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mons. Landucci La vera carità verso il popolo Ebreo

Ultimo Aggiornamento: 10/02/2016 14:04
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10/02/2016 14:01
 
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Ratisbonne
i fratelli Théodore e Alphonse Ratisbonne
converiti al cattolicesimo

Inutile dire quanto sia contro la carità l'antisemitismo di infausta memoria, con le violenze e le stragi, che arrivarono, in epoche moderne, ai "pogrom" (devastazioni, saccheggi) russi e alle stragi di A. Hitler. La verità richiede però di fare le necessarie distinzioni.

La parola "antisemitismo", creata in ambiente tedesco circa un secolo fa, si riferisce propriamente all'antiebraismo etnico-filosofico-sociale-razzista, non religioso, come era invece nel mondo antico e medievale, quando ostilità e tolleranza insieme si risolvevano, in definitiva, nelle segregazioni dei "ghetti", proseguiti anche in epoche moderne e infine aboliti.

È inoltre contro la carità della verità di considerare solo il riprovevole "antisemitismo" e non il reciproco e attivo anticristianesimo ebraico. Contro di questo può essere doverosa la difesa: purché la si intenda cristianamente senza alcun odio dell'avversario, anzi amandolo e bramandone la conversione, in soprannaturale spirito di proselitismo.

Questo "anticristianesimo" è storicamente innegabile, come proseguimento della ostilità del Calvario. Basta vedere negli Atti la sistematica e furiosa ostilità dei Giudei alla predicazione degli Apostoli e contro San Paolo, in tutti i suoi viaggi, cioè anche nella diaspora. Ciò secondo la predizione di Gesù: «Vi cacceranno dalle sinagoghe; anzi viene l'ora che chiunque vi uccide penserà di rendere culto a Dio. E tutto ciò faranno perché non hanno conosciuto né il Padre né me.» (Gv. 16, 2-3; cfr. 9,22)
Ed ecco Pietro e gli Apostoli ripetutamente catturati, minacciati, flagellati; ecco il martirio di Stefano e la «grande persecuzione contro la Chiesa che era in Gerusalemme» (At. 8,1) e il martirio di Giacomo (12, 2-3). Ecco Paolo perseguitato a morte: Damasco: «I giudei si accordarono di ucciderlo» (9,23); Gerusalemme: «gli Ellenisti tramavano di ucciderlo.» (9,29) Antiochia di Pisìdia: A giudei, vedendo la folla si riempirono di malanimo e presero a contraddire con oltraggiose parole», «istigarono le donne pie e ragguardevoli e i più influenti della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Barnaba e li cacciarono dai loro confini.» (13, 45. 50).

Iconio: molti Giudei credettero, «ma i giudei rimasti increduli eccitarono e irritarono gli animi dei Gentili contro i fratelli», «ci fu, da parte dei pagani e dei giudei con i loro capi, un tentativo di maltrattarli e lapidarli (gli Apostoli).» (14, 2. 5). Listra: «Sopraggiunsero da Antiochia di Pisidia e da Iconio dei giudei i quali, tirata dalla loro parte la folla, lapidarono Paolo e lo trascinarono fuori della città, credendolo già morto.» (14,19). Tessalonica: «I giudei, pieni d'astio, presero con sé alcuni ribaldi di piazza e, fatta folla, misero a tumulto la città, / ... /gridando: Costoro, dopo aver posto sossopra il mondo, sono venuti anche qua / ... / ribelli contro i decreti di Cesare, proclamando che c'è un altro re, Gesù.» (17,5-7). Berea: «I giudei di Tessalonica vennero anche là a scuotere e agitare le turbe.» (17,13).

Corinto: «I giudei gli si opponevano e lo ingiuriavano / ... / insorsero unanimi contro Paolo e lo trassero al tribunale, dicendo: Costui persuade la gente a rendere a Dio un culto contrario alla legge» (18, 12-13); ancora in Grecia: «I giudei gli tesero insidie, mentre era in procinto di salpare per la Siria.» (20,3). Mileto: Paolo ricorda «le lacrime e le prove che gli sopravvennero per le insidie dei giudei. » (20,19).

