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Tempo di Quaresima Settimana Santa e Tempo pasquale

Ultimo Aggiornamento: 28/03/2016 15:18
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20/03/2016 00:10
 
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“Nei giorni della Quaresima, la Chiesa, nostra Madre, moltiplica le sue cure perché ognuno di noi si renda diligentemente conto delle sue miserie, sia attivamente incitato alla emendazione dei costumi, e detesti in modo particolare i peccati cancellandoli con la preghiera e la penitenza; giacché l’assidua preghiera e la penitenza dei peccati commessi ci ottengono l’aiuto divino, senza il quale è inutile e sterile ogni opera nostra” (Pio XII, Lettera Enciclica Mediator Dei).

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OMELIA DI SUA SANTITÀ PIO PP. XII*

Basilica Vaticana – Domenica, 26 marzo 1950

La spontanea e ardente devozione, diletti figli e figlie, con cui siete qui accorsi in questa giornata di penitenza, non poteva interpretare meglio le Nostre intenzioni, né compiere con maggiore soddisfazione Nostra il voto del Nostro cuore, confidatovi fin dalla vigilia dell’apertura della Porta santa, allorchè vi esortammo a dar vita ed impulso in questo Anno giubilare ad un fervido movimento spirituale di espiazione.

Nella presente Domenica la Chiesa dà principio al sacro tempo della Passione, e con la mestizia dei suoi riti fa rivivere dinanzi agli occhi e nelle anime dei fedeli il dramma del divino Espiatore delle colpe umane : Gesù Cristo Signor Nostro.

Questa giornata mondiale di penitenza risponde invero ai bisogni più urgenti della società in cui viviamo.

All’occhio illuminato dalla fede, come allo sguardo di ogni onesto, cui suffraga la coscienza naturale non offuscata da pregiudizi e da traviamenti, mentre sfolgora nella sua indefettibile chiarezza quella legge che incoraggia al bene e storna dal male, che precede e sovrasta tutti i codici della terra ed è una in tutti i popoli e in tutte le età, che è norma di ogni azione umana e base di ogni civile consorzio (cfr. Cic. De legibus 1. 2 c. 4); a quell’occhio non può sfuggire lo spettacolo miserando di un mondo in disfacimento per la rovina, in esso operata, delle fondamentali strutture morali della vita.

Alieni da ogni ingiustificato pessimismo, che contrasta con la stessa speranza cristiana, figli anzi del nostro tempo, non legati da irragionevoli nostalgie di età che furono, Noi non possiamo tuttavia non rilevare la crescente marea di colpe private e pubbliche, che tenta di sommergere le anime nel fango e di sovvertire tutti i sani ordinamenti sociali.

Come ogni tempo ha una impronta propria che sigilla le sue opere, così l’età nostra nella sua stessa colpevolezza si distingue per contrassegni, quali i secoli passati non videro forse mai egualmente insieme congiunti.

Primo e più grave stigma è la consapevolezza, che rende inescusabile l’oltraggio alla legge divina. Nel grado di luce e di vita intellettuale, diffuse, come non mai per l’innanzi, nei vari ceti sociali, onde va altera la civiltà moderna; nel senso più vivo e geloso della propria dignità personale e della interiore libertà dello spirito, onde si gloria la coscienza d’oggi; non dovrebbero più trovar posto la possibilità o presunzione d’ignoranza delle norme che regolano i rapporti delle creature tra loro e col Creatore, e quindi neppure la scusa in essa fondata che attenuerebbe la colpa. La quale, dilagando in una quasi universalità di decadenza morale, ha contaminato anche zone una volta tradizionalmente immuni, quali erano le campagne e la tenera fanciullezza.

Una serie di spudorate e criminali pubblicazioni apprestano ai vizi e ai delitti i mezzi più obbrobriosi di seduzione e di traviamento. Velando l’ignominia e la bruttezza del male sotto l’orpello della estetica, dell’arte, della effimera ed ingannevole grazia, del falso coraggio; ovvero accondiscendendo senza ritegno alla morbosa avidità di sensazioni violente e di nuove esperienze di dissolutezza; l’esaltazione del malcostume è giunta fino ad uscire palesemente in pubblico e ad inserirsi nel ritmo della vita economica e sociale del popolo, facendo oggetto d’industria lucrosa le piaghe più dolorose, le più miserevoli debolezze dell’umanità.

