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La Civiltà Cattolica i Gesuiti e il Vaticano

Ultimo Aggiornamento: 16/04/2018 13:38
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16/04/2018 13:34
 
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Paolo VI segue con grande attenzione i lavori della Congregazione, preoccupato del travaglio che anima l’aggiornamento dell’ordine religioso più importante della Chiesa. Interviene varie volte direttamente durante lo svolgimento dei lavori, esprimendo senza riserve le sue perplessità e i suoi timori, tentando di indirizzare la discussione. Il 31 maggio Arrupe ha il primo di una serie di incontri con Montini, di cui dà conto il 7 giugno ai delegati della Congregazione, in una sorta di pubblico «rendimento di coscienza». Al termine del suo intervento ricorda che il pontefice, al momento della foto, ha insistentemente ripetuto al fotografo che riprendesse bene l’immagine di Cristo pendente sopra di loro. L’altra foto, invece, sempre per desiderio del papa, raffigura Paolo VI che «benediva me stesso prostrato ai suoi piedi». Due immagini simbolo di come il papa intenda regolare i futuri rapporti tra la Santa Sede e la Compagnia. Preoccupazioni e apprensioni che troveranno eco nelle parole della prima parte del discorso che Paolo VI rivolge ai delegati al termine della Congregazione generale il 16 novembre 1966. L’incipit del discorso è drammatico e a tratti apocalittico:

«Volete voi, figli di Sant’Ignazio, militi della Compagnia di Gesù, essere ancora oggi e domani e sempre, ciò che siete stati dalla vostra fondazione sino a questo giorno, per la Santa Chiesa cattolica e per questa Apostolica Sede? Questa Nostra domanda non avrebbe ragion d’essere, se al Nostro orecchio non fossero giunte notizie e voci, riguardanti la vostra Compagnia – e del resto anche altre Famiglie Religiose –, che ci hanno recato stupore; ed alcune di esse Ci hanno anche cagionato dolore».

Il papa evoca sinistre suggestioni che hanno fatto, a suo giudizio, sorgere in molti gesuiti l’idea che fosse giunto il momento di cambiare le secolari tradizioni stabilite dal fondatore, abdicando «a tante venerabili consuetudini spirituali, ascetiche, disciplinari», mettendo in discussione «l’austera e virile obbedienza che ha sempre caratterizzato la vostra Compagnia», facendosi prendere dall’illusione «che per diffondere il Vangelo di Cristo fosse necessario far proprie le abitudini del mondo, la sua mentalità, la sua profondità, indulgendo alla valutazione naturalistica del costume moderno …». Nella seconda parte il discorso cambia radicalmente di tono, facendosi improvvisamente incoraggiante, riconoscente e affettuoso. Queste «nubi del cielo», come le definisce, sono state dissipate dalle conclusioni della Congregazione generale, che ha rinnovato nello spirito del Concilio le costituzioni, non abbandonando quella tradizione «che presso di voi godeva di una continua attualità e vitalità».

2. Le tensioni con la Santa Sede e le difficoltà degli anni Settanta

I rapporti di Arrupe e dell’ordine con il Vaticano rappresentano un lungo, complesso e difficile capitolo della storia della Compagnia contemporanea, che necessiterebbe di uno studio a sé. I primi cinque anni del generalato sono caratterizzati in generale da un clima di fiducia e collaborazione. Paolo VI, nonostante i timori avuti rispetto al pericolo di alcune estremizzazioni paventatesi durante lo svolgimento della XXXI Congregazione, appoggia apertamente le scelte operate dal preposito generale. Il 27 luglio 1968 ringraziando per la copia inviatagli dei decreti si compiace «dell’ingente sforzo di ripensamento e di adattamento», richiesto dai tempi e voluto dal Concilio, affermando tra l’altro:

«… che tale orientamento sembri ad alcuni dei vostri nuovo, alquanto sconcertante, anzi forse pericoloso, non deve recar meraviglia; ad altri, al contrario, potrà apparire tentativo troppo timido e quasi già insufficiente e superato».

Ben presto la crisi del post-Concilio fattasi sempre più visibile in tutta la Chiesa esplode clamorosamente anche nell’ordine, mettendo in difficoltà i tradizionali rapporti di stima e fiducia con la Santa Sede. Le relazioni tra l’ordine e il Vaticano iniziano a farsi tese e difficili, già nel 1970, alla viglia della LXV Congregazione dei procuratori. Da una lettera del segretario di Stato, il cardinale Jean Villot, il 21 marzo 1970 al padre Arrupe, sappiamo che Paolo VI al termine di un’udienza con il generale, gli aveva manifestato le sue gravi apprensioni, rispetto a «taluni atteggiamenti disciplinari ed indirizzi dottrinari che in tempi recenti e con dolorosa ampiezza» si riscontravano nella Compagnia. Il governo di Arrupe è al centro di una duplice contestazione: i progressisti lo considerano un moderato, troppo preoccupato di compiacere gli ambienti più tradizionalisti e conservatori della Curia romana, i conservatori un uomo non all’altezza delle sue responsabilità che ha spinto la Compagnia alla deriva.