Gerusalemme: «I giudei dell'Asia, veduto Paolo nel tempio, sobillarono tutta la folla / ... / e impadronitisi di Paolo / ... / tentavano di ucciderlo / ... / Togli dal mondo costui: non è degno di vivere / ... / I giudei ordirono una congiura e si votarono con anatema a non mangiare e non bere finché non avessero ucciso Paolo.» (21, 27. 30. 31; 22,22; 23,12; 26,21)

Questo anticristianesimo combattivo non può non essere permanentemente radicato, sia pure in varia misura, nella mentalità e prassi ebraica, perché fondato su quella drammatica alternativa: o il vero, atteso Messia, uomo-Dio o il più sacrilego mentitore. Esclusa la prima ipotesi non resta logicamente che la seconda che non può non estendersi, in qualche modo, al cristianesimo e suscitare verso di esso una fondamentale opposizione, capace anche di traboccare in tenace odio e disprezzo, come e più che per i generici non ebrei "goyim" secondo la mentalità (male interpretata) dell'Antico Testamento.

Va tenuta inoltre presente la concezione ebraica del Salvatore promesso come trionfatore terreno, che deformò l'interpretazione delle profezie e ostacolò la comprensione di Gesù. Il perdurare attuale di tale concezione può determinare indubbiamente una qualche tendenza ebraica al dominio terreno universale, facilitato dalla contemporanea presenza nelle varie nazioni, dalla emergenza scientifica di varie personalità e soprattutto dalla grande potenza economica internazionale, oltre che dalla massiccia presenza negli Stati Uniti di Ebrei, particolarmente ricchi e potenti.

Naturalmente questa tendenza al dominio non affiora ugualmente alla coscienza dei singoli, o non affiora affatto, data anche la moderna variabilissima partecipazione all'unità ebraica, sovente estranea alla vera adesione religiosa (tanto che alcuni, per esempio, identificano oggi tutta la realtà del Messia con il costituito e consolidato Stato d'Israele).

Per rendere però il fenomeno importante e preoccupante basta che riguardi settori particolari e gruppi particolari ebraici, particolarmente potenti. E comunque si tratta di una tendenza sempre latente.
Tale tendenza induce purtroppo a stabilizzare la psicologia ebraica, in antitesi all'orientamento di conversione. È quindi mancanza di carità verso il mondo ebraico di nasconderla e non denunciarla. Il mondo cattolico, d'altra parte, ha il dovere prudenziale di tenere presente questo pericolo potenziale o attuale contro l'"ovile" di Cristo.

Ed è ingiusto e unilaterale, ad ogni modo, di condannare soltanto l'antisemitismo, dimenticando l'anticristianesimo, che l'ha preceduto e l'accompagna.

famiglia Lob family
la famiglia Lob
interamente convertita al cattolicesimo

Il primato della vocazione salvifica ebraica è, alla luce della Scrittura, evidente. Ma è fonte di tanti equivoci, quando si prescinda dal fatto discriminante del rifiuto e della condanna di Gesù. Già toccammo il fatto di tale "primato" in relazione al "proselitismo". Va ora un po' approfondito.
Dovendo il profetizzato Messia e Salvatore nascere dal seno del popolo ebraico, questo popolo si presentava come prediletto da Dio e ovviamente doveva essere il primo oggetto della rivelazione salvifica di Gesù. «Andate prima alle pecore sperdute della casa d'Israele» (Mt. 10,6) disse infatti Gesù agli Apostoli. E ribadì con forza tale primato e precedenza dei Giudei rispondendo iperbolicamente alla Cananea: «Io sono stato mandato soltanto alle pecore perdute della casa d'Israele.» (Mt. 15,24)

Così San Pietro, alla folla radunata dopo la guarigione dello zoppo: «Gesù, a voi è stato destinato per Messia / ... / A voi per primi Iddio lo ha inviato a recarvi benedizione, convertendosi ciascuno di voi dalle sue iniquità.» (At. 3, 20. 26)

Così San Paolo ad Antiochia di Pisidia: «O fratelli, figli della stirpe di Abramo e chiunque tra voi teme il Signore ("proseliti" o quasi): il verbo della salvezza fu inviato per noi / ... /A voi per primi era necessario che fosse detta la parola di Dio.» (At. 13, 26. 46) E nella lettera ai Romani: «Agli Israeliti appartiene l'adozione in figlioli, e la gloria e le alleanze e la legislazione e il culto e le promesse; a cui appartengono i patriarchi e da cui è nato Cristo quanto alla carne.» (Rm. 9, 4-5)

Ma quale conseguenza trarne? Non certo l'assoluzione o le maggiori attenuanti per il misfatto del Calvario, ma immense aggravanti, per lo meno obiettive, per il rifiuto e la condanna del Redentore, profetizzato e nato dal proprio seno: «Spunterà il germoglio di Jesse (dalla stirpe di Davide, ultimogenito di Jesse).» (Rm. 15,12; Is. 11,1)

Così per esempio il traditore Giuda fu immensamente privilegiato essendo stato annoverato tra i "dodici"; ma proprio per questo fu tanto più colpevole come traditore: «Colui il quale mangia il mio pane ha levato il calcagno contro di me. » (Gv. 13,18) «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?» (Lc. 22,48; Sl. 41,10; 55, 13-15)
Il primato salvifico diviene, col rifiuto, primato di condanna.

