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Esortazione Apostolica Amoris Laetitia

Ultimo Aggiornamento: 06/05/2016 21:03
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09/04/2016 12:24
 
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  DUE PARERI DIVERSI, DI DUE SACERDOTI.... li portiamo per sottolineare come e quanto regni la confusione e la divisione nella Chiesa e che MAI ciò era accaduto per un testo pontificio....

Letta nel suo insieme, la "Amoris lætitia" può dare spunto a giudizi complessivamente positivi, anche da parte di analisti che non hanno taciuto le loro critiche a talune impazienze dei due sinodi sulla famiglia.

Uno di questi è Juan José Pérez-Soba, sacerdote della diocesi di Madrid e professore di pastorale familiare nel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, presso la Pontificia Università del Laterano.

Molti già lo conoscono per l'ampio suo intervento su www.chiesa dello scorso 23 febbraio:

> Sui divorziati risposati il papa frena, i suoi consiglieri no

Ecco qui di seguito un suo primo commento all'esortazione.

*

NON UN CAMBIAMENTO DI DOTTRINA, MA L'INVITO A UN CAMMINO NUOVO

di Juan José Pérez-Soba

È finalmente uscito il documento più atteso del magistero degli ultimi anni, che indubbiamente segna una svolta nel pontificato di Francesco. Incoraggiavano questa attesa le enormi aspettative create attorno ai due sinodi sulla famiglia, oggetto di un grande dibattito all'interno della Chiesa. Abbiamo quindi ora le prime proposte.

La prima è la più evidente: chi aspettava un cambiamento nella dottrina della Chiesa non sarà accontentato e rimarrà deluso. Una premessa ripetuta continuamente era che l'obiettivo dei sinodi era pastorale e non dottrinale; tuttavia, molti non hanno voluto capirlo.

Non solo: chi aspettava che l'esortazione apostolica del Santo Padre andasse più avanti dei sinodi, rimarrà deluso anche lui.

Alcuni sognavano questo dopo aver letto la "Relatio finalis" della XIV assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi, perché non rispondeva a molte delle questioni sollevate nel dibattito precedente. Adesso abbiamo visto che nemmeno il papa ha voluto dare loro risposta. Allo stesso modo che nel sinodo non si faceva menzione in modo esplicito dell'ammissibilità alla comunione o alla confessione nel caso dei divorziati risposati, non la si fa nemmeno qui.
Il papa, nell'esprimere la sua posizione personale, non ha voluto che confermare il sinodo nelle sue stesse espressioni. Questo desiderio è molto chiaro in tutta l'esortazione, dove parecchi paragrafi non sono altro che una citazione dei testi delle due relazioni sinodali, senza nessun commento.

Su un tema che aveva voluto aprire alla discussione all'interno della comunità e sul quale poteva intervenire con la sua autorità, il papa non fa altro che ripetere l'affermazione del sinodo del 2015: “Occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate” ("Amoris lætitia" 299, che cita la "Relatio" del 2015, 84).

La prima conseguenza che si ricava dall'esortazione è che la proposta del cardinale Kasper, già respinta nel sinodo, non è stata accettata. Non c'é nel testo rimando alcuno a una tolleranza ufficiale di un situazione di seconde nozze non sacramentali.  Le condizioni indicate dal cardinale tedesco non sono mai menzionate. La sua richiesta che "dovrebbero valere ed essere pubblicamente dichiarati dei criteri vincolanti”, sulla base di come “nella mia relazione ho cercato di fare”, non è stata accolta.

In definitiva, non si fornisce nessuna ragione oggettiva per la quale un divorziato che vive in una nuova unione possa ricevere i sacramenti al di fuori delle condizioni manifestate nella "Familiaris consortio", n. 84, che nella "Relatio" del 2015 è indicata, al n. 85, come “criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni”. Non la si fornisce in nessun punto del documento. Le semplici allusioni delle note 336 e specialmente 351 rimandano a situazioni di tipo generale, senza far effettivo riferimento ai divorziati risposati.