Ad aggravare questo stato di disagio e confusione concorre la vicenda dell’Humanae Vitae. L’enciclica pubblicata il 25 luglio 1968 è duramente criticata da numerose conferenze episcopali e da teologi, dogmatici e moralisti, tra cui non pochi gesuiti. Arrupe è in difficoltà nella ricerca di un difficile equilibrio tra l’obbedienza al Vaticano e la vicinanza ai suoi confratelli, che non si sente di condannare, rispetto a riserve, se non proprio condivisibili, almeno comprensibili. Sa che non può restare in silenzio e per questo scrive, il 15 agosto 1968, una lettera a tutto l’ordine, con la quale chiede un’obbedienza «filiale, pronta, decisa, aperta e creatrice» al pontefice. L’intervento è apprezzato da Paolo VI che lo ringrazia per questa attestazione di fedeltà e sensibilità ecclesiale, come gli scrive il sostituto Giovanni Benelli il 7 agosto 1968. Ma la lettera del generale non è sufficiente a diradare le nubi che si addensano sull’ordine e a rassicurare gli ambienti vaticani e parte della gerarchia cattolica, che considera i gesuiti un ordine non più affidabile, tanto da non essersi impegnato, più di tanto, nell’arginare una contestazione così palese del magistero papale.



XXXI CONGREGAZIONE GENERALE DELLA COMPAGNIA GI GESÙ

OMELIA DI PAOLO VI

Cappella Sisitina, 15 novembre 1966

 

Abbiamo voluto avervi concelebranti e partecipi al Sacrificio eucaristico, prima che voi, terminati i lavori della vostra Congregazione generale, riprendiate la via del ritorno, ciascuno alla propria sede, e da Roma, centro dell’unità cattolica, vi diffondiate per ogni verso sulla faccia della terra, per salutarvi, tutti ed ognuno, per confortarvi ed incoraggiarvi, per benedirvi nelle vostre singole persone, nella vostra intera Compagnia, e nelle opere molteplici, che a gloria di Dio promovete e servite nella santa Chiesa, e per rinnovare nei vostri animi, quasi in forma sensibile e solenne, il senso del mandato apostolico, che qualifica e fortifica la vostra missione, quasi dal vostro beato padre Ignazio, soldato quant’altri mai fedelissimo della Chiesa di Cristo, vi fosse conferita e rinnovata, anzi da Cristo stesso, di Cui indegnamente, ma veracemente, qui in terra, qui in questa Santa Sede, Noi facciamo le veci, a voi fosse confermata e misteriosamente accompagnata e magnificata.

RINNOVAMENTO DI ALTO MANDATO 
E SPLENDENTE MISSIONE

Perciò abbiamo scelto questo luogo, sacro e tremendo per la bellezza, per la potenza, ma specialmente per il significato delle sue immagini, e fra tutti venerabile luogo per la voce della Nostra umilissima, ma pontificale preghiera, che qui si esprime, in sé raccogliendo non solo la lode e il gemito del Nostro spirito, ma quelli sonanti ed immensi della Chiesa intera, dai confini della terra, anzi della intera umanità, che nel Nostro ministero ha chi la interpreta presso il sommo Iddio, e di Lui altissimo a lei trasmette l’oracolo. Questo luogo abbiamo scelto, dove, come sapete, i destini della Chiesa sono cercati e determinati, in certe ore storiche, che, dobbiamo credere, non pur dal volere di uomini sono dominate, ma dall’arcana ed amorosa assistenza dello Spirito Santo. Qui, oggi, il medesimo Spirito noi invocheremo a conclusione di questa piissima cerimonia: per la santa Chiesa, qui nel Nostro apostolico ufficio quasi riassunta e rappresentata, e per voi: per voi, membri, preposti e responsabili della vostra e Nostra Compagnia di Gesù.

E questa congiunta invocazione allo Spirito Santo vuole in certo modo sigillare il grande e trepido momento, che avete vissuto, sottoponendo tutta la vostra compagine e tutta la sua attività a severo esame, quasi concludendo, in occasione del testé celebrato Concilio Vaticano ecumenico secondo, quattro secoli della vostra storia, e quasi inaugurando con novella coscienza e con novelli propositi un nuovo periodo della vostra vita religiosa e militante.

