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mons. Landucci La vera carità verso il popolo Ebreo

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2016 14:04
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10/02/2016 14:00
 
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Hermman Cohen.
ebreo convertito divenuto carmelitano
Hermman Cohen.
ebreo convertito divenuto carmelitano

Nessun dubbio vi può essere quindi proprio sul fatto e la responsabilità del deicidio. Pur ammesse le attenuanti per la ignoranza (non però scusabile, come ho detto sopra), il deicidio risulta, sul piano obiettivo, come realtà ovvia, per il fatto che il condannato è Gesù uomo-Dio. Il fatto, come tale, prescinde totalmente dal grado di responsabilità soggettiva degli uccisori.

Anche supposto quindi il massimo delle attenuanti, nella linea della ignoranza della vera persona di Gesù, il deicidio sarebbe, sul piano delle responsabilità, colposo (cioè non propriamente colpevole), ma ancora reale.
L'esigenza, il dovere di un riconoscimento riparatore del clamoroso misfatto obiettivamente compiuto, urgerebbe ugualmente per gli Ebrei. La massima carità verso essi è ancora di richiamarli a questo supremo dovere. Ma, come ho già detto, l'ignoranza fu tutt'altro che incolpevole (della colleganza con i non direttamente responsabili, dirò tra poco).

È chiaro che, in merito al doveroso atteggiamento del proselitismo e della carità cristiana, cattolica, verso gli Ebrei, si deve tener presente la certezza assoluta di fede cristiana delladivinità di Cristo. Non si tratta del giudizio su un qualunque grande personaggio ma su colui che viene da centinaia e centinaia di milioni di cristiani adorato come Dio. Il riconoscimento o la negazione di tale personaggio e della sua missione assurgono quindi al massimo livello di drammaticità e rendono inammissibile il disinteresse sul problema da una parte e dall'altra.

Bisogna anche riflettere alla drammatica alternativa: o Gesù è veramente l'uomo-Dio, affermato dai cristiani o egli è un sacrilego ingannatore. È una alternativa che vale di fronte a qualsiasi posizione non cristiana, ma tanto più di fronte a quella ebraica (vedremo perché "tanto più"). Ogni valutazione quindi - e ogni intesa reciproca - che induca a far dimenticare o a minimizzare tale alternativa costituisce un grave inganno e una offesa alle responsabilità fondamentali della verità e della fede.

La vera carità verso gli Ebrei deve mirare quindi a farli riflettere su tale alternativa e sullaobiettiva tesi del deicidio, per sollecitare il ripensamento e la conversione a cui deve mirare il salutare proselitismo. Questo potrà bensì dispiacere frattanto agli Ebrei: ma non offenderli se vedranno il disinteresse e l'amore che anima quelle sollecitazioni (a differenza di unantisemitismo anticristianamente animato dall'odio). Tutto considerato (e senza escludere la prudenza tattica) la leale franchezza sul proselitismo è la più desiderabile.
Su questo punto, d'altra parte, non si può dimenticare o rinnegare l'esempio apostolico, certamente ispirato (cfr. At. 4,8,31) dallo Spirito Santo. Eccetto quella attenuante (non scusante) della "ignoranza" (non incolpevole) addotta una volta sola da San Pietro (At. 3,17), questi ha sempre apostrofato tutti quegli Ebrei come responsabili del grande misfatto, delineando implicitamente il deicidio.

Nel Cenacolo, alla Pentecoste: «O Giudei e voi tutti, abitanti di Gerusalemme / ... / Gesù di Nazareth, da Dio approvato con grandi opere e prodigi e portenti / ... / catturato per mano di iniqui, voi l'avete crocifisso e ucciso e Dio lo risuscitò / ... / Riconosca dunque fermamente tutta la casa d'Israele / ... / Signore e Messia questo Gesù che voi crocifiggeste / ... / convertitevi da questa generazione perversa. » (At. 2,14-40)
Nel tempio, nel portico di Salomone, al popolo accorso dopo la guarigione dello storpio: «Dio ha glorificato il figlio suo Gesù che voi deste in mano di Pilato / ... / e chiedeste che vi fosse graziato un assassino. Voi uccideste l'autore della vita.» (At. 3,13-15)

Arrestato con Giovanni, davanti al Sinedrio: «Sia noto a tutti voi e a tutto il popolo di Israele che nel nome di Gesù Cristo Nazareno, che voi crocifiggeste, e che Dio risuscitò dalla morte / ... / quest'uomo sta davanti a voi risanato. Egli è la pietra rigettata da voi edificatori, che è diventata la pietra angolare (cf. Ps. 118,22); e in nessun altro è salvezza.» (At. 4, 10,11)

Liberati e tornati Pietro e Giovanni presso i discepoli, nella comune preghiera innalzata a Dio: «Sì, veramente si unirono in questa città contro il santo Figlio tuo Gesù, da te consacrato, Erode e Ponzio Pilato con le genti e con le plebi d'Israele.» (At. 4,27) E fu una preghiera sigillata da una nuova clamorosa effusione dello "Spirito Santo" (31).