Allora, cosa troviamo nell'esortazione apostolica?

Prima di tutto, il suo stesso titolo ce lo indica: "Amoris lætitia". Una spinta a prendere sul serio l'amore con la forza della gioia che caratterizza la "Evangelii gaudium". Può sembrare un'interpretazione superficiale, ma risponde al testo e all'intenzione che palpita nell'autore. Il papa stesso dice che in un testo così esteso ci sono parti che si leggeranno in modo diverso (n. 7). L'obiettivo del testo, dunque, non è fare una rivoluzione nella Chiesa, bensì portare avanti una “conversione pastorale misericordiosa” (nn. 201 e 293). Questo è certamente qualcosa di nuovo, di evangelico e senza dubbio di missionario, anche se non è quanto si aspettavano i mass media.

Per questo motivo il papa mette sull'avviso, all'inizio, su quelle che sarebbero due interpretazioni sbagliate perché provenienti da un ambito inutilmente polemico (n. 2): “I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche”.

È un modo per dire che per fare qualsiasi cambiamento bisogna prima riflettere e trovare le basi, e si deve rendere ciò manifesto. La conclusione chiara è che il papa non dà inizio a nessun cambiamento, bensì, come dice lui immediatamente, apre un processo di riflessione all'interno di “un'unità di dottrina e di prassi” (n. 3) aperta alle variabili di culture e tradizioni.

Per capire il valore di novità dei testi si possono distinguere, nell'esortazione, tre parti. Prima tutta una serie di testi che sistematizzano i contributi dei sinodi e seguono praticamente alla lettera le loro indicazioni. Poi i testi che vanno considerati come commenti alle catechesi del papa sulla famiglia e forniscono spunti bellissimi sulla convivenza familiare partendo dal mistero di Dio presente nella famiglia. Infine i testi nei quali il papa parla molto liberamente e in modo nuovo, e che hanno solo pochi rimandi. Ciò si trova specialmente nei capitoli quarto e quinto, che sono i più suoi, dove troviamo le affermazioni più personali, che devono illuminare le altre.

Questo non è quanto vogliono i mass media; ma è quanto il papa vuole offrire alla Chiesa nel processo aperto dal cammino sinodale. In questo contesto, osserviamo che egli cita ampiamente la teologia del corpo di san Giovanni Paolo II, praticamente ignorata nei sinodi. È lì che si trova riaffermata con delicatezza, ma al contempo con fermezza, la "Humanae vitae" come luce necessaria dell'amore coniugale.

Ecco perché tutta la sua dottrina dell'amore non è soltanto una bella riflessione ma anche una grande promessa di una svolta pastorale di dimensione importanti. Il papa dice molto chiaramente qual è il suo proposito (n. 199): “Senza pretendere di presentare qui una pastorale della famiglia, intendo limitarmi solo a raccogliere alcune delle principali sfide pastorali”. In questo senso, è specialmente importante quanto afferma  al n. 211: “La pastorale prematrimoniale e la pastorale matrimoniale devono essere prima di tutto una pastorale del vincolo, dove si apportino elementi che aiutino sia a maturare l’amore sia a superare i momenti duri. Questi apporti non sono unicamente convinzioni dottrinali, e nemmeno possono ridursi alle preziose risorse spirituali che sempre offre la Chiesa, ma devono essere anche percorsi pratici, consigli ben incarnati, strategie prese dall’esperienza, orientamenti psicologici. Tutto ciò configura una pedagogia dell’amore che non può ignorare la sensibilità attuale dei giovani, per poterli mobilitare interiormente”.

Qui si vede il primato di una visione pastorale il cui centro è insegnare ad amare, superando la mera visione dottrinale o le considerazioni spirituali. Il fatto di centrarla sul vincolo indica la necessità di avere come fine primario quella preziosa realtà umana che non può essere ridotta a una considerazione giuridica.