QUATTRO SECOLI DI VITA RELIGIOSA E MILITANTE

Questo incontro perciò, Fratelli e Figli carissimi, assume un significato storico particolare, che a voi ed a Noi è dato determinare mediante la reciproca definizione del rapporto che intercede, che deve intercedere fra la Compagnia di Gesù e la santa Chiesa, di cui Noi abbiamo, per divino mandato, la guida pastorale e la riassuntiva rappresentanza.

Quale rapporto? A voi, a Noi la risposta alla domanda, che si gemina nel modo seguente:

1) Volete voi, figli di Ignazio, militi della Compagnia di Gesù, essere ancor oggi, e domani, e sempre, ciò che siete stati dalla vostra fondazione fino a questo giorno per la santa Chiesa cattolica e per questa apostolica Sede? Questa Nostra domanda non avrebbe ragion d’essere, se al Nostro orecchio non fossero giunte notizie e voci, riguardanti la vostra Compagnia - e del resto anche altre Famiglie Religiose - di cui non possiamo nascondere il Nostro stupore e, per alcune di esse, il Nostro dolore.

Quali strane e sinistre suggestioni fecero mai sorgere in alcuni angoli della vostra amplissima Società il dubbio se essa dovesse continuare ad esistere quale il Santo, che la ideò e la fondò, descrisse in norme sapientissime e fermissime, e quale una secolare tradizione, maturata da attentissima esperienza e collaudata da autorevolissime approvazioni, modellò a gloria di Dio, a difesa della Chiesa, a meraviglia del mondo? Forse invalse in alcune menti anche dei vostri il criterio dell’assoluta storicità delle cose umane, generate dal tempo e dal tempo inesorabilmente divorate, quasi non fosse nel cattolicesimo un carisma di verità permanente e di stabilità invincibile, di cui questa pietra della Sede apostolica è simbolo e fondamento? Forse parve all’ardore apostolico, di cui tutta la Compagnia è animata, che per dare maggiore efficacia alla vostra attività occorreva abdicare a tante venerabili consuetudini spirituali, ascetiche, disciplinari, non più aiuto, ma freno a più libera e più personale espressone del vostro zelo? E allora sembrò che l’austera e virile obbedienza, che ha sempre caratterizzato la vostra Compagnia, che sempre anzi ha reso evangelica, esemplare e formidabile la sua struttura, dovesse essere allentata, come nemica della personalità e ostacolo alla vivacità dell’azione, dimenticando quanto Cristo, la Chiesa, la vostra stessa scuola spirituale hanno magnificamente insegnato circa tale virtù. Così vi fu forse chi credette non essere più necessario imporre alla propria anima l’«esercizio spirituale», la pratica cioè assidua e intensa dell’orazione, l’umile, ardente disciplina della vita interiore, dell’esame di coscienza, dell’intimo colloquio con Cristo, quasi che l’azione esteriore bastasse a mantenere e illuminato e forte e puro lo spirito, e fosse valida di per sé all’unione con Dio; e quasi che questa ricchezza di arti spirituali solo al monaco si addicesse, e non fosse piuttosto per il soldato di Cristo l’armatura indispensabile. E forse ancora fu di alcuni l’illusione che per diffondere il Vangelo di Cristo fosse necessario far proprie le abitudini del mondo, la sua mentalità, la sua profanità, indulgendo alla valutazione naturalistica del costume moderno, anche in questo caso dimenticando che l’accostamento doveroso e apostolico dell’araldo di Cristo agli uomini, a cui si vuole recare il messaggio di Lui, non può essere una assimilazione tale che faccia perdere al sale il suo bruciante sapore, all’apostolo la sua originale virtù.

