A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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12-17 febbraio Visita Apostolica del Papa in Mexico

Ultimo Aggiornamento: 21/02/2016 14:39
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO IN MESSICO

(12-18 FEBBRAIO 2016)

 





  • Messale per il Viaggio Apostolico
  • Galleria fotografica
  • Multimedia

 

Venerdì, 12 febbraio 2016

12.30 Partenza in aereo dall’Aeroporto di Roma/Fiumicino per Città del Messico  
19.30 Arrivo all’Aeroporto Internazionale “Benito Juárez” di Città del Messico  
  Accoglienza Ufficiale  
 

Sabato, 13 febbraio 2016

9.30 Cerimonia di benvenuto al Palazzo Nazionale  
  Visita di cortesia al Presidente della Repubblica  
10.15 Incontro con Autorità, con la Società Civile e con il Corpo Diplomatico
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
11.30 Incontro con i Vescovi del Messico in Cattedrale
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
17.00 Santa Messa nella Basilica di Guadalupe
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
 

Domenica, 14 febbraio 2016

9.20 Trasferimento in elicottero ad Ecatepec  
10.30 Santa Messa nell’area del Centro Studi di Ecatepec
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
  Angelus 
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
12.50 Trasferimento in elicottero a Città del Messico  
13.10 Arrivo a Città del Messico  
16.30 Visita all'Ospedale pediatrico “Federico Gómez”
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
18.00 Incontro con il mondo della cultura all’Auditorium Nazionale
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
 

Lunedì, 15 febbraio 2016

7.30 Partenza in aereo per Tuxtla Gutiérrez  
9.15 Trasferimento in elicottero a San Cristóbal de Las Casas  
10.15 Santa Messa con le comunità indigene del Chiapas nel Centro sportivo municipale
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
13.00 Pranzo con rappresentanti di indigeni e con il Seguito Papale  
15.00 Visita alla Cattedrale di San Cristóbal de las Casas  
15.35 Trasferimento in elicottero a Tuxtla Gutiérrez  
16.15 Incontro con le Famiglie nello Stadio “Víctor Manuel Reyna” a Tuxtla Gutiérrez 
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
18.10 Partenza in aereo per Città del Messico  
20.00 Arrivo all’aeroporto di Città del Messico  
 

Martedì, 16 febbraio 2016

7.50 Partenza in aereo per Morelia  
10.00 Santa Messa con Sacerdoti, religiose, religiosi, consacrati e seminaristi
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
15.15 Visita alla Cattedrale  
16.30 Incontro con i Giovani nello stadio “José María Morelos y Pavón” 
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
18.55 Partenza in aereo per Città del Messico  
20.00 Arrivo a Città del Messico  
 

Mercoledì, 17 febbraio 2016

8.35 Partenza in aereo per Ciudad Juárez  
10.00 Arrivo all’aeroporto internazionale “Abraham González” a Ciudad Juárez  
10.30 Visita al Penitenziario (CeReSo n.3)
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
12.00 Incontro con il mondo del lavoro al Colegio de Bachilleres dello Stato di Chihuahua
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
16.00 Santa Messa nell’Area fieristica di Ciudad Juárez
[Arabo, Francese, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Spagnolo, Tedesco]
 
19.00 Cerimonia di congedo all’Aeroporto internazionale di Ciudad Juárez  
19.15 Partenza in aereo per Roma/Ciampino  
 

Giovedì, 18 febbraio 2016

14:45 Arrivo all’aeroporto di Roma/Ciampino














 

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO CON SOSTA A LA HABANA PER L'INCONTRO CON S.S. KIRILL, 

PATRIARCA DI MOSCA E DI TUTTA LA RUSSIA 
(12-18 FEBBRAIO 2016)

 

SALUTO DEL SANTO PADRE AI GIORNALISTI
DURANTE IL VOLO ROMA-
LA HABANA (CUBA)

 

Volo Papale 
Venerdì, 12 febbraio 2016

 

[Multimedia]

 


 

Padre Lombardi

 

Santo Padre, benvenuto tra noi, come sempre, all’inizio di questi bellissimi viaggi intercontinentali. Questo viaggio ci emoziona molto. Sappiamo che è un viaggio che Lei ha molto desiderato, sia per l’incontro con il Patriarca sia poi per l’incontro con il popolo messicano. Ci prepariamo, quindi, a grandi emozioni e a momenti storici. Le facciamo i migliori auguri per queste giornate e siamo con Lei per fare bene il nostro servizio di diffondere la Parola del Signore e le Sue parole.

 

Siamo, come vede, un bel gruppo, circa 76, il gruppo internazionale. Abbiamo dato uno spazio importante ai messicani. Sono una decina i messicani presenti, ma rappresentano un po’ tutte le nazioni e tutti i Paesi. Adesso diamo la parola a Lei, per quanto Lei ci voglia dire all’inizio di questo viaggio. Grazie veramente di essere qua.

 

Papa Francesco

 

Buongiorno! Vi ringrazio della vostra presenza, del lavoro che farete. E’ un viaggio impegnativo, troppo serrato, ma tanto voluto: tanto voluto dal mio fratello Cirillo, da me e anche dai messicani. L’altro giorno, incominciando l’udienza del mercoledì, la vostra decana messicana mi aspettava come per farmi entrare nel tunnel del tempo con tutti i film di Cantinflas. E così sono entrato in Messico per la porta di Cantinflas, che fa ridere bene. Il mio desiderio più intimo è fermarmi davanti alla Madonna di Guadalupe, quel mistero che si studia, si studia, si studia e non ci sono spiegazioni umane. Anche lo studio più scientifico dice: “Ma questa è una cosa di Dio”. E questo è quello che fa dire ai messicani: “Io sono ateo, ma sono guadalupano”. Alcuni messicani: non tutti sono atei!

 

Anche un’altra cosa vorrei dirvi: che questo è l’ultimo viaggio nel quale ci accompagna il dott. Gasbarri. Da 47 anni lui lavora in Vaticano. E’ da 37 anni che si occupa dei viaggi. Lo dico perché possiamo, durante questi giorni, esprimergli la nostra gratitudine ed anche pensare ad una piccola festicciola qui, nel rientro… E poi mons. Mauricio Rueda sarà l’incaricato dei viaggi. Benvenuto!

 

E adesso se mi permettete vorrei salutarvi personalmente.

 

Padre Lombardi

 

Prima che il Papa saluti i singoli, noi invitiamo la nostra decana che, oltre ad avere dato dei film al Papa, adesso gli dà modo di proteggersi dal sole del Messico. Questo è il terzo Papa a cui Valentina offre un sombrero!

 

Valentina Alazraki

 

Perché si senta messicano! Il primo l’ho donato a Giovanni Paolo II 37 anni fa. Poi lui ne ha fatto una collezione perché ha viaggiato cinque volte. Papa Benedetto lo indossò in Guanajuato e disse che si sentiva messicano. Quindi adesso era il Suo turno. Inoltre, questo sombrero è venuto da Cuba. Una famiglia messicana se lo era portato a Cuba, ma non riuscì a consegnarlo a Lei e me lo lasciò. Io promisi, in caso Lei avesse mantenuto la promessa di andare in Messico, di darglielo. Quello che non immaginavo è che il sombrero tornasse a Cuba. Questa è stata la sorpresa! Grazie e buon viaggio!

 

Papa Francesco

 

La ringrazio. Grazie Valentina, a Lei, e a tutti i messicani, e a tutti i giornalisti. Molte grazie!

 

 



Papa-Kirill: padre Destivelle, esiste tradizione di dialogo

Padre Destivelle - RV

Padre Destivelle - RV

12/02/2016 

Il padre domenicano Hyacinthe Destivelle, responsabile della sezione orientale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, sarà presente all’Avana per lo storico incontro tra Papa Francesco e quello che il Pontefice stesso, domenica scorsa all’Angelus, ha definito il “caro fratello Kirill”, il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia. A Philippa Hitchen, padre Destivelle ha raccontato come la Chiesa ortodossa russa abbia una ricca storia di ricerca della riconciliazione tra le Chiese cristiane:

R. – The Moscow Patriarchate is an important Church, because almost …
Il Patriarcato di Mosca è una Chiesa importante, in quanto quasi due terzi degli ortodossi sono membri del Patriarcato di Mosca. Esso comprende non soltanto la Chiesa che è in Russia, ma è – si potrebbe dire – la comunione delle Chiese locali in diversi Paesi. Secondo i dati forniti dal Patriarcato di Mosca, sono 14 i Paesi raggruppati nel suo territorio canonico. La maggior parte di questi sono Paesi dell’ex Unione Sovietica. Ovviamente è una Chiesa importante. Inoltre, nella sua storia, c’è sempre stata l’idea che la Chiesa russa si trovasse un po’ in mezzo tra Est e Ovest. L’idea è anche che essa abbia una vocazione ecumenica: infatti, è stata un’idea di Soloviëv, il grande filosofo russo, che era convinto della vocazione ecumenica dell’ortodossia russa tra Est e Ovest.

D. - Quasi come un ponte…

R. – Yes, a bridge...
Sì, un ponte. E in questa tradizione c’è stato un dialogo molto fruttuoso, alla fine del XIX secolo, tra la Chiesa ortodossa russa e l’antica Chiesa cattolica. Un altro esempio è il Concilio di Mosca del 1917: è stato il primo Concilio ortodosso che ha creato una Commissione per il dialogo inter-cristiano. Ed è stato in anticipo sui tempi: è stata la prima volta nella storia. Quindi, in tal senso, esiste una tradizione al dialogo.






 

Incontro Papa Kirill: impulso al dialogo teologico

Il Patriarca russo-ortodosso Kirill - AP

Il Patriarca russo-ortodosso Kirill - AP

12/02/2016

Importante per parlare al mondo

"E' un fatto storico non solo per il nostro mondo cristiano. L'incontro fra due grandi leader della nostra religione è una testimonianza importante anche per tutta l'umanità. Non possiamo presentarci al mondo e parlare di pace e riconciliazione se non ci incontriamo tra di noi". S.E. Mons. Ioannis Spiteris, OFMCap, Arcivescovo di Corfù, Vicario apostolico di Salonicco e membro della Commissione mista teologica per il dialogo fra cattolici e ortodossi, commenta così l'incontro fra Papa Francesco e il Patriarca Kirill di Mosca, in programma venerdì 12 febbraio all'Avana.

"E' anche un fatto importante per lo stesso mondo ortodosso. Dimostra che dopo aver rafforzato i rapporti con il Patriarcato di Costantinopoli, la Chiesa di Roma può aprirsi ora al mondo slavo. Pur essendoci qualche rivalità fra Istanbul e Mosca sappiamo che anche il Patriarca Bartolomeo è felice di questa prima volta. Ciò dipende anche dallo stile di Papa Francesco che non dà adito a essere interpretato in modo sbagliato. E ciò è molto positivo".

Nuova spinta al dialogo teologico

"A settembre ci sarà la nuova plenaria della Commissione mista di dialogo tra cattolici e ortodossi", spiega mons. Spiteris. "Dovremo approvare un testo che con molta fatica abbiamo cercato di redigere insieme, sul tema della sinodalità e del primato. Non è stato facile: abbiamo compiuto già tre tentativi andati a vuoto. Ma credo che questa volta, anche grazie a incontri come questo, sarà quella buona. Lo Spirito Santo, infatti, lavora nella Chiesa, anche quando noi non ce ne accorgiamo".

Voci unite contro le persecuzioni

"Mosca è molto sensibile al dramma delle persecuzione dei cristiani. Ma il Patriarca Kirill sa anche che la voce di Roma è molto più potente e ha capito che ha bisogno del Papa", aggiunge mons. Spiteris. "Se, dunque, due grandi capi del cristianesimo uniscono le loro voci per gridare al mondo di fare qualcosa per fermare questo martirio, sicuramente l'appello sarà più incisivo". "Il Patriarcato di Mosca ha sottolineato che all'Avana non si parlerà di teologia, ma di collaborazione pratiche. Ma credo che questo tipo di ecumenismo sia utile, anzi necessario, per aiutare anche il dialogo teologico".

Effetti positivi sul Sinodo pan-ortodosso

"Quest'anno ci sarà anche il grande sinodo pan-ortodosso", ricorda inoltre l'arcivescovo di Corfù. "E credo che l'evento dell'Avana aiuterà questa grande assise a fare dei passi in avanti in campo ecumenico. Se, infatti, una grande Chiesa ortodossa come quella di Mosca si è avvicinata alla Chiesa cattolica romana, anche le realtà ortodosse minori saranno spinte a farlo".

Un ecumenismo non solo di ‘facciata’

“Dopo le resistenze che ci sono state a lungo da Mosca – conclude infine mons. Spiteris – questo incontro mette davvero le ali al dialogo. Non dobbiamo aspettarci grandi effetti immediati, perché nel campo ecumenico le cose si fanno sempre a piccoli passi. Voglio sperare, soprattutto, che non sia solo l’evento di un ‘ecumenismo di facciata’, un ‘ecumenismo tra i capi’, ma che passi anche nelle coscienze dei fedeli. Mai come oggi, infatti, abbiamo sentito bisogno di unità come in questo tempo di divisioni, violenze e odio, in cui i cristiani sono chiamati più che mai a dare testimonianza di fraternità per potere poi predicare la pace al mondo”.

I pericoli del nazionalismo russo

La portata storica della decisione presa dal Patriarca Kirill è sottolineata anche dal novantaduenne padre Romano Scalfi, fondatore del Centro Studi ‘Russia Cristiana’,  realtà italiana impegnata nel promuovere il dialogo ecumenico con Mosca fin dagli anni cinquanta.  “Dobbiamo riconoscere che oggi la mentalità maggioritaria dei russi – spiega Scalfi – è dominata da un nazionalismo- imperialista che considera l’Occidente uno dei nemici da combattere. E include fra questi nemici anche la Chiesa cattolica”. “Non credo però che questa esaltazione della ‘Grande Russia’ si dimostrerà in futuro la corrente vincente, poiché tutto sommato è debole, priva di fondamento”.

Un muro che cade

“E’ vero – prosegue padre Scalfi – che è previsto che nell’incontro tra Francesco e Kirill non si affrontino temi teologici. Ma il solo fatto che il Papa e il Patriarca s’incontrino fa cadere un muro. Un metropolita del passato aveva detto che ‘i muri che innalziamo tra cattolici e ortodossi non arrivano in cielo’. E oggi a Mosca c’è un gruppo considerevole di persone che la pensa così e vuole ripartire dall’ecumenismo del cuore, cioè da ciò che ci unisce, come l’Eucarestia e tante altre cose, e non sottolineare le cose che ci distinguono”.

La linea dei rapporti cordiali prevarrà

“E’ difficile capire se la decisione di Kirill corrisponde a degli interessi politici”, prosegue il fondatore di ‘Russia Cristiana’. “Ma c’è da tenere presente che Chapnin, direttore del giornale del Patriarcato di Mosca dal 2009 allo scorso dicembre, aveva recentemente ricordato come esistano tante esperienze di vera fraternità fra cattolici e ortodossi. E’ questa è una realtà vera che l’incontro del Papa con Kirill non può che confermare”. “Non m’illudo – conclude Scalfi – che l’incontro abbia dei risultati immediati. Ma sono convinto che a lungo andare prevarranno rapporti cordiali fra cattolici e russi-ortodossi, spazzando via le illusioni nazionaliste-imperialiste che oggi affascinano la maggioranza”.

Un incontro apprezzato da tutti gli ortodossi

 “A salutare con gioia ed entusiasmo questo incontro è tutta l’ortodossia”, spiega poi padre Athenagoras Fasiolo, archimandrita del trono ecumenico, delegato del Metropolita ortodosso d'Italia. “Mancava praticamente oramai solo la grande Chiesa russa all’incontro con il primate della Chiesa cattolica”, commenta. “Papa Francesco ha già un rapporto più che amichevole con il Patriarca Bartolomeo e con altri primati delle Chiese ortodosse. I suoi predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno incontrato anche gli altri Primati delle Chiese autocefale ortodosse. Siamo quindi lieti che ci sia questo incontro, soprattutto tenendo conto degli avvenimenti che accadono nel mondo e soprattutto in Medio Oriente”.

Uniatismo non si risolve con i veti

Il principale ostacolo al dialogo fra cattolici e russi-ortodossi resta la questione dell’uniatismo che il Patriarcato di Mosca considera ancora una ‘ferita’ aperta. “Non è un problema solo della Chiesa ortodossa russa”, spiega padre Fasiolo. “Mosca è solo una delle Chiese ortodosse autocefale. Nella sinfonia delle Chiese ortodosse non vale il numero, la quantità, ma vale la rettitudine della fede. Certamente, il problema degli ”uniati” si sente forte in Ucraina perché è giurisdizione del Patriarcato di Mosca. Ma è un problema per tutta l’ortodossia e si avverte, per esempio, in questi giorni in Grecia, ad Atene, con il nuovo arcivescovo dei greco-cattolici di rito orientale”. “E’ dunque un problema generale”, spiega padre Fasiolo. “Ma non si risolve certo ponendo dei veti ma con il dialogo schietto che ha caratterizzato nel 1993 l’incontro di Balamand.  Ci sono dei problemi che sono risorti negli ultimi anni? Bene, dobbiamo avere il coraggio, come Chiese, di affrontarli, ma in modo fraterno e senza inutili chiusure”.

Spinta ecumenica in vista del Sinodo

Padre Fasiolo legge l’incontro dell’Avana anche in prospettiva del Sinodo pan-ortodosso previsto a giugno a Creta. “Probabilmente è un modo con cui Mosca evita di ritrovarsi isolata dal dialogo con la Chiesa di Roma”. “Sento dire che Francesco e Kirill non toccheranno temi teologici”, aggiunge il delegato del Metropolita ortodosso d'Italia. “Ma è un incontro fra vertici, non è un incontro teologico, perché questo non può esserci fra Roma e una sola Chiesa ortodossa. Ma è sicuramente importante anche in vista del grande Santo Concilio della Chiesa ortodossa perché darà maggiore visibilità alla volontà di camminare tutti insieme, verso l’incontro con il Signore, come una Chiesa unita”.


(Fabio Colagrande)









EDITORIALE
Kirill
 

Il luogo, il patrocinio di Putin, le manovre in vista del Concilio pan-ortodosso, l'assenza di riti religiosi: sono questi alcuni elementi da tener presenti nel valutare l'incontro a Cuba. Senza dimenticare l'ammonimento di Ratzinger a proposito di ecumenismo condizionato da categorie politiche.

di Mario Proietti

12-02-2016

Francesco e Kirill

L’incontro che avverrà stasera all’aeroporto de L’Avana tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill è certamente un evento eccezionale, la prima volta nella storia che c’è un faccia a faccia tra un Papa e un patriarca di Mosca. Ma l’incontro in campo "neutro" – voluto espressamente da Kirill fuori dell’Europa – avrà una valenza più politica che spirituale, anche se i protagonisti sono due sommi ecclesiastici. 

Il primo elemento è il luogo dell’incontro, Cuba. Raul Castro è stato ben contento di facilitare l’evento tra il Papa, che nella recente visita al Paese ha fatto tutto il possibile per dimostrare la propria disponibilità nei confronti del regime, e il patriarca ex sovietico.

Qui si lega il secondo elemento, il patrocinio del presidente russo Vladimir Putin, che non ha soltanto autorizzato questo incontro, l’ha voluto nella prospettiva degli interessi geopolitici della Russia. Del resto il patriarca Kirill è molto legato al presidente e non da oggi. Egli ha infatti un curriculum che lo vede dagli anni '70 del secolo scorso uomo fidato del KGB (nome in codice Mikhailov), cosa che gli consentiva di andare in giro al di fuori dell'impero sovietico, in missione ecumenica - come si credeva allora dai cattolici ecumenici –. Un legame con il potere che arriva fino all’era Putin, che peraltro viene lui stesso dal KGB, anche se in tempi recenti si è convertito all’Ortodossia.

E ancora: questo evento va anche visto nella prospettiva del prossimo Concilio pan-ortodosso dove il rapporto con il Papa diventa un elemento di confronto tra Mosca e Costantinopoli (il patriarca Bartolomeo già può vantare un rapporto consolidato con papa Francesco).

Si deve poi notare che l’incontro avrà un aspetto molto personale, visto che non è prevista una preghiera cosiddetta ecumenica né la presenza in un luogo sacro. Né a questo supplirà la dichiarazione di rito, la firma congiunta di un documento che a quanto è dato sapere si risolverà in un impegno etico su temi sociali.

Senza sottovalutare l’importanza comunque dell’incontro e dell’atteggiamento di papa Francesco, che ha rinunciato a qualsiasi pre-condizione pur di fare in modo che accadesse, non si può tacere il rischio - presente soprattutto in tanti commentatori cattolici - di un ecumenismo che occulta le appartenenze, pensando così di facilitare l’unità. Come disse l’allora cardinale Joseph Ratzinger già negli anni ’80 del XX secolo, questo approccio – caro a tanti cattolici professionisti dell’ecumenismo – crea invece maggiori divisioni. 

Descrivendo le delusioni in questo campo succedutesi agli entusiasmi post-conciliari, Ratzinger se la prende con quanti «hanno concepito l'ecumenismo come un compito diplomatico secondo categorie politiche. Come da buoni intermediari ci si aspetta che appunto si addivenga dopo un certo tempo a un accordo per tutti accettabile, così si è potuto credere di attendersi tutto ciò dall'autorità ecclesiastica in questioni di ecumenismo». Riflessioni contenute nella raccolta di saggi intitolata Chiesa, ecumenismo e politica, un volume che resta attuale e anzi è consigliato per chi vuole capire la posta in gioco nell’ecumenismo. 


























“Anche se le nostre difficoltà non si sono ancora appianate c’è la possibilità di incontrarci e questo è bello", questo il saluto di Kirill al Papa. In precedenza, a poche ore dall’appuntamento, Francesco aveva affidato a twitter le sue speranze, parlando di “giorno di grazia” e definendo “dono di Dio” l’incontro con il Patriarca. Francesco e Kirill segnano con questo loro dialogo diretto, il primo dallo scisma del 1054, un tappa storica nelle relazioni tra le due Chiese, così come era già stato sottolineato in occasione dell’annuncio di questo evento in un comunicato congiunto in cui si leggeva l’auspicio di poterne poi vedere i buoni frutti.

Alla fine del colloquio all’aeroporto José Marti, ancora in corso, Francesco e Kirill firmeranno il testo della Dichiarazione congiunta in italiano e russo che verosimilmente riprenderà i temi particolarmente cari al dialogo cattolico-ortodosso in generale, questa l’opinione del padre domenicano Hyacinthe Destivelle, responsabile della sezione orientale del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani:

Non è una Dichiarazione che si incentra su un aspetto teologico in particolare, non è una Dichiarazione che apre a prospettive teologiche particolari, perché il dialogo teologico si svolge nell’ambito della Commissione internazionale del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Nella Dichiarazione si parla degli ambiti di collaborazione e di dialogo che non hanno carattere teologico, ma che pure sono molto improntati per il riavvicinamento delle Chiese: la questione della persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, la questione della famiglia, la questione della secolarizzazione, del ruolo che i cristiani possono ricoprire nelle società secolarizzate; la questione dei giovani, della vita in termini generali… tutti questi aspetti sono particolarmente importanti, soprattutto nel dialogo con la Chiesa ortodossa russa. Il concetto di fondo della Dichiarazione è di affermare che non siamo “concorrenti”, ma “fratelli”, in particolare fratelli dei nostri fratelli ortodossi con i quali condividiamo la medesima successione apostolica, la stessa concezione di Chiesa, la stessa concezione dei Sacramenti: noi riconosciamo tutti i Sacramenti ortodossi e gli ortodossi riconoscono a loro volta tutti i Sacramenti cattolici. Per questo, abbiamo grande interesse a lavorare insieme per testimoniare insieme il Cristo. Ecco, alla fine, lo scopo di questo incontro tra il Patriarca e Papa Francesco: testimoniare insieme il cristianesimo nel mondo di oggi”.

Alla fine dell’incontro e dopo lo scambio dei testi della dichiarazione, il Papa e il Patriarca rivolgeranno due discorsi pubblici per poi congedarsi in privato.

TESTO DICHIARAZIONE CONGIUNTA





[Modificato da Caterina63 13/02/2016 10:56]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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13/02/2016 19:20
 
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

INCONTRO CON LE AUTORITÀ, LA SOCIETÀ CIVILE E IL CORPO DIPLOMATICO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Palazzo Nazionale, Città del Messico 
Sabato, 13 febbraio 2016

[Multimedia]






 

Signor Presidente,
Membri del Governo della Repubblica,
Distinte Autorità,
Rappresentanti della società civile,
Fratelli nell’Episcopato,
Signori e Signore!

La ringrazio, Signor Presidente, per le parole di benvenuto che mi ha indirizzato. È motivo di gioia poter calcare questa terra messicana che occupa un posto speciale nel cuore delle Americhe. Oggi vengo come missionario di misericordia e di pace, ma anche come un figlio che vuole rendere omaggio a sua madre, la Vergine di Guadalupe e lasciarsi guardare da lei.

Cercando di essere un buon figlio, seguendo le orme della madre, desidero, a mia volta, rendere omaggio a questo popolo e a questa terra tanto ricca di cultura, di storia e di diversità. Nella sua persona Signor Presidente, desidero salutare e abbracciare il popolo messicano nelle sue molteplici espressioni e nelle più diverse situazioni in cui esso vive. Grazie per ricevermi oggi nella vostra terra.

Il Messico è un grande Paese. Benedetto con abbondanti ricchezze naturali e una ricchissima biodiversità che si estende lungo tutto il suo vasto territorio. La sua privilegiata ubicazione geografica lo rende un crocevia delle Americhe; e le sue culture indigene, meticce e creole, gli conferiscono un’identità propria che mette a sua disposizione una ricchezza culturale non sempre facile da trovare e specialmente da valorizzare. La sapienza ancestrale insita nella sua multiculturalità è, di gran lunga, una delle sue più grandi risorse umane. Una identità che ha imparato a prender forma nella diversità e, senza alcun dubbio, costituisce un ricco patrimonio da valorizzare, stimolare e curare.