Ecco perché i suoi apporti nuovi sono una riflessione più estesa sulla teoria del "gender" (n. 56) e la necessità di superare un sentimentalismo dell'amore, che richiede un'adeguata educazione sessuale (nn. 280-286), oltre che contribuire con la riflessione più sistematica sulla carità coniugale che si trova nel magistero (nn. 120-122).

Questi sono i fari che devono guidare le azioni che compaiono nel capitolo ottavo e il cui obiettivo è condurre le persone a quella pienezza di vita che l'amore ci dona. Il papa vede tutto questo unito in modo diretto al "kerygma", sul quale ha sempre fondato il suo impulso pastorale (n. 58), come anelito evangelico che accompagna tutto il suo pontificato.

Questa è, veramente, un'intuizione pastorale enorme riguardo alla famiglia perché, come ha detto a Santiago de Cuba il 2 settembre 2015, le famiglie “non sono un problema, sono principalmente un'opportunità” (n. 7). Questa intuizione è essenziale per portare avanti la svolta di una Chiesa più famigliare, autentica “famiglia di famiglie” (n. 87). Richiede la conversione pastorale di un'azione misericordiosa che è la luce che illumina tutto il capitolo ottavo.

Ciò non può essere considerato come secondario, ma bisogna vederlo sempre alla luce della positività dell'amore, per non cadere in una casuistica che il papa rifiuta. E intende questo come una ricerca che non è un cambiamento delle norme, come sperano alcuni. Per dirla con le parole del papa (n. 304): “Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione”.

È qui che egli ci invita a una più profonda riflessione sull'azione pastorale, nella quale la misericordia è parte della sua stessa ragione interna. È un compito ancora da svolgere, e il papa vuole aprire la via. È qui che si compie quello che lui chiede all'inizio (n. 2): “La riflessione dei pastori e dei teologi, se è fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, ci aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza". Le tre chiavi che introducono il capitolo ottavo, “accompagnare, discernere ed integrare”, hanno senso non come azioni separate, bensì guidate dall'amore che dona loro il proprio contenuto.

Senza cambiamenti nella dottrina e nella normativa ecclesiale, il papa apre un processo di maggior comprensione della misericordia nella pastorale della Chiesa. Ma lo fa chiaramente partendo dalla sua precedente riflessione sull'amore, perché la misericordia è un suo frutto (n. 27). È ben consapevole del “vero significato della misericordia, la quale implica il ristabilimento dell’Alleanza” (n. 64). Nella riflessione pastorale non manca di fare riferimento ai documenti precedenti del magistero, che sono principio di interpretazione della portata della sue affermazioni. Fa così con la "Familiaris consortio" e con la dichiarazione sull'ammissibilità alla sacra comunione per i divorziati risposati del pontificio consiglio per i testi legislativi (24 giugno 2000). Riguardo all'azione umana e alla sua razionalità cita ripetutamente san Tommaso d'Aquino e il Catechismo della Chiesa cattolica. Certamente sta tracciando una via in perfetta continuità ecclesiale, ma con un nuovo respiro: quella letizia che unisce questo documento con la "Evangelii gaudium".

Dobbiamo capire bene l'apertura pastorale di questa esortazione per evitare di cadere in interpretazioni ambigue della stessa, che il papa stesso sa bene quali effetti disastrosi potrebbero avere nella pastorale, e per questo motivo sin dall'inizio, come abbiamo letto (n. 2), reclama la necessità di essere chiari.

Questo dipenderà, in larga misura, delle famiglie cristiane, che sono riflesso del vero Vangelo che le unisce.

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NOTA BENE !

Il blog “Settimo cielo” fa da corredo al sito “www.chiesa”, curato anch’esso da Sandro Magister, che offre a un pubblico internazionale notizie, analisi e documenti sulla Chiesa cattolica





LA DOLCE MORTE DELLA CHIESA......