Persino alle più basse manifestazioni di questo scadimento morale si osa talvolta cercare una giustificazione teorica, appellandosi ad un umanesimo di dubbia lega o ad una commiserazione, che indulge alla colpa per ingannare e traviare più facilmente le anime.

Falso umanesimo e commiserazione anticristiana, che finiscono con sovvertire la gerarchia dei valori morali e con attenuare a tal punto il senso del peccato da coonestarlo, presentandolo come normale espansione delle facoltà dell’uomo e quasi arricchimento della propria personalità. È reato di lesa società la cittadinanza data al delitto col pretesto di umanitarismo o di tolleranza civile, di naturale defettibilità umana, quando tutto si lascia correre o peggio si mette in opera per eccitare scientemente le passioni, per allentare ogni freno che promana da un elementare rispetto della pubblica moralità o dal pubblico decoro, per raffigurare coi colori più seducenti l’infrazione del vincolo coniugale, la ribellione alle pubbliche autorità, il suicidio o la soppressione della vita altrui.

Senza dubbio Noi riconosciamo col cuore pieno di tenera compassione la fragilità della umana natura, particolarmente nelle presenti condizioni storiche; riconosciamo che la miseria, l’abbandono, la promiscuità di persone abitanti in squallidi tuguri sono una delle gravi cause della immoralità; ma è pur sempre propria dell’uomo la volontà libera e dominatrice dei suoi atti, proprio dell’uomo l’aiuto soprannaturale della grazia, che Dio mai non nega a chi fiduciosamente la invoca.

Ed ora misurate, se vi regge l’occhio e lo spirito, con l’umiltà di chi forse deve riconoscersene in parte responsabile, il numero, la gravità, la frequenza dei peccati nel mondo. Opera propria dell’uomo, il peccato ammorba la terra e deturpa come macchia immonda l’opera di Dio. Pensate alle innumerevoli colpe private e pubbliche, nascoste e palesi; ai peccati contro Dio e la sua Chiesa; contro se stessi, nell’anima e nel corpo; contro il prossimo, particolarmente contro le più umili e indifese creature; ai peccati infine contro la famiglia e la umana società. Alcuni di essi sono tanto inauditi ed efferati, che sono occorse nuove parole per indicarli. Pesate la loro gravità: di quelli commessi per mera leggerezza e di quelli scientemente premeditati e freddamente perpetrati, di quelli che rovinano una sola vita o che invece si moltiplicano in catene d’iniquità fino a divenire scelleratezze di secoli o delitti contro intere nazioni. Confrontate, alla luce penetrante della fede, questo immenso cumulo di bassezze e di viltà con la fulgida santità di Dio, con la nobiltà del fine per cui l’uomo è stato creato, con gl’ideali cristiani, per cui il Redentore ha patito dolori e morte; e poi dite se la divina giustizia possa ancora tollerare tale deformazione della sua immagine e dei suoi disegni, tanto abuso dei suoi doni, tanto disprezzo della sua volontà, e soprattutto tanto ludibrio del sangue innocente del suo Figliuolo.

Vicario di quel Gesù, che ha versato fin l’ultima goccia del suo sangue per riconciliare gli uomini col Padre celeste, Capo visibile di quella Chiesa che è il suo Corpo mistico per la salvezza e la santificazione delle anime, Noi vi esortiamo a sentimenti e ad opere di penitenza, affinchè si compia da voi e da tutti i Nostri figli e figlie sparsi per il mondo intero il primo passo verso la effettiva riabilitazione morale della umanità. Con tutto l’ardore del Nostro cuore paterno vi domandiamo il sincero pentimento delle colpe passate, la piena detestazione del peccato, il fermo proposito di ravvedimento; vi scongiuriamo di assicurarvi il perdono divino mediante il sacramento della confessione e il testamento di amore del Redentore divino; vi supplichiamo infine di alleggerire il debito delle pene temporali dovute alle vostre colpe con le multiformi opere di soddisfazione: preghiere, elemosine, digiuni, mortificazioni, di cui offre facile opportunità ed invito il volgente Anno Santo. Per questa via l’anima ritorna nelle braccia del Padre celeste, risorge nella grazia santificante, si ristabilisce nell’ordine e nell’amore, si riconcilia con la divina giustizia; è il gran ritorno della umanità ribelle alle leggi di Dio e della Chiesa, che abbiamo sospirato nella Nostra attesa piena di fiducia e di speranza e che affrettiamo coi Nostri desideri, coi gemiti del Nostro cuore, con le Nostre preghiere, coi Nostri sacrifici, col dispensare largamente l’inesauribile tesoro spirituale della Chiesa, commesso alle Nostre cure. Non temete per la gioia serena della vostra vita, quasi che l’invito alla penitenza voglia stendervi un velo di cupa tristezza. Tanto ne è lontano il rinnegamento di sè, che anzi è condizione indispensabile dell’intima letizia, destinata da Dio ai suoi servi quaggiù. E Noi con la medesima ansia e sollecitudine, che Ci brucia il cuore per la vostra correzione, non dubitiamo di esortarvi con l’Apostolo S. Paolo: Siate sempre lieti nel Signore : « Gaudete in Domino semper; iterum dico, gaudete » (Phil. 4, 4).