Suor Maria Samuele
un tempo Sonia Katzmann
e ora Holy Spirit Adoration Sister
Suor Maria Samuele
un tempo Sonia Katzmann
e ora 
Holy Spirit Adoration Sister

La vocazione permanente che giustamente si attribuisce ai Giudei acquista allora il suo chiaro significato. Interpretarla come identica missione e identica benevolenza divina verso di essi, così prima come dopo il Calvario, è assurdo e offensivo gravemente della divina paternità e giustizia.

Non esistono infatti due economie della salvezza, ma solo quella nel Figlio unigenito inviato a tale fine dal Padre (a cui si collega, in modo riduttivo e implicito chi lo ignori in buona fede): «Io sono la via la verità e la vita: nessuno può andare al Padre se nonper mezzo mio. » (Gv. 14,6) «La pietra (riferimento a Sl. 118,22 s.) che i costruttori hanno rigettata è riuscita in capo all'angolo... Chi cadrà su questa pietra si sfracellerà e colui sul quale essa cadrà lo stritolerà.» (Mt. 21,42.44) San Pietro al popolo: «Ogni anima che non avrà ascoltato quel profeta sarà sterminata di mezzo al popolo.» (At. 3,23) Al Sinedrio: «Egli è la pietra rigettata da voi edificatori, che è diventata la pietra angolare: e in nessun altro è la salvezza, perché non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini per il quale possano essere salvi.» (At. 4,11-12; cfr. 1 Pt. 2,6-8)
Lo ribadisce San Paolo in Rm. 9, 31-33.

Sono verità essenziali della rivelazione che per nessuna ragione possono essere dimenticate o fatte dimenticare.
Non viene con ciò minimamente negato quanto San Paolo dice degli Ebrei, circa la «irrevocabilità dei doni di Dio e della vocazione di Lui» (Rm. 11,29) cui ho già ripetutamente accennato: purché la si intenda rettamente e non come un loro permanere attuale nello stesso rapporto con Dio che avevano prima della condanna di Gesù. Non è leale che a favore degli Ebrei si ripetano spesso queste parole di San Paolo, nella lettera ai Romani, falsificandone il senso, il quale invece è chiaramente e ampiamente spiegato in tale lettera. Vi si parla infatti di «giusta punizione» (9), di «rami stroncati / ... / dalla santa radice» (16-17), «recisi per la loro incredulità» (20), di «perdurante accecamento di una parte d'Israele (coloro che non hanno riconosciuto Cristo)» (25); ma che (ecco la "irrevocabilità" e lo scopo del proselitismo), saranno «se non persistono nella incredulità / ... / innestati di nuovo» (23), ossia saranno dopo il «ripudio / ... / riammessi riacquistando vita da morte.» (15)

Può servire, a chiarimento della bene intesa "irrevocabilità" la vocazione universale - anch'essa irrevocabile - alla salvezza, che riguarda tutti ed è testificata in 1 Tm. 2, 4. 6: «Dio, nostro Salvatore vuole che tutti si salvino»: «Gesù per tutti ha dato se stesso come riscatto.»

Chi, peccando, perde la grazia non è più in stato attuale di salvezza; ma rimane nella economia della salvezza fino a che vive, venendo stimolato alla conversione dalla divina misericordia: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi. » (Lc. 5,32)

Dio non prosegue ad amare il grande peccatore in quanto tale, non prosegue a volerne la salvezza lasciando che esso resti tale, ma in quanto lo vede candidato alla conversione e lo stimola ad essa fino al termine della vita. Ma se la conversione sarà definitivamente rifiutata allora la "irrevocabilità" della vocazione salvifica si trasformerà nella "irrevocabilità" della condanna: «Via da me, operatori di iniquità», «maledetti» (Mt. 7,23; 25,41).

Il già ricordato esempio di Giuda è emblematico. La misericordiosa volontà salvifica emerse per lui nel continuo richiamo di Gesù. Fu un richiamo fortissimo: «tra voi alcuni non credono ... uno di voi è un diavolo» (Gv. 6,64.70); e incalzante: Gu. 13,10.18.21.26.27. Giunse fino a chiamarlo "amico" (Mt. 26,50) nel momento del tradimento e di farsi da lui baciare (Le. 22,48). Cessò quando l'antico prediletto Apostolo, resistendo ai continui richiami e alla divina grazia, conchiuse il tradimento, anziché col pentimento, con la morte disperata.