RIMANERE COERENTI E FEDELI ALLE FONDAMENTALI COSTITUZIONI

Nubi sul cielo, che le conclusioni della vostra Congregazione hanno in gran parte dissipato! Con quanto gaudio infatti Noi abbiamo appreso che voi, voi stessi, forti della rettitudine che sempre ha animato le vostre volontà, dopo ampio e sincero esame delle vostra storia, della vostra vocazione, della vostra esperienza, avete deliberato di rimanere coerenti e fedeli alle vostre fondamentali Costituzioni, non abbandonando la vostra tradizione che presso di voi godeva di una continua attualità e vitalità; e apportando alle vostre regole quelle particolari modifiche, alle quali la «renovatio vitae religiosae», proposta dal Concilio, non solo vi autorizza, ma vi invita; nessuna ferita voleste infliggere alla sacra legge che vi fa religiosi, anzi Gesuiti, ma piuttosto rimedio ad ogni usura del tempo trascorso e vigore ad ogni prova che il tempo avvenire le prepara, così che questo risultato primeggi fra i tanti maturati nelle vostre laboriose discussioni, che non solo una vera conservazione e un positivo incremento siano assicurati al corpo, ma altresì allo spirito della vostra Società. E a questo riguardo vi esortiamo caldamente che, anche in avvenire, conserviate nel programma della vostra vita il primato all’orazione, non deflettendo dai provvidi ordinamenti ricevuti: e donde mai, se non dalla grazia divina, a noi come acqua viva fluente per gli umili canali della preghiera e dell’interiore ricerca del divino colloquio, della sacra liturgia specialmente, donde mai troverà il religioso ispirazione ed energia per la sua propria soprannaturale santificazione; e donde mai l’apostolo trarrà la spinta, la guida, la forza, la sapienza, la perseveranza nel suo combattimento con il demonio, la carne ed il mondo; donde l’amore per amare a loro salvezza le anime, e costruire, accanto agli operai incaricati e responsabili del mistico edificio, la Chiesa? Godete, Figli carissimi; codesta è la via, antica e nuova, della economia cristiana; codesta è la forma che fa ad un tempo il vero religioso discepolo di Cristo, Apostolo nella sua Chiesa, maestro dei fratelli, fedeli o estranei che siano. Godete; la Nostra compiacenza, anzi la Nostra comunione vi conforta e vi segue.

E così Noi dobbiamo accogliere le vostre deliberazioni particolari: sulla formazione dei vostri Scolastici, sull’ossequio al magistero e all’autorità della Chiesa, sui criteri della perfezione religiosa, sulle norme orientatrici della vostra azione apostolica e della vostra cooperazione pastorale, sulla retta interpretazione e positiva applicazione dei decreti conciliari, eccetera, come altrettante risposte alla Nostra domanda: sì, sì; i Figli d’Ignazio, che del nome di Gesuiti si onorano, sono ancor oggi a se stessi e alla Chiesa fedeli! Essi sono pronti e forti! Nuove armi, lasciate quelle consuete e meno efficaci, sono nelle loro mani, con lo stesso spirito di obbedienza, di abnegazione, di spirituale conquista!

FIDUCIA GRATITUDINE AFFETTO DEL PAPA 
PER LA COMPAGNIA DI GESÙ

2) Ed ora l’altra domanda si presenta per determinare il rapporto della vostra Compagnia con la santa Chiesa ed in modo riassuntivo e speciale con questa apostolica Sede; e dalle vostre labbra, in certo modo, Noi desumiamo questa seconda domanda: Vuole la Chiesa, vuole il Successore di San Pietro, ancora guardare alla Compagnia di Gesù come a sua particolare e fedelissima milizia? come alla famiglia religiosa, che non tanto di questa o quella virtù evangelica ha fatto suo specifico scopo, quanto della difesa e della promozione della santa Chiesa medesima e della medesima Sede apostolica ha fatto scolta ed usbergo? Ancora le è confermata la benevolenza, la fiducia, la protezione, di cui sempre essa ha goduto? ritiene la Chiesa, per voce di Chi ora vi parla, d’aver ancora bisogno, ancora onore del militante servizio della Compagnia? è essa ancor oggi valida ed idonea per l’opera immensa - e cresciuta nell’estensione e nella qualità - dell’apostolato moderno?

Ecco, Figli carissimi, la Nostra risposta: Sì; a voi è conservata la Nostra fiducia! E perciò il Nostro mandato per l’opera apostolica a voi assegnata; la Nostra affezione, la Nostra riconoscenza, la Nostra benedizione.

Voi Ci avete, in questa solenne e storica occasione, confermata la vostra identità, rinnovata di nuovi propositi, con la istituzione, che nella congiuntura restauratrice del Concilio di Trento, si pose a servizio della santa Chiesa cattolica; ebbene, è facile per Noi, è gioioso ripetervi parole e gesti dei Nostri Predecessori, nella presente congiuntura, diversa, ma non meno restauratrice della vita della Chiesa, successiva al Concilio Ecumenico Vaticano secondo; e di potervi assicurare che finché la vostra Compagnia sarà intenta a cercare la propria eccellenza nella sana dottrina e nella santità della vita religiosa e si offrirà come strumento validissimo di difesa e di diffusione della fede cattolica, questa Sede apostolica, e con lei certamente l’intera Chiesa, l’avrà carissima!

Se voi continuate ad essere ciò che foste, non vi verrà meno la stima e la fiducia Nostra!