Il colpo più devastante degli ultimi tre anni.

di  Don Elia

Geniale astuzia gesuitica. Se non altro, bisogna dargliene atto. Con l’esortazione apostolica sulla famiglia è riuscito a catturare e calamitare su di sé l’attenzione universale, compresa quella di chi lo detesta. Tutti col fiato sospeso in attesa che scoccasse la fatidica ora. Mai la pubblicazione di un documento del Magistero aveva provocato tanta suspense ed era stato atteso con tanta trepidazione, seppure di segno diverso a seconda degli schieramenti. Che si sia d’accordo o meno, una simile ansia, da sola, ha comunque conferito al documento una risonanza enorme a livello mondiale, fuori e dentro la Chiesa. 
Non c’è che dire: un altro colpo da maestro nella strategia di manipolazione collettiva di cui tutti, nolenti o no, siamo inevitabilmente vittime – forse, come potremo verificare nei prossimi mesi, il colpo più devastante degli ultimi tre anni.

I commenti, in senso favorevole o contrario, saranno d’obbligo e si moltiplicheranno a dismisura su siti e testate di ogni orientamento, continuando a tenere incollato l’interesse di tutti su un testo che, secondo l’ormai collaudata tecnica, non contiene dichiarazioni che contraddicano nettamente il deposito della fede, ma insinua l’eresia sotto forma di mantra ossessivi: accoglienza, inclusione, misericordia, compassione, inculturazione, integrazione, accompagnamento, gradualità, discernimento, coscienza illuminata, superamento di schemi rigidi o sorpassati… 

Chi può contestare una tale esortazione alla (apparente) carità evangelica senza passare per un ottuso e insensibile difensore di dottrine astratte, formulate in modo non più compatibile con la situazione odierna? Se – a quanto si afferma – il matrimonio cristiano (che i nostri genitori, nonni e bisnonni hanno normalmente vissuto, pur con tutti i loro limiti e sforzi) è un ideale cui tendere e non più la vocazione ordinaria del battezzato, elevata e fortificata dalla grazia, chi siamo noi per giudicare famiglie ferite
e situazioni complesse?

VISCIDO E SFUGGENTE

A voler pizzicare il testo su qualche preciso svarione dottrinale, d’altronde, si ha l’ormai consueta impressione di essere alle prese con un oggetto viscido e sfuggente che non si lascia afferrare da nessun lato: non c’è un pensiero articolato e coerente, non c’è uno sviluppo teologico argomentato, ma un’iterazione snervante di ricorrenti temi con variazioni che, in appena trecentoventicinque paragrafi, stronca qualsiasi resistenza mentale e psicologica. 
Il realismo cui insistentemente ci si appella non è quello dell’interazione tra natura e grazia, tipico della tradizione cattolica, ma quello della sociologia e della psicanalisi, che ignorano completamente l’azione della grazia – se non intesa nel significato improprio di conforto psicologico – e considerano la natura esclusivamente nella sua disperata incapacità di correggersi. 
Di conseguenza l’unica soluzione possibile, nell’immancabile ospedale da campo, non è curare le malattie con una terapia adeguata, ma “aiutare a morire” pazienti accolti, integrati e felici di esserlo. 
Che dire? Eutanasia dello spirito…

Frammisti a questa logorroica e interminabile ricetta, espressi in forma ambigua o imprecisa, nel penultimo capitolo (quello decisivo) arrivano infine gli errori formali, quando l’esausto lettore, indottrinato dai trecento paragrafi precedenti, non è più in grado di reagire.

Finalmente qualcosa a cui aggrapparsi per denunciare – ciò che si spera comincino a fare vescovi e cardinali – un’esplicita deviazione dottrinale! L’errore più grave, da cui discendono gli altri, riguarda l’imputabilità morale degli atti umani, che non sempre è piena. Verissimo per singole azioni; peccato che le cosiddette situazioni irregolari siano stati durevoli e condizioni stabili in cui non si può cadere per debolezza o inavvertenza, ragion per cui l’osservazione non è pertinente. Da questo errore di prospettiva deriva l’opinione che non tutti coloro che vivono una situazione coniugale irregolare siano in peccato mortale, privi della grazia santificante e dell’assistenza dello Spirito Santo. Ciò può risultare vero unicamente in presenza dell’ignoranza invincibile: ma è un’ipotesi ammissibile, in questo caso? Nell’eventualità, compito di ogni fedele – e a maggior ragione di ogni sacerdote – è proprio quello di istruire gli ignoranti.