Penso e oso dire che la principale ricchezza del Messico oggi ha un volto giovane; sì, sono i suoi giovani. Un po’ più della metà della popolazione è composta da giovani. Questo permette di pensare e progettare un futuro, un domani. Questo dà speranza e apertura al futuro. Un popolo ricco di gioventù è un popolo capace di rinnovarsi, di trasformarsi; è un invito a sollevare lo sguardo con entusiasmo verso il futuro e, al tempo stesso, ci sfida positivamente nel presente. Questa realtà ci porta inevitabilmente a riflettere sulla responsabilità di ciascuno nella costruzione del Messico che desideriamo, del Messico che intendiamo trasmettere alle generazioni future. Ci porta parimenti alla consapevolezza che un futuro ricco di speranza si forgia in un presente fatto di uomini e donne giusti, onesti, capaci di impegnarsi per il bene comune, quel “bene comune” che in questo secolo ventunesimo non è molto apprezzato. L’esperienza ci dimostra che ogni volta che cerchiamo la via del privilegio o dei benefici per pochi a scapito del bene di tutti, presto o tardi la vita sociale si trasforma in un terreno fertile per la corruzione, il narcotraffico, l’esclusione delle culture diverse, la violenza e persino per il traffico di persone, il sequestro e la morte, che causano sofferenza e che frenano lo sviluppo.

Il popolo messicano ha rafforzato la sua esperienza con un’identità che è stata forgiata in momenti ardui e difficili della sua storia da grandi testimonianze di cittadini che hanno compreso che, per poter superare le situazioni nate dalla chiusura dell’individualismo, era necessario l’accordo delle istituzioni politiche, sociali e del mercato e di tutti gli uomini e le donne impegnati nella ricerca del bene comune e nella promozione della dignità della persona.

Una cultura ancestrale e un capitale umano aperto alla speranza, come il vostro, deve essere una fonte di stimolo per trovare nuove forme di dialogo, di trattativa, di ponti in grado di guidarci lungo il percorso di un impegno di solidarietà. Un impegno nel quale tutti, incominciando da quelli che si definiscono cristiani, ci dedichiamo alla costruzione di “una politica autenticamente umana” (Gaudium et spes, 73) e di una società nella quale nessuno si senta vittima della cultura dello scarto.

Ai responsabili della vita sociale, culturale e politica, compete in modo speciale lavorare per offrire a tutti i cittadini l’opportunità di essere degni protagonisti del loro destino, nella famiglia e in tutti gli ambiti nei quali si sviluppa la socialità umana, aiutandoli a trovare un effettivo accesso ai beni materiali e spirituali indispensabili: abitazione adeguata, lavoro degno, alimentazione, giustizia reale, una sicurezza effettiva, un ambiente sano e pacifico.

Questo non è soltanto una questione di leggi che richiedono aggiornamenti e migliorie – sempre necessarie –, ma di una urgente formazione della responsabilità personale di ciascuno nel pieno rispetto dell’altro come corresponsabile nella causa comune di promuovere lo sviluppo della Nazione. È un compito che coinvolge tutto il popolo messicano nelle sue varie istanze, sia pubbliche sia private, collettive come individuali.

Le assicuro, Signor Presidente, che, in questo sforzo, il Governo messicano può contare sulla collaborazione della Chiesa Cattolica, che ha accompagnato la vita di questa Nazione e che rinnova il suo impegno e la sua volontà di porsi al servizio della nobile causa dell’edificazione della civiltà dell’amore.

Mi dispongo a visitare questo grande e bel Paese come missionario e pellegrino, che desidera rinnovare con voi l’esperienza della misericordia quale nuovo orizzonte di possibilità che è inevitabilmente portatore di giustizia e di pace.

E mi pongo sotto lo sguardo di Maria, la Vergine di Guadalupe, affinché, per sua intercessione, il Padre misericordioso ci conceda che queste giornate e il futuro di questa terra siano una opportunità di incontro, di comunione e di pace.

Molte grazie.

 


 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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13/02/2016 22:12
 
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

INCONTRO CON I VESCOVI DEL MESSICO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cattedrale, Città del Messico 
Sabato, 13 febbraio 2016

[Multimedia]






 

Cari fratelli,

sono contento di potervi incontrare il giorno dopo il mio arrivo in questo Paese, che, seguendo i passi dei miei Predecessori, anch’io sono venuto a visitare.

Non potevo non venire! Potrebbe il Successore di Pietro, chiamato dal lontano sud latinoamericano, fare a meno di posare lo sguardo sulla Vergine “Morenita”?

Vi ringrazio per avermi accolto in questa Cattedrale, “casita”, “piccola casa” diventata grande ma sempre “sacra”, che la Vergine di Guadalupe domandò, e per le gentili parole di benvenuto che mi avete rivolto.

Sapendo che qui si trova il cuore segreto di ogni messicano, entro con passo delicato, come bisogna entrare nella casa e nell’anima di questo popolo, e vi sono profondamente grato di aprirmi la porta. So che guardando gli occhi della Vergine raggiungo lo sguardo della vostra gente che, in Lei, ha imparato a manifestarsi. So che nessun’altra voce può parlare tanto profondamente del cuore messicano come può parlarmene la Vergine; Ella custodisce i suoi desideri più alti, le sue più recondite speranze; Ella raccoglie le sue gioie e le sue lacrime; Ella comprende i suoi numerosi idiomi e risponde loro con tenerezza di Madre perché sono i suoi figli.

Sono contento di stare con voi, qui nelle vicinanze del “Monte del Tepeyac”, come agli albori dell’evangelizzazione di questo Continente e vi chiedo per favore di permettermi che tutto quanto vi dirò possa dirlo partendo dalla Guadalupana. Come vorrei che fosse Lei stessa a recarvi, fino al profondo delle vostre anime di Pastori, e, per mezzo di voi, a ciascuna delle vostre Chiese particolari presenti in questo vasto Messico, tutto ciò che fluisce intensamente dal cuore del Papa.

Come fece san Juan Diego e fecero le successive generazioni dei figli della Guadalupana, anche il Papa da tempo nutriva il desiderio di vederla. Più ancora, vorrei io stesso essere raggiunto dal suo sguardo materno. Ho riflettuto molto sul mistero di questo sguardo e vi prego, accogliete ciò che sgorga dal mio cuore di Pastore in questo momento.

Uno sguardo di tenerezza

Anzitutto, la Vergine Morenita ci insegna che l’unica forza capace di conquistare il cuore degli uomini è la tenerezza di Dio. Ciò che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie dalle catene non è la forza degli strumenti o la durezza della legge, bensì la debolezza onnipotente dell’amore divino, che è la forza irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua misericordia.

Un inquieto e illustre scrittore di questa terra, disse che a Guadalupe non si chiede l’abbondanza dei raccolti o la fertilità della terra, bensì si cerca un grembo in cui gli uomini, sempre orfani e diseredati, vanno cercando una protezione, una casa.

A distanza di secoli dall’evento fondante di questo Paese e dell’evangelizzazione del Continente, è stata forse diluita, è stata forse dimenticata la necessità di un grembo a cui anela il cuore del popolo che vi è stato affidato?

Conosco la lunga e dolorosa storia che avete attraversato, non senza versare tanto sangue, non senza impietose e strazianti convulsioni, non senza violenza e incomprensioni. A ragione il mio venerato e santo Predecessore, che in Messico era come a casa sua, ha voluto ricordare che «come fiumi talvolta occulti e sempre copiosi, da tre realtà che a volte si incontrano e altre rivelano le loro differenze complementari, senza mai confondersi del tutto: l’antica e ricca sensibilità dei popoli indigeni che amarono Juan de Zumárraga e Vasco de Quiroga, che molti di questi popoli continuano a chiamare padri, il cristianesimo radicato nell’anima dei messicani e la moderna razionalità, di taglio europeo, che tanto ha voluto esaltare l’indipendenza e la libertà» (Giovanni Paolo II,Discorso nella cerimonia di benvenuto in Messico, 22 gennaio 1999).

E in questa storia, il grembo materno che continuamente ha generato il Messico, benché a volte sembrasse una rete che raccoglieva 153 pesci (cfr Gv 21,11), non si dimostrò mai infecondo, e le minacciose fratture si sono sempre ricomposte.

Perciò, vi invito a partire nuovamente da questa necessità di un grembo che promana dall’anima del vostro popolo. Il grembo della fede cristiana è capace di riconciliare il passato spesso segnato da solitudine, isolamento ed emarginazione, con il futuro continuamente relegato ad un domani che sfugge. Solo in quel grembo si può, senza rinunciare alla propria identità, «scoprire la profonda verità della nuova umanità, in cui tutti sono chiamati ad essere figli di Dio» (Giovanni Paolo II, Omelia per la canonizzazione di san Juan Diego, 31 luglio 2002).

Chinatevi quindi, fratelli, con delicatezza e rispetto, sull’anima profonda della vostra gente, scendete con attenzione e decifrate il suo misterioso volto. Il presente, spesso dissolto in dispersione e festa, non è forse anche propedeutico a Dio che è l’unico e pieno presente? La familiarità con il dolore e la morte non sono forme di coraggio e vie verso la speranza? La percezione che il mondo sia sempre e solamente da redimere non è antidoto all’autosufficienza prepotente di quanti credono di poter prescindere da Dio?

Naturalmente, per tutto questo è necessario uno sguardo capace di riflettere la tenerezza di Dio. Siate pertanto Vescovi di sguardo limpido, di anima trasparente, di volto luminoso. Non abbiate paura della trasparenza. La Chiesa non ha bisogno dell’oscurità per lavorare. Vigilate affinché i vostri sguardi non si coprano con le penombre della nebbia della mondanità; non lasciatevi corrompere dal volgare materialismo né dalle illusioni seduttrici degli accordi sottobanco; non riponete la vostra fiducia nei “carri e cavalli” dei faraoni attuali, perché la nostra forza è la “colonna di fuoco” che rompe dividendole in due le acque del mare, senza fare grande rumore (cfr Es 14,24-25).

Il mondo nel quale il Signore ci chiama a svolgere la nostra missione è diventato molto complesso. E anche la prepotente idea del “cogito”, che non negava che vi fosse almeno una roccia sopra la spiaggia dell’essere, oggi è dominata da una concezione della vita considerata da molti più che mai vacillante, mutevole e anomica, perché manca di un sostrato solido. Le frontiere, così intensamente invocate e sostenute, sono diventate permeabili alla novità di un mondo in cui la forza di alcuni non può più sopravvivere senza la vulnerabilità di altri. L’irreversibile ibridazione della tecnologia rende vicino ciò che è lontano ma, purtroppo, rende distante ciò che dovrebbe essere vicino.

E precisamente in questo mondo, Dio vi chiede di avere uno sguardo che sappia intercettare la domanda che grida nel cuore della vostra gente, l’unica che possiede nel proprio calendario una “festa del grido”. A quel grido bisogna rispondere che Dio esiste ed è vicino mediante Gesù. Che solo Dio è la realtà sulla quale si può costruire, perché «Dio è la realtà fondante, non un Dio solo pensato o ipotetico, ma il Dio dal volto umano» (Benedetto XVI, Discorso inaugurale della V Conferenza generale del CELAM, 13 magio 2007).

Nei vostri sguardi, il Popolo messicano ha il diritto di trovare le tracce di quelli che “hanno visto il Signore” (cfr Gv 20,25), di quelli che sono stati con Dio. Questo è l’essenziale. Non perdete, dunque, tempo ed energie nelle cose secondarie, nelle chiacchiere e negli intrighi, nei vani progetti di carriera, nei vuoti piani di egemonia, negli sterili club di interessi o di consorterie. Non lasciatevi fermare dalle mormorazioni e dalle maldicenze. Introducete i vostri sacerdoti nella comprensione del ministero sacro. A noi ministri di Dio basta la grazia di “bere il calice del Signore”, il dono di custodire la parte della sua eredità che ci è affidata, benché siamo amministratori inesperti. Lasciamo al Padre di assegnarci il posto che ha preparato per noi (cfr Mt 20,20-28). Possiamo forse essere veramente occupati in altre cose se non in quelle del Padre? Al di fuori delle “cose del Padre” (cfr Lc 2,48-49) perdiamo la nostra identità e, colpevolmente, rendiamo vana la sua grazia.

Se il nostro sguardo non testimonia di aver visto Gesù, allora le parole che ricordiamo di Lui risultano soltanto delle figure retoriche vuote. Forse esprimono la nostalgia di quelli che non possono dimenticare il Signore, ma comunque sono solo il balbettare di orfani accanto al sepolcro. Parole alla fine incapaci di impedire che il mondo resti abbandonato e ridotto alla propria potenza disperata.

Penso alla necessità di offrire un grembo materno ai giovani. Che i vostri sguardi siano capaci di incrociarsi con i loro sguardi, di amarli e di cogliere ciò che essi cercano con quella forza con cui molti come loro hanno lasciato barche e reti sull’altra riva del mare (cfr Mc 1,17-18), hanno abbandonato banchi delle imposte pur di seguire il Signore della vera ricchezza (cfr Mt 9,9).

Mi preoccupano tanti che, sedotti dalla vuota potenza del mondo, esaltano le chimere e si rivestono dei loro macabri simboli per commercializzare la morte in cambio di monete che alla fine tarme e ruggine consumano e per cui i ladri scassinano e rubano (cfrMt 6,20). Vi prego di non sottovalutare la sfida etica e anti-civica che il narcotraffico rappresenta per la gioventù e per l’intera società messicana, compresa la Chiesa.

Le proporzioni del fenomeno, la complessità delle sue cause, l’immensità della sua estensione come metastasi che divora, la gravità della violenza che disgrega e delle sue sconvolte connessioni, non permettono a noi, Pastori della Chiesa, di rifugiarci in condanne generiche – forme di nominalismo – bensì esigono un coraggio profetico e un serio e qualificato progetto pastorale per contribuire, gradualmente, a tessere quella delicata rete umana, senza la quale tutti saremmo fin dall’inizio distrutti da tale insidiosa minaccia.
Solo cominciando dalle famiglie; avvicinandoci e abbracciando la periferia umana ed esistenziale dei territori desolati delle nostre città; coinvolgendo le comunità parrocchiali, le scuole, le istituzioni comunitarie, la comunità politica, le strutture di sicurezza; solo così si potrà liberare totalmente dalle acque in cui purtroppo annegano tante vite, sia la vita di chi muore come vittima, sia quella di chi davanti a Dio avrà sempre le mani macchiate di sangue, per quanto abbia il portafoglio pieno di denaro sporco e la coscienza anestetizzata.

Con lo sguardo rivolto a Maria di Guadalupe, dirò una seconda cosa:

Uno sguardo capace di tessere

Nel manto dell’anima messicana Dio ha tessuto, con il filo delle impronte meticce della sua gente, il volto della sua manifestazione nella “Morenita”. Dio non ha bisogno di colori spenti per disegnare il suo volto. I disegni di Dio non sono condizionati dai colori e dai fili, bensì sono determinati dalla irreversibilità del suo amore che vuole tenacemente imprimersi in noi.

Siate, pertanto, Vescovi capaci di imitare questa libertà di Dio scegliendo ciò che è umile per manifestare la maestà del suo volto, e di imitare questa pazienza divina nel tessere, col filo sottile dell’umanità che incontrate, quell’uomo nuovo che il vostro paese attende. Non lasciatevi prendere dalla vana ricerca di cambiare popolo, come se l’amore di Dio non avesse abbastanza forza per cambiarlo.

Riscoprite poi la saggia e umile costanza con cui i Padri della fede di questa Patria hanno saputo introdurre le generazioni successive nella semantica del mistero divino. Imparando prima e poi insegnando la grammatica necessaria per dialogare con quel Dio, nascosto nei secoli della loro ricerca e fattosi vicino nella persona del suo Figlio Gesù, che oggi tanti riconoscono nell’immagine insanguinata e umiliata, come figura del proprio destino. Imitate la sua condiscendenza e la sua capacità di abbassarsi. Non comprenderemo mai abbastanza il fatto che con i fili meticci della nostra gente Dio ha intessuto il volto col quale si è fatto conoscere! Mai saremo abbastanza grati a questo suo chinarsi, a questa “synkatábasis”.

Uno sguardo di singolare delicatezza vi chiedo per i popoli indigeni, per loro e le loro affascinanti culture, non di rado massacrate. Il Messico ha bisogno delle sue radici amerinde per non rimanere in un enigma irrisolto. Gli indigeni del Messico aspettano ancora che venga loro riconosciuta effettivamente la ricchezza del loro contributo e la fecondità della loro presenza per ereditare quella identità che vi fa diventare una Nazione unica e non solamente una tra le altre.

Si è parlato molte volte del presunto destino incompiuto di questa Nazione, del “labirinto della solitudine” nel quale sarebbe imprigionata, della geografia come destino che la intrappola. Per alcuni, tutto questo sarebbe ostacolo per il disegno di un volto unitario, di una identità adulta, di una posizione singolare nel concerto delle nazioni e di una missione condivisa.

Per altri, anche la Chiesa in Messico sarebbe condannata a scegliere tra il soffrire l’inferiorità in cui fu relegata in alcuni periodi della sua storia, come quando la sua voce fu fatta tacere e si cercò di amputare la sua presenza, o l’avventurarsi nei fondamentalismi par recuperare certezze provvisorie – come quel “cogito” famoso – dimenticando di avere inscritta nel cuore la sete di Assoluto e di essere chiamata in Cristo a riunire tutti e non solo una parte (cfr Lumen gentium, 1).

Non stancatevi, invece, di ricordare al vostro Popolo quanto sono potenti le radici antiche che hanno permesso la viva sintesi cristiana di comunione umana, culturale e spirituale che si è forgiata qui. Ricordate che le ali del vostro Popolo si sono spiegate già più volte al di sopra di non poche vicissitudini. Custodite la memoria del lungo cammino fin qui percorso – siate “deuteronomici” – e sappiate suscitare la speranza di nuove mete, perché il domani sarà una terra “ricca di frutti” anche se ci pone sfide non indifferenti (cfr Nm 13,27-28).

Che i vostri sguardi, riposati sempre e solamente in Cristo, siano capaci di contribuire all’unità del vostro Popolo; di favorire la riconciliazione delle sue differenze e l’integrazione delle sue diversità; di promuovere la soluzione dei suoi problemi endogeni; di ricordare la misura alta che il Messico può raggiungere se impara ad appartenere a sé stesso prima che ad altri; di aiutare a trovare soluzioni condivise e sostenibili alle sue miserie; di motivare l’intera Nazione a non accontentarsi di meno di quanto si attende dal modo messicano di abitare il mondo.

Una terza riflessione:

Uno sguardo attento e vicino, non addormentato

Vi prego di non cadere nella paralisi di dare vecchie risposte alle nuove domande. Il vostro passato è un pozzo di ricchezze da scavare, che può ispirare il presente e illuminare il futuro. Guai a voi se dormite sugli allori! Occorre non disperdere l’eredità ricevuta custodendola con un lavoro costante. Siete seduti sulle spalle di giganti: vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e laici fedeli “sino alla fine”, che hanno dato la vita affinché la Chiesa potesse compiere la propria missione. Dall’alto di tale podio siete chiamati a gettare uno sguardo ampio sul campo del Signore per programmare la semina e aspettare il raccolto.

Vi invito a stancarvi, a stancarvi senza paura nel compito di evangelizzare e di approfondire la fede, mediante una catechesi mistagogica che sappia far tesoro della religiosità popolare della vostra gente. Il nostro tempo richiede attenzione pastorale alle persone e ai gruppi che sperano di poter andare incontro al Cristo vivo. Solamente una coraggiosa conversione pastorale – e sottolineo conversione pastorale – delle nostre comunità può cercare, generare e nutrire i discepoli odierni di Gesù (cfr Documento di Aparecida, 226, 360, 370).

Pertanto, è necessario per i nostri Pastori superare la tentazione della distanza – e lascio ad ognuno di voi di fare la lista delle distanze che possono esistere in questa Conferenza Episcopale; non le conosco, ma superare la tentazione della distanza – e del clericalismo, della freddezza e dell’indifferenza, del comportamento trionfale e dell’autoreferenzialità. Guadalupe ci insegna che Dio è familiare, vicino nel suo volto, che la prossimità e la condiscendenza – questo abbassarsi e avvicinarsi – possono fare più della forza, di qualsiasi tipo di forza.

Come insegna la bella tradizione guadalupana, la “Morenita” custodisce gli sguardi di coloro che la contemplano, riflette il volto di coloro che la incontrano. Occorre imparare che c’è qualcosa di irripetibile in ciascuno di coloro che ci guardano alla ricerca di Dio. Tocca a noi non renderci impermeabili a tali sguardi. Custodire in noi ognuno di loro, conservandoli nel cuore, proteggendoli.

Solo una Chiesa capace di proteggere il volto degli uomini che vanno a bussare alla sua porta è capace di parlare loro di Dio. Se non decifriamo le loro sofferenze, se non ci accorgiamo dei loro bisogni, nulla potremo offrire. La ricchezza che abbiamo scorre solamente quando incontriamo la pochezza di coloro che vanno elemosinando, e proprio tale incontro si realizza nel nostro cuore di Pastori.

E il primo volto che vi supplico di custodire nel vostro cuore è quello dei vostri sacerdoti. Non lasciateli esposti alla solitudine e all’abbandono, preda della mondanità che divora il cuore. Siate attenti e imparate a leggere i loro sguardi per gioire con loro quando si sentono felici di raccontare ciò che “hanno fatto e insegnato” (cfr Mc 6,30), e anche per non tirarsi indietro quando si sentono un po’ umiliati e non possono far altro che piangere perché “hanno rinnegato il Signore” (cfr Lc 22,61-62), e anche, perché no, per sostenerli, in comunione con Cristo, quando qualcuno, già abbattuto, uscirà con Giuda “nella notte” (cfr Gv 13,30). In queste situazioni, che non manchi mai la vostra paternità di Vescovi verso i vostri sacerdoti. Incoraggiate la comunione tra di loro; fate sì che possano perfezionare i loro doni; inseriteli nelle grandi cause perché il cuore dell’apostolo non è stato fatto per piccole cose.

Il bisogno di familiarità abita nel cuore di Dio. Nostra Signora di Guadalupe chiese solamente una “casetta sacra”. I nostri popoli latinoamericani capiscono bene il linguaggio diminutivo – una “casetta” sacra – e molto volentieri lo usano. Forse hanno bisogno del diminutivo perché altrimenti si sentirebbero perduti. Si sono adattati a sentirsi sminuiti e si sono abituati a vivere nella modestia.

La Chiesa, quando si raduna in una maestosa Cattedrale, non potrà fare a meno di comprendersi come una “piccola casa”, in cui i suoi figli possono sentirsi a proprio agio. Davanti a Dio si può rimanere solo se si è piccoli, se si è orfani, se si è mendicanti. Il protagonista della storia di salvezza è il mendicante.

“Casetta” familiare e al tempo stesso “sacra”, perché la prossimità si riempie della grandezza onnipotente. Siamo custodi di questo mistero! A volte abbiamo perso questo senso dell’umile misura divina e ci stanchiamo di offrire ai nostri la “casetta” in cui possano sentirsi in intimità con Dio. Può anche darsi che avendo trascurato un po’ il senso della sua grandezza si sia perso parte del timore reverenziale nei confronti di un tale amore. Dove abita Dio, l’uomo non può accedere senza essere ammesso, ed entra solamente “togliendosi i sandali” (cfr Es 3,5) per confessare la propria insufficienza.

E questo aver dimenticato di “togliersi i sandali” per entrare, non è probabilmente alla radice della perdita del senso della sacralità della vita umana, della persona, dei valori essenziali, della saggezza accumulata lungo i secoli, del rispetto per la natura? Senza recuperare, nella coscienza degli uomini e della società, queste radici profonde, anche al lavoro generoso in favore dei legittimi diritti umani mancherà la linfa vitale che può venire solo da una sorgente che l’umanità non potrà mai darsi da sé stessa.

E, sempre guardando la Madre, per concludere:

Uno sguardo d’insieme e di unità

Solo guardando la “Morenita”, il Messico ha di sé una visione completa. Pertanto vi invito a comprendere che la missione che la Chiesa oggi vi affida – e sempre vi ha affidato – richiede questo sguardo che abbracci la totalità. E questo non si può realizzare isolatamente, bensì solo in comunione.

La Guadalupana è cinta di una cintura che annuncia la sua fecondità. E’ la Vergine che porta in grembo il Figlio atteso dagli uomini. E’ la Madre che sta generando l’umanità del nuovo mondo nascente. E’ la Sposa che prefigura la maternità feconda della Chiesa di Cristo. Voi avete la missione di cingere l’intera Nazione messicana con la fecondità di Dio. Nessun pezzo di questa cinta può essere disprezzato.

L’Episcopato messicano ha compiuto passi notevoli in questi anni conciliari; sono aumentati i suoi membri; è stata promossa una formazione permanente, continua e qualificata; l’ambiente fraterno non è mancato; lo spirito di collegialità è cresciuto; gli interventi pastorali hanno influito sulle vostre Chiese e sulla coscienza nazionale; i lavori pastorali condivisi sono stati fruttuosi nei campi essenziali della missione ecclesiale come la famiglia, le vocazioni e la presenza sociale.

Mentre ci rallegriamo per il cammino di questi anni, vi chiedo di non lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà e di non risparmiare ogni possibile sforzo per promuovere, tra di voi e nelle vostre diocesi, lo zelo missionario, soprattutto verso le parti più bisognose dell’unico corpo della Chiesa messicana. Riscoprire che la Chiesa è missione è fondamentale per il suo futuro, perché solo l’entusiasmo, lo stupore convinto degli evangelizzatori ha la forza di trascinare. Vi prego, pertanto, di curare specialmente la formazione e la preparazione dei laici, superando ogni forma di clericalismo e coinvolgendoli attivamente nella missione della Chiesa, soprattutto rendendo presente, con la testimonianza della propria vita, il vangelo di Cristo nel mondo.