In questo spirito Noi spesso abbiamo levato la Nostra voce in favore degli indigenti e degli oppressi da inique condizioni economiche, miseramente privi anche delle cose più necessarie alla vita, invocando e promovendo una più effettiva giustizia. Ma nella visione cristiana di una società dove la ricchezza sia meglio distribuita, trovano pur sempre posto la rinunzia, la privazione, la sofferenza, retaggio inevitabile ma fecondo quaggiù. E il godimento più intenso, che valga mai a gustare o a desiderare un cuore sulla terra, sarà e dovrà essere sempre superato dalla speranza della futura e perfetta felicità: « spe gaudentes » (Rom. 12, 12). Sostituite, invece, la concezione materialistica del mondo, nella quale il benessere viene sognato perfetto e compiuto in terra, come termine e scopo adeguato della vita, e vedrete l’aspirazione alla giustizia divenire spesso cieco egoismo e la conseguita agiatezza una corsa verso l’edonismo.

Ora appunto l’edonismo, cioè la ricerca affannosa di ogni godimento terreno, lo sforzo esasperato di conquistare quaggiù e ad ogni costo la felicità intera, la fuga, come da somma sciagura, dal dolore, l’affrancamento da ogni penoso dovere; tutto questo rende la vita triste e quasi insopportabile, perchè scava intorno allo spirito un vuoto mortale. Non altro indica il presente moltiplicarsi di gesti insani di ribellione alla vita e al suo Autore, perchè con anticristiana pretesa si vuole da essa escludere ogni sorta di patimento.

Saper sopportare la vita! È la prima penitenza di ogni cristiano, la prima condizione e il primo mezzo di santità e di santificazione. Con quella rassegnazione docile che è propria di chi crede in un Dio giusto e buono, ed in Gesù Cristo maestro e guida dei cuori, abbracciate con coraggio la spesso dura croce quotidiana. A portarla con Gesù il suo peso diventa lieve.

Ma le condizioni singolarmente gravi dell’ora presente sospingono i cristiani, se mai in passato, oggi soprattutto, a dare in sè compimento di quel che manca alla passione di Cristo ( cfr. Col. 1, 24), non solo per desiderio di riparare sempre meglio al malfatto e per dare segno più certo e prova più sicura della sincerità del loro ritorno, ma anche per concorrere alla salvezza di tutti i redenti.

A tal fine, tutti i cristiani, penitenti ed innocenti, affratellati nell’intenzione e nell’opera di una espiazione salutare, si uniscano al supremo Pastore delle anime ed unico loro Salvatore Gesù Cristo, l’Agnello del sacrificio, che toglie i peccati del mondo. Egli è là, sui nostri altari, a rinnovare in ogni ora il sacrificio del Golgota. Insieme con lui e in virtù della sua grazia, si mobiliti in questa santa giornata l’esercito delle anime espianti nell’immensa Chiesa di Dio, Le sofferenze, accettate con cristiana e volonterosa rassegnazione o liberamente e generosamente scelte, ridoneranno un volto cristiano alla umanità decaduta e saranno nelle bilance della giustizia divina un salvifico contrappeso agli umani delitti.