Di conseguenza, affermare che chi è in stato di peccato grave è membro vivo della Chiesa non può non essere falso: il peccato mortale si definisce appunto come morte dell’anima.

Se poi, su questa china, si arriva ad asserire che l’adulterio permanente può essere per il momento «la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo» (Amoris laetitia, 303), siamo alla bestemmia. 
A rimediare non basta una citazione di san Tommaso, strumentale e strappata al contesto: è il metodo dei Testimoni di Geova.

Non siamo accorati per chi si ingegnerà a tirare il documento da una parte o dall’altra per trovarvi supporto al proprio orientamento (normalista o rivoluzionario); la perfidia peggiore consiste nel fatto che anche le obiezioni, loro malgrado, ne rafforzeranno la ricezione: che se ne parli anche male, purché se ne parli… e più se ne parlerà, più il veleno che contiene penetrerà nelle conversazioni quotidiane, nei dibattiti televisivi, nei progetti pastorali, nella mentalità e nella prassi comuni.

È proprio così che idee inizialmente inaccettabili vengono trasformate in norma; è esattamente la stessa tecnica utilizzata dalle menti occulte del nuovo ordine mondiale, che nel giro di pochissimi anni ha portato la società e gli Stati ad ammettere e premiare le devianze sessuali, prima universalmente e spontaneamente aborrite, e a stigmatizzare come nemico del genere umano chi ancora le denuncia per quello che sono – la più ripugnante forma di degradazione della persona. Ora anche nella Chiesa, con la scusa dell’adattamento ai tempi e mediante la valutazione dei casi particolari, demandata ai singoli chierici, ciò che era inammissibile diverrà obbligatorio – e guai a chi non si adegua.

Se ci avete fatto caso, l’attacco è stato sistematicamente portato contro i Sacramenti che sono i pilastri del vivere sociale e cristiano: il matrimonio, fondamento della famiglia e dell’educazione alla fede e alla vita; la confessione, fattore di discernimento morale e di correzione della condotta individuale; l’Eucaristia, principio di santificazione e vincolo di appartenenza ecclesiale. Il primo è stato demolito con le nuove norme per le cause di nullità; il secondo, svuotato di senso e di valore con le inaudite raccomandazioni ai missionari della misericordia; il terzo, ridotto a mero simbolo con poche battute estemporanee sull’intercomunione con i protestanti. Complimenti: neanche Ario e Lutero erano riusciti a far tanto danno con così pochi mezzi e in così poco tempo. 
Nella hit parade degli eretici il Nostro ha raggiunto la vetta in modo fulmineo.

Distruggendo la fede nei Sacramenti e nella vita soprannaturale, si annienta inevitabilmente anche quella – inseparabile – nei due misteri principali del Credo cristiano: Incarnazione, Passione, morte e Risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo; unità e Trinità di Dio. Anche se l’ordine del catechismo è inverso, qui dobbiamo partire dal fondo: i Sacramenti, infatti, applicano alle anime dei credenti i frutti del mistero salvifico di Cristo, il quale sarebbe stato impossibile se Gesù non fosse il Figlio di Dio, una cosa sola con il Padre nell’unità dello Spirito Santo. 

In ultima analisi, dunque, chi nega l’efficacia della grazia sacramentale nega il Dio della Rivelazione; in altre parole, è apostata e ateo, perché nel suo discorso rimane soltanto l’uomo. Degno erede e continuatore di quel famoso porporato, estintosi per volontaria eutanasia, che da vecchio affermava di non aver ancora capito perché mai il Padre avesse fatto soffrire il Figlio. Gli sarebbe bastato leggere la Bibbia, di cui peraltro passava per maestro.