A questo Popolo messicano gioverà molto una testimonianza unificante della sintesi cristiana e una visione condivisa dell’identità e del destino della sua gente. In questo senso, sarebbe molto importante che la Pontificia Università del Messico fosse sempre più al centro degli sforzi ecclesiali per assicurare quello sguardo di universalità senza il quale la ragione, rassegnata a modelli parziali, rinuncia alla sua più alta aspirazione di ricerca della verità.

La missione è vasta e portarla avanti richiede molteplici vie. E con la più viva insistenza vi esorto a conservare la comunione e l’unità tra di voi. Questo è essenziale, fratelli. Questo non c’è nel testo, ma mi viene adesso. Se dovete litigare, litigate; se avete delle cose da dirvi, ditevele; però da uomini, in faccia, e come uomini di Dio che poi vanno a pregare insieme, a fare discernimento insieme; e se avete passato il limite, a chiedervi perdono, ma mantenete l’unità del corpo episcopale. Comunione e unità tra di voi. La comunione è la forma vitale della Chiesa e l’unità dei suoi Pastori dà prova della sua veracità. Il Messico e la sua vasta e multiforme Chiesa hanno bisogno di Vescovi servitori e custodi dell’unità edificata sulla Parola del Signore, alimentata con il suo Corpo e guidata dal suo Spirito che è il respiro vitale della Chiesa.

Non c’è bisogno di “prìncipi”, bensì di una comunità di testimoni del Signore. Cristo è la sua unica luce; è la sorgente di acqua viva; dal suo respiro promana lo Spirito che distende le vele della barca ecclesiale. In Cristo glorificato, che la gente di questo popolo ama onorare come Re, accendete uniti la luce, ricolmatevi della sua presenza che non si estingue; respirate a pieni polmoni l’aria buona del suo Spirito. A voi spetta seminare Cristo nel territorio, tenere accesa la sua luce umile che rischiara senza abbagliare, assicurare che con le sue acque si sazi la sete delle vostra gente, alzare le vele affinché il soffio dello Spirito le dispieghi e non s’incagli la barca della Chiesa in Messico.

Ricordate che la Sposa, la Sposa di ognuno di voi, la Madre Chiesa, sa bene che il Pastore amato (Ct 1,7) sarà trovato solo dove i pascoli sono erbosi e i ruscelli cristallini. La Sposa non si fida dei compagni dello Sposo che, a volte per incuranza o incapacità, conducono il gregge per luoghi aridi e pieni di rocce. Guai a noi pastori, compagni del Supremo Pastore, se lasciamo vagare la sua Sposa perché nella tenda che abbiamo fatto lo Sposo non si trova.

Permettetemi un’ultima parola per esprimere l’apprezzamento del Papa per tutto quanto state facendo per affrontare la sfida della nostra epoca rappresentata dalle migrazioni. Sono milioni i figli della Chiesa che oggi vivono nella diaspora o in transito peregrinando verso il nord in cerca di nuove opportunità. Molti di loro lasciano alle spalle le proprie radici per avventurarsi, anche nella clandestinità che implica ogni tipo di rischio, alla ricerca della “luce verde” che considerano come loro speranza. Tante famiglie si dividono; e non sempre l’integrazione nella presunta “terra promessa” è così facile come si pensa.

Fratelli, i vostri cuori siano capaci di seguirli e raggiungerli al di là delle frontiere. Rafforzate la comunione con i vostri fratelli dell’episcopato statunitense affinché la presenza materna della Chiesa mantenga vive le radici della loro fede, della fede di quel popolo, le ragioni della loro speranza e la forza della loro carità. Non succeda ad essi che appendendo le loro cetre, ammutolisca la loro gioia, dimenticandosi di Gerusalemme e trasformandosi in “esiliati di sé stessi” (cfr Sal 136/137). Testimoniate uniti che la Chiesa è custode di una visione unitaria dell’uomo e non può accettare che sia ridotto a mera “risorsa umana”.

Non sarà vana la premura delle vostre diocesi nel versare il poco balsamo che possiedono sui piedi feriti di quanti attraversano i loro territori e di spendere per loro il denaro duramente raccolto; il Samaritano divino alla fine arricchirà chi non è passato indifferente davanti a Lui quando stava per terra lungo la strada (cfr Lc 10,25-37).

Cari fratelli,

il Papa è sicuro che il Messico e la sua Chiesa arriveranno in tempo all’appuntamento con sé stessi, con la storia, con Dio. Talvolta qualche pietra sulla strada rallenta la marcia e la fatica del tragitto richiederà qualche sosta, ma mai al punto da far perdere la meta. Infatti, può forse arrivare tardi chi ha una Madre che lo aspetta? Chi continuamente può sentire risuonare nel proprio cuore: “Non ci sono qui io, io, che sono tua Madre?”. Grazie.

 


 



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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14/02/2016 10:42
 
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

SANTA MESSA NELLA BASILICA DI GUADALUPE

OMELIA DEL SANTO PADRE

Città del Messico 
Sabato, 13 febbraio 2016

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Abbiamo ascoltato come Maria andò a visitare la cugina Elisabetta. Senza indugi, senza dubbi, né lentezze, va ad accompagnare la sua parente che era agli ultimi mesi di gravidanza.

L’incontro con l’angelo non ha fermato Maria, perché non si è sentita privilegiata, o in dovere di staccarsi dalla vita dei suoi. Al contrario, ha ravvivato e messo in moto un atteggiamento per il quale Maria è e sarà sempre riconosciuta: la donna del sì, un sì di dedizione a Dio e, al tempo stesso, un sì di dedizione ai suoi fratelli. E’ il sì che la mise in movimento per dare il meglio di sé, ponendosi in cammino incontro agli altri.

Ascoltare questo brano del Vangelo in questa Casa ha un sapore speciale. Maria, la donna del sì, ha voluto anche visitare gli abitanti di questa terra d’America nella persona dell’indio san Juan Diego. Così come si mosse per le strade della Giudea e della Galilea, nello stesso modo raggiunse il Tepeyac, con i suoi abiti, utilizzando la sua lingua, per servire questa grande Nazione. E così come accompagnò la gravidanza di Elisabetta, ha accompagnato e accompagna la “gravidanza” di questa benedetta terra messicana. Così come si fece presente al piccolo Juanito, allo stesso modo continua a farsi presente a tutti noi, soprattutto a quelli che come lui sentono “di non valere nulla” (cfr Nican Mopohua, 55). Questa scelta particolare, diciamo preferenziale, non è stata contro nessuno, ma a favore di tutti. Il piccolo indio Juan che si chiamava anche “mecapal, cacaxtle, coda, ala, bisognoso lui stesso di esser portato” (cfr ibid.) è diventato “il messaggero, molto degno di fiducia”.

In quell’alba di dicembre del 1531, si compiva il primo miracolo che poi sarà la memoria vivente di tutto ciò che questo Santuario custodisce. In quell’alba, in quell’incontro, Dio risvegliò la speranza di suo figlio Juan, la speranza di un popolo. In quell’alba Dio ha risvegliato e risveglia la speranza dei più piccoli, dei sofferenti, degli sfollati e degli emarginati, di tutti coloro che sentono di non avere un posto degno in queste terre. In quell’alba Dio si è avvicinato e si avvicina al cuore sofferente ma resistente di tante madri, padri, nonni che hanno visto i loro figli partire, li hanno visti persi o addirittura strappati dalla criminalità.

In quell’alba, Juanito sperimenta nella sua vita che cos’è la speranza, che cos’è la misericordia di Dio. Lui è scelto per sorvegliare, curare, custodire e favorire la costruzione di questo Santuario. A più riprese disse alla Vergine che lui non era la persona adatta, anzi, se voleva portare avanti quel lavoro doveva scegliere altri perché lui non era istruito, letterato o appartenente al novero di coloro che avrebbero potuto farlo. Maria, risoluta – con la risolutezza che nasce dal cuore misericordioso del Padre – gli disse no, che lui sarebbe stato il suo messaggero.

Così egli riesce a far emergere qualcosa che non sapeva esprimere, una vera e propria immagine trasparente di amore e di giustizia: nella costruzione dell’altro santuario, quello della vita, quello delle nostre comunità, società e culture, nessuno può essere lasciato fuori. Tutti siamo necessari, soprattutto quelli che normalmente non contano perché non sono “all’altezza delle circostanze” o perché non “apportano il capitale necessario” per la costruzione delle stesse. Il santuario di Dio è la vita dei suoi figli, di tutti e in tutte le condizioni, in particolare dei giovani senza futuro esposti a una infinità di situazioni dolorose, a rischio, e quella degli anziani senza riconoscimento, dimenticati in tanti angoli. Il santuario di Dio sono le nostre famiglie che hanno bisogno del minimo necessario per potersi formare e sostenere. Il santuario di Dio è il volto di tanti che incontriamo nel nostro cammino…

Venendo in questo santuario ci può accadere la stessa cosa che accadde a Juan Diego. Guardare la Madre a partire dai nostri dolori, dalle nostre paure, disperazioni, tristezze, e dirle: “Che cosa posso dare io se non sono una persona istruita?”. Guardiamo la Madre con occhi che dicono: “Sono tante le situazioni che ci tolgono la forza, che ci fanno sentire che non c’è spazio per la speranza, per il cambiamento, per la trasformazione”.

Per questo credo che oggi ci farà bene un po’ di silenzio, e guardarla, guardarla molto e con calma, e dirle come fece quell’altro figlio che la amava molto:

“Guardarti semplicemente - Madre -, 
tenendo aperto solo lo sguardo;
guardarti tutta senza dirti nulla, 
e dirti tutto, muto e riverente.
Non turbare il vento della tua fronte; 
solo cullare la mia solitudine violata
nei tuoi occhi di Madre innamorata 
e nel tuo nido di terra trasparente.
Le ore precipitano; percossi,
mordono gli uomini stolti l’immondizia 
della vita e della morte, con i loro rumori.
Guardarti, Madre; contemplarti appena,
il cuore tacito nella tua tenerezza, 
nel tuo casto silenzio di gigli” (Inno liturgico).

E nel silenzio, in questo rimanere a contemplarla, sentire ancora una volta che ci ripete: “Che c’è, figlio mio, il piccolo di tutti? Che cosa rattrista il tuo cuore?” (cfr Nican Mopohua, 107.118) «Non ci sono forse qui io, io che ho l’onore di essere tua madre?» (ibid., 119).

Lei ci dice che ha “l’onore” di essere nostra madre. Questo ci dà la certezza che le lacrime di coloro che soffrono non sono sterili. Sono una preghiera silenziosa che sale fino al cielo e che in Maria trova sempre posto sotto il suo manto. In lei e con lei, Dio si fa fratello e compagno di strada, porta con noi le croci per non lasciarci schiacciare da nostri dolori.

“Non sono forse tua madre? Non sono qui? Non lasciarti vincere dai tuoi dolori, dalle tue tristezze” – ci dice. Oggi di nuovo torna ad inviarci, come Juanito; oggi di nuovo torna a ripeterci: sii mio messaggero, sii mio inviato per costruire tanti nuovi santuari, accompagnare tante vite, asciugare tante lacrime. Basta che cammini per le strade del tuo quartiere, della tua comunità, della tua parrocchia come mio messaggero, mia messaggera; innalza santuari condividendo la gioia di sapere che non siamo soli, che lei è con noi. Sii mio messaggero – ci dice – dando da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, da’ un posto ai bisognosi, vesti chi è nudo e visita i malati. Soccorri il prigioniero, non lasciarlo solo, perdona chi ti ha fatto del male, consola chi è triste, abbi pazienza con gli altri e, soprattutto, implora e prega il nostro Dio. E in silenzio le diciamo quello che ci sale dal cuore.

“Non sono forse tua madre? Non sono forse qui?” – ci dice ancora Maria. Vai a costruire il mio santuario, aiutami a risollevare la vita dei miei figli, tuoi fratelli.





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

SANTA MESSA NELL'AREA DEL CENTRO STUDI DI ECATEPEC

OMELIA DEL SANTO PADRE

Domenica, 14 febbraio 2016

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Mercoledì scorso abbiamo iniziato il tempo liturgico della Quaresima, nel quale la Chiesa ci invita a prepararci per celebrare la grande festa della Pasqua. Tempo speciale per ricordare il dono del nostro Battesimo, quando siamo stati fatti figli di Dio. La Chiesa ci invita a ravvivare il dono che ci ha elargito per non lasciarlo nell’oblio come qualcosa di passato o in qualche “cassetto dei ricordi”. Questo tempo di Quaresima è un buon momento per recuperare la gioia e la speranza che ci dà il sentirci figli amati dal Padre. Questo Padre che ci aspetta per toglierci le vesti della stanchezza, dell’apatia, della sfiducia e rivestirci con la dignità che solo una vero padre e una vera madre sanno dare ai loro figli, i vestiti che nascono dalla tenerezza e dall’amore.

Il nostro Padre è il Padre di una grande famiglia, è Padre nostro. Sa avere un amore, ma non sa generare e creare “figli unici” tra di noi. E’ un Dio che sa di famiglia, di fraternità, di pane spezzato e condiviso. E’ il Dio del “Padre nostro”, non del “padre mio” e “patrigno vostro”.

In ognuno di noi si annida, vive quel sogno di Dio che in ogni Pasqua, in ogni Eucaristia ritorniamo a celebrare: siamo figli di Dio. Sogno che hanno vissuto tanti nostri fratelli nel corso della storia. Sogno testimoniato dal sangue di tanti martiri di ieri e di oggi.

Quaresima, tempo di conversione, perché quotidianamente facciamo esperienza nella nostra vita di come quel sogno si trova sempre minacciato dal padre della menzogna – abbiamo ascoltato nel Vangelo quello che faceva con Gesù - da colui che vuole dividerci, generando una famiglia divisa e conflittuale, una società divisa e conflittuale. Una società di pochi e per pochi. Quante volte sperimentiamo nella nostra carne, o nella nostra famiglia, in quella dei nostri amici o vicini, il dolore che nasce dal non sentire riconosciuta quella dignità che tutti portiamo dentro. Quante volte abbiamo dovuto piangere e pentirci, perché ci siamo resi conto di non aver riconosciuto tale dignità negli altri. Quante volte – e lo dico con dolore – siamo ciechi e insensibili davanti al mancato riconoscimento della dignità propria e altrui.

Quaresima, tempo per regolare i sensi, aprire gli occhi di fronte a tante ingiustizie che attentano direttamente al sogno e al progetto di Dio. Tempo per smascherare quelle tre grandi forme di tentazione che rompono, dividono l’immagine che Dio ha voluto plasmare.

Le tre tentazioni che ha sofferto Cristo.

Tre tentazioni del cristiano che cercano di rovinare la verità alla quale siamo stati chiamati.

Tre tentazioni che cercano di degradare e di degradarci.

La prima, la ricchezza, impossessandoci di beni che sono stati dati per tutti, utilizzandoli solo per me o per “i miei”. E’ procurarsi il pane con il sudore altrui, o persino con la vita altrui. Quella ricchezza che è il pane che sa di dolore, di amarezza, di sofferenza. In una famiglia o in una società corrotta questo è il pane che si dà da mangiare ai propri figli.

La seconda tentazione: la vanità. Quella ricerca di prestigio basata sulla squalifica continua e costante di quelli che “non sono nessuno”. La ricerca esasperata di quei cinque minuti di fama che non perdona la “fama” degli altri. “Facendo legna dell’albero caduto”, lascia spazio alla terza tentazione, la peggiore, quella dell’orgoglio, ossia il porsi su un piano di superiorità di qualunque tipo, sentendo che non si condivide la “vita dei comuni mortali” e pregando tutti i giorni: “Grazie Signore perché non mi hai fatto come loro”.

Tre tentazioni di Cristo.

Tre tentazioni con cui il cristiano si confronta quotidianamente.

Tre tentazioni che cercano di degradare, di distruggere e di togliere la gioia e la freschezza del Vangelo. Che ci chiudono in un cerchio di distruzione e di peccato.

Vale la pena che ci domandiamo: fino a che punto siamo consapevoli di queste tentazioni nella nostra persona, in noi stessi?

Fino a che punto ci siamo abituati a uno stile di vita che pensa che nella ricchezza, nella vanità e nell’orgoglio stanno la fonte e la forza della vita?

Fino a che punto crediamo che il prenderci cura dell’altro, il nostro preoccuparci e occuparci per il pane, il buon nome e la dignità degli altri sono fonti di gioia e di speranza?

Abbiamo scelto Gesù e non il demonio. Se ci ricordiamo di quello che abbiamo ascoltato nel Vangelo, Gesù non risponde al demonio non nessuna parola propria, ma gli risponde con la Parola di Dio, con la Parola delle Scritture.
Perché, fratelli e sorelle, mettiamocelo bene in testa: con il demonio non si dialoga! Non si può dialogare! Perché ci vincerà sempre. Solo la forza della Parola di Dio lo può sconfiggere! Abbiamo scelto Gesù e non il demonio: vogliamo seguire le sue orme, ma sappiamo che non è facile. Sappiamo che cosa significa essere sedotti dal denaro, dalla fama e dal potere. Perciò la Chiesa ci dona questo tempo, ci invita alla conversione con una sola certezza: Lui ci sta aspettando e vuole guarire il nostro cuore da tutto ciò che lo degrada, degradandosi o degradando altri. E’ il Dio che ha un nome: misericordia. Il Suo nome è la nostra ricchezza, il Suo nome è la nostra fama, il Suo nome è il nostro potere; e nel Suo nome ancora una volta ripetiamo con il salmo: «Mio Dio in cui confido» (91/90,2). Lo vogliamo ripetere insieme? Tre volte: “Tu sei il mio Dio e in te confido”; “Tu sei il mio Dio e in te confido”; “Tu sei il mio Dio e in te confido”.

Che in questa Eucaristia lo Spirito Santo rinnovi in noi la certezza che il Suo nome è misericordia e ci faccia sperimentare ogni giorno che il Vangelo «riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» sapendo che con Lui e in Lui «sempre nasce e rinasce la gioia» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 1).

     



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ANGELUS

Centro Studi di Ecatepec
Domenica, 14 febbraio 2016

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Cari fratelli,

nella prima Lettura di questa domenica, Mosè fa al popolo una raccomandazione. Nel momento del raccolto, nel momento dell’abbondanza, nel momento delle primizie non dimenticarti delle tue origini, non dimenticarti da dove provieni. L’azione di grazie nasce e cresce in una persona e in un popolo che sia capace di fare memoria. Ha le sue radici nel passato, che tra luci e ombre ha generato il presente. Nel momento in cui possiamo rendere grazie a Dio perché la terra ha dato il suo frutto e così possiamo produrre il pane, Mosè invita il suo popolo ad essere memore enumerando le situazioni difficili attraverso le quali è dovuto passare (cfr Dt 26,5-11).

In questo giorno di festa, in questo giorno possiamo celebrare quanto buono è stato il Signore con noi. Rendiamo grazie per l’opportunità di essere riuniti nel presentare al Padre Buono le primizie dei nostri figli e nipoti, dei nostri sogni e progetti. Le primizie delle nostre culture, delle nostre lingue e delle nostre tradizioni. Le primizie del nostro impegno…

Quanto ciascuno di voi ha dovuto passare per arrivare fino a qui! Quanto avete dovuto “camminare” per fare di questo giorno una festa, un’azione di grazia! Quanto hanno camminato altri che non hanno potuto arrivare, ma grazie a loro noi abbiamo potuto andare avanti.

Oggi, seguendo l’invito di Mosè, vogliamo come popolo fare memoria, vogliamo essere popolo della memoria viva del passaggio di Dio attraverso il suo Popolo, nel suo Popolo. Vogliamo guardare i nostri figli sapendo che erediteranno non solo una terra, una lingua, una cultura e una tradizione, bensì erediteranno anche il frutto vivo della fede che ricorda il passaggio sicuro di Dio per questa terra. La certezza della sua vicinanza e della sua solidarietà. Una certezza che ci aiuta ad alzare il capo e attendere con desiderio vivo l’aurora.

Con voi mi unisco anche a questa memoria riconoscente. A questo ricordo vivo del passaggio di Dio nella vostra vita. Guardando i vostri figli non posso non fare mie le parole che un giorno il beato Paolo VI rivolse al popolo messicano: «Un cristiano non può fare a meno di dimostrare la sua solidarietà per risolvere la situazione di coloro ai quali ancora non è arrivato il pane della cultura o l’opportunità di un lavoro onorevole […] non può restare insensibile mentre le nuove generazioni non trovano la via per realizzare le loro legittime aspirazioni». E quindi prosegue il beato Paolo VI con un invito a «stare sempre in prima linea in tutti gli sforzi per migliorare la situazione di quelli che soffrono indigenza», a vedere «in ogni uomo un fratello e in ogni fratello Cristo» (Radiomessaggio al popolo messicano nel 75° anniversario dell’incoronazione della B.V. di Guadalupe, 12 ottobre 1970:L’Osservatore Romano, 18 ottobre 1970).

Desidero invitarvi oggi a stare in prima linea, ad essere intraprendenti in tutte le iniziative che possano aiutare a fare di questa benedetta terra messicana una terra di opportunità. Dove non ci sia bisogno di emigrare per sognare; dove non ci sia bisogno di essere sfruttato per lavorare; dove non ci sia bisogno di fare della disperazione e della povertà di molti l’opportunismo di pochi.

Una terra che non debba piangere uomini e donne, giovani e bambini che finiscono distrutti nelle mani dei trafficanti della morte.

Questa terra ha il sapore della Guadalupana, colei che sempre ci ha preceduto nell’amore; a lei diciamo dal profondo del cuore:

Vergine Santa, «aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione, del servizio, della fede ardente e generosa, della giustizia e dell’amore verso i poveri, perché la gioia del Vangelo giunga sino ai confini della terra e nessuna periferia sia priva della sua luce» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 288).

 
 


[Modificato da Caterina63 14/02/2016 21:50]
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

VISITA ALL'OSPEDALE PEDIATRICO “FEDERICO GÓMEZ”

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Città del Messico 
Domenica, 14 febbraio 2016

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Signora Prima Dama,
Signora Ministro della Salute,
Signor Direttore,
Membri del Patronato,
Famiglie qui presenti,
Amiche a amici, cari bambini, 
buonasera!

Ringrazio Dio per l’opportunità che mi dona di poter venire a visitarvi, di incontrarmi con voi e le vostre famiglie in questo Ospedale. Poter condividere un pochino della vostra vita, di quella di tutte le persone che lavorano come medici, infermieri, membri del personale e volontari che li assistono, tanta gente che sta lavorando per voi.

C’è un passo nel Vangelo che ci racconta la vita di Gesù quando era bambino. Era molto piccolo, come alcuni di voi. Un giorno i suoi genitori, Giuseppe e Maria, lo portarono al Tempio per presentarlo a Dio. E lì si incontrano con un anziano che si chiamava Simeone, il quale, quando lo vede, molto deciso e con molta gioia e gratitudine, lo prende in braccio e comincia a benedire Dio. Vedere il bambino Gesù provocò in lui due cose: un senso di gratitudine e il desiderio di benedire. Ossia, a questo anziano venne voglia di rendere grazie a Dio e di benedire.

Simeone è il “nonno” che ci insegna questi due atteggiamenti fondamentali della vita: quello di ringraziare e quello di benedire.

Qui io benedico voi; i medici vi benedicono, ogni volta che vi curano, gli infermieri, tutto il personale, tutti quelli che lavorano vi benedicono, voi bambini, però anche voi dovete imparare a benedire loro e a chiedere a Gesù che abbia cura di loro perché loro hanno cura di voi. Io qui (e non solo per l’età) mi sento molto vicino a questi due insegnamenti di Simeone.
Da un lato, attraversando quella porta e vedendo i vostri occhi, i vostri sorrisi – alcuni birbanti! – i vostri volti, mi ha fatto venire il desiderio di rendere grazie. Grazie per l’affetto che avete nell’accogliermi; grazie perché vedo l’affetto con cui siete curati qui, l’affetto con cui siete accompagnati. Grazie per lo sforzo di tanti che stanno facendo del loro meglio perché possiate riprendervi presto. E’ così importante sentirsi curati e accompagnati, sentirsi amati e sapere che state cercando il modo migliore di curarci; per tutte queste persone dico: grazie, grazie.

E nello stesso tempo, desidero benedirvi. Voglio chiedere a Dio che vi benedica, accompagni voi e i vostri familiari, tutte le persone che lavorano in questa casa e fanno in modo che quei sorrisi continuino a crescere ogni giorno. A tutte le persone che non solo con medicinali bensì con la “affettoterapia” aiutano perché questo tempo sia vissuto con più gioia. E’ tanto importante la “affettoterapia”! Tanto importante. A volte una carezza aiuta tanto a stare meglio.

Conoscete l’indio Juan Diego voi, o no? [“Sì!”] Vediamo: alzi la mano chi lo conosce… Quando lo zio del piccolo Juan era malato, lui era molto preoccupato e angustiato. In quel momento, appare la Vergine di Guadalupe e gli dice: “Non si turbi il tuo cuore e non ti inquieti cosa alcuna. Non ci sono qui io, che sono tua Madre?”. Abbiamo la nostra Madre: chiediamole di offrirci al suo Figlio Gesù.

E adesso, ai bambini chiedo una cosa: chiudiamo gli occhi, chiudiamo gli occhi e domandiamo quello che il nostro cuore oggi desidera. Un momento di silenzio con gli occhi chiusi e dentro chiediamo quello che vogliamo… E adesso insieme diciamo a nostra Madre: Ave Maria…

Che il Signore e la Vergine di Guadalupe vi accompagnino sempre. Tante grazie! E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Non dimenticatevi! Il Signore vi benedica.

