fondamento per un più felice avvenire della patria. Le anime dei figli, donati da Dio ai genitori, consacrati nel battesimo con il sigillo regale di Cristo, sono un sacro deposito, su cui vigila l'amore geloso di Dio. Lo stesso Cristo, che ha pronunziato il «lasciate che i pargoli vengano a me», ha anche minacciato, nonostante la sua misericordia e bontà, terribili mali a coloro che dànno scandalo ai prediletti del suo cuore. E quale scandalo più dannoso alle generazioni e più duraturo di una formazione della gioventù mal diretta verso una méta, che allontana da Cristo, «via, verità e vita», e conduce ad un'apostasia manifesta o occulta da Cristo? Questo Cristo, da cui si vogliono alienare le giovani generazioni presenti e future, è quello stesso che dall'Eterno Padre ha ricevuto ogni potere in cielo e in terra. Egli tiene nella sua mano onnipotente il destino degli stati, dei popoli e delle nazioni. Appartiene a lui il diminuire o prolungare la vita, l'accrescimento, la prosperità e la grandezza. Di tutto ciò che è sulla terra, solo l'anima vive immortale. Un sistema di educazione che non rispettasse il recinto sacro della famiglia cristiana, protetto dalla santa legge di Dio, ne attaccasse le basi, chiudesse alla gioventù il cammino a Cristo, alle fonti di vita e di gioia del Salvatore (cf. Is 12,3), considerasse l'apostasia da Cristo e dalla chiesa come simbolo di fedeltà al popolo o a una determinata classe, pronuncerebbe contro se stesso la condanna e sperimenterebbe a suo tempo l'ineluttabile verità delle parole del profeta: «Coloro che si ritirano da te, saranno scritti in terra» (Ger 17,13).

   continua.............



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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