Ora, se è vero che non si può fare a meno di leggere pur qualcosa della e sull’ultima pubblicazione pontificia, evitiamo di cadere in trappola lasciandocene catturare e intossicare, dimenticando poi di fare le uniche cose effettivamente utili e necessarie nell’attuale frangente storico – quelle che persino l’ambiente tradizionale, ahimé, non pratica abbastanza, rischiando di estenuarsi in sfoghi polemici che, alla fin fine, non cambiano nulla, se non le nostre condizioni emotive.

Preghiamo, offriamo, facciamo penitenza (ma sul serio, non a chiacchiere) e, se abbiamo tempo e voglia di leggere, curiamo la retta fede.

Non lasciamoci rubare la fruizione e il godimento del tesoro che possediamo, perdendo la pace e la serenità di chi conosce la verità e si sforza di viverla con l’aiuto della grazia e il proprio impegno personale.  

Dato che l’atomizzazione dottrinale e pastorale della Chiesa Cattolica, che di fatto è in corso da decenni, è stata ormai formalmente sancita, preghiamo senza sosta per essa, i cui nemici da sempre si adoperano a minarne l’unità allo scopo di dominarla e distruggerla. Divide et impera, nonostante la scarsa preparazione culturale, almeno una cosa l’ha imparata – e l’applica a meraviglia, polverizzando la comunione del Popolo di Dio.

Preghiamo anche gli uni per gli altri onde poter fare un discernimento retto: i sacerdoti in cura d’anime, riguardo alle difficili scelte che saranno obbligati a compiere; i fedeli, riguardo ai comportamenti che dovranno tenere in “comunità” parrocchiali in cui abusi e sacrilegi, se già non lo sono, diverranno prassi corrente. «Il fratello aiutato dal fratello è come una città fortificata» (Pr 18, 19): posso garantire per esperienza personale che il sostegno dell’intercessione altrui permette di sopportare le più gravi prove con un’inspiegabile letizia. 
Il Signore ricompensi con la gioia della fedeltà amorosa a Lui i tanti che pregano per il povero prete che scrive.

Pubblicato da Elia

http://lascuredielia.blogspot.it/2016/04/la-dolce-morte-della-chiesa-geniale.html

(MB: Don Elia è un sacerdote.  e’ un pezzo che vorrei aver scritto io - ha detto Blondet)

 



  L’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia: prime riflessioni su un documento catastrofico

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(Roberto de Mattei) Con l’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, pubblicata l’8 aprile, Papa Francesco si è ufficialmente pronunciato sui problemi di morale coniugale di cui si discute da due anni.

Nel Concistoro del 20-21 febbraio 2014 Francesco aveva affidato al cardinale Kasper il compito di introdurre il dibattito su questo tema. La tesi del card.  Kasper, secondo cui la Chiesa deve cambiare la sua prassi matrimoniale, ha costituito il leit motiv dei due Sinodi sulla famiglia del 2014 e del 2015 e costituisce oggi il cardine dell’esortazione di Papa Francesco.

Nel corso di questi due anni, illustri cardinali, vescovi, teologi e filosofi sono intervenuti nel dibattito per dimostrare che tra la dottrina e la prassi della Chiesa deve esistere un’intima coerenza. La pastorale infatti si fonda sulla dottrina dogmatica e morale. «Non vi può essere pastorale che sia in disarmonia con le verità della Chiesa e con la sua morale, e in contrasto con le sue leggi, e non sia orientata al raggiungimento dell’ideale della vita cristiana!» ha rilevato il cardinale Velasio De Paolis, nella sua Prolusione al Tribunale Ecclesiastico Umbro del 27 marzo 2014. L’idea di staccare il Magistero da una prassi pastorale, che potrebbe evolvere secondo le circostanze, le mode e le passioni, secondo il cardinale Sarah, «è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica» (La Stampa, 24 febbraio 2015).