Sì, o Gesù crocifisso, che avete divinizzato la natura umana, assumendola voi stesso, che, dopo aver predicato la giustizia, la carità, la bontà, dopo aver fatto del ricco e del potente la forza del povero e del debole, avete con la vostra passione e morte donato la salute e la salvezza al genere umano, volgete il vostro sguardo amoroso su questo popolo, che, unito ai fedeli di tutto il mondo, si prostra ai vostri piedi in spirito di penitenza ed invoca da voi il perdono, anche per tanti infelici che deliberatamente vorrebbero scoronarvi e profanarvi nell’orgoglio meschino della loro intelligenza e nella sterile voluttà della loro carne. O Signore, salvateci, che non periamo. Calcate le onde nel pelago agitato dell’animo nostro, siate il nostro compagno nella vita e nella morte, il nostro giudice pietoso. Le folgori dei meritati castighi cedano il posto a una nuova e larga effusione della vostra misericordia sulla umanità redenta. Estinguete gli odi; accendete l’amore; disperdete col soffio potente del vostro Spirito i pensieri e le brame di dominazione, di distruzioni e di guerre. Concedete il pane ai piccoli, ai senzatetto la casa, ai disoccupati il lavoro, la concordia alle nazioni, la pace al mondo, a tutti il premio della eterna beatitudine. Così sia.

*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII,
Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 – 1° marzo 1951, pp. 13 -18

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fonte: Sito della Santa Sede



CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME
E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
XXXI Giornata Mondiale della Gioventù
Domenica, 20 marzo 2016

[Multimedia]









 

«Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (cfr Lc 19,38), gridava festante la folla di Gerusalemme accogliendo Gesù. Abbiamo fatto nostro quell’entusiasmo: agitando le palme e i rami di ulivo abbiamo espresso la lode e la gioia, il desiderio di ricevere Gesù che viene a noi. Sì, come è entrato a Gerusalemme, Egli desidera entrare nelle nostre città e nelle nostre vite. Come fece nel Vangelo, cavalcando un asino, viene a noi umilmente, ma viene «nel nome del Signore»: con la potenza del suo amore divino perdona i nostri peccati e ci riconcilia col Padre e con noi stessi.

Gesù è contento della manifestazione popolare di affetto della gente, e quando i farisei lo invitano a far tacere i bambini e gli altri che lo acclamano risponde: «Se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40). Niente poté fermare l’entusiasmo per l’ingresso di Gesù; niente ci impedisca di trovare in Lui la fonte della nostra gioia, la gioia vera, che rimane e dà la pace; perché solo Gesù ci salva dai lacci del peccato, della morte, della paura e della tristezza.

Ma la Liturgia di oggi ci insegna che il Signore non ci ha salvati con un ingresso trionfale o mediante potenti miracoli. L’apostolo Paolo, nella seconda Lettura, sintetizza con due verbi il percorso della redenzione: «svuotò» e «umiliò» sé stesso (Fil 2,7.8). Questi due verbi ci dicono fino a quale estremo è giunto l’amore di Dio per noi. Gesù svuotò sé stesso: rinunciò alla gloria di Figlio di Dio e divenne Figlio dell’uomo, per essere in tutto solidale con noi peccatori, Lui che è senza peccato. Non solo: ha vissuto tra noi in una «condizione di servo» (v. 7): non di re, né di principe, ma di servo. Quindi si è umiliato, e l’abisso della sua umiliazione, che la Settimana Santa ci mostra, sembra non avere fondo.

Il primo gesto di questo amore «sino alla fine» (Gv 13,1) è la lavanda dei piedi. «Il Signore e il Maestro» (Gv 13,14) si abbassa fino ai piedi dei discepoli, come solo i servi facevano. Ci ha mostrato con l’esempio che noi abbiamo bisogno di essere raggiunti dal suo amore, che si china su di noi; non possiamo farne a meno, non possiamo amare senza farci prima amare da Lui, senza sperimentare la sua sorprendente tenerezza e senza accettare che l’amore vero consiste nel servizio concreto.