 
 





Fraternamente CaterinaLD

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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

SANTA MESSA CON LE COMUNITÀ INDIGENE DEL CHIAPAS

OMELIA DEL SANTO PADRE

Centro sportivo municipale, San Cristóbal de Las Casas
Lunedì
, 15 febbraio 2016

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«Li smantal Kajvaltike toj lek – La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima» (Sal 19/18,8): così cominciava il Salmo che abbiamo ascoltato. La legge del Signore è perfetta; e il salmista si propone di enumerare tutto ciò che tale legge produce in chi la ascolta e la segue: rinfranca l’anima, rende saggio il semplice, fa gioire il cuore, è luce per illuminare il cammino (cfr Sal 19/18,8-9).

Questa è la legge che il Popolo d’Israele aveva ricevuto per mano di Mosè, una legge che avrebbe aiutato il Popolo di Dio a vivere nella libertà alla quale era stato chiamato. Legge che chiedeva di essere luce ai loro passi e accompagnare il peregrinare del Suo Popolo. Un Popolo che aveva sperimentato la schiavitù e il dispotismo del Faraone, che aveva sperimentato la sofferenza e i maltrattamenti, finché Dio disse “basta!”, finché Dio disse: “non più!”. Ho visto l’afflizione, ho udito il grido, ho conosciuto la sua angoscia (cfr Es 3,9). E lì si manifesta il volto del nostro Dio, il volto del Padre che soffre di fronte al dolore, al maltrattamento, all’ingiustizia nella vita dei suoi figli e la sua Parola, la sua legge diventava simbolo di libertà, simbolo di gioia, di sapienza e di luce.
Esperienza, realtà che trova eco in quella espressione che nasce dalla sapienza allevata in queste terre fin dai tempi lontani e che così recita nel Popol Vuh: “L’alba sopraggiunse sopra tutte le tribù riunite. La faccia della terra fu subito risanata dal sole” (33). L’alba sopraggiunse per i popoli che più volte hanno camminato nelle diverse tenebre della storia.

In questa espressione, c’è un anelito a vivere in libertà, un anelito che ha il sapore di terra promessa, dove l’oppressione, il maltrattamento e la degradazione non siano la moneta corrente. Nel cuore dell’uomo e nella memoria di molti dei nostri popoli è inscritto l’anelito a una terra, a un tempo in cui il disprezzo sia superato dalla fraternità, l’ingiustizia sia vinta dalla solidarietà e la violenza sia cancellata dalla pace.

Il nostro Padre non solo condivide questo anelito: Egli stesso lo ha suscitato e lo suscita donandoci il suo Figlio Gesù Cristo. In Lui troviamo la solidarietà del Padre che cammina al nostro fianco. In Lui vediamo come quella legge perfetta prende carne, prende volto, prende la storia per accompagnare e sostenere il suo Popolo; si fa Via, si fa Verità, si fa Vita affinché le tenebre non abbiano l’ultima parola e l’alba non cessi di venire sulla vita dei suoi figli.

In molti modi e in molte forme si è voluto far tacere e cancellare questo anelito, in molti modi hanno cercato di anestetizzarci l’anima, in molte forme hanno preteso di mandare in letargo e addormentare la vita dei nostri bambini e giovani con l’insinuazione che niente può cambiare o che sono sogni impossibili. Davanti a queste forme, anche il creato sa alzare la sua voce: «Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22)» (Enc. Laudato si’, 2).

La sfida ambientale che viviamo e le sue radici umane ci toccano tutti (cfr ibid., 4) e ci interpella. Non possiamo più far finta di niente di fronte a una delle maggiori crisi ambientali della storia.

In questo voi avete molto da insegnarci, da insegnare all’umanità. I vostri popoli, come hanno riconosciuto i Vescovi dell’America Latina, sanno relazionarsi armonicamente con la natura, che rispettano come «fonte di nutrimento, casa comune e altare del condividere umano» (Documento di Aparecida, 472).

Tuttavia, molte volte, in modo sistematico e strutturale, i vostri popoli sono stati incompresi ed esclusi dalla società. Alcuni hanno considerato inferiori i loro valori, la loro cultura, le loro tradizioni. Altri, ammaliati dal potere, dal denaro e dalle leggi del mercato, lo hanno spogliati delle loro terre o hanno realizzato opere che le inquinavano. Che tristezza! Quanto farebbe bene a tutti noi fare un esame di coscienza e imparare a dire: perdono! Perdono, fratelli! Il mondo di oggi, spogliato dalla cultura dello scarto, ha bisogno di voi!

I giovani di oggi, esposti a una cultura che tenta di sopprimere tutte le ricchezze, le caratteristiche e le diversità culturali inseguendo un mondo omogeneo, hanno bisogno – questi giovani – che non si perda la saggezza dei loro anziani!

Il mondo di oggi, preso dal pragmatismo, ha bisogno di reimparare il valore della gratuità!

Stiamo celebrando la certezza che «il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto d’amore, non si pente di averci creato» (Enc. Laudato si’, 13). Celebriamo che Gesù Cristo continua a morire e risorgere in ogni gesto che compiamo verso il più piccolo dei nostri fratelli. Incoraggiamoci a continuare ad essere testimoni della sua Passione, della sua Risurrezione incarnando Li smantal Kajvaltike toj lek - “la legge del Signore che è perfetta e rinfranca l’anima”.

 


[Modificato da Caterina63 15/02/2016 21:35]
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

INCONTRO CON LE FAMIGLIE

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Stadio “Víctor Manuel Reyna”, Tuxtla Gutiérrez
Lunedì, 15 febbraio 2016

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Carissimi fratelli e sorelle,

Rendo grazie a Dio per essere oggi in questa terra del Chiapas. È bello essere su questo suolo, è bello essere su questa terra, è bello essere in questo luogo che grazie a voi ha sapore di famiglia, di casa. Rendo grazie per i vostri volti e la vostra presenza, ringrazio Dio per il palpitare della Sua presenza nelle vostre famiglie. E grazie anche a voi, famiglie e amici, che ci avete regalato la vostra testimonianza, che ci avete aperto le porte delle vostre case, le porte della vostra vita; ci avete permesso di sedere alla vostra “mensa” dove condividete il pane che vi nutre e il sudore davanti alle difficoltà quotidiane. Il pane delle gioie, della speranza, dei sogni e del sudore davanti alle amarezze, alla delusione e alle cadute. Grazie per averci permesso di entrare nelle vostre famiglie, alla vostra mensa, nella vostra casa.

Manuel, prima di ringraziarti per la tua testimonianza, voglio ringraziare i tuoi genitori: tutt’e due in ginocchio davanti a te tenendoti il foglio. Avete visto che immagine è questa? I genitori in ginocchi accanto al figlio malato. Non dimentichiamo questa immagine! Poi loro ogni tanto litigano pure… Quale marito e quale moglie non litigano? E di più quando ci si mette la suocera, ma non importa… Però si amano, e ci hanno dimostrato che si amano e sono capaci, per l’amore che hanno, di mettersi in ginocchio davanti a loro figlio malato. Grazie amici per questa testimonianza che avete dato, e andate avanti. Grazie! E a te, Manuel, grazie per la tua testimonianza e soprattutto per il tuo esempio. Mi ha colpito quell’espressione che hai usato: “dare coraggio” (echarle ganas), come l’atteggiamento che hai assunto dopo aver parlato con i tuoi genitori. Hai iniziato a dare coraggio alla vita, dare coraggio alla tua famiglia, dare coraggio tra i tuoi amici e dare coraggio anche a noi qui riuniti. Grazie! Credo che questo sia ciò che lo Spirito Santo vuole sempre fare in mezzo a noi: dare coraggio, regalarci motivi per continuare a scommettere sulla famiglia, a sognare e costruire una vita che sappia di casa e di famiglia. Ce la mettiamo tutta? [“Sì!”]. Grazie!

E questo è ciò che Dio Padre ha sempre immaginato e per cui fin dai tempi antichi Dio Padre ha combattuto. Quando tutto sembrava perduto quella sera nel giardino dell’Eden, Dio Padre ha dato coraggio a quella giovane coppia e le ha mostrato che non tutto era perduto. E quando il popolo di Israele sentiva che non c’era più un senso nell’attraversare il deserto, Dio Padre lo ha incitato ad avere coraggio con la manna. E quando venne la pienezza dei tempi, Dio Padre ha dato coraggio all’umanità per sempre dandoci il suo Figlio!

Allo stesso modo, tutti noi che siamo qui abbiamo fatto esperienza che, in molti momenti e in forme differenti, Dio Padre ha dato coraggio alla nostra vita. Possiamo dunque chiederci: perché? Perché non può sa fare altro! Dio nostro Padre non sa fare altro che amarci e darci coraggio, e spingerci e farci andare avanti. Non sa fare altro! Perché il suo nome è amore, il suo nome è dono gratuito, il suo nome è dedizione, il suo nome è misericordia. Tutto ciò ce lo ha fatto conoscere in tutta la sua forza e chiarezza in Gesù, suo Figlio, che ha speso la sua vita fino alla morte per rendere possibile il Regno di Dio. Un Regno che ci invita a partecipare a quella nuova logica, che mette in moto una dinamica in grado di aprire i cieli, in grado di aprire i nostri cuori, le nostre menti, le nostre mani e ci sfida con nuovi orizzonti. Un Regno che ha il sapore di famiglia, che ha il sapore di vita condivisa. In Gesù e con Gesù questo Regno è possibile. Egli è in grado di trasformare le nostre prospettive, i nostri atteggiamenti, i nostri sentimenti, tante volte annacquati, in vino di festa. Egli è in grado di guarire i nostri cuori e ci invita più e più volte, settanta volte sette a ricominciare. Egli è sempre in grado di rendere nuove tutte le cose.

Manuel, tu mi hai chiesto di pregare per tanti adolescenti che sono scoraggiati e vivono momenti difficili. Lo sappiamo… Tanti adolescenti senza slancio, senza forza, svogliati. E come hai detto bene, Manuel, spesso questo atteggiamento nasce perché si sentono soli, perché non hanno nessuno con cui parlare. Pensateci, voi padri, pensateci, voi madri: parlate con i vostri figli e le vostre figlie? O siete sempre occupati, oberati? Giocate con i vostri figli? E questo mi ha ricordato la testimonianza che ci ha donato Beatriz. Beatriz, tu hai detto: “La lotta è  sempre stata difficile per l’incertezza e la solitudine”. Quante volte ti sei sentita mostrata a dito, giudicata: “quella”. Pensiamo a tutte le persone, a tutte le donne che passano per quello che ha passato Beatriz. La precarietà, la scarsità, molto spesso il non avere neppure il minimo indispensabile può farci disperare, può farci sentire una forte ansia perché non sappiamo come fare per andare avanti, e ancora di più quando abbiamo dei figli a carico. La precarietà, non solo minaccia la stomaco (e questo è già molto), ma può minacciare perfino l’anima, ci può demotivare, toglierci forza e tentarci con strade o alternative di apparente soluzione ma che alla fine non risolvono nulla. E tu sei stata coraggiosa, Beatriz, grazie! C’è una precarietà che può essere molto pericolosa, che può insinuarsi in noi senza che ce ne accorgiamo, ed è la precarietà che nasce dalla solitudine e dall’isolamento. E l’isolamento è sempre un cattivo consigliere.

Manuel e Beatriz hanno usato, senza accorgersi, la stessa espressione, entrambi ci mostrano come tante volte la più grande tentazione che abbiamo di fronte è starcene da soli, e lungi dal darci coraggio, questo atteggiamento, come la tarma, ci corrode l’anima, ci inaridisce l’anima.

Il modo di combattere questa precarietà e questo isolamento, che ci rendono vulnerabili da tante apparenti soluzioni – come quella che menzionava Beatriz – va dato a diversi livelli. Uno è attraverso leggi che proteggano e garantiscano il minimo necessario affinché ogni famiglia e ogni persona possa crescere attraverso lo studio e un lavoro dignitoso. E l’altro, come hanno ben sottolineato le testimonianze di Humberto e Claudia quando ci hanno detto che stavano cercando di trasmetterci l’amore di Dio che avevano sperimentato nel servizio e nell’assistenza agli altri. Leggi e impegno personale sono un buon abbinamento per spezzare la spirale della precarietà. E voi vi siete fatti coraggio; e voi pregate, voi state con Gesù, voi siete inseriti nella vita della Chiesa. Avete usato una bella espressione: “Noi facciamo comunione con il fratello debole, il malato, il bisognoso, il carcerato”. Grazie, grazie!

Oggi vediamo e viviamo su diversi fronti come la famiglia venga indebolita, come viene messa in discussione. Come si crede che essa sia un modello ormai superato e incapace di trovare posto all’interno delle nostre società che, sotto il pretesto della modernità, sempre più favoriscono un sistema basato sul modello dell’isolamento. E si insinuano nelle nostre società – che si dicono società libere, democratiche, sovrane – si insinuano colonizzazioni ideologiche che le distruggono, e finiamo per essere colonie di ideologie distruttrici della famiglia, del nucleo della famiglia, che è la base di ogni sana società.

Certo, vivere in famiglia non sempre è facile, spesso è doloroso e faticoso, ma, come più di una volta ho detto riferendomi alla Chiesa, penso che questo possa essere applicato anche alla famiglia: preferisco una famiglia ferita che ogni giorno cerca di coniugare l’amore, a una famiglia e una società malata per la chiusura o la comodità della paura di amare. Preferisco una famiglia che una volta dopo l’altra cerca di ricominciare a una famiglia e una società narcisistica e ossessionata dal lusso e dalle comodità. “Quanti figli avete?” – “No, non ne abbiamo perché ci piace andare in vacanza, fare turismo, voglio comprarmi una villa…”. Il lusso e la comodità; e i figli aspettano; e quando ne vuoi uno, ormai è passato il momento. Che danno che fa questo! Preferisco una famiglia con la faccia stanca per i sacrifici a una famiglia con le facce imbellettate che non sanno di tenerezza e compassione. Preferisco un uomo e una donna, il Signor Aniceto e la Signora, con il viso rugoso per le fatiche di tutti i giorni, che da più di 50 anni continuano a volersi bene, e oggi li abbiamo qui; e il figlio ha imparato la lezione, e già fa 25 anni di matrimonio. Queste sono le famiglie! Quando prima ho chiesto al Signor Aniceto e alla Signora chi ha avuto più pazienza in questi 50 anni: “Tutt’e due, padre”. Perché in famiglia, per arrivare dove sono arrivati loro, ci vuole pazienza, amore, bisogna sapersi perdonare. “Padre, in una famiglia perfetta non ci sono mai discussioni”. Non è vero: è bene che ogni tanto si discuta, e che voli qualche piatto, va bene, non abbiate paura. L’unico consiglio è di non finire la giornata senza fare la pace, perché se finite la giornata in guerra arrivate al mattino in “guerra fredda”, e la “guerra fredda” è molto pericolosa in famiglia perché va scavando da sotto le rughe della fedeltà coniugale. Grazie per la testimonianza di volersi bene per più di 50 anni. Tante grazie!

E parlando di rughe – per cambiare un po’ argomento – ricordo la testimonianza di una grande attrice, un’attrice di cinema latinoamericana, quando già quasi sessantenne cominciavano a mostrarsi le rughe del viso e le consigliarono un “ritocco”, un “ritocchino” per poter continuare a lavorare bene, la sua risposta fu molto chiara: “Questa rughe mi sono costate molto lavoro, molto sforzo, molto dolore e una vita piena, nemmeno per sogno le voglio toccare: sono le impronte della mia storia”. E continuò ad essere una grande attrice. Nel matrimonio succede lo stesso. La vita matrimoniale deve rinnovarsi tutti i giorni. E, come ho detto prima, preferisco famiglie con le rughe, con ferite, cicatrici, ma che vanno avanti perché quelle ferite, quelle cicatrici, quelle rughe sono frutto della fedeltà di un amore che non sempre è stato facile. L’amore non è facile, non è facile, no, ma è la cosa più bella che un uomo e una donna possono darsi a vicenda, il vero amore, per tutta la vita.

Mi hanno chiesto di pregare per voi, e voglio iniziare a farlo proprio adesso. Voi, cari messicani, avete un “di più”, correte avvantaggiati. Avete la Madre, la Madonna di Guadalupe che ha voluto visitare queste terre, e questo ci dà la certezza che, attraverso la sua intercessione, questo sogno chiamato famiglia non sarà sconfitto dall’insicurezza e dalla solitudine. Lei è madre ed è sempre pronta a difendere le nostre famiglie, a difendere il nostro futuro, è sempre pronta a darci coraggio donandoci il suo Figlio. Per questo vi invito, così come state, senza muovervi molto, a prendervi per mano e insieme a dirle: “Ave Maria…”.

E non dimentichiamoci di san Giuseppe! Silenzioso, lavoratore, ma sempre sulla breccia, sempre a prendersi cura della famiglia.

Grazie! Dio vi benedica, e pregate per me.

* * *

Ed ora, in questo quadro di festa familiare, voglio invitare i coniugi qui presenti a rinnovare, in silenzio, le loro promesse matrimoniali. E quelli che sono fidanzati, chiedano la grazia di una famiglia fedele e piena d’amore. In silenzio, rinnovare le promesse matrimoniali, e i fidanzati chiedere la grazia di una famiglia fedele e piena d’amore.

 




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

SANTA MESSA CON SACERDOTI, RELIGIOSE, RELIGIOSI, 
CONSACRATI E SEMINARISTI

OMELIA DEL SANTO PADRE

Stadio “Venustiano Carranza”, Morelia
Martedì, 16 febbraio 2016

[Multimedia]











 

C’è un detto tra di noi che dice così: “Dimmi come preghi e ti dirò come vivi, dimmi come vivi e ti dirò come preghi”; perché, mostrandomi come preghi, imparerò a scoprire il Dio vivente, e mostrandomi come vivi, imparerò a credere nel Dio che preghi, perché la nostra vita parla della preghiera e la preghiera parla della nostra vita. A pregare si impara, come impariamo a camminare, a parlare, ad ascoltare. La scuola della preghiera è la scuola della vita e la scuola della vita è il luogo in cui facciamo scuola di preghiera.

San Paolo, al suo discepolo prediletto Timoteo, quando gli insegnava o lo esortava a vivere la fede, diceva: “Ricordati di tua madre e di tua nonna”. E i seminaristi, quando entravano nel Seminario, molte volte mi chiedevano: “Padre, io però vorrei fare una preghiera più profonda, più mentale…”. “Guarda – rispondevo - continua a pregare come ti hanno insegnato a casa tua. E poi, a poco a poco, la tua preghiera crescerà, così come la tua vita è cresciuta”. A pregare si impara, come nella vita.

Gesù ha voluto introdurre i suoi nel mistero della Vita, nel mistero della Sua vita. Mostrò loro mangiando, dormendo, sanando, predicando, pregando che cosa significa essere Figlio di Dio. Li invitò a condividere la sua vita, la sua intimità e, mentre stavano con Lui, fece loro toccare nella sua carne la vita del Padre. Fa loro sperimentare nel suo sguardo, nel suo camminare, la forza, la novità di dire: “Padre nostro”. In Gesù questa espressione - “Padre nostro” - non ha il “retrogusto” della routine o della ripetizione. Al contrario ha il sapore della vita, dell’esperienza dell’autenticità. Egli ha saputo vivere pregando e pregare vivendo, dicendo: Padre nostro.

E ci ha invitato a fare lo stesso. La nostra prima chiamata è quella a fare esperienza di questo amore misericordioso del Padre nella nostra vita, nella nostra storia. La sua prima chiamata è introdurci in questa nuova dinamica dell’amore, della filiazione. La nostra prima chiamata è quella ad imparare a dire “Padre nostro”, come Paolo insiste: “Abbà”.

“Guai a me se non evangelizzassi!”, dice Paolo, guai a me! Perché evangelizzare – prosegue – non è una gloria ma una necessità (1 Cor 9,16).

Ci ha invitato a partecipare alla Sua vita, alla vita divina: guai a noi, consacrati, consacrate, sacerdoti, seminaristi, vescovi, guai a noi se non la condividiamo, guai a noi se non siamo testimoni di quello che abbiamo visto e udito, guai a noi. Non siamo né vogliamo essere dei funzionari del divino, non siamo né desideriamo mai essere impiegati dell’impresa di Dio, perché siamo invitati a partecipare alla sua vita, siamo invitati a introdurci nel suo cuore, un cuore che prega e vive dicendo: Padre nostro. E cos’è la missione se non dire con la nostra vita - dal principio alla fine, come il nostro fratello Vescovo che è morto questa notte - cos’è la missione se non dire con la nostra vita: Padre nostro?

A questo Padre nostro noi ci rivolgiamo pregando con insistenza tutti i giorni. E che cosa gli diciamo in una delle invocazioni? Non lasciarci cadere in tentazione. Gesù stesso lo fece. Egli pregò perché noi suoi discepoli – di ieri e di oggi – non cadessimo in tentazione. Quale può essere una delle tentazioni che ci possono assalire? Quale può essere una delle tentazioni che sorge non solo dal contemplare la realtà ma nel viverla? Che tentazione ci può venire da ambienti dominati molte volte dalla violenza, dalla corruzione, dal traffico di droghe, dal disprezzo per la dignità della persona, dall’indifferenza davanti alla sofferenza e alla precarietà? Che tentazione potremmo avere noi sempre nuovamente, noi chiamati alla vita consacrata, al presbiterato, all’episcopato, che tentazione potremmo avere di fronte a tutto questo, di fronte a questa realtà che sembra essere diventata un sistema inamovibile?

Credo che potremmo riassumerla con una sola parola: rassegnazione. E di fronte a questa realtà ci può vincere una delle armi preferite del demonio: la rassegnazione. “E che ci possiamo fare? La vita è così!”. Una rassegnazione che ci paralizza, una rassegnazione che ci impedisce non solo di camminare, ma anche di tracciare una via; una rassegnazione che non soltanto ci spaventa, ma che ci trincera nelle nostre “sacrestie” e apparenti sicurezze; una rassegnazione che non soltanto ci impedisce di annunciare, ma che ci impedisce di lodare: ci toglie l’allegria, la gioia della lode. Una rassegnazione che non solo ci impedisce di progettare, ma che ci frena nel rischiare e trasformare le cose.

Per questo, Padre Nostro, non lasciarci cadere nella tentazione.

Che bene ci fa fare appello alla nostra memoria nei momenti della tentazione! Quanto ci aiuta osservare il “legno” con cui siamo stati fatti. Non tutto ha avuto inizio con noi, non tutto terminerà con noi; per questo, quanto bene ci fa recuperare la storia che ci ha portato fin qui.

E in questo fare memoria non possiamo tralasciare qualcuno che amò tanto questo luogo da farsi figlio di questa terra. Qualcuno che seppe dire di sé stesso: “Mi strapparono dalla magistratura e mi posero alla pienezza del sacerdozio per merito dei miei peccati. Me, inutile e interamente inabile per l’esecuzione di una tanto grande impresa; me, che non sapevo remare, elessero primo Vescovo di Michoacán" (Vasco Vásquez de Quiroga, Carta pastoral, 1554). Ringrazio il Signor Cardinale Arcivescovo, perché ha voluto che si celebrasse questa Eucaristia con il pastorale e il calice di quest’uomo.

Con voi desidero fare memoria di questo evangelizzatore, conosciuto anche come “Tata Vasco”, come “lo spagnolo che si fece indio”. La realtà vissuta dagli indios Purhépechas descritta da lui come “venduti, vessati e vagabondi per i mercati a raccogliere i rifiuti gettati a terra”, lungi dal condurlo alla tentazione dell’accidia e della rassegnazione, mosse la sua fede, mosse la sua vita, mosse la sua compassione e lo stimolò a realizzare diverse iniziative che fossero di “respiro” di fronte a tale realtà tanto paralizzante e ingiusta. Il dolore della sofferenza dei suoi fratelli divenne preghiera e la preghiera si fece risposta concreta. E questo gli guadagnò tra gli indios il nome di “Tata Vasco”, che in lingua purépechas significa: papà.

Padre, papà, tata, abbà…

Questa è la preghiera, questa l’espressione alla quale Gesù ci ha invitati. Padre, papà, abbà, non lasciarci cadere nella tentazione della rassegnazione, non lasciarci cadere nella tentazione dell’accidia, non lasciarci cadere nella tentazione della perdita della memoria, non lasciarci cadere nella tentazione di dimenticarci dei nostri predecessori che ci hanno insegnato con la loro vita a dire: Padre Nostro.



Fraternamente CaterinaLD

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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

INCONTRO CON I GIOVANI

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Stadio “José María Morelos y Pavón”, Morelia
Martedì, 16 febbraio 2016

[Multimedia]



Pope Francis pays his homage to the remains of child-martyr Jose Sanchez del Rio



 

 






 

Buonasera! A voi, giovani del Messico che siete qui, che state guardando per televisione, che state ascoltando… E voglio mandare un saluto e una benedizione alle migliaia di giovani della diocesi di Guadalajara che sono riuniti nella Piazza San Giovanni Paolo II per seguire quello che sta succedendo qui; e come loro tanti altri, ma mi hanno informato che là erano migliaia e migliaia riuniti in ascolto. E così siamo due “stadi”: la Giovanni Paolo di Guadalajara e noi qui, e poi tanti altri da tutte le parti.

Già conoscevo le vostre attese, perché mi avevano fatto arrivare la bozza di quello che più o meno avreste detto… - è vero! Perché dovrei dirvi una bugia? – Però mentre parlavate prendevo nota di alcune cose che mi sembravano importanti per non lasciarle in sospeso…

Vi dico che, quando sono arrivato in questa terra, sono stato accolto con un caloroso benvenuto, e ho potuto constatare immediatamente una cosa che sapevo da tempo: la vitalità, l’allegria, lo spirito festoso del Popolo messicano. Adesso, dopo avervi ascoltato, ma specialmente dopo avervi visto, constato nuovamente un’altra certezza, una cosa che ho detto al Presidente della Nazione nel mio primo saluto. Uno dei tesori più grandi di questa terra messicana ha il volto giovane, sono i suoi giovani. Sì, siete voi la ricchezza di questa terra. Attenzione: non ho detto la speranza di questa terra, ho detto: la ricchezza.