Nelle settimane che hanno preceduto l’Esortazione post-sinodale, si sono moltiplicati gli interventi pubblici e privati di cardinali e vescovi presso il Papa, al fine di scongiurare la promulgazione di un documento zeppo di errori, rilevati dai numerosissimi emendamenti che la Congregazione per la Dottrina dalla Fede ha fatto alla bozza. Francesco non è arretrato, ma sembra aver affidato l’ultima riscrittura dell’Esortazione, o almeno di alcuni suoi passaggi chiave, alle mani di teologi di sua fiducia, che hanno tentato di reinterpretare san Tommaso alla luce della dialettica hegeliana. Ne è uscito un testo che non è ambiguo, ma chiaro, nella sua indeterminatezza. La teologia della prassi esclude infatti ogni affermazione dottrinale, lasciando che sia la storia a tracciare la linee di condotta degli atti umani. Per questo, come afferma Francesco, «è comprensibile» che, sul tema cruciale dei divorziati risposati, «(…) non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi» (§300). Se si è convinti che i cristiani, nel loro comportamento, non devono conformarsi a princìpi assoluti, ma porsi in ascolto dei «segni dei tempi», sarebbe contradditorio formulare regole di qualsiasi genere.

Tutti aspettavano la risposta a una domanda di fondo: coloro che, dopo un primo matrimonio, si risposano civilmente, possono accostarsi al sacramento dell’Eucarestia? A questa domanda la Chiesa ha sempre risposto categoricamente di no. I divorziati risposati non possono ricevere la comunione perché la loro condizione di vita contraddice oggettivamente la verità naturale e cristiana sul matrimonio significata e attuata dall’Eucaristia (Familiaris Consortio, § 84).

La risposta dell’Esortazione postsinodale è invece: in linea generale no, ma «in certi casi» sì (§305, nota 351). I divorziati risposati infatti devono essere «integrati» e non esclusi (§299). La loro integrazione «può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate» (§ 299), senza escludere la disciplina sacramentale (§ 336).

Il dato di fatto è questo: la proibizione di accostarsi alla comunione per i divorziati risposati non è più assoluta. Il Papa non autorizza, come regola generale, la comunione ai divorziati, ma neanche la proibisce. «Qui – aveva sottolineato il card. Caffarra contro Kasper – si tocca la dottrina. Inevitabilmente. Si può anche dire che non lo si fa, ma lo si fa. Non solo. Si introduce una consuetudine che a lungo andare determina questa idea nel popolo non solo cristiano: non esiste nessun matrimonio assolutamente indissolubile. E questo è certamente contro la volontà del Signore. Non c’è dubbio alcuno su questo» (Intervista a Il Foglio, 15 marzo 2014).

Per la teologia della prassi non contano le regole, ma i casi concreti. E ciò che non è possibile in astratto, è possibile in concreto. Ma, come bene ha osservato il cardinale Burke: «Se la Chiesa permettesse la ricezione dei sacramenti (anche in un solo caso) a una persona che si trova in un’unione irregolare, significherebbe che o il matrimonio non è indissolubile e così la persona non sta vivendo in uno stato di adulterio, o che la santa comunione non è comunione nel corpo e sangue di Cristo, che invece necessita la retta disposizione della persona, cioè il pentimento di grave peccato e la ferma risoluzione di non peccare più» (Intervista ad Alessandro Gnocchi su Il Foglio, 14 ottobre 2014).

Inoltre l’eccezione è destinata a diventare una regola, perché il criterio dell’accesso alla comunione è lasciato in Amoris laetitia, al “discernimento personale” dei singoli. Il discernimento avviene attraverso «il colloquio col sacerdote, in foro interno» (§300), “caso per caso”. Ma quali saranno i pastori di anime  che oseranno vietare l’accesso all’Eucarestia, se «il Vangelo stesso ci richiede di non giudicare e di non condannare» (§308) e se bisogna «integrare tutti» (§297), e «valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio» (§292)? I pastori che volessero richiamare i comandamenti della Chiesa, rischierebbero di comportarsi, secondo l’Esortazione, «come controllori della grazia e non come facilitatori» (§310). «Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa “per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”» (§305).