Anche con gli Ebrei, continui divini richiami, cadute, richiami, fino all'indurimento e al rifiuto deicida. Rispetto al caso di Giuda e di ogni singolo dannato v'è tuttavia per i Giudei questa fondamentale differenza. Per i singoli il ciclo di prova e di esercizio della divina volontà salvifica si chiude con la morte. Per gli Ebrei, sostanzialmente compatti nella loro unità, intesi non come individui, ma come popolo, il periodo di prova continua e vi è il preannuncio profetico che verrà il momento in cui, finito l'"accecamento", «tutto Israele si salverà» (Rm. 11,26): e ciò perché «essi sono amati per ragione dei padri loro.» (11,28)
Niente di più dannoso per gli Ebrei che nasconder loro o far dimenticare queste fondamentali verità rivelate, lasciandoli nella illusione di essere attualmente prediletti da Dio come prima del Calvario.
La vera carità verso di essi è di sollecitare con la preghiera e l'illuminato "proselitismo" quel profetizzato ritorno salvifico.

Warren Hecht
ebreo ortodosso di Brooklin e ora diacono cattolico
Warren Hecht
ebreo ortodosso di Brooklin e ora diacono cattolico

Dipendenza ebraica del cristianesimo, così da aversi una unica linea ebraico-cristiana, e da risultare il «dovere della carità e della gratitudine per tutto quanto abbiamo ricevuto da quel popolo» (Card. Bea), a cominciare da Gesù e Maria che erano ebrei: sono le conclusioni in voga dei difensori degli Ebrei e degli antiproselitisti. Non sono affermazioni del tutto errate. Ma sono tremendamente unilaterali ed equivoche, tali da falsare completamente le prospettive, le relazioni cristiano-ebraiche e la vera carità verso gli Ebrei.
Tutto l'equivoco nasce dalla dimenticanza della frattura determinatasi nella storia ebraica con la tragedia del Golgota, quando furono "stroncati i rami" che erano uniti alla "santa radice" (Rm. 11,16-17): il che avvenne direttamente per opera di quei soli condannatori di Gesù, ma staccò per solidarietà dalla linea profetica e redentiva tutto il popolo che tuttora non riconosce Gesù.

Certo: "unica linea ebraico-cristiana". Ma con l'ebraismo antecedente a quel crollo, dalla cui linea profetica si è staccato, per "accecamento" (Rm. 11,25), l'attuale ebraismo. Proprio in quella linea esso è stato sostituito, come popolo eletto, dal cristianesimo. È quindi un banale equivoco di parlare di quanto dobbiamo a quel popolo, senza distinguere il prima e dopo la tragica frattura. È un banale equivoco sfruttare quanto dobbiamo a quell'antico popolo profetico per alimentare la simpatia per questo popolo attuale. Non possiamo certo essere grati all'ebraismo attuale per il rifiuto di Cristo.

E se riflettamo che tutta la precedente storia di quel popolo e tutta la Scrittura dell'A.T. erano preparatorie e profeticamente indicatrici del Redentore si comprende tutta la gravità e la sciagura di quel rifiuto. E si comprende anche la piena sostituzione del "popolo eletto", divenendo tale il "popolo cristiano" che ha compiuto quel supremo riconoscimento e seguito il Messia promesso.

In particolare, che Gesù e Maria siano ebrei, non è, per gli Ebrei stessi, obiettivamente e soggettivamente, che un'enorme aggravante di quel rifiuto; come è, d'altra parte, la conferma del trasferimento del popolo eletto nel mondo cristiano, precisamente in quanto innestato nell'ebreo uomo-Dio Gesù.
Questo trasferimento fu evidenziato, storicamente e liturgicamente nell'ultima cena, appositamente compiuta nella Pasqua giudaica. Il transito avvenne quando, compiuta la cena giudaica, si passò alla cena e alla immolazione eucaristica. Alla figura, l'agnello animale, si sostituì la realtà salvifica dell'Agnello divino.
Sono verità supreme su cui è assurdo sorvolare.

È crudeltà verso gli Ebrei nasconderle.
Salvi i modi opportuni, è suprema carità ricordarle.

 


testo tratto da: «Renovatio», n° 3, 1982. 5 - immagini e note a c. della red. di Flos Carmeli

[Modificato da Caterina63 10/02/2016 14:04]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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