La montagna può contenere minerali preziosi che possono servire per il progresso dell’umanità: è la sua ricchezza, però quella ricchezza bisogna trasformarla in speranza con il lavoro, come fanno i minatori quando estraggono quei minerali. Voi siete la ricchezza, bisogna trasformarla in speranza. E Daniela alla fine ha posto una sfida, e ci ha dato anche la traccia, sulla speranza, ma tutti quelli che hanno parlato, quando sottolineavano le difficoltà, le situazioni, affermavano una verità molto grande, cioè che tutti possiamo vivere ma non possiamo vivere senza speranza. Sentire il domani. Non si può sentire il domani se prima uno non riesce ad avere stima di sé, se non riesce a sentire che la sua vita, le sue mani, la sua storia hanno un valore. Sentire quello che Alberto diceva: “Con le mie mani, con il mio cuore e con la mia mente posso costruire speranza; se io non sento questo, la speranza non potrà entrare nel mio cuore”.

La speranza nasce quando si può sperimentare che non tutto è perduto. E per questo è necessario l’esercizio di incominciare “da casa”, da sé stessi. Non tutto è perduto. Io non sono perduto. Io valgo, io valgo molto. Vi chiedo silenzio adesso; ciascuno risponda nel suo cuore: E’ vero che non tutto è perduto? Io sono perduto, sono perduta? Io valgo? Valgo poco? Valgo molto? La principale minaccia alla speranza sono i discorsi che ti svalutano, come se ti succhiassero il valore, e finisci come a terra – non è vero? – come avvizzito, con il cuore triste… discorsi che ti fanno sentire di seconda classe, se non di quarta. La principale minaccia alla speranza è quando senti che a nessuno importa di te o che sei lasciato in disparte.

Questa è la grande difficoltà per la speranza: quando in una famiglia o in una società o in una scuola o in un gruppo di amici ti fanno sentire che gli importa di te. E questo è duro, è doloroso, però succede – o non succede?  Sì o no? [“Si”]. Succede! Questo uccide, questo ci annienta, e questo apre la porta a tanto dolore. Ma c’è anche un’altra importante minaccia alla speranza – alla speranza che quella ricchezza, che siete voi, cresca e dia il suo frutto – ed è farti credere che cominci a valere quando ti mascheri di vestiti, marche, dell’ultimo grido della moda, o quando diventi prestigioso, importante perché hai denaro, ma in fondo il tuo cuore non crede che tu sia degno di affetto, degno di amore, e questo il cuore lo intuisce. La speranza è imbavagliata da quello che ti fanno credere, non te la lasciano emergere. La principale minaccia è quando uno sente che i soldi gli servono per comprare tutto, compreso l’affetto degli altri. La principale minaccia è credere che perché hai una bella macchina sei felice. Ma è vero che se hai una bella macchina sei felice?

Voi siete la ricchezza del Messico, voi siete la ricchezza della Chiesa. Permettetemi di dirvi un’espressione della mia terra: no les estoy “sobando el lomo” – non vi sto “lisciando il pelo”, non vi sto adulando! E capisco che molte volte diventa difficile sentirsi la ricchezza quando ci troviamo continuamente esposti alla perdita di amici e di familiari nelle mani del narcotraffico, delle droghe, di organizzazioni criminali che seminano il terrore. E’ difficile sentirsi la ricchezza di una nazione quando non si hanno opportunità di lavoro dignitoso – Alberto, lo hai detto chiaramente –, possibilità di studio e di preparazione, quando non si vedono riconosciuti i diritti e questo poi finisce per spingere a situazioni limite. E’ difficile sentirsi la ricchezza di un luogo quando, per il fatto che sono giovani, li si usa per scopi meschini seducendoli con promesse che alla fine nono sono reali, sono bolle di sapone. Ed è difficile sentirsi ricchi così. La ricchezza ce l’avete dentro, la speranza ce l’avete dentro, però non è facile, per tutto questo che vi sto dicendo, e che voi stessi avete detto: mancano opportunità di lavoro e di studio – l’hanno detto Roberto e Alberto. Eppure, malgrado tutto questo, non mi stanco di ripeterlo: voi siete la ricchezza del Messico.

Roberto, tu hai detto una frase che voglio conservare. Hai detto che hai perso qualcosa. E non hai detto: Ho perso il cellulare, ho perso il portafogli con i soldi, ho perso il treno perché sono arrivato tardi… Hai detto: Abbiamo perso il fascino di godere dell’incontro”. Abbiamo perso il fascino di camminare insieme; abbiamo perso il fascino di sognare insieme. E perché questa ricchezza, mossa dalla speranza, vada avanti, bisogna camminare insieme, bisogna incontrarsi, bisogna sognare! Non perdete il fascino di sognare! Osate sognare! Sognare, che non è lo stesso di essere dormiglioni, questo no!

E non pensate che vi dica questo – che voi siete la ricchezza del Messico, e che questa ricchezza con la speranza va avanti – perché sono buono, o perché sono un esperto, no, cari amici, non è così. Vi dico questo, e ne sono convinto, sapete perché? Perché come voi credo in Gesù Cristo. E penso che Daniela è stata molto forte quando ci ha parlato di questo. Io credo in Gesù Cristo, e perciò vi dico questo. E’ Lui che rinnova continuamente in me la speranza, è Lui che rinnova continuamente il mio sguardo. E’ Lui che risveglia in me, in ognuno di noi il fascino di godere, il fascino di sognare, il fascino di lavorare insieme. E’ Lui che continuamente mi invita a convertire il cuore. Sì, amici miei, vi dico questo perché in Gesù io ho incontrato Colui che è capace di accendere il meglio di me stesso. Ed è grazie a Lui che possiamo fare strada, è grazie a Lui che ogni volta possiamo ricominciare da capo, è grazie a Lui che possiamo dire: non è vero che l’unico modo di vivere, di essere giovani è lasciare la vita nelle mani del narcotraffico o di tutti quelli che la sola cosa che stanno facendo è seminare distruzione e morte. Questo non è vero e lo diciamo grazie a Gesù. Ed è anche grazie a Gesù, a Gesù Cristo il Signore che possiamo dire che non è vero che l’unico modo di vivere per i giovani qui è la povertà e l’emarginazione; emarginazione dalle opportunità, emarginazione dagli spazi, emarginazione da formazione ed educazione, emarginazione dalla speranza. E’ Gesù Cristo Colui che smentisce tutti i tentativi di rendervi inutili, o meri mercenari di ambizioni altrui. Sono le ambizioni altrui che vi emarginano, per usarvi in tutte quelle cose che ho detto, che sapete, e che finiscono nella distruzione. E l’unico che mi può tenere ben forte per la mano è Gesù Cristo. Egli fa sì che questa ricchezza si trasformi in speranza.

Mi avete chiesto una parola di speranza: quella che ho da dirvi, quella che è alla base di tutto, si chiama Gesù Cristo. Quando tutto sembra pesante, quando sembra che ci caschi il mondo addosso, abbracciate la sua croce, abbracciate Lui e, per favore, non staccatevi mai dalla sua mano, anche se vi sta portando avanti trascinandovi; e se una volta cadete, lasciatevi rialzare da Lui.
Gli alpini hanno una canzone molto bella, che a me piace ripetere ai giovani, una canzone che cantano mentre salgono: “Nell’arte di ascendere, il successo non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduto”. Questa è l’arte. E chi è l’unico che ti può afferrare per la mano perché tu non rimanga caduto? Gesù Cristo, solo Lui. Gesù Cristo che, a volte, ti manda un fratello perché ti parli e ti aiuti. Non nascondere la tua mano quando sei caduto. Non dirgli: Non guardarmi che sto infangato o infangata. Non guardarmi, che ormai non c’è più rimedio. Solamente lasciati afferrare la mano, e afferra quella mano, e la ricchezza che hai dentro, sporca, infangata, data per perduta, comincerà, attraverso la speranza, a dare il suo frutto. Ma sempre con la mano stretta a quella di Gesù Cristo.

Questa è la strada. Non dimenticate: “Nell’arte di ascendere, il successo non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduto”. Non permettetevi di rimanere caduti! Mai! D’accordo? E se vedete un amico o un’amica che ha fatto uno scivolone nella vita ed è caduto, vai e offri la tua mano; ma offrila con dignità: mettiti accanto a lui, accanto a lei, ascolta… Non dire: ti do la ricetta! Non, da amico, con calma, dagli forza con le tue parole, con il tuo ascolto: quella medicina che si sta dimenticando: l’“ascoltoterapia”.

Lascialo parlare, lascia che ti racconti, e allora, a poco a poco, ti allungherà la mano, e tu lo aiuterai nel nome di Gesù Cristo. Ma se vai di colpo, e cominci a fargli la predica, e dai e dai, alla fine, poveretto, lo lasci peggio di come stava… E’ chiaro? Non staccatevi mai dalla mano di Gesù Cristo, non allontanatevi mai da Lui. E se vi allontanate, rialzatevi e andate avanti: Lui capisce cosa sono queste cose. Perché insieme a Gesù Cristo è possibile vivere pienamente, insieme a Lui è possibile credere che vale la pena vivere; che vale la pena dare il meglio di sé, essere fermento, sale e luce tra gli amici, nel quartiere, nella comunità, nella famiglia – dopo, Rosario, parlerò un po’ di quello che tu hai detto sulla famiglia.

Per questo, cari amici, da parte di Gesù vi chiedo di non lasciarvi escludere, non lasciarvi disprezzare, non lasciarvi trattare come merce. Gesù ci ha dato un consiglio per questo, per non lasciarci escludere, per non lasciarci disprezzare, per non lasciarci trattare come una merce: «Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16). Le due virtù insieme. Ai giovani la vivacità non manca; a volte, manca loro la prudenza, per non essere ingenui. Entrambe le cose: prudenti ma semplici, buoni. Certo, per questa strada forse non avrete la macchina ultimo modello, non avrete il portafoglio pieno di soldi, ma avrete qualcosa che nessuno potrà togliervi, cioè l’esperienza di sentirsi amati, abbracciati e accompagnati. E’ il fascino di godere dell’incontro, il fascino di sognare nell’incontro con tutti. E’ l’esperienza di sentirsi famiglia, di sentirsi comunità. E’ l’esperienza di poter guardare il mondo in faccia, a testa alta! Senza la macchina, senza i soldi, ma a testa alta! La dignità!

Tre parole che adesso ripetiamo: ricchezza, perché ci è stata data; speranza, perché vogliamo aprirci alla speranza; dignità. Ripetiamo: ricchezza, speranza e dignità [ripetono]. La ricchezza che Dio ha dato a voi: voi siete la ricchezza del Messico; la speranza che vi dà Gesù Cristo; la dignità che vi dà il non lasciarvi “lisciare il pelo”, ed essere merce per il borsellino di altri.

Oggi il Signore continua a chiamarvi, continua a convocarvi, come fece con l’indio Juan Diego. Vi invita a costruire un santuario. Un santuario che non è un luogo fisico, bensì una comunità, un santuario chiamato parrocchia, un santuario chiamato Nazione. La comunità, la famiglia, il sentirci cittadini è uno dei principali antidoti contro tutto ciò che ci minaccia, perché ci fa sentire parte di questa grande famiglia di Dio. Non per rifugiarci, per chiuderci, per scappare dai pericoli della vita e dalle sfide; anzi, per uscire ad invitare altri, per uscire ad annunciare a tutti che essere giovani in Messico è la più grande ricchezza e pertanto non può essere sacrificata. E perché la ricchezza è capace di avere speranza e ci dà dignità. Un’altra volta le tre parole: ricchezza, speranza e dignità. Ma quella ricchezza che Dio ci ha dato e che dobbiamo far crescere.

Gesù, Colui che ci dà la speranza, mai ci inviterebbe ad essere sicari, ma ci chiama discepoli, ci chiama amici. Gesù mai ci manderebbe a morire, ma tutto in Lui è invito alla vita. Una vita in famiglia, una vita in comunità; una famiglia e una comunità a favore della società. E qui, Rosario, riprendo quello che tu hai detto, una cosa molto bella: “Nella famiglia si impara la vicinanza”. Si impara la solidarietà, si impara a condividere, a discernere, a portare avanti i problemi gli uni degli altri, a litigare e a mettersi d’accordo, a discutere e ad abbracciarsi e a baciarsi. La famiglia è la prima scuola della nazione, e nella famiglia c’è quella ricchezza che voi avete. La famiglia è quella che custodisce questa ricchezza, nella famiglia potete trovare speranza, perché c’è Gesù, e nella famiglia potete avere dignità. Mai, mai mettete da parte la famiglia! La famiglia è la pietra angolare della costruzione di una grande nazione. Voi siete ricchezza, avete speranza e sognate… – anche Rosario ha parlato di sognare –: voi sognate di avere una famiglia? [“Sì”].

Cari fratelli, voi siete la ricchezza di questo Paese, e quando dubitate di questo, guardate Gesù Cristo, che è la speranza, Colui che smentisce tutti i tentativi di rendervi inutili, o meri mercenari di ambizioni altrui.

Vi ringrazio per questo incontro, e vi chiedo di pregare per me. Grazie!

[Alla fine dell’incontro:]

Vi invito a pregare insieme nostra Madre di Guadalupe, e a chiederle che ci renda consapevoli della ricchezza che Dio ci ha dato; che faccia crescere in noi, nel nostro cuore, la speranza in Gesù Cristo; e che camminiamo nella vita con dignità di cristiani.

[Recita dell’Ave Maria e Benedizione]

E per favore non dimenticatevi di pregare per me! Grazie.

 





[Modificato da Caterina63 17/02/2016 17:55]
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

VISITA AL PENITENZIARIO (CERESO N.3) DI CIUDAD JUÁREZ

Mercoledì, 17 febbraio 2016

[Multimedia]









 

Parole (a braccio) al personale e ai sacerdoti della pastorale carceraria

Buongiorno!

Vi ringrazio per la vostra presenza qui, e vi ringrazio per tutto il bene che fate qui. Ed è un bene che non si vede.

Voi vi incontrate con molte fragilità. Per questo ho voluto portare questa immagine [Crocifisso] fatta del materiale più fragile: il cristallo è fragile, si rompe subito. Il Cristo sulla Croce è la più grande fragilità dell’umanità. Tuttavia, con questa fragilità, Lui ci salva, Lui ci aiuta, ci fa andare avanti, ci apre le porte della speranza.

Desidero che ognuno di voi, con la benedizione della Vergine e contemplando la fragilità di Cristo, che si è fatto peccato, si è fatto morte per salvarci, possa seminare semi di speranza e di risurrezione.

“Ave Maria”…

Benedizione

E non dimenticate di pregare per me.


DISCORSO DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

sto concludendo la mia visita in Messico e non potevo partire senza venire a salutarvi, senza celebrare il Giubileo della Misericordia con voi.

Ringrazio di cuore per le parole di saluto che mi avete rivolto, in cui si manifestano tanta speranza e tante aspirazioni, come anche tanti dolori, timori e interrogativi.

Nel mio viaggio in Africa, nella città di Bangui ho potuto aprire la prima Porta della Misericordia per il mondo intero - di questoGiubileo, perché la prima porta della misericordia l’ha aperta Dio nostro Padre con il suo Figlio Gesù. Oggi, insieme a voi e con voi, desidero riaffermare ancora una volta la fiducia alla quale Gesù ci incoraggia: la misericordia che abbraccia tutti e in tutti gli angoli della terra. Non c’è luogo dove la sua misericordia non possa giungere, non c’è spazio né persona che non essa non possa toccare.

Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è ricordare il cammino urgente che dobbiamo intraprendere per rompere i giri viziosi della violenza e della delinquenza. Già abbiamo perso diversi decenni pensando e credendo che tutto si risolve isolando, separando, incarcerando, togliendosi i problemi di torno, credendo che questi mezzi risolvano veramente i problemi. Ci siamo dimenticati di concentrarci su quella che realmente dev’essere la nostra vera preoccupazione: la vita delle persone; la loro vita, quella delle loro famiglie, quella di coloro che pure hanno sofferto a causa di questo giro vizioso della violenza.

La misericordia divina ci ricorda che le carceri sono un sintomo di come stiamo nella società, in molti casi sono un sintomo di silenzi, di omissioni provocate dalla cultura dello scarto. Sono un sintomo di una cultura che ha smesso di scommettere sulla vita; di una società che, poco a poco, è andata abbandonando i suoi figli.

La misericordia ci ricorda che il reinserimento non comincia qui, tra queste pareti, ma che comincia prima, “fuori”, nelle vie della città. Il reinserimento o la riabilitazione comincia creando un sistema che potremmo chiamare di salute sociale, vale a dire, una società che cerchi di non ammalarsi inquinando le relazioni nel quartiere, nelle scuole, nelle piazze, nelle vie, nelle abitazioni, in tutto lo spettro sociale. Un sistema di salute sociale che faccia in modo di generare una cultura che sia efficace e che cerchi di prevenire quelle situazioni, quelle vie che finiscono per ferire e deteriorare il tessuto sociale.

A volte potrebbe sembrare che le carceri si propongano di mettere le persone in condizione di continuare a commettere delitti, più che a promuovere processi di reinserimento che permettano di far fronte ai problemi sociali, psicologici e familiari che hanno portato una persona ad un determinato atteggiamento. Il problema della sicurezza non si risolve solamente incarcerando, ma è un appello a intervenire per affrontare le cause strutturali e culturali dell’insicurezza che colpiscono l’intero tessuto sociale.

La preoccupazione di Gesù per gli affamati, gli assetati, i senza tetto o i detenuti (Mt 25,34-40) intendeva esprimere le viscere di misericordia del Padre, ed essa diventa un imperativo morale per tutta la società che desidera disporre delle condizioni necessarie per una migliore convivenza. Nella capacità di una società di includere i suoi poveri, i suoi malati o i suoi detenuti risiede la possibilità per essi di poter sanare le loro ferite ed essere costruttori di una buona convivenza. Il reinserimento sociale inizia con la frequenza alla scuola di tutti i nostri figli e con un lavoro degno per le loro famiglie, creando spazi pubblici per il tempo libero e la ricreazione, abilitando le istanze di partecipazione civica, i servizi sanitari, l’accesso ai servizi basici, per nominare solamente alcune misure. Qui cominciano tutti i processi di reinserimento.

Celebrare il Giubileo della misericordia con voi significa imparare a non rimanere prigionieri del passato, di ieri. È imparare ad aprire la porta al futuro, al domani: è credere che le cose possano essere differenti. Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è invitarvi ad alzare la testa e a lavorare per ottenere tale desiderato spazio di libertà. Celebrare il Giubileo della misericordia con voi è ripetere quella frase che abbiamo ascoltato poco fa, e che è stata detta con tanta forza: “Quando hanno dato la mia sentenza, qualcuno mi sono detto: Non ti domandare per che motivo sei qui, ma per quale scopo”. E questo “per quale scopo” ci porti avanti; e questo “per quale scopo” ci faccia superare gli inganni sociali che credono che la sicurezza e l’ordine si raggiungono solamente incarcerando.

Sappiamo che non si può tornare indietro, sappiamo che quel che è fatto è fatto; perciò ho voluto celebrare con voi il Giubileo della misericordia, perché sia chiaro che questo non significa che non ci sia una possibilità di scrivere una nuova storia, una nuova storia d’ora in avanti – “per quale scopo” –. Voi soffrite il dolore della caduta - magari tutti noi soffrissimo del dolore della cadute nascoste e occulte! -; sentite il pentimento per i vostri atti e so che in tanti casi, in mezzo a grandi limitazioni, cercate di ricostruire questa vita a partire dalla solitudine. Avete conosciuto la forza del dolore e del peccato; non dimenticatevi che avete a disposizione anche la forza della risurrezione, la forza della misericordia divina che fa nuove tutte le cose. Ora vi può toccare la parte più dura, più difficile, però, perché possa essere quella che generi un più grande frutto, impegnatevi fin da qui dentro a capovolgere le situazioni che generano ulteriore esclusione. Parlate con i vostri cari, raccontate loro la vostra esperienza, aiutate a frenare il giro vizioso della violenza e dell’esclusione. Chi ha sofferto profondamente il dolore e, potremmo dire, “ha sperimentato l’inferno” può diventare un profeta nella società. Lavorate perché questa società che usa e getta la gente non continui a mietere vittime.

Nel dirvi queste cose, mi sono ricordato di quando Gesù ha detto: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra” (cfr Gv 8,7). E io me ne dovrei andare…. Nel dirvi queste cose, non lo faccio come chi lo fa dalla cattedra, con il dito alzato, lo faccio sulla base dell’esperienza delle mie stesse ferite, degli errori, dei peccati, che il Signore ha voluto perdonare e rieducare. Lo faccio sulla base della coscienza che senza la sua grazia e la mia vigilanza potrei tornare a ripeterli. Fratelli, mi chiedo sempre, entrando in un carcere: “Perché loro e non io?”. E questo è un mistero della misericordia divina. Ma questa misericordia divina oggi la stiamo celebrando tutti quanti, guardando avanti nella speranza.

Vorrei anche incoraggiare il personale che lavora in questo Centro o in altri simili: ai dirigenti, agli agenti della Polizia penitenziaria, a tutti quelli che prestano qualche tipo di assistenza in questo Centro. E ringrazio per lo sforzo dei Cappellani, delle persone consacrate, dei laici che si dedicano a mantenere viva la speranza del Vangelo della Misericordia nella prigione, i pastori, tutti coloro che si avvicinano per darvi la Parola di Dio. Tutti voi non dimenticatelo, potete essere segni delle viscere del Padre. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ci diceva la nostra sorella, ricordando la Lettera agli Ebrei: “Sentitevi incarcerati con loro”.

Prima di darvi la benedizione mi piacerebbe che pregassimo un momento in silenzio, tutti insieme. Ciascuno di voi sa quello che dirà al Signore, ciascuno sa di che cosa chiedere perdono. Ma vi chiedo anche che in questa preghiera in silenzio, possiamo allargare il cuore per poter perdonare la società che non ha saputo aiutarci e che tante volte ci ha spinto a commettere errori. Che ciascuno chieda a Dio, dall’intimità del cuore, che ci aiuti a credere nella Sua misericordia. Preghiamo in silenzio.

E apriamo il nostro cuore per ricevere la benedizione del Signore.

Il Signore vi benedica e vi protegga. Vi faccia vedere il suo volto e vi mostri la sua grazia. Scopra il suo volto e vi conceda la pace. Amen.

E vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

INCONTRO CON IL MONDO DEL LAVORO

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Colegio de Bachilleres dello Stato di Chihuahua, Ciudad Juárez
Mercoledì, 17 febbraio 2016

[Multimedia]





 


 

Cari fratelli e sorelle,

ho voluto incontrarvi qui in questa terra di Juárez, per il rapporto speciale che questa città ha con il mondo del lavoro. Vi ringrazio non solo per il saluto di benvenuto e per le vostre testimonianze, che hanno rivelato le ansie, le gioie e le speranze che sperimentate nella vostra vita, ma vorrei anche ringraziarvi per questa opportunità di confronto e di riflessione. Tutto quello che possiamo fare per dialogare, per incontrarci, per trovare migliori alternative e opportunità è già una conquista che merita stima e risalto. Ci sono due parole che voglio sottolineare: “dialogo” e “incontro”. Non stancarsi di dialogare. Le guerre si generano, poco a poco, per il mutismo e per la mancanza di incontro. Ovviamente non è sufficiente dialogare e incontrarsi, ma oggi non possiamo permetterci il lusso di tagliare qualsiasi possibilità di incontro, qualsiasi possibilità di discussione, di confronto, di ricerca. È l’unico modo che abbiamo per poter costruire il domani, per tessere relazioni durature in grado di generare quell’assetto necessario che, poco a poco, ricostruirà i legami sociali logorati dalla mancanza di comunicazione, logorati dalla mancanza di rispetto minimo richiesto da una sana convivenza. Grazie, e che questa istanza serva per costruire futuro, sia una buona opportunità per dare forma al Messico che il suo popolo e i suoi figli meritano.

Vorrei soffermarmi su quest’ultimo aspetto. Oggi qui ci sono diverse organizzazioni di lavoratori e rappresentanti di camere e associazioni imprenditoriali. A prima vista potrebbero essere considerati come antagonisti, ma condividono la stessa responsabilità: cercare di creare opportunità di lavoro dignitoso e veramente utile alla società e soprattutto ai giovani di questa terra. Uno dei più grandi flagelli a cui sono esposti i giovani è la mancanza di opportunità di istruzione e lavoro sostenibile e redditizio che permetta loro di fare progetti; e questo genera in molti casi – tanti casi - situazioni di povertà, di emarginazione. E questa povertà e questa emarginazione sono il terreno più favorevole per cadere nella spirale del narcotraffico e della violenza. E’ un lusso che oggi non ci possiamo permettere; non può essere lasciato solo e abbandonato il presente e il futuro del Messico. E per questo: dialogo, confronto, fonti di lavoro che creino questo cammino costruttivo.

Purtroppo, il tempo in cui viviamo ha imposto il paradigma dell’utilità economica come principio delle relazioni personali. La mentalità dominante – dappertutto - propugna la maggior quantità possibile di profitti, a qualunque costo e in modo  immediato. Non solo provoca la perdita della dimensione etica delle imprese, ma dimentica che il miglior investimento che si può fare è quello di investire sulla gente, sulle persone, sulle famiglie. Il miglior investimento è quello di creare opportunità. La mentalità dominante pone il flusso di persone al servizio dei flussi di capitale provocando in molti casi lo sfruttamento dei dipendenti come oggetti da usare e gettare e scartare. (cfr Enc. Laudato si’, 123) Dio chiederà conto agli schiavisti dei nostri giorni, e noi dobbiamo fare tutto il possibile perché queste situazioni non si verifichino più. Il flusso di capitale non può determinare il flusso e la vita delle persone. Per questo mi è piaciuto questo desiderio che è stato espresso di dialogo e di confronto.