Di nuovo, davanti al Sinedrio, il sommo sacerdote, dimostrando di avere ben capito la predicazione degli Apostoli, contesta loro: «Volete far ricadere su di noi il sangue di quest'uomo.» E Pietro con gli Apostoli ribadisce: «Il Dio dei padri nostri risuscitò Gesù, chevoi uccideste appendendolo in croce.» (At. 3,28.30)
Ancora Pietro a Cornelio Centurione: «Noi siamo testimoni di tutte le cose che (Gesù) fece nella terra dei Giudei e in Gerusalemme; ed essi lo uccisero, configgendolo in croce.» (At. 10,39)

Similmente Santo Stefano davanti al Sinedrio: «Voi foste ora del Giusto i traditori e gli omicidi.» (At. 7,32) Così San Paolo: «Gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi ne chiesero a Pilato la morte.» (At. 13,28)
Come si vede, è una martellante e costante denuncia della responsabilità obiettiva - e congiuntamente - subiettiva - giudaica, formulata sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, che sarebbe un inganno e contro la vera carità, far dimenticare.

E quanto, del resto, affermarono gli stessi Giudei, gridando a Pilato la celebre espressione che indica il riconoscimento della piena responsabilità e l'accettazione di tutte le conseguenze: «E tutto il popolo rispose: "Ricada il suo sangue su di noi e sopra i nostri figli".» (Mt. 27,23; cfr. At. 18,6) Affermazione che, troppo tardi, cercarono poi di rinnegare davanti agli Apostoli (At. 3,28).

Da notare anche che il richiamo all'ignoranza quale attenuante (benché non scusante) vi è solo nel discorso di Pietro al popolo comune, dopo la guarigione dello zoppo, a un uditorio cioè nel quale era più facile ammetterla in qualche misura e in circostanze che inducevano particolarmente a espressioni accattivanti di benevolenza.

Auguste e Joseph Lemann
I fratelli Auguste e Joseph Lemann
convertiti al cattolicesimo

gli altri Giudei, di allora e di oggi? ovvia la differenza di responsabilità diretta. Basta pensare che, di contro agli uccisori di Gesù, molti Giudei si convertirono, sicché le prime comunità di fedeli erano costituite da essi.
Il problema va posto però per i non convertiti.
Colpisce il fatto che nelle martellanti denunce dei crocifissori di Gesù, gli Apostoli accumunarono sempre i capi e il popolo. E evidente che, quanto alla possibile buona fede e alla possibile ignoranza pienamente scusante, esse possono essere assai più facilmente ammesse per il popolo che non era direttamente a conoscenza dei fatti e che giudicava in base alla autorità dei capi. Per il popolo quindi - di allora e di oggi - può valere largamente la distinzione tra piano soggettivo e obiettivo. Ma, a prescindere dal grado di responsabilità soggettiva della ignoranza, la verità di Cristo e la tragedia del deicidio restano integre sul piano obiettivo e reclamano la riparazione su quello stesso piano.

La carità verso gli Ebrei reclama quindi di condurli a tale riparazione, al riconoscimento cioè del clamoroso errore compiuto, così da giungere alla auspicata conversione.
Se si riflette alla suddetta fatale e suprema alternativa: o veramente uomo-Dio o sommo, sacrilego ingannatore; che non c'è via di mezzo; e che i Giudei agirono attivamente secondo la seconda valutazione, si comprende come non sia ammissibile la noncuranza o neutralità di giudizio ed urga per i Giudei la conversione riparatrice. La vera carità verso di essi non può quindi non tendere, in tal senso, al più fervido e sereno proselitismo.

L'Ebreo attuale quindi, pur non avendo avuto alcuna parte attiva nel processo e nella condanna storica di Gesù, rifiutandosi di riconoscerlo come Dio, non può non essere moralmente solidale con quella condanna e far proprio, in qualche modo, quel giudizio del Sinedrio come formulato verso un sacrilego e sommo ingannatore. Questo se vuol seguire una elementare coerenza.

Ma, a parte la coerenza logica - che alcuni potrebbero anche trascurare - v'è una ragione psicologica che dovette inclinare e gli antichi e gli attuali Ebrei a solidarizzare senz'altro con l'atteggiamento di quel Sinedrio. È un popolo infatti caratterizzato da straordinaria unità per il mutuo compenetrarsi dei legami di sangue, di storia, di politica, di religione. Chi perde uno di questi legami (per essere caduto, per esempio, nella miscredenza e aver perduto quindi il convinto legame della religione) resta legato mediante gli altri, con il primario fondamento nel sangue e nella circoncisione (avvalorati da forte unità familiare e grande ostilità a matrimoni con non ebrei).
Questa solidarietà non ha confronto con altri popoli perché permane nonostante la frammentazione di questo popolo nelle varie nazioni, assumendone le rispettive nazionalità (anche dopo la creazione d'Israele, dove sono confluiti soltanto 3,5 milioni di individui dei circa 15 milioni oggi esistenti). È una unità etnica che ha sfidato i millenni e che difficilmente si può spiegare senza un disegno della Provvidenza, perché si attui la profezia, già ricordata, secondo cui, finalmente, dopo l'«accecamento di una parte d'Israele / ... /tutto Israele si salverà/ ... / perché i doni di Dio e la vocazione di Lui sono irrevocabili.» (Rm.11,25-29) Perché sia palese tale ritorno di Israele come tale, esso deve così mantenersi unito.

È una solidarietà quindi che fatalmente lega a quella antica condanna di Gesù. Un semplice attuale silenzio, a tale riguardo, non rompe tale solidarietà. Occorre una pubblica sconfessione di essa. Sono state anche prese particolari iniziative in tale senso, ma con scarsa risonanza. Taluni hanno anche cercato di evadere da quella tremenda alternativa - o Dio o sacrilego ingannatore - ma facendo violenza alla storia e alla logica. Quella solidarietà fondamentale resta. Il mondo cristiano giustamente attende una riparazione.
È contro la carità nascondere questo dovere al mondo ebraico.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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