Ma questo è solo l’inizio. L’umiliazione che Gesù subisce si fa estrema nella Passione: viene venduto per trenta denari e tradito con un bacio da un discepolo che aveva scelto e chiamato amico. Quasi tutti gli altri fuggono e lo abbandonano; Pietro lo rinnega tre volte nel cortile del tempio. Umiliato nell’animo con scherni, insulti e sputi, patisce nel corpo violenze atroci: le percosse, i flagelli e la corona di spine rendono il suo aspetto irriconoscibile. Subisce anche l’infamia e la condanna iniqua delle autorità, religiose e politiche: è fatto peccato e riconosciuto ingiusto. Pilato, poi, lo invia da Erode e questi lo rimanda dal governatore romano: mentre gli viene negata ogni giustizia, Gesù prova sulla sua pelle anche l’indifferenza, perché nessuno vuole assumersi la responsabilità del suo destino.
E penso a tanta gente, a tanti emarginati, a tanti profughi, a tanti rifugiati, a coloro dei quali molti non vogliono assumersi la responsabilità del loro destino. La folla, che poco prima lo aveva acclamato, trasforma le lodi in un grido di accusa, preferendo persino che al suo posto venga liberato un omicida. Giunge così alla morte di croce, quella più dolorosa e infamante, riservata ai traditori, agli schiavi, ai peggiori criminali. La solitudine, la diffamazione e il dolore non sono ancora il culmine della sua spogliazione. Per essere in tutto solidale con noi, sulla croce sperimenta anche il misterioso abbandono del Padre. Nell’abbandono, però, prega e si affida: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Appeso al patibolo, oltre alla derisione, affronta l’ultima tentazione: la provocazione a scendere dalla croce, a vincere il male con la forza e a mostrare il volto di un dio potente e invincibile. Gesù invece, proprio qui, all’apice dell’annientamento, rivela il volto vero di Dio, che è misericordia. Perdona i suoi crocifissori, apre le porte del paradiso al ladrone pentito e tocca il cuore del centurione. Se è abissale il mistero del male, infinita è la realtà dell’Amore che lo ha attraversato, giungendo fino al sepolcro e agli inferi, assumendo tutto il nostro dolore per redimerlo, portando luce nelle tenebre, vita nella morte, amore nell’odio.

Può sembrarci tanto distante il modo di agire di Dio, che si è annientato per noi, mentre a noi pare difficile persino dimenticarci un poco di noi. Egli viene a salvarci; siamo chiamati a scegliere la sua via: la via del servizio, del dono, della dimenticanza di sé. Possiamo incamminarci su questa via soffermandoci in questi giorni a guardare il Crocifisso, è la “cattedra di Dio”. Vi invito in questa settimana a guardare spesso questa “cattedra di Dio”, per imparare l’amore umile, che salva e dà la vita, per rinunciare all’egoismo, alla ricerca del potere e della fama. Con la sua umiliazione, Gesù ci invita a camminare sulla sua strada. Rivolgiamo lo sguardo a Lui, chiediamo la grazia di capire almeno qualcosa di questo mistero del suo annientamento per noi; e così, in silenzio, contempliamo il mistero di questa Settimana.

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica delle Palme, 20 marzo 2016

[Multimedia]


 

Saluto tutti voi che avete partecipato a questa celebrazione e quanti sono uniti a noi tramite la televisione, la radio e altri mezzi di comunicazione.

Oggi si celebra la 31ª Giornata Mondiale della Gioventù, che avrà il suo culmine alla fine di luglio nel grande Incontro mondiale a Cracovia. Il tema è «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). Il mio saluto speciale va ai giovani qui presenti, e si estende a tutti i giovani del mondo. Spero che potrete venire numerosi a Cracovia, patria di san Giovanni Paolo II, iniziatore delle Giornate Mondiali della Gioventù. Alla sua intercessione affidiamo gli ultimi mesi di preparazione di questo pellegrinaggio che, nel quadro dell’Anno Santo della Misericordia, sarà il Giubileo dei giovani a livello della Chiesa universale.

Sono qui con noi molti giovani volontari di Cracovia. Tornando in Polonia, porteranno ai responsabili della Nazione i rami di ulivo raccolti a Gerusalemme, Assisi e Montecassino e benedetti oggi in questa piazza, come invito a coltivare propositi di pace, di riconciliazione e di fraternità. Grazie per questa bella iniziativa; andate avanti con coraggio!

E ora preghiamo la Vergine Maria, perché ci aiuti a vivere con intensità spirituale la Settimana Santa.

Angelus Domini…     

 

 





[Modificato da Caterina63 20/03/2016 13:45]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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