E avrete quelle del Popolo di Dio! Quale mai segreto principio portò la vostra Compagnia a tanta diffusione e a tanta prosperità, se non la peculiare vostra formazione spirituale e la vostra struttura canonica? Che se codesta formazione e codesta struttura rimangono pari a se stesse, in sempre nuova fioritura di virtù e di opere, non è fallace la speranza del vostro progressivo incremento e della vostra perenne efficienza nella evangelizzazione e nell’edificazione della moderna società. Non è forse la vostra peculiare esemplarità evangelica e religiosa, storica e organizzativa, la migliore vostra apologia, e la più persuasiva nota di credito al vostro apostolato?

E non è forse su codesta consistenza spirituale, morale, ecclesiale, che si fonda la Nostra confidenza nell’opera vostra, anzi nella vostra collaborazione?

DIFESA ENUNCIAZIONE TESTIMONIANZA INVITTA DELLA FEDE

Lasciate che, al termine di questo incontro, Noi vi diciamo che Noi molto speriamo da voi. La Chiesa ha bisogno del vostro aiuto; ed è lieta, è fiera di riceverlo da figli sinceri e devoti, quali voi siete. La Chiesa accetta l’offerta dell’opera vostra, anzi della vostra vita; e soldati di Cristo, quali voi siete, alle ardue e sante battaglie del suo nome oggi più che mai vi chiama e vi impegna.

Non vedete di quanta difesa ha bisogno oggi la fede? di quanta aperta adesione, di quanta precisa enunciazione, di quanta assidua predicazione, di quanta sapiente illustrazione, di quanta amorosa e generosa testimonianza? Noi confidiamo in voi, quali valorosi testimoni dell’unica, vera fede.

E non vedete quali felici accostamenti, quali delicate discussioni, quali pazienti spiegazioni, quali caritatevoli aperture pone davanti al servitore e all’apostolo di questa santa Chiesa cattolica l’ecumenismo odierno? Chi meglio di voi vi dedicherà studi e fatiche, affinché i Fratelli ancora da noi separati ci comprendano, ci ascoltino e con noi condividano la gloria, il gaudio, il servizio del mistero dell’unità in Cristo Signore?

E la infusione dei principii cristiani nel mondo moderno, quale la ormai celebre Costituzione pastorale «Gaudium et spes» ha delineata, non avrà forse da voi abili, prudenti, forti specialisti? E il culto che favorite verso il Sacro Cuore non sarà tuttora per voi strumento efficacissimo per contribuire a quel rinnovamento spirituale e morale di questo mondo che il Concilio Ecumenico Vaticano secondo ha richiesto, e per adempiere fruttuosamente la Missione che vi è stata affidata di contrastare l’ateismo?

Non vi dedicherete con nuovo ardore all’educazione della gioventù nelle scuole secondarie e nelle università - sia ecclesiastiche che civili - titolo questo che è sempre stato per voi di somma gloria e fonte di abbondanti meriti?

Tenete presente che tante anime giovanili vi sono affidate, che un giorno potranno rendere alla Chiesa e alla Società preziosi servizi, se avranno ricevuto una completa formazione.

NEL MONDO OSTILE PRODIGARSI AL BENE 
DELLA IMMENSA FAMIGLIA UMANA

E le missioni! le missioni, dove già tanti vostri Confratelli meravigliosamente lavorano, sudano e soffrono e fanno risplendere come Sole di salvezza il nome di Cristo, non vi sono forse affidate da questa Sede apostolica, come già un giorno a Francesco Saverio, nella sicurezza d’avere in voi i messaggeri della Fede, più sicuri, più audaci, più ripieni della carità, che la vostra vita interiore rende inesauribile, confortatrice e ineffabile?

E il mondo? questo mondo dalla duplice faccia, che il Vangelo ci scopre, quella della coalizione di tutte le opposizioni alla luce e alla grazia, e quella dell’immensa famiglia umana, per cui il Padre ha mandato il Figlio e per cui il Figlio ha immolato se stesso; questo mondo d’oggi, così potente e così debole, così ostile e così aperto, questo mondo non è per voi, come lo è per Noi, una vocazione implorante ed esaltante? e non è oggi qui, sotto lo sguardo di Cristo, il mondo nostro quasi fremente e pulsante a dire a voi tutti: venite, venite; vi aspetta la carenza, la fame di Cristo; venite che è l’ora!

Sì, è l’ora, Figli carissimi; andate, fidenti, ardenti; Cristo vi sceglie, la Chiesa vi manda, il Papa vi benedice.









[Modificato da Caterina63 16/04/2018 13:38]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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