Non sono pochi i casi in cui, di fronte alle proposte della Dottrina Sociale della Chiesa, la si mette in discussione dicendo: “Questi pretendono che siamo organizzazioni di beneficenza o che trasformiamo le nostre aziende in istituzioni filantropiche”. L’abbiamo sentita questa critica.  L’unica pretesa che ha la Dottrina Sociale della Chiesa è quella di porre attenzione all’integrità delle persone e delle strutture sociali. Ogni volta che, per vari motivi, questa è minacciata, o ridotta a un bene di consumo, la Dottrina Sociale della Chiesa sarà una voce profetica che aiuterà tutti a non perdersi nel mare seducente dell’ambizione. Ogniqualvolta l’integrità di una persona viene violata, l’intera società in qualche modo, comincia a deteriorarsi. E questo che dice la Dottrina Sociale della Chiesa non è contro nessuno, ma a vantaggio di tutti. Ogni settore ha l’obbligo di preoccuparsi del bene di tutti; siamo tutti sulla stessa barca. Tutti noi dobbiamo lottare per far sì che il lavoro sia un’istanza di umanizzazione e di futuro; sia uno spazio per costruire società e cittadinanza. Questo atteggiamento non solo crea un immediato miglioramento, ma alla fine si trasforma in una cultura in grado di promuovere spazi degni per tutti. Questa cultura, nata spesso da tensioni, sta generando un nuovo stile di relazioni, un nuovo stile di Nazione.

Che mondo vogliamo lasciare ai nostri figli? Credo che su questo la grande maggioranza possiamo concordare. E’ proprio questo il nostro orizzonte, questo è il nostro obiettivo, e per questo oggi dobbiamo unirci e lavorare. E’ sempre bene pensare che cosa mi piacerebbe lasciare ai miei figli; ed è anche un buon modo per pensare ai figli degli altri. Che cosa vuole lasciare il Messico ai suoi figli? Vuole lasciare un ricordo di sfruttamento, di salari inadeguati, di molestie sul lavoro, o di traffico di lavoro schiavo? O vuole lasciare la cultura della memoria del lavoro dignitoso, di un tetto decoroso e della terra per lavorare? Le tre “t”: lavoro, tetto e terra. In che cultura vogliamo vedere la nascita di quelli che ci seguiranno? Che atmosfera respireranno? Un’aria viziata dalla corruzione, dalla violenza, dall’insicurezza e dalla sfiducia o, al contrario, un’aria in grado di generare – è la parole-chiave – alternative, generare  rinnovamento e cambiamento? Generare è essere co-creatori con Dio. Chiaramente, questo costa, costa.

So che il progetto non è facile, ma so che è peggio lasciare il futuro nelle mani della corruzione, della brutalità, della mancanza di equità. So che tante volte non è facile portare tutte le parti ad una trattativa, ma so che è peggio e si finisce per fare più danni con la mancanza di trattative e la mancanza di valutazione. Mi diceva un anziano dirigente operaio, onestissimo, che è morto con quello che guadagnava, mai si è approfittato: “Ogni volta che dovevamo sederci a un tavolo di negoziati, io sapevo che dovevo perdere qualcosa, affinché tutti vincessimo”. Bella la filosofia di questo uomo di lavoro! Quando si negozia, sempre si perde qualcosa: ma vincono tutti! So che non è facile  poter andar d’accordo in un mondo sempre più competitivo, ma è peggio lasciare che il mondo competitivo determini il destino dei popoli. Schiavi. Il guadagno e il capitale non sono beni al di sopra dell’uomo, ma sono al servizio del bene comune. E quando il bene comune è piegato al servizio del profitto e il capitale è l’unico guadagno possibile, questo ha un nome: si chiama esclusione.  E così si va consolidando la cultura dello scarto: scartato!, escluso!

Ho iniziato ringraziandovi per l’opportunità di stare insieme.  Ieri un giovane nello stadio di Morelia, che ha dato la sua testimonianza, ha detto: “Questo mondo ci fa perdere la capacità di sognare”. Ed è vero! A volte ci fa perdere la capacità di sognare, la capacità della gratuità… Quando un bambino o una bambina vede il papà e/o la mamma solamente nel fine settimana, perché vanno a lavorare prima che si svegli e tornano che già sta dormendo, questa è cultura dello scarto. Voglio invitarvi a sognare, a sognare un Messico in cui un papà abbia il tempo per giocare con i propri figli, in cui la mamma abbia il tempo per giocare con i propri figli. E questo lo si può conquistare dialogando, confrontandosi, negoziando, perdendo affinché guadagnino tutti! Vi invito a sognare il Messico che i vostri figli meritano; un Messico dove non ci siano persone di prima, seconda o quarta categoria, ma un Messico che sappia riconoscere nell’altro la dignità di figlio di Dio. E che la Guadalupana, che si è manifestata a Juan Diego, e ha rivelato che quelli apparentemente messi da parte erano i suoi testimoni privilegiati, vi aiuti  tutti - qualunque professione abbiate, qualunque lavoro abbiate, tutti! - in questo compito di dialogo, confronto e incontro. Grazie!

   


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

SANTA MESSA

OMELIA DEL SANTO PADRE

Area fieristica di Ciudad Juárez
Mercoledì, 17 febbraio 
2016

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La gloria di Dio è la vita dell’uomo: così diceva sant’Ireneo nel II secolo, espressione che continua a risuonare nel cuore della Chiesa. La gloria del Padre è la vita dei suoi figli. Non c’è gloria più grande per un padre che vedere la realizzazione dei suoi; non c’è soddisfazione maggiore che vederli andare avanti, vederli crescere e svilupparsi. Lo attesta la prima Lettura che abbiamo ascoltato. Ninive: una grande città che si stava autodistruggendo, frutto dell’oppressione e della degradazione, della violenza e dell’ingiustizia. La grande capitale aveva i giorni contati, poiché non era sostenibile la violenza generata in sé stessa. E lì entra in scena il Signore muovendo il cuore di Giona, entra in scena il Padre invitando e inviando il suo messaggero. Giona viene chiamato per ricevere una missione. Va’, gli dice, perché «ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gn 3,4). Va’, aiutali a comprendere che con questo modo di comportarsi, di regolarsi, di organizzarsi stanno generando solo morte e distruzione, sofferenza e oppressione. Fa’ vedere loro che non c’è vita per nessuno, né per il re né per il suddito, né per i campi né per il bestiame. Va’ e annuncia che si sono talmente abituati al degrado che hanno perso la sensibilità di fronte al dolore. Va’ e di’ loro che l’ingiustizia ha preso possesso del loro sguardo. Per questo Giona parte! Dio lo invia a mettere in luce ciò che stava succedendo, lo invia a risvegliare un popolo ubriaco di sé stesso.

E in questo testo, ci troviamo di fronte al mistero della misericordia divina. La misericordia scaccia sempre la malvagità, prendendo molto sul serio l’essere umano. Fa sempre appello alla bontà di ogni persona, anche se è addormentata, anestetizzata. Lungi dall’annientare, come molte volte pretendiamo o vogliamo fare noi, la misericordia si avvicina ad ogni situazione per trasformarla dall’interno.

Questo è propriamente il mistero della misericordia divina. Si avvicina e invita alla conversione, invita al pentimento; invita a vedere il danno che a tutti i livelli si sta causando. La misericordia entra sempre nel male per trasformarlo. Mistero di Dio nostro Padre: manda il suo Figlio, che entra nel male, si fa peccato per trasformare il male. Questa è la sua misericordia.

Il re ascoltò, gli abitanti della città reagirono e si decretò il pentimento. La misericordia di Dio entrò nel cuore rivelando e manifestando ciò che è la nostra certezza e la nostra speranza: c’è sempre la possibilità di cambiare, siamo in tempo per reagire e trasformare, modificare e cambiare, convertire quello che ci sta distruggendo come popolo, che ci sta degradando come umanità. La misericordia ci incoraggia a guardare il presente e avere fiducia in ciò che di sano e di buono è nascosto in ogni cuore. La misericordia di Dio è nostro scudo e nostra fortezza.

Giona aiutò a vedere, aiuta a prendere coscienza. Subito dopo, la sua chiamata trova uomini e donne capaci di pentirsi, capaci di piangere. Piangere per l’ingiustizia, piangere per il degrado, piangere per l’oppressione. Sono le lacrime che possono aprire la strada alla trasformazione; sono le lacrime che possono ammorbidire il cuore, sono le lacrime che possono purificare lo sguardo e aiutare a vedere la spirale di peccato in cui molte volte si sta immersi. Sono le lacrime che riescono a sensibilizzare lo sguardo e l’atteggiamento indurito e specialmente addormentato davanti alla sofferenza degli altri. Sono le lacrime che possono generare una rottura capace di aprirci alla conversione. Così accadde a Pietro dopo aver rinnegato Gesù: pianse, e le lacrime gli aprirono il cuore.

Questa parola risuoni con forza oggi in mezzo a noi; questa parola è la voce che grida nel deserto e ci invita alla conversione. In questo anno della misericordia, voglio con voi, in questo luogo implorare la misericordia divina, voglio chiedere con voi il dono delle lacrime, il dono della conversione.

Qui a Ciudad Juárez, come in altre zone di frontiera, si concentrano migliaia di migranti dell’America Centrale e di altri Paesi, senza dimenticare tanti messicani che pure cercano di passare “dall’altra parte”. Un passaggio, un cammino carico di terribili ingiustizie: schiavizzati, sequestrati, soggetti ad estorsione, molti nostri fratelli sono oggetto di commercio del traffico umano, della tratta di persone.

Non possiamo negare la crisi umanitaria che negli ultimi anni ha significato la migrazione di migliaia di persone, sia in treno, sia in autostrada, sia anche a piedi attraversando centinaia di chilometri per montagne, deserti, strade inospitali. Questa tragedia umana che la migrazione forzata rappresenta, al giorno d’oggi è un fenomeno globale. Questa crisi, che si può misurare in cifre, noi vogliamo misurarla con nomi, storie, famiglie. Sono fratelli e sorelle che partono spinti dalla povertà e dalla violenza, dal narcotraffico e dal crimine organizzato. A fronte di tanti vuoti legali, si tende una rete che cattura e distrugge sempre i più poveri. Non solo soffrono la povertà, ma devono anche patire tutte queste forme di violenza. Ingiustizia che si radicalizza nei giovani: loro, come carne da macello, sono perseguitati e minacciati quando tentano di uscire dalla spirale della violenza e dall’inferno delle droghe. E che dire di tante donne alle quali hanno strappato ingiustamente la vita?

Chiediamo al nostro Dio il dono della conversione, il dono delle lacrime; chiediamogli che possiamo avere il cuore aperto come i Niniviti al suo appello nel volto sofferente di tanti uomini e donne. Mai più morte e sfruttamento! C’è sempre tempo per cambiare, c’è sempre una via d’uscita e c’è sempre un’opportunità, c’è sempre tempo per implorare la misericordia del Padre.

Come accadde al tempo di Giona, anche oggi scommettiamo sulla conversione; ci sono segni che diventano luce nel cammino e annuncio di salvezza. So del lavoro di tante organizzazioni della società civile in favore dei diritti dei migranti. So anche del lavoro impegnato di tante sorelle religiose, di religiosi e sacerdoti, di laici che si spendono nell’accompagnamento e nella difesa della vita. Danno aiuto in prima linea rischiando molte volte la propria. Con la loro vita sono profeti di misericordia, sono il cuore comprensivo e i piedi accompagnatori della Chiesa che apre le sue braccia e sostiene.

E’ tempo di conversione, è tempo di salvezza, è tempo di misericordia. Perciò diciamo, insieme con la sofferenza di tanti volti: “per la tua immensa compassione e misericordia, Signore, abbi pietà di noi… purificaci dai nostri peccati e crea in noi un cuore puro, uno spirito nuovo” (cfr Sal 50/51,3.4.12).

E in questo momento desidero anche salutare da qui i nostri cari fratelli e sorelle che ci accompagnano simultaneamente dall’altra parte della frontiera. Specialmente quelli che si sono radunati nell’stadio dell’Università di El Paso, conosciuto come il “Sun Bowl”, sotto la guida del loro Vescovo, Mons. Mark Seitz. Grazie all’aiuto della tecnologia, possiamo pregare, cantare e celebrare insieme l’amore misericordioso che il Signore ci dà, e che nessuna frontiera potrà impedirci di condividere. Grazie, fratelli e sorelle di El Paso, perché ci fate sentire una sola famiglia e una stessa comunità cristiana.

 











[Modificato da Caterina63 18/02/2016 14:35]
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

SALUTO DI PAPA FRANCESCO
AL TERMINE DELLA SANTA MESSA A CIUDAD JUÁREZ

Area fieristica di Ciudad Juárez
Mercoledì, 17 febbraio 
2016

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Caro fratello Vescovo di Ciudad Juárez, José Guadalupe Torres Campos,
Cari fratelli nell’Episcopato,
Autorità,
Signore e Signori,
cari amici,

Tante grazie, Eccellenza, per le sue sentite parole. E’ il momento di ringraziare Nostro Signore per avermi permesso questa visita in Messico, visita che sempre sorprende, il Messico è una sorpresa!

Non vorrei partire senza ringraziare per lo sforzo di quanti hanno reso possibile questo pellegrinaggio. Ringrazio tutte le Autorità federali e locali, l’interessamento e il sollecito aiuto con cui hanno contribuito al buon svolgimento di questo evento. Al tempo stesso vorrei ringraziare di cuore coloro che hanno collaborato in diversi modi a questa visita pastorale. A tanti servitori anonimi che nel silenzio hanno dato il meglio di sé perché questi giorni fossero una festa di famiglia: grazie! Mi sono sentito accolto, ricevuto dall’affetto, la festa, la speranza di questa grande famiglia messicana: grazie di avermi aperto le porte della vostra vita, della vostra Nazione.

Lo scrittore messicano Octavio Paz dice nella sua poesia “Fraternità”:

«Sono uomo: duro poco ed enorme è la notte.
Ma guardo in alto: le stelle scrivono.
Senza capire comprendo: anch’io sono scrittura
e in questo stesso istante qualcuno mi sta decifrando»
(Un sol más vivo. Antología poética, México 2014, p. 268).

Usando queste belle parole, oso suggerire che quello che ci decifra e ci traccia la via è la presenza misteriosa ma reale di Dio nella carne concreta di tutte le persone, specialmente delle più povere e bisognose del Messico. La notte ci può sembrare enorme e molto oscura, ma in questi giorni ho potuto constatare che in questo popolo esistono tante luci che annunciano speranza; ho potuto vedere in molte delle vostre testimonianze, nei vostri volti, la presenza di Dio che continua a camminare in questa terra guidandovi e sostenendo la speranza; molti uomini e donne, con il loro sforzo di ogni giorno, rendono possibile che questa società messicana non rimanga al buio. Molti uomini e donne lungo le strade, mentre passavo, alzavano i loro figli, me li mostravano: sono il futuro del Messico, abbiamone cura, amiamoli! Quei bambini sono profeti del domani, sono segno di un’alba nuova. E vi assicuro che là, in qualche momento, mi veniva quasi da piangere al vedere tanta speranza in un popolo tanto sofferente.

Che Maria, la Madre di Guadalupe, continui a visitarvi, continui a camminare per queste terre – il Messico non si capisce senza di Lei –, continui ad aiutarvi ad essere missionari e testimoni di misericordia e di riconciliazione.

Di nuovo, tante grazie per questa così calda ospitalità messicana!






Papa a gesuiti messicani: lavorate per la dignità di chi soffre

Francesco con i gesuiti messicani alla nunziatura apostolica di Città del Messico - RV

Francesco con i gesuiti messicani alla nunziatura apostolica di Città del Messico - RV

19/02/2016 

La Compagnia di Gesù in Messico ha pubblicato un breve videomessaggio di Papa Francesco rivolto ai gesuiti messicani. Il Pontefice chiede ai suoi confratelli di lavorare senza sosta per la dignità delle persone, in particolare per quelli che soffrono. Quindi sottolinea l’importanza della gioventù messicana e del suo patrimonio spirituale. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Un saluto da fratello”. Papa Francesco ha colto l’occasione della visita privata alla nunziatura di Città del Messico, da parte di sei gesuiti – all’inizio del viaggio apostolico – per inviare un breve messaggio alla Compagnia di Gesù del Paese. Un video che è stato pubblicato ieri sul canale YouTube Vocaciones Jesuitas del Messico:

“Sigan trabajando por la dignidad…”
“Continuate a lavorare per la dignità, la dignità di Gesù che è in ogni donna e uomo del Messico”, è l’esortazione rivolta da Francesco ai suoi confratelli. “Il Messico – rileva – ha un volto giovane”. E ancora esorta i gesuiti messicani a “continuare a lavorare per questa dignità di Gesù” affinché “non finisca negoziata sulla Croce così che vivano meglio quelli che lo crocifiggono”.

“Mexico sufre, pero Mexico es grande…”
“Il Messico soffre – constata con amarezza – però il Messico è grande, ha cose bellissime, ha una ricchezza impressionante, una storia originale, quasi unica nell’America Latina”. E’ questa, per Francesco, la forza inestimabile dei messicani. Francesco assicura infine le sue preghiere e chiede ai gesuiti di lavorare per la Causa del  Beato martire Miguel Augustin Pro, gesuita di Guadalupe, Proprio in occasione del breve colloquio, i gesuiti messicani hanno donato al Papa le reliquie del martire ucciso nel 1927 durante le persecuzioni anticattoliche perpetrate dal regime anticlericale di Plutarco Elías Calles.








[Modificato da Caterina63 19/02/2016 21:07]
Fraternamente CaterinaLD

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18/02/2016 23:54
 
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN MESSICO 

(12-18 FEBBRAIO 2016)

CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE
DURANTE IL VOLO DI RITORNO DAL MESSICO

Volo Papale
Mercoledì, 17 febbraio 2016

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(Padre Lombardi)

Santo Padre, grazie per essere qui, come al termine di ogni viaggio, per la conversazione di sintesi, un grande sguardo sul viaggio avvenuto, e la Sua disponibilità a rispondere a tante domande della nostra comunità internazionale. Abbiamo come al solito chiesto ai diversi gruppi linguistici di organizzarsi e presentare alcune domande, ma cominciamo con i colleghi del Messico, naturalmente. Allora, Le chiediamo di rispondere in spagnolo ai primi due, e poi dopo in italiano, perché diversi dei colleghi capiscono meglio.

Allora, la prima persona che ci fa una domanda è Maria Eugenia Jimenez Caliz di “Milenio”, che è un importante giornale messicano:

(Maria Eugenia Jimenez – “Milenio”)

Santo Padre, in Messico ci sono migliaia di desaparecidos, però il caso dei 43 di Ayotzinapa è un caso emblematico. Vorrei chiederLe perché non ha incontrato i loro familiari, ed anche un messaggio per i familiari delle migliaia di desaparecidos…

(Papa Francesco)

In realtà, se Lei legge i messaggi, ci sono riferimenti continui agli assassinati, alle morti, alla vita presa da tutte queste bande del narcotraffico, dei trafficanti di esseri umani. Cioè che di questi problemi ho parlato come di una delle piaghe di cui sta soffrendo il Messico. C’è stato qualche tentativo di ricevere delle persone; ed erano tanti gruppi, anche opposti tra di loro, con lotte interne. Allora io ho preferito dire che nella Messa li avrei visti tutti, nella Messa di Juarez se preferivano, o in un’altra, ma ero aperto a questa disponibilità. Era praticamente impossibile ricevere tutti i gruppi, che, d’altra parte, erano anche opposti tra di loro. E’ una situazione difficile da capire, per me, chiaramente, che sono straniero. Ma credo che pure la società messicana sia vittima di tutto questo: dei crimini, di questo far sparire la gente, scartare la gente. Ne ho parlato nei discorsi in cui ho potuto, e Lei lo può constatare. E’ un dolore che mi porto molto grande, perché questo popolo non merita un dramma come questo.

(Padre Lombardi)

Grazie. E adesso passiamo la parola a Javier Solorzano di “Canal 11”: 

(Javier Solorzano – “Canal 11”)

Molte Grazie. Papa Francesco, molte grazie. Il tema della pedofilia, come sa, in Messico ha radici molto pericolose, molto dolorose. Il caso di padre Maciel ha lasciato forti segni, soprattutto nelle vittime. Le vittime continuano a sentirsi non protette dalla Chiesa; molti di loro continuano ad essere uomini di fede, e alcuni addirittura hanno seguito il sacerdozio. Le domando cosa pensa di questo tema, se in qualche momento ha pensato di incontrare le vittime e, in generale, questa idea che ai sacerdoti, quando arrivano ad essere scoperti per un caso di questa natura, quello che si fa è cambiare loro la parrocchia e niente più. Come vede questo tema? E molte grazie.

(Papa Francesco)

Bene, comincio dal secondo. Un vescovo che cambia la parrocchia ad un sacerdote, quando si verifica un caso di pedofilia, è un incosciente, e la cosa migliore che possa fare è presentare la rinuncia. Chiaro? Secondo, andando indietro, caso Maciel. E qui mi permetto di rendere un omaggio all’uomo che ha lottato in un momento in cui non aveva forza per imporsi, finché è riuscito ad imporsi: Ratzinger. Il Cardinale Ratzinger – un applauso per lui! – è un uomo che ha avuto tutta la documentazione. Quando era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede ha avuto tutto nelle sue mani, ha fatto le indagini e è andato avanti, avanti, avanti… ma non è potuto andare più in là nell’esecuzione. Ma se voi ricordate, dieci giorni prima che morisse san Giovanni Paolo II, quella Via Crucis del Venerdì Santo, disse a tutta la Chiesa che bisognava pulire le “sporcizie” della Chiesa. E nella Messa Pro Eligendo Pontifice – non è uno sciocco, lui sapeva di essere un candidato – non gli importò di mascherare la suo posizione, disse esattamente la stessa cosa. Vale a dire, è stato l’uomo coraggioso che ha aiutato tanti ad aprire questa porta. Così che voglio ricordarvelo, perché a volte ci dimentichiamo di questi lavori nascosti che sono stati quelli che hanno preparato le basi per scoperchiare la pentola. Terzo, stiamo lavorando abbastanza. Con il Cardinale Segretario di Stato, parlando, ed anche con il gruppo dei nuovi Cardinali consiglieri, dopo aver ascoltato, ho deciso di nominare un terzo Segretario aggiunto alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che si occupi solamente di questi casi, perché la Congregazione non può farcela con tutto quello che ha da fare, e dunque uno che sappia gestire questo. Inoltre, è stato costituito il Tribunale d’Appello, presieduto da Mons. Scicluna, che si sta occupando dei casi di seconda istanza, quando si fa ricorso; la prima istanza, infatti, la esamina la “feria quarta” – come la chiamiamo, perché si riunisce il mercoledì – della Congregazione per la Dottrina della Fede. Quando c’è il ricorso si torna alla prima istanza, e questo non è giusto. Quindi, il secondo ricorso, già con un profilo legale, con l‘avvocato difensore. Però bisogna appurare perché siamo abbastanza in ritardo nei casi, perché si presentano casi. Terzo, un’altra realtà che sta lavorando molto bene è la Commissione per la tutela dei minori. Non è strettamente riservata ai casi di pedofilia, ma di tutela dei minori. In quella sede mi sono incontrato per una mattina intera con sei di loro – due tedeschi, due irlandesi e due inglesi – uomini e donne, abusati, vittime. E mi sono incontrato con le vittime anche a Filadelfia. Anche lì una mattina ho avuto un incontro con le vittime. Insomma, si sta lavorando. Però io ringrazio Dio che si sia scoperchiata questa pentola, e bisogna continuare a scoperchiarla, e prendere coscienza. E, infine, voglio dire che è una mostruosità, perché un sacerdote viene consacrato per portare un bambino a Dio, e lì se lo “mangia” in un sacrificio diabolico, lo distrugge. Poi, per quanto riguarda Maciel, tornando alla Congregazione, è stato fatto tutto un intervento, e oggi la Congregazione, il governo della Congregazione è semi-commissariato, ossia, il Superiore generale è eletto dal Consiglio, dal Capitolo Generale, però il Vicario lo elegge il Papa. Due consiglieri generali sono eletti dal Capitolo Generale e altri due li elegge il Papa, in modo tale che li aiutiamo a revisionare dei vecchi conti.

(Padre Lombardi)

Grazie.

(Papa Francesco)

Chi non ha capito, chieda a uno spagnolo che gli spieghi le cose che ho detto …

(Padre Lombardi)

Allora, adesso diamo la parola a Phil Pulella della “Reuters”, che tutti i nostri conoscono molto bene.

(Phil Pulella, “Reuters”)

Buona sera, Santità. Lei oggi ha parlato molto eloquentemente dei problemi degli immigrati. Dall’altra parte della frontiera, comunque, c’è una campagna elettorale abbastanza dura. Uno dei candidati alla Casa Bianca, il repubblicano Donald Trump, in un’intervista recentemente ha detto che Lei è un uomo politico e addirittura ha detto che forse Lei è anche una pedina, uno strumento del governo messicano per la politica di immigrazione. Lui ha dichiarato che, se eletto, vuole costruire 2.500 km di muro lungo la frontiera; vuole deportare 11 milioni di immigrati illegali, separando così le famiglie, eccetera.  Allora, vorrei chiedere prima di tutto che cosa pensa di queste accuse contro di Lei e se un cattolico americano può votare per una persona del genere.

(Papa Francesco)

Ma, grazie a Dio che ha detto che io sono politico, perché Aristotele definisce la persona umana come “animal politicus”: almeno sono persona umana! E che sono una pedina… mah, forse, non so… lo lascio al giudizio vostro, della gente… E poi, una persona che pensa soltanto a fare muri, sia dove sia, e non a fare ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo. Poi, quello che mi diceva, cosa consiglierei, votare o non votare: non mi immischio. Soltanto dico: se dice queste cose, quest’uomo non è cristiano. Bisogna vedere se lui ha detto queste cose. E per questo do il beneficio del dubbio.