Questo inedito linguaggio, più duro della durezza di cuore che rimprovera ai “controllori della grazia”, è il tratto distintivo dell’Amoris laetitia che, non a caso, nella conferenza stampa dell’8 aprile, il cardinale Schönborn  ha definito «un evento linguistico». «La mia grande gioia per questo documento», ha detto il cardinale di Vienna, sta nel fatto che esso «coerentemente supera l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra regolare e irregolare». Il linguaggio, come sempre, esprime un contenuto. Le situazioni che l’Esortazione post-sinodale definisce «cosiddette irregolari» sono quelle dell’adulterio pubblico e delle convivenze extramatrimoniali. Per la Amoris laetitia esse realizzano l’ideale del matrimonio cristiano, sia pure «in modo parziale e analogo» (§292). «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» (§305), «in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti» (nota 351). 

Secondo la morale cattolica, le circostanze, che costituiscono il contesto in cui si svolge l’azione non possono modificare la qualità morale degli atti, rendendo buona e giusta un’azione intrinsecamente cattiva. Ma la dottrina degli assoluti morali e dell’intrinsece malum è vanificata dalla Amoris laetitia, che si uniforma alla “nuova morale” condannata da Pio XII in numerosi documenti e da Giovanni Paolo II nellaVeritatis Splendor. La morale della situazione lascia alle circostanze e, in ultima analisi, alla coscienza soggettiva dell’uomo, la determinazione di ciò che è bene e ciò che è male. L’unione sessuale extraconiugale non è considerata intrinsecamente illecita, ma, in quanto atto di amore, valutabile secondo le circostanze. Più in generale non esiste il male in sé così come non esiste peccato grave o mortale. L’equiparazione tra persone in stato di grazia (situazioni “regolari”) e persone in stato di peccato permanente (situazioni “irregolari”) non è solo linguistica: ad essa sembra soggiacere la teoria luterana dell’uomo simul iustus et peccator, condannata dal Decreto sulla giustificazione del Concilio di Trento (Denz-H, nn. 1551-1583).

L’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia, è molto peggiore della relazione del card. Kasper, contro cui sono state giustamente rivolte tante critiche in libri, articoli, interviste. Il card. Kasper aveva posto alcune domande; l’Esortazione Amoris laetitia, offre la risposta: apre la porta ai divorziati risposati, canonizza la morale della situazione e avvia un processo di normalizzazione di tutte le convivenze more uxorio.

Considerato che il nuovo documento appartiene al Magistero ordinario non infallibile, c’è da augurarsi che sia oggetto di un’analisi critica approfondita, da parte di teologi e Pastori della Chiesa, senza illudersi di poter applicare ad esso l’“ermeneutica della continuità”. 

Se il testo è catastrofico, più catastrofico ancora è il fatto che sia stato firmato dal Vicario di Cristo. Ma per chi ama Cristo e la sua Chiesa, questa è una buona ragione per  parlare, non per tacere. Facciamo nostre dunque le parole di un vescovo coraggioso, mons. Atanasio Schneider: «“Non possumus!”. Io non accetterò un discorso nebuloso né una porta secondaria abilmente occultata per profanare il Sacramento del Matrimonio e dell’Eucaristia. Allo stesso modo, non accetterò che ci si prenda gioco del sesto Comandamento di Dio. Preferisco esser io ridicolizzato e perseguitato piuttosto che accettare testi ambigui e metodi non sinceri. Preferisco la cristallina “immagine di Cristo Verità all’immagine della volpe ornata con pietre preziose” (S. Ireneo), perché “conosco ciò in cui ho creduto”, “Scio cui credidi”» (II Tm 1, 12)» (Rorate Coeli, 2 novembre 2015) (Roberto de Mattei)



[Modificato da Caterina63 10/04/2016 19:25]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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