(Padre Lombardi)

Grazie mille. E adesso diamo la parola a Jean-Louis de la Vaissière, della “France Presse”: rappresenta il gruppo francese.

(Jean-Louis de la Vaissière, “France Presse”)

L’incontro con il Patriarca russo Kirill e la firma di una Dichiarazione comune è stato salutato nel mondo intero come un passo storico. Ma adesso, già oggi, in Ucraina i greco-cattolici si sentono traditi e parlano di un “documento politico”, di appoggio alla politica russa. Sul terreno, la guerra delle parole si è accesa di nuovo. Lei pensa di potere andare a Mosca? E’ stato invitato dal Patriarca? O di andare forse a Creta per salutare il Concilio panortodosso, in primavera?

(Papa Francesco)

Incomincio dalla fine. Io sarò presente, spiritualmente e con un messaggio. Mi piacerebbe andare a salutarli nel Concilio panortodosso: sono fratelli; ma devo rispettare. Ma so che loro vogliono invitare osservatori cattolici, e questo è un bel ponte. E dietro gli osservatori cattolici ci sarò io, pregando con i migliori auguri affinché gli ortodossi vadano avanti, avanti, perché sono fratelli e i loro vescovi sono vescovi come noi. Poi, Kirill. Il mio fratello. Ci siamo baciati, abbracciati, e poi un colloquio di un’ora…

(Padre Lombardi)

… due ore!

(Papa Francesco)

… due ore! Due ore, nelle quali abbiamo parlato come fratelli, sinceramente, e nessuno sa di che cosa si sia parlato, soltanto ciò che abbiamo detto alla fine, pubblicamente, riguardo a quello che abbiamo provato nel colloquio. Terzo: quell’articolo, quelle dichiarazioni in Ucraina. Quando io ho letto questo, mi sono un po’ preoccupato, perché era piuttosto Svjatoslav Ševčuk che avrebbe detto che il popolo ucraino, o alcuni ucraini, o tanti ucraini si sentono profondamente delusi e traditi. Prima di tutto, io conosco bene Svjatoslav: a Buenos Aires, per quattro anni abbiamo lavorato insieme. Quando lui è stato eletto – a 42 anni, un brav’uomo! – è stato eletto Arcivescovo Maggiore, è tornato a Buenos Aires per prendere le sue cose. E’ venuto da me e mi ha regalato un’icona – piccola così – della Madonna della Tenerezza e mi ha detto: “Questa mi ha accompagnato per tutta la vita: voglio lasciarla a te, che mi hai accompagnato in questi quattro anni”. E’ una delle poche cose che mi sono fatto portare da Buenos Aires e la tengo sulla mia scrivania. E’ un uomo per il quale ho rispetto e anche familiarità, ci diamo del “tu”, e per questo mi è sembrato un po’ strano. E ho ricordato una cosa che ho detto a voi: per capire una notizia, una dichiarazione, bisogna cercare l’ermeneutica di tutto. Quando ha detto questo? E’ stato detto in una dichiarazione del 14 febbraio scorso, domenica, domenica scorsa. Un’intervista che ha fatto, presa dal padre… non ricordo, un sacerdote ucraino; in Ucraina, presa, e pubblicata. Quella notizia - l’intervista è di due pagine e un po’, più o meno - quella notizia è nel terz’ultimo paragrafo, così piccolo. Ho letto l’intervista, e dirò questo: Ševčuk - è la parte dogmatica - si dichiara figlio della Chiesa, in comunione con il Vescovo di Roma, con la Chiesa; parla del Papa, della vicinanza del Papa, e di lui, della sua fede, e anche della fede del popolo ortodosso. Nella parte dogmatica nessuna difficoltà, è ortodossa nel senso buono della parola, cioè dottrina cattolica. Poi, come in ogni intervista – questa, per esempio – ognuno ha il diritto di dire le sue cose, e questo non lo ha fatto riguardo all’incontro, perché dell’incontro dice: “E’ una cosa buona e dobbiamo andare avanti”. In questo secondo capitolo, le idee personali che una persona ha. Per esempio, questo che io ho detto sui vescovi che spostano i preti pedofili, che il meglio che possono fare è dimettersi, è una cosa…  non è dogmatica, ma è quello che io penso. E così lui ha le sue idee personali che sono per dialogare, e ha diritto ad averne. Tutto quello che dice lui è sul documento: quello è il problema. Sul fatto dell’incontro dice: “Questo è il Signore, lo Spirito che va avanti, l’abbraccio…”: tutto va bene. Il Documento? E’ un documento discutibile. E c’è un’altra cosa da aggiungere: che l’Ucraina è in un momento di guerra, di sofferenza, con tante interpretazioni. Io ho nominato il popolo ucraino chiedendo preghiere e vicinanza tante volte, sia negli Angelus sia nelle Udienze del mercoledì.  Ma il fatto storico di una guerra… ognuno ha la sua idea: come è questa guerra? chi l’ha incominciata? come si fa? come non si fa?… E’ evidente che questo è un problema storico, ma anche un problema esistenziale di quel Paese, e parla della sofferenza. E in questo contesto, io inserisco questo paragrafo, e si capisce quello che dicono i fedeli… Perché Svjatoslav dice: “Tanti fedeli mi hanno chiamato o scritto dicendo che sono profondamente delusi e traditi da Roma”. Si capisce che un popolo in quella situazione senta questo. Il Documento è opinabile su questa questione dell’Ucraina, ma lì si dice che si fermi la guerra e che si vada ad accordi; anche io personalmente ho auspicato che gli Accordi di Minsk vadano avanti, e non si cancelli con il gomito quello che è stato scritto con le mani. La Chiesa di Roma, il Papa ha sempre detto: “Cercate la pace”. Ho ricevuto entrambi i Presidenti . E per questo, quando lui dice che ha sentito questo dal suo popolo, io lo capisco, lo capisco. Ma non è “la” notizia. La notizia è tutto. Se voi leggete tutta l’intervista, vedete che ci sono cose dogmatiche serie, che rimangono, c’è un desiderio di unità, di andare avanti, ecumenico – lui è un uomo ecumenico… E ci sono alcune opinioni… Lui mi ha scritto, quando si è saputo del viaggio, dell’incontro, ma come un fratello, dando le sue opinioni di fratello… A me non dispiace il Documento, così; non dispiace nel senso che dobbiamo rispettare le cose che ognuno ha la libertà di pensare e in quella situazione tanto difficile. E da Roma… Adesso il Nunzio è sulla frontiera dove si combatte, aiutando i soldati, i feriti; la Chiesa di Roma ha inviato tanto aiuto, tanto aiuto lì. E sempre cercare la pace, gli accordi; si rispetti l’Accordo di Minsk…. Questo è l’insieme. Ma non bisogna spaventarsi per quella frase: questa è una lezione, che una notizia la si deve interpretare con l’ermeneutica del tutto, non della parte.

(Jean-Louis de la Vaissière)

Il Patriarca Kirill L’ha invitata a Mosca, ad andare una volta ?

(Papa Francesco)

Il Patriarca Kirill… Io preferirei… perché se dico una cosa devo dirne un’altra e un’altra e un’altra. Preferirei che quello di cui abbiamo parlato noi, da soli, sia soltanto quello che abbiamo detto in pubblico. Questo è un dato. E se dico questo, dovrei dire altro… no! Quello che io ho detto in pubblico, quello che lui ha detto in pubblico, questo è ciò che si può dire del colloquio privato. Altrimenti non sarebbe privato. Ma posso dirLe: io sono uscito felice. E anche lui.

(Padre Lombardi)

Grazie mille di questa ampia risposta su un tema fondamentale. Adesso diamo la parola a Carlo Marroni, che rappresenta il gruppo italiano, e che è inviato de “Il Sole 24 Ore”.

(Carlo Marroni, “Il Sole 24 Ore”)

Santo Padre, la mia domanda è sulla famiglia, tema che Lei ha affrontato in questo viaggio. Nel Parlamento italiano è in discussione la legge sulle unioni civili, tema che sta portando a forti scontri in politica, ma anche a un forte dibattito nella società e fra i cattolici. In particolare, volevo sapere il Suo pensiero sul tema delle adozioni da parte delle unioni civili, e quindi sui diritti dei bambini e dei figli in generale. Grazie.

(Papa Francesco)

Prima di tutto, io non so come stanno le cose nel Parlamento italiano. Il Papa non si immischia nella politica italiana. Nella prima riunione che ho avuto con i Vescovi [italiani], nel maggio2013, una delle tre cose che ho detto: “Con il governo italiano, arrangiatevi voi”. Perché il Papa è per tutti, e non può mettersi nella politica concreta, interna di un Paese: questo non è il ruolo del Papa. E quello che penso io è quello che pensa la Chiesa, e che ha detto in tante occasioni. Perché questo non è il primo Paese che fa questa esperienza: sono tanti. Io penso quello che la Chiesa sempre ha detto.

(Padre Lombardi)

Grazie. E allora, adesso diamo la parola a Paloma Garcia Ovejero, della “Cope”, spagnola, come Lei ben sa.

(Paloma Garcia Ovejero, “Cope”)

Santo Padre, da qualche settimana c’è molta preoccupazione in parecchi Paesi latinoamericani, ma anche in Europa, per il virus “Zika”. Il rischio più grande sarebbe per le donne in gravidanza: c’è angoscia. Alcune autorità hanno proposto l’aborto, oppure di evitare la gravidanza. In questo caso, la Chiesa può prendere in considerazione il concetto di “male minore”?

(Papa Francesco)

L’aborto non è un “male minore”. E’ un crimine. E’ fare fuori uno per salvare un altro. E’ quello che fa la mafia. E’ un crimine, è un male assoluto. Riguardo al “male minore”: evitare la gravidanza è un caso – parliamo in termini di conflitto tra il quinto e il sesto comandamento. Paolo VI - il grande! - in una situazione difficile, in Africa, ha permesso alle suore di usare gli anticoncezionali per i casi di violenza. Non bisogna confondere il male di evitare la gravidanza, da solo, con l’aborto. L’aborto non è un problema teologico: è un problema umano, è un problema medico. Si uccide una persona per salvarne un'altra – nel migliore dei casi – o per passarsela bene. E’ contro il Giuramento di Ippocrate che i medici devono fare. E’ un male in sé stesso, ma non è un male religioso, all’inizio, no, è un male umano. Ed evidentemente, siccome è un male umano – come ogni uccisione – è condannato. Invece, evitare la gravidanza non è un male assoluto, e in certi casi, come in quello che ho menzionato del Beato Paolo VI, era chiaro. Inoltre, io esorterei i medici che facciano di tutto per trovare i vaccini contro queste due zanzare che portano questo male: su questo si deve lavorare… Grazie.

(Padre Lombardi)

Grazie. Adesso, allora, chiamiamo a intervenire Ludwig Ring-Eifel, che è dell’agenzia cattolica tedesca di informazione “Kna”:

(Ludwig Ring-Eifel, “Kna”)

Santità, tra poche settimane Lei riceverà il Premio Carlo Magno, uno dei premi più prestigiosi della Comunità Europea. Anche il Suo predecessore, san Giovanni Paolo II, ha ricevuto questo premio: ci teneva molto. E ci teneva molto anche all’unità europea, che adesso sembra stia andando un po’ in pezzi, prima con la crisi dell’euro e adesso con la crisi dei rifugiati. Lei forse ha una parola per noi, in questa situazione di crisi europea? Grazie.

(Papa Francesco)

Primo, sul Premio Carlo Magno. Io avevo l’abitudine di non accettare onorificenze o dottorati; da sempre, non per umiltà, ma perché non mi piacciono queste cose. Un po’ di pazzia è bene averla, e non mi piace. Ma in questo caso, sono stato non dico “forzato”, ma “convinto” con la santa e teologica testardaggine del Cardinale Kasper, che è stato scelto da Aachen per convincermi! E io ho detto: “Sì, ma in Vaticano”. Ho detto questo; e lo offro per l’Europa: che sia una con-decorazione, un premio perché l’Europa possa fare quello che ho auspicato a Strasburgo: perché possa essere non la “nonna-Europa” ma la “mamma-Europa”. Secondo. L’altro giorno, leggendo le notizie su queste crisi - io leggo poco, sfoglio soltanto un giornale (non dico il nome per non suscitare gelosia, ma si sa),  quindici minuti guardo, e poi mi faccio informare dalla Segreteria di Stato – una parola che mi è piaciuta, mi è piaciuta – non so chi l’approvi e chi no – è “la rifondazione dell’Unione Europea”. E ho pensato ai grandi Padri… Ma, oggi, dove c’è uno Schuman, un Adenauer? Questi grandi, che nel dopoguerra hanno fondato l’Unione Europea. E mi piace, questa idea della ri-fondazione: magari si potesse fare! Perché l’Europa, non direi che è unica, ma ha una forza, una cultura, una storia che non si può sprecare, e dobbiamo fare di tutto perché l’Unione Europea abbia la forza e anche l’ispirazione di farci andare avanti. Non so: è questo che penso.

(Padre Lombardi)

Grazie. E allora, adesso passiamo la parola ad Anne Thompson, di “Nbc News” – siamo in America, stiamo sopra l’America: diamo a lei la parola.

(Anne Thompson, “Nbc News”)

Grazie, padre Lombardi. Matteo mi aiuterà… Santo Padre, Lei ha parlato molto di famiglie e dell’Anno della Misericordia, in questo viaggio. Alcuni si chiedono, come una Chiesa che sostiene di essere “misericordiosa” possa perdonare più facilmente un assassino piuttosto di chi divorzia e si risposa…

(Papa Francesco)

Mi piace la domanda! Sulla famiglia, hanno parlato due Sinodi e il Papa ha parlato tutto l’anno nelle catechesi del mercoledì. E la domanda è vera, mi piace, perché Lei l’ha fatta plasticamente bene. Nel documento post-sinodale che uscirà – forse prima di Pasqua –, in uno dei capitoli – perché ne ha tanti – si riprende tutto quello che il Sinodo  ha detto sui conflitti o sulle famiglie ferite, e la pastorale delle famiglie ferite… E’ una delle preoccupazioni. Come un'altra è la preparazione per il matrimonio. Lei pensi che per diventare prete ci sono otto anni di studio, di preparazione, e poi, dopo un certo tempo, se non ce la fai, chiedi la dispensa e te ne vai, ed è tutto a posto. Invece, per fare un Sacramento che è per tutta la vita, tre-quattro conferenze… La preparazione al matrimonio è molto, molto importante, perché credo che sia una cosa che la Chiesa, nella pastorale comune – almeno nel mio Paese, in Sudamerica – non ha valutato tanto. Per esempio – adesso non tanto, ma alcuni anni fa – nella mia Patria, c’era l’abitudine di… si chiamava “casamiento de apuro”: sposarsi di fretta perché viene il bambino. E per coprire socialmente l’onore della famiglia… Lì, non erano liberi, e tante volte questi matrimoni sono nulli. E io, come vescovo, ho proibito di fare questo ai sacerdoti, quando c’era questo… Che venga il bambino, che continuino da fidanzati, e quando si sentono di farlo per tutta la vita, che vadano avanti. Ma c’è una carenza [nella preparazione] al matrimonio. Poi, un altro capitolo molto interessante: l’educazione dei figli. Le vittime dei problemi della famiglia sono i figli. Ma sono anche vittime dei problemi della famiglia che né il marito né la moglie vogliono: per esempio, il bisogno di lavoro. Quando il papà non ha tempo libero per parlare con i figli, quando la mamma non ha tempo libero per parlare con i figli… Quando io confesso una coppia che ha figli, dei coniugi, dico: “Quanti figli ha?”. E alcuni si spaventano perché dicono: “Il prete mi domanderà perché non ne ho di più…”. E io dico: “Le farò una seconda domanda: lei gioca con i suoi figli?”; e la maggioranza – quasi tutti! – dicono: “Ma, padre, non ho tempo: lavoro tutta la giornata”. E i figli sono vittime di un problema sociale che ferisce la famiglia. E’ un problema… Mi piace, la sua domanda. E una terza cosa interessante, nell’incontro con le famiglie, a Tuxtla – c’era una coppia di ri-sposati in seconda unione, integrati nella pastorale della Chiesa; e la parola-chiave che ha usato il Sinodo – e io la riprenderò – è “integrare” nella vita della Chiesa le famiglie ferite, le famiglie di risposati, e tutto questo. Ma non dimenticare i bambini al centro! Sono le prime vittime, sia delle ferite sia delle condizioni di povertà, di lavoro, di tutto questo.

(Anne Thompson, “Nbc News”)

Significa che potranno fare la comunione?

(Papa Francesco)

Questa è una cosa… è il punto di arrivo. Integrare nella Chiesa non significa “fare la comunione”; perché io conosco cattolici risposati che vanno in chiesa una volta l’anno, due volte: “Ma, io voglio fare la comunione!”, come se la comunione fosse un’onorificenza. E’ un lavoro di integrazione… tutte le porte sono aperte. Ma non si può dire: da ora in poi “possono fare la comunione”. Questo sarebbe una ferita anche ai coniugi, alla coppia, perché non farà compiere loro quella strada di integrazione. E questi due erano felici! E hanno usato un’espressione molto bella: “Noi non facciamo la comunione eucaristica, ma facciamo comunione nella visita all’ospedale, in questo servizio, in quello…”. La loro integrazione è rimasta lì. Se c’è qualcosa di più, il Signore lo dirà a loro, ma… è un cammino, è una strada…

(Anne Thompson, “Nbc News”)

Grazie.

(Padre Lombardi)

Allora adesso lasciamo la domanda a Antoine-Marie Izoard, quindi torniamo con il gruppo francese; è il responsabile di “Imedia”, che è un’agenzia di informazione cattolica francese.

(Antone-Marie Izoard, “Imedia”)

Santità, buona sera. Mi permetta prima scherzando di dire quanto noi vaticanisti siamo un po’ ostaggi dell’agenda del Santo Padre, e non possiamo giocare con i nostri figli… Sabato c’è l’udienza giubilare, domenica c’è l’Angelus, e da lunedì a venerdì si vola a lavorare. Poi, un abbraccio ad Alberto [Gasbarri] che, con padre Lombardi, mi fece entrare alla Radio Vaticana, 20 anni fa – si sta in famiglia…

Una domanda un po’ “osée”, Santità:  numerosi media hanno evocato e fatto tanto clamore sulla “intensa corrispondenza” tra Giovanni Paolo II e la filosofa americana Anna Tymieniecka, che nutriva – si dice – un grande affetto per il Papa polacco. Secondo lei, un Papa può avere una relazione così intima con una donna? E poi – se mi permette: Lei ha un’importante corrispondenza, conosce – o ha conosciuto – questo tipo di esperienza …

(Papa Francesco)

Questo lo conoscevo, questo rapporto di amicizia, tra san Giovanni Paolo II e questa filosofa, quando ero a Buenos Aires: una cosa che si sapeva, anche i libri di lei sono conosciuti, e Giovanni Paolo II era un uomo inquieto… Poi, io dirò che un uomo che non sa avere un buon rapporto di amicizia con una donna – non parlo dei misogini: questi sono malati – è un uomo a cui manca qualcosa. E io, anche per esperienza personale, quando chiedo un consiglio, chiedo a un collaboratore, a un amico, un uomo, ma mi piace anche sentire il parere di una donna; e ti danno tanta ricchezza! Guardano le cose in un altro modo. A me piace dire che la donna è quella che costruisce la vita nel grembo, e ha – ma questa è una comparazione che faccio – e ha questo carisma di darti cose per costruire. Un’amicizia con una donna non è peccato, un’amicizia. Un rapporto amoroso con una donna che non sia tua moglie, è peccato. Il Papa è un uomo, il Papa ha bisogno anche del pensiero delle donne. E anche il Papa ha un cuore che può avere un’amicizia sana, santa con una donna. Ci sono santi amici: Francesco e Chiara, Teresa e Giovanni della Croce… Ma le donne ancora sono un po’… non bene considerate, non totalmente… Non abbiamo capito il bene che una donna può fare alla vita del prete e della Chiesa, in un senso di consiglio, di aiuto, di sana amicizia. Grazie.

(Padre Lombardi)

Grazie mille. Allora, adesso abbiamo Franca Giansoldati, de “Il Messaggero”, per il gruppo italiano.  

(Franca Giansoldati)

Io torno sull’argomento della legge che sta per essere votata al Parlamento italiano: è una legge che in qualche modo riguarda anche altri Stati, perché altri Stati hanno all’attenzione leggi che riguardano unioni fra persone dello stesso sesso. C’è un documento della Congregazione della Dottrina della Fede, che risale al 2003, che dedica un’ampia attenzione a questo, e in più dedica un capitolo al comportamento che devono tenere i parlamentari cattolici in Parlamento davanti a queste leggi, e si dice espressamente che i parlamentari cattolici non devono votare queste leggi. Visto che c’è molta confusione su questo, Le volevo chiedere innanzitutto se questo documento del 2003 ha ancora un valore, e effettivamente, quale comportamento un parlamentare cattolico deve tenere?

E poi, una cosa: dopo Mosca, il Cairo: c’è un altro disgelo che si intravede all’orizzonte? Cioè, mi riferisco all’udienza che Lei desidera con il “Papa dei sunniti”, chiamiamolo così, con l’Imam di Al-Azhar?

(Papa Francesco)

Su questo, è andato mons. Ayuso al Cairo, la settimana scorsa, per incontrare il Vice del Gran Imam, e anche salutare l’Imam. Mons. Ayuso è Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, presieduto dal Cardinale Tauran. Io desidero incontrare l’Imam, so che a lui piacerebbe, e stiamo cercando il modo, sempre tramite il cardinale Tauran, perché quella è la strada. Ma ce la faremo, su questo.

Sul primo argomento: io non ricordo bene quel documento del 2003 della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ma un parlamentare cattolico deve votare secondo la propria coscienza ben formata: questo, direi soltanto questo. Credo che sia sufficiente. E dico “ben formata”, perché non è la coscienza del “quello che mi pare”. Io mi ricordo quando è stato votato il matrimonio delle persone dello stesso sesso a Buenos Aires, che c’era un pareggio di voti, e alla fine uno ha detto all’altro: “Ma tu vedi chiaro?” – “No” – “Neppure io” – “Andiamocene” – “Se ce ne andiamo, non raggiungiamo il quorum”. E l’altro ha detto: “Ma se raggiungiamo il quorum, diamo il voto a Kirchner!”, e l’altro: “Preferisco darlo a Kirchner e non a Bergoglio!” … e avanti. Questa non è coscienza ben formata! E sulle persone dello stesso sesso, ripeto quello che ho detto nel viaggio di ritorno da Rio de Janeiro e che è nel Catechismo della Chiesa Cattolica.

(Padre Lombardi)

Grazie. Allora, adesso abbiamo un’ultima domanda della serie prevista con Javier Martínez Brocal di “Rome Reports” …

(Javier Martínez Brocal, “Rome Reports”)

Santo Padre, grazie tante per questo viaggio in Messico: è stato un onore accompagnarLa e vedere quello che abbiamo visto. Ancora non siamo tornati a Roma e già stiamo pensando a futuri viaggi, a fare le valige di nuovo. Santo Padre, quando andrà in Argentina, dove La aspettano da tanto tempo? E poi quando tornerà in America Latina o in Cina?… Poi, una battuta: Lei, durante questo viaggio, ci ha parlato tante volte di “sognare”: Lei, cosa sogna? E soprattutto, qual è il Suo incubo?

(Papa Francesco)

La Cina… andare là: mi piacerebbe tanto!

Voglio dire una cosa, una cosa giusta, sul popolo messicano. E’ un popolo di una ricchezza, di una ricchezza tanto grande, è un popolo che sorprende… Ha una cultura, una cultura millenaria… Voi sapete che oggi, in Messico si parlano 65 lingue, contando gli indigeni? 65! E’ un popolo di una grande fede, anche ha sofferto persecuzioni religiose, ci sono martiri – adesso ne canonizzerò due o tre – E’ un popolo… non lo si può spiegare. E un popolo non lo si può spiegare semplicemente perché la parola “popolo” non è una categoria logica, è una categoria mistica. E il popolo messicano non lo si può spiegare, questa ricchezza, questa storia, questa gioia, questa capacità di festa, e queste tragedie delle quali voi avete domandato. Io non posso dire un’altra cosa, che questa unità, anche che questo popolo sia riuscito a non fallire, a non finire con tante guerre, e cose che succedono adesso… Lì, a Ciudad Juárez, c’era un patto di 12 ore di pace per la mia visita: dopo continueranno a lottare tra loro, i trafficanti… Un popolo che ha ancora questa vitalità, si spiega solamente per Guadalupe. E io vi invito a studiare seriamente il fatto Guadalupe. La Madonna è lì. Io non trovo un’altra spiegazione. E sarebbe bello che voi, come giornalisti… Ci sono alcuni libri buoni che spiegano, spiegano anche il dipinto, com’è, cosa significa… E così si potrà capire un po’ questo popolo tanto grande, tanto bello.

(Padre Lombardi)

Grazie, Santità. Allora, abbiamo finito la serie delle domande previste. C’era la signora Pigozzi che voleva dirci qualcosa, non so bene che cosa: adesso le diamo il microfono; e poi dopo abbiamo ancora una piccola “coda”, che riguarda una circostanza che tutti sappiamo.

(Caroline Pigozzi di “Paris Match”)

Sì, Santo Padre, buona sera. Due cose. Volevo sapere cosa Lei ha chiesto poi alla Vergine di Guadalupe, perché è rimasto molto tempo nella chiesa a pregare la Vergine di Guadalupe. Poi, la seconda cosa, se Lei sogna in italiano o in spagnolo?

(Papa Francesco)

Sì, dirò che sogno in esperanto… Non so come rispondere a questo, davvero. Alcune volte sì, ricordo, qualche sogno in altra lingua, ma sognare in lingue no, con figure, sì.  La mia psicologia è così. Con parole sogno poco. E la prima domanda era?

(Caroline Pigozzi )

La prima domanda, Santità, Lei è stato molto tempo a pregare la Madonna…

(Papa Francesco)

Ho chiesto per il mondo, per la pace… Tante cose… La poverina ha finito con la testa così… Ho chiesto perdono, ho chiesto che la Chiesa cresca sana, ho chiesto per il popolo messicano … E anche una cosa che ho chiesto tanto è che i preti siano veri preti, e le suore vere suore, e i vescovi veri vescovi: come il Signore ci vuole. Questo l’ho chiesto tanto. Ma poi, le cose che un figlio dice alla mamma sono un po’ segrete… Grazie, Carolina.

(Padre Lombardi)

Allora, come sappiamo, questo è l’ultimo viaggio di Alberto Gasbarri, che è qui vicino, e che tutti noi conosciamo molto bene e al quale siamo molto grati per il servizio che ha svolto in tutti questi viaggi. Allora, adesso anche i nostri colleghi volevano dire una parola ad Alberto e fargli anche un piccolo omaggio. Abbiamo la nostra decana che parla…  

(Decana – Valentina Alazraki)

Cercheremo di avere un buon rapporto … Veramente, a me piace molto scherzare, lei lo sa. Però, in questo momento non ci riesco, perché mi intristisce moltissimo l’idea che nel prossimo viaggio non ci sia Alberto, e non mi viene nessuna battuta spiritosa: perché è una di quelle persone che è impossibile pensare di non vedere accanto a lei, nei prossimi mesi. La prima volta che lo aveva, l’ho visto, era 37 anni fa, aveva più capelli, era un po’ più magrolino, ma era esattamente la stessa persona. Io lo chiamerei “il signore dei cieli”, è l’espressione che mi viene. E’ un gentiluomo di altri tempi, non solo per il doppiopetto e il suo abbigliamento impeccabile, ma abbiamo passato tantissime cose. Lui è stato al servizio – come si dice nella Chiesa – di tre Papi; ci sono stati tanti momenti difficili, atterraggi di emergenza, Paesi in lotta … Non l’ho mai visto alzare il sopracciglio, mai una parola in più, mai un momento di nervosismo, mai una scortesia con nessuno. Veramente, un signore. E’ come un sarto: un grande sarto che cuce addosso a tre Papi diversi i viaggi, fatti su misura per i tre Papi. All’inizio di Giovanni Paolo II, credo che quando ha iniziato a collaborare con Padre Tucci dopo l’uscita di mons. Marcinkus, credo che mons. Marcinkus gli abbia detto: “Guarda, questo è polacco, è una testa dura e ne vedrai di tutti i colori”. E credo che sia stato così, all’inizio. Alla fine del pontificato era un po’ come un figlio: non solo organizzava i viaggi ma era vicino a un uomo che ogni giorno di più aveva dei limiti fisici e lui si è inventato di tutto – trono mobile, la piattaforma mobile – e vedevamo con quale sentimento, con quale angoscia, a volte, era vicino a lui ed era attento a che non cadesse, che stesse bene. Poi, è arrivato Papa Benedetto: lui, fino a lì era il “numero due”, diciamo; nel 2005, Papa Benedetto lo nomina “numero uno” e credo – non so se mi sbaglio – e credo che siano stati forse gli otto anni più tranquilli?, più semplici?, perché credo che Papa Benedetto fosse più mite, più ordinato, non sgarrava di un minuto nel protocollo, seguiva tutto quello che Alberto gli diceva, più “docile”, diciamo così.

E poi… è arrivato un uragano, e credo che Alberto ha dovuto fare un altro vestito e dire: “Oddio, mi sa che anche questo ha la testa dura”, penso. E comunque, credo che siete arrivati di nuovo ad avere un rapporto bellissimo. Abbiamo fatto tutti questi viaggi, tutti, con Giovanni Paolo II, con Benedetto, con Lei, su misura veramente per ognuno di voi perché finalmente – come Lei ha detto – ogni Papa è un uomo: ha i suoi gusti, ha i suoi ritmi, ha le sue priorità e credo che lui sia riuscito a interpretare tutti e tre voi nella migliore delle maniere e sempre con una gentilezza, una pacatezza, un’educazione e un’efficienza veramente straordinari. Quindi, veramente mi fa molta tristezza che nel prossimo viaggio tu non ci sia.

(Padre Lombardi)

Ecco: volete spiegare quali doni fate ad Alberto?

(Phil Pulella)

[Phil Pulella presenta in tono scherzoso il dono di un portachiavi a forma di aereo e un modellino di aereo Alitalia] 

(Cindy Wooden)

Grazie, Santità. Abbiamo preso un po’ di immagini da Ebu, da Giancarlo Giuliani, dall’Associated Press, da “L’Osservatore Romano” e da Paul Haring … Un po’, si può dire che ha fatto il photobombing dei momenti più storici: c’è un Papa, un presidente – Alberto. Speriamo che gli piaccia …

(Dr. Gasbarri)

Posso, Padre Santo?

(Papa Francesco)

Una sola parola: anche io ripeto quello che ho detto all’inizio: grazie tante! E mi ha dato buoni consigli. Solo, ha un difetto: non sa calcolare bene i chilometri!…

(Dr. Gasbarri)

Grazie, Padre Santo, grazie a tutti i colleghi. Sono emozionato di questo momento. Naturalmente, ringrazio Papa Francesco per la sua fiducia e la sua pazienza. Vi racconto un piccolo aneddoto. A novembre eravamo in Africa, a Bangui, e il Santo Padre doveva incontrare i vescovi, e io vedo che va in cappella dove non c’erano i vescovi. Dico: “Ma, Padre Santo, deve incontrare i vescovi …”. E lui mi risponde: “Vado in cappella per pregare la Madonna che mi dia tanta pazienza per sopportare Gasbarri”. Ecco. (ridono) Ora l’ho liberato di una intenzione di preghiera … (ridono) Grazie tante, Santo Padre; grazie di tutto. Naturalmente, il mio pensiero di gratitudine va a Papa Benedetto con il quale ho ancora un rapporto di affetto e devozione e naturalmente a San Giovanni Paolo II, al quale ho dato 27 anni, i migliori della mia vita – ero giovane! – e sono tanto affezionato anche a lui. L’ultimo ringraziamento per il cardinale Tucci, che io chiamo ancora “padre”, perché per me è stato un padre.

(Padre Lombardi)

E adesso, mi dicono che è pronta una torta, come si usa in queste belle situazioni. Eccoci qua.

(Papa Francesco)

Buon viaggio. Grazie tante per il vostro lavoro e pregate per me. E sapete che io sono a vostra disposizione. E giocate con i vostri figli!



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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P. Lombardi commenta i temi affrontati dal Papa con i giornalisti

Il Papa accanto al Padre Lombardi - AP

Il Papa accanto al Padre Lombardi - AP

19/02/2016 

Sui giornali di tutto il mondo grande risalto oggi alla conferenza stampa del Papa sull’aereo che lo riportava a Roma dal Messico. Tra i temi che hanno maggiormente attratto l’attenzione dei media: le parole su Trump e l’immigrazione, la questione dei greco-cattolici dopo l’incontro tra Francesco e Kirill, il virus Zika e il ricorso ad aborto e contraccezione e il dibattito in Italia sulle unioni civili. Roberto Piermarini ha commentato questi temi con il portavoce vaticano e direttore della nostra emittente Padre Federico Lombardi, al seguito del Papa in Messico

D. – Il Papa ha sottolineato che chi pensa soltanto a fare i muri e non i ponti, non è cristiano. Molti hanno parlato di una scomunica, se così possiamo dire, nei confronti del candidato repubblicano alla corsa alla Casa Bianca, Donald Trump…

 R. – Ma il Papa ha detto quello che ben sappiamo, quando seguiamo il suo magistero e le sue posizioni: che non bisogna costruire muri, ma ponti. Questo lo dice da sempre, continuamente, e lo ha detto anche a proposito delle questioni delle migrazioni in Europa, moltissime volte. Quindi non è affatto una questione specifica, limitata a questo caso. E’ un suo atteggiamento generale, molto coerente con quello che è un seguire con coraggio le indicazioni del Vangelo di accoglienza e di solidarietà. Naturalmente, questo poi è stato molto rilanciato, ma non è che volesse essere, in nessun modo, un attacco personale né un indicazione di voto. Il Papa ha detto chiaramente che non entrava nelle questioni del voto nella campagna elettorale degli Stati Uniti e ha anche detto – cosa che naturalmente non è stata molto ripresa – che lui diceva questo nel caso che fosse esatto e vero quello che gli era stato riferito, quindi dando il beneficio anche del dubbio a proposito di quello che gli è stato riferito delle espressioni del candidato repubblicano. E’, quindi, il noto discorso dell’accoglienza, del costruire ponti invece che muri, che è caratteristico di questo Pontificato. Va interpretato e capito in questo senso.

 D. – Al Papa è stato chiesto anche un commento sulle reazioni dei greco-cattolici in Ucraina dopo la dichiarazione congiunta firmata da Papa Francesco e dal Patriarca Kirill. Quali sono le cose da sottolineare nella risposta del Pontefice?

 R. – Ci sono state delle cose molto interessanti in questa risposta. Anzitutto, il Papa ha messo in rilievo il suo profondo, antico e ottimo rapporto personale con l’arcivescovo maggiore Shevchuk. E questo è molto interessante, evidentemente. Poi ha messo in rilievo anche quanto è stato riferito di positivo dell’intervista dell’Arcivescovo maggiore. Ciò che è stato più importante nell’evento è stato l’incontro stesso e questo l’Arcivescovo lo capisce benissimo, come tutti lo capiamo benissimo. La grande novità è il fatto di avere aperto una porta per un rapporto diretto tra il Papa e il Patriarca, che è naturalmente l’inizio, la possibilità di un cammino che poi può svilupparsi, avere tante conseguenze positive. La questione del documento e dei punti che riguardano l’Ucraina nel documento è poi una dimensione anche un po’ più opinabile, se vogliamo. Come il Papa ha messo in rilievo, si può capire che persone molto coinvolte, con grandi sofferenze, abbiano delle loro reazioni o delle loro prospettive personali o comuni, per cui sentono una difficoltà ad accettare quello che è scritto sull’Ucraina nel documento. Allo stesso tempo, dobbiamo essere oggettivi e vedere che nel documento si parla di attese di pace, di responsabilità nell’agire nei confronti della pace. E il Papa ha aggiunto nella sua risposta che egli ha sempre insistito che gli accordi di Minsk vanno presi sul serio e bisogna cercare di realizzarli effettivamente. Poi io noterei che, anche nella dichiarazione comune, ci sono dei punti molto importanti per quanto riguarda le Chiese greco-cattoliche, come la chiarissima affermazione del loro diritto all’esistenza, e anche questo non era scontato. Quindi, il fatto che le Chiese greco-cattoliche siano da considerare, da rispettare pienamente nella loro esistenza e nella loro vita, anche da parte ortodossa e del Patriarcato russo, e questo è un punto certamente significativo. Mi pare, quindi, che il Papa abbia dimostrato la sua comprensione per delle difficoltà di accettazione da parte di chi vive una situazione drammatica, ma abbia anche aiutato – come lui dice – a vedere le cose più nell’insieme, e nell’insieme la valutazione positiva da dare nell’incontro è assolutamente dominante e anche assai presente nella stessa intervista dell’arcivescovo maggiore.

 D. – Riguardo alle strategie di contrasto alla diffusione del virus Zika, caldeggiate dall’Oms, Papa Francesco ha ribadito che l’aborto è un crimine, un male assoluto. I media parlano oggi di un’apertura del Papa alla contraccezione. Cosa può dirci in proposito?

 R. – L’aspetto fondamentale mi sembra che sia stato colto, ed è che il Papa parla della inaccettabilità dell’aborto come soluzione. In questi casi, invece, purtroppo, ci sono state delle prese di posizione o delle dichiarazioni che sembrano andare piuttosto in questa direzione del facilitare l’aborto, cosa che per noi è assolutamente inaccettabile. Il Papa distingue poi nettamente la radicalità del male dell’aborto come soppressione di una vita umana e invece la possibilità di ricorso a contraccezione o preservativi per quanto può riguardare casi di emergenza o situazioni particolari, in cui quindi non si sopprime una vita umana, ma si evita una gravidanza. Ora non è che lui dica che vada accettato e usato questo ricorso senza nessun discernimento, anzi, ha detto chiaramente che può essere preso in considerazione in casi di particolare emergenza. L’esempio che ha fatto di Paolo VI e della autorizzazione all’uso della pillola per delle religiose che erano a rischio gravissimo e continuo di violenza da parte dei ribelli nel Congo, ai tempi delle tragedie della guerra del Congo, fa capire che non è che fosse una situazione normale in cui questo veniva preso in considerazione. E anche - ricordiamo per esempio – la discussione seguita ad un passo del libro intervista di Benedetto XVI “Luce del mondo”, in cui egli parlava a proposito dell’uso del condom in situazioni a rischio di contagio, per esempio, di Aids. Allora il contraccettivo o il preservativo, in casi di particolare emergenza e gravità, possono anche essere oggetto di un discernimento di coscienza serio. Questo dice il Papa. Mentre sull’aborto non ha dato spazio a delle considerazioni. Poi il Papa ha insistito che bisogna cercare naturalmente di sviluppare tutta la ricerca scientifica, i vaccini, in modo tale da contrastare questa epidemia e questo rischio del virus Zika, che sta suscitando tanta preoccupazione, e però bisogna che non si cada nel panico e quindi nel far prendere degli orientamenti o delle decisioni che non sono proporzionati alla realtà del problema. Quindi capire bene la natura del problema, continuare a studiarla, a reagire anche con la ricerca, per trovare le soluzioni più sostanziali e più stabili; evitare comunque un ricorso all’aborto e, se ci fossero delle situazioni di emergenza grave, allora una coscienza ben formata può vedere se ci sono delle possibilità o delle necessità di ricorso a non abortivi per prevenire la gravidanza.

 D. - In Francia alcuni hanno associato la risposta del Papa sui vescovi responsabili di copertura nei casi di pedofilia, al caso del cardinale Barbarin. E’ corretto questo riferimento?

 R. – No! Secondo me non ha assolutamente alcun fondamento. La domanda era fatta da un giornalista messicano che aveva in mente – diciamo – le vicende del padre Maciel o anche quelle degli Stati Uniti, che sono più vicine al Messico, e quanto riguarda casi effettivi di copertura, in cui cioè irresponsabilmente dei sacerdoti che siano stati colpevoli o che si siano comportati in modo assolutamente grave, vengono sposati mettendo così a rischio altre situazioni. In questo senso il Papa dice: il vescovo mancherebbe di responsabilità e quindi poi dovrebbe dimettersi. Ma il caso del cardinale Barbarin è completamente differente: egli non ha assolutamente preso delle iniziative per coprire, ma si è trovato di fronte ad una situazione che risaliva a molti anni prima, in cui non aveva avuto delle accuse particolari, e ha sempre affrontato la questione con estrema responsabilità. Quindi non ritengo affatto che questa risposta del Papa si possa riferire a questo caso, che è delicato e complesso e in cui il cardinale mi sembra che si stia muovendo con molta responsabilità.

 D. - Rispondendo ad una domanda sul dibattito nel parlamento italiano sulle unioni civili, Francesco ha detto che “il Papa non si immischia”. Però ha aggiunto che un parlamentare cattolico deve votare secondo “una coscienza ben formata”. E’ significativo che molti media abbiano omesso i termini “ben formata”…

 R. – Sì. Il Papa ha risposto molto brevemente, dicendo che appunto non voleva immischiarsi nelle questioni della politica italiana. Però ha aggiunto questo tema della “coscienza ben formata”, dicendo che “non è la coscienza del ‘quello che mi pare’”. Quindi libertà di coscienza non vuole affatto dire adesso io dico quello che mi sembra, prendo l’atteggiamento che mi sembra più vantaggioso o più facile o motivato da interessi politici o di giochi di potere. No! Dice: la coscienza ben formata è quella che si orientata a delle considerazioni profonde e oggettive dei valori di responsabilità nei confronti della persona, della famiglia e della società. Ecco, in questo caso credo che la “coscienza ben formata” debba essere ben consapevole di quale sia il valore della famiglia nella società e che la famiglia va difesa anche dal punto di visita legislativo e che c’è il valore dell’interesse dei bambini, dell’interesse dei figli e della loro educazione, che spesso viene dimenticato a vantaggio invece di interessi di carattere più individualistico. Allora, in questo senso, il Papa – senza dare delle indicazioni operative particolari e lasciando anche alle Conferenze episcopali le loro responsabilità – aiuta a capire che c’è tutto un lavorio di approfondimento, in cui anche la Dottrina Sociale della Chiesa aiuta una visione della realtà umana più approfondita ed oggettiva, cui bisogna ispirarsi nelle decisioni che riguardano il bene della società, il bene della famiglia, il bene delle persone.

 D. - La conferenza stampa del Papa sull’aereo ha fatto passare in secondo piano il successo della visita del Papa in Messico. Cosa le è rimasto di questo viaggio di Francesco?

 R. – Mi è rimasto moltissimo, evidentemente. Mi è rimasta l’idea di un grande incontro che è avvenuto: il Papa parla sempre della “cultura dell’incontro” e un viaggio è l’incontro tra il Papa e un grande popolo. In questo caso un popolo che ama il Papa e che esprime anche molto efficacemente i suoi sentimenti e il suo amore, e a cui il Papa si è avvicinato con tutta la ricchezza della sua umanità e della sua capacità di comunicare l’amore di Dio attraverso i suoi gesti, attraverso la sua vicinanza, attraverso il suo calore e la sua tenerezza. Il motto di questo viaggio era “Messaggero di misericordia e di pace” e mi pare che sia stato veramente realizzato. Mi rimane anche il momento culmine dal punto di vista spirituale che è l’incontro tra il Papa e la Vergine di Guadalupe, alla sera, dopo la celebrazione della Messa: quel momento, quel tempo di dialogo silenzioso, che esprimeva il rapporto più intenso tra la Vergine e il Papa. Questo rapporto si è poi sviluppato anche facendo vedere le sue conseguenze, la sua ispirazione in tutti gli altri momenti del viaggio. Un viaggio – possiamo dire - “guadalupano”. Certamente il Papa ha tenuto presente e ha mostrato la sua consapevolezza dei grandi problemi del Messico, che – sappiamo - il Papa ha toccato e che ha ripetuto molte volte: le migrazioni, la violenza, il narcotraffico, le ingiustizie nei confronti degli indigeni… Però questa gravità dei problemi non ha impedito che il messaggio fondamentale del Papa fosse un messaggio di incoraggiamento, di speranza e di richiamo di tutti alla responsabilità . Questo parlare anzitutto ai giovani, al popolo del Messico come un popolo giovane: i giovani sono la ricchezza, la speranza e coloro che, impegnandosi - a seconda della loro possibilità, e con l’aiuto responsabile anche di tutte le altre componenti della società -, possono far sperare anche in un futuro migliore. Quindi mi è parso un viaggio di misericordia, di pace, anche di grande speranza e di incontro gioioso, profondo, suscitatore di buone energie per il popolo del Messico. Più di così non so che cosa avremmo potuto desiderare…






Fraternamente CaterinaLD

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  per capire come interpretare ciò che dice il Papa a ruota libera.... di Sandro Magister
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Il gesuita perfetto. Autoritratto volante di Jorge Mario Bergoglio

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aereo

Che cosa ha voluto dire davvero, papa Francesco, sulle unioni civili in discussione nel parlamento italiano, con quelle sue parole ad alta quota durante il volo dal Messico a Roma?

La domanda non è peregrina, viste le mille precedenti sortite sibilline di Jorge Mario Bergoglio, come ad esempio quella nella chiesa luterana di Roma, rimasta tuttora indecifrata e forse insuperata:

> Sì, no, non so, fate voi. Le linee guida di Francesco per l'intercomunione con i luterani

Su "la Repubblica" il professor Alberto Melloni, interprete auto-autorizzato del verbo bergogliano, ha risposto con sicurezza assoluta. Francesco ha imposto all'episcopato italiano "il divieto di immischiarsi" nella discussione politica sulla legge, dando lui per primo l'esempio. Punto.

In effetti, Francesco sull'aereo ha detto che "il papa non si immischia nella politica italiana. Perché il papa è per tutti, e non può mettersi nella politica concreta, interna di un Paese: questo non è il ruolo del papa".

Ma non ha affatto comandato che anche i vescovi debbano fare come lui. Anzi, ha tenuto a ribadire la consegna che aveva dato loro appena eletto papa: "Con il governo italiano, arrangiatevi voi". Che è il contrario del non immischiarsi.

Quindi il papa no, i vescovi sì? Niente affatto. A vedere quello che è accaduto nello scorse settimane, da Santa Marta è stato un gran tirare di freni, all'indirizzo dei vescovi e cardinali italiani più scalpitanti.

Con piena soddisfazione di Monica Cirinnà, la senatrice che dà il nome alla legge in via di delibera, che non ha mancato di elogiare papa Francesco "per la grande svolta che dà alla Chiesa".

Anche lei però prendendo lucciole per lanterne. Perché lo stesso Francesco, nella conferenza stampa sull'aereo, ha detto che sulla legge in questione un suo pensiero ce l'ha ed "è quello che pensa la Chiesa". Come dire che lui è contro, dato che la Chiesa è sempre stata contrarissima alle unioni omosessuali.

Allora questo vuol dire che Francesco la pensa come la congregazione per la dottrina della fede che in un suo documento del 2003 scrisse che i parlamentari cattolici non devono votare simili leggi?

Non è detto. Perché a questa domanda, rivoltagli sull'aereo da Franca Giansoldati del "Messggero", Bergoglio si è prontamente sottratto: "Io non ricordo bene quel documento".

E poi ha proseguito dicendo che in ogni caso "un parlamentare cattolico deve votare secondo la propria coscienza ben formata", la quale "non è la coscienza del 'quello che mi pare'". In sostanza la stessa cosa che aveva detto pochi giorni prima il cardinale Angelo Bagnasco, dalla cui "indebita ingerenza" prese però le distanze il segretario della CEI Nunzio Galantino, il portaordini di Bergoglio tra i vescovi italiani.

Ma non è finita. Per illustrare il concetto di "coscienza ben formata", papa Francesco ha raccontato un episodio della battaglia campale che in Argentina portò nel 2010 alla legalizzazione delle unioni omosessuali:

"Io mi ricordo quando è stato votato il matrimonio delle persone dello stesso sesso a Buenos Aires, che c’era un pareggio di voti, e alla fine uno ha detto all’altro: 'Ma tu vedi chiaro?' – 'No' – 'Neppure io' – 'Andiamocene' – 'Se ce ne andiamo, non raggiungiamo il quorum'. E l’altro ha detto: 'Ma se raggiungiamo il quorum, diamo il voto a Kirchner!', e l’altro: 'Preferisco darlo a Kirchner e non a Bergoglio!'… e avanti. Questa non è coscienza ben formata!".

La ricostruzione di quella vicenda è stata oggetto di un recente post di "Settimo cielo":

> Argentina 2010. Come Bergoglio capitanò e perse la battaglia sul matrimonio gay

Ma ciò che è più curioso è che in quella vicenda superpolitica Bergoglio si immischiò a tal punto da farla diventare in Argentina una disfida personale tra lui e la presidente Cristina Kirchner, combattuta in parlamento fino all'ultimo voto.

Certo, Bergoglio nel 2010 non era papa ma arcivescovo di Buenos Aires. Ma anche oggi non insiste continuamente nel dirsi "vescovo di Roma"? E non è anche primate d'Italia e quindi tenuto anche lui ad "arrangiarsi" con la politica italiana?

E infatti – lungi dal "non immischiarsi" – papa Francesco non ha mancato di alzare la voce contro la legge sulle unioni civili, nel pieno della presente battaglia parlamentare. E l'ha alzata proprio nel "martedì nero" nel quale è andata all'aria la rapida approvazione della legge.

Era il 16 febbraio. Il papa era in Messico, nello stadio di Morelia, gremito di 70 mila giovani. E nel suo discorso, arrivato a parlare della famiglia, quella tradizionale, ha detto:

"Si crede che essa sia un modello ormai superato e incapace di trovare posto all’interno delle nostre società che, sotto il pretesto della modernità, sempre più favoriscono un sistema basato sul modello dell’isolamento. E si insinuano nelle nostre società – che si dicono società libere, democratiche, sovrane –, si insinuano colonizzazioni ideologiche che le distruggono, e finiamo per essere colonie di ideologie distruttrici della famiglia, del nucleo della famiglia, che è la base di ogni sana società".

Questa sua ennesima stoccata contro le "colonizzazioni ideologiche" LGBT non ha avuto in Italia praticamente nessun rilancio sui media, neppure sul quotidiano della CEI "Avvenire".

Ma era forse proprio ciò che Francesco si aspettava. Il suo pensiero è lì scritto, sia pure nascosto in un lungo discorso in un remoto stadio del Messico. Chi vuole, controlli. Meglio però che la narrazione del papa che "non si immischia nella politica" continui.

C'è in Bergoglio un gesuitismo multiplo, in perenne movimento, che mai si lascia fermare o afferrare. Il suo eloquio è un continuo dire, disdire e contraddire.

Perfino quando sull'aereo ha sentenziato per due volte di seguito – lui che è famoso al mondo per il "chi sono io per giudicare?" –, che il candidato americano alle presidenziali Donald Trump "non è cristiano", tra l'una e l'altra volta non ha temuto di infilare uno stupefacente: "Non mi immischio".

 





Fraternamente CaterinaLD

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21/02/2016 14:39
 
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[SM=g1740758] EVITIAMO I GIORNALI E ASCOLTIAMO LA DIRETTA DELL'INTERVISTA, INTEGRALMENTE


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