A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Cosa si intende per Dottrina Cattolica

Ultimo Aggiornamento: 17/11/2017 12:10
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.989
Sesso: Femminile
12/04/2016 23:55
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

CAPITOLO III. - LE DISPOSIZIONI MORALI


La fede impegna tutta quanta l'anima. . La Chiesa e i teologi insegnano che vi sono disposizioni morali necessarie per credere. Ecco alcune testimonianze.


Il Concilio Vaticano afferma che quello della fede a è un atto libero e non è prodotto necessariamente dalle prove della ragione umana ". Sant'Agostino scrive: " L'amore domanda, l'amore colpisce, l'amore fa aderire alla Rivelazione, l'amore conserva l'adesione data ". E San Tommaso: " La fede si fonda sull'intelligenza sotto il comando della volontà, e ne risulta che quest'azione della volontà è accidentale relativamente all'intelligenza, ma essenziale relativamente alla fede " (De Veritate, q. 14, a. 3).


E qui la tradizione non fa altro che commentare il Vangelo. Il fatto che Nostro Signore annuncia sanzioni contro chi non crede, significa che chi non crede è responsabile e libero, a Chi crede... sarà salvato; chi non crede sarà condannato " (Me. 16, 16). Il colloquio con Nicodemo (Gv. 3, 18-22) ci offre un inizio di spiegazione di questa legge: " Chi in lui crede, non va condannato; ma chi non crede è già condannato, perché non ha creduto nel nome dell'Unigenito Figlio di Dio, ed è questa la ragione della condanna: che la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano cattive. Infatti chi opera il male odia la luce e alla luce non si accosta per timore che non si palesino per ciò che sono le sue opere; ma chi opera la verità si accosta alla luce, affinchè si renda manifesto che le sue opere sono fatte secondo Dio ". E nel discorso apologetico del capitolo quinto Gesù chiede ai suoi avversari: " Come potreste credere voi, che andate in cerca di gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo? " Poco prima aveva detto loro: " Io vi conosco e so che non avete in voi l'amore di Dio ".


I testi precedenti sono tutti chiari.


L'atto di fede è proprio dell'intelligenza, perché è un atto di conoscenza e di giudizio; tanto per il suo motivo che per l'oggetto interessa egualmente la volontà e le tendenze, in modo che le disposizioni morali aiutano, ostacolano o anche si oppongono all'adesione. Sebbene l'atto di fede sia fondato su ragioni, non basta concludere: " Questo è rivelato; Dio ha parlato; possiamo, dobbiamo credere questo ", per giungere a dire: " Io credo ". Paolo Bourget nell'Etape presenta Jean Monneron, uno studente incredulo, che si fa istruire nella religione dal suo professore di filosofia, M. Ferrand, cattolico fervente. Lo studente segue la dimostrazione, ammette teoricamente le conclusioni e praticamente... nulla: " Egli non crede ". Altro è riconoscere che la religione ha una buona base e altro fare un atto religioso. Ora quello della fede è un atto religioso, non una opinione favorevole all'autorità di Dio, non è nemmeno una proclamazione formale di quest'autorità, ma è una sommissione a quest'autorità, un vero omaggio di sommissione, in cui è impegnato tutto l'uomo. D'altronde Dio stesso si impegna con la Rivelazione, poiché non annuncia una verità qualsiasi garantendola solo con la sua veracità, ma si rivela e offre se stesso come amore e offre il suo amore, senz'avere gran bisogno di reclamare il nostro amore; ora per credere a una tale proposta di amicizia occorre un amore o amicizia iniziale.


Tanto per la ragione desunta dal motivo dell'atto di fede quanto per quella desunta dall'oggetto della fede è indispensabile che per credere l'uomo sia almeno sommariamente ben disposto verso Dio, che si senta impegnato e s'impegni verso di Lui in questa o quella forma. Claudel sentì la felicità di credere; Brunetière volle lasciarsi fare dalla verità; la Samaritana, contro ogni costumanza, accettò di essere ammaestrata da un uomo d'una razza estranea e ostile e di non vedere in lui che il profeta, non appena ebbe sentore che Io fosse davvero. Nonostante gli errori della sua vita morale, questa donna dimostrò una dirittura fondamentale sul punto capitale del dovere di adorare; si mostrò curiosa della verità, mentre poteva chiudersi alle questioni che le venivano proposte e interrompere il colloquio. Fu cosi che ella venne alla Luce.


Occorre sempre questo procedimento, in cui il primo passo è di Dio, il secondo dev'essere nostro, quello della nostra doverosa ricerca. Alcuni aspettano finché la luce li risvegli con la sua intensità; altri fissano appuntamenti a Dio e lo aspettano al varco: a Quando mi sarà stato provato che... b, ponendo ciascuno condizioni varie secondo i propri gusti; ma ciò non significa volere la verità, amarla, cercare la gloria che viene da Dio solo.


Precisazioni sol compito della volontà. - La volontà e le disposizioni morali come esercitano il loro influsso? Non supplendo l'insufficienza delle prove, supposto che siano realmente insufficienti. Io credo quella determinata verità proprio perché voglio crederla e perché è vera, non perché io voglia che sia vera.


Un paragone con l'apparecchio radio-ricevente ci aiuterà a capire. Per prendere bene una trasmissione occorre fissarsi sulla lunghezza d'onda; amplificare il suono; eliminare i suoni parassiti e fare la messa a punto per ottenere la purezza e la chiarezza e distinguere ciò che trasmette la stazione da cui si captano le onde. Orbene, è evidente che l'apparecchio ricevente non emette quello che riceve. Allo stesso modo la volontà influisce sull'atto di fede, come in tutte le conoscenze in cui interviene, fissando l'attenzione dell'intelligenza, intensificando lo sforzo per comprendere, aiutandola a mettersi a punto. La volontà aiuta l'intelligenza cercando il bene che le viene offerto e favorendola cosi nella ricerca del vero, poiché lo stesso spirito pensa e vuole, e Io stesso essere si propone ad esso sotto il duplice aspetto di vero e di bene. Le verità di fede sono luce e vita, ma non essendo evidenti per se stesse, l'intelligenza e la volontà devono agire nello stesso senso. Quindi non basta dire che la volontà fa aderire l'intelligenza all'oggetto della fede, ma bisogna anche riconoscere che l'aiuta a vedere, senza il pericolo che l'aiuti fino a farle vedere ciò che non è, dal momento die la volontà rafforza bensì l'intelligenza, ma l'intelligenza dirige la volontà: ignoti nulla cupido. Intelligenza e volontà collaborano con un'azione combinata, ma l'una non sostituisce l'altra, e dobbiamo pure tener presente che esse rispondono a una richiesta che viene loro dall'esterno e che la Rivelazione entra nel campo delle idee solo in quanto era prima nel campo della storia.


In definitiva la fede, poggiando sulla stessa verità di Dio, Creatore e Rivelatore, poggia su una certezza superiore a tutte le certezze umane; però questa certezza é sempre fragile, come ogni certezza morale, e basta che perdiamo il gusto e l'amore della Verità per sottrarre il nostro appoggio e ritrovarci vacillanti, non però per colpa della Verità.


CAPITOLO IV. - CARATTERE SOPRANNATURALE DELL'ATTO DI FEDE


Nessuno va a Dio senza Dio. - " Benché l'assenso della fede non sia per nulla un moto cieco dello spirito, nessuno può tuttavia aderire all'insegnamento del Vangelo, come è necessario per giungere alla salute, senza un'illumuiazione e un'ispirazione dello Spirito Santo, che da a tutti la soavità dell'adesione e della credenza alla verità, poiché la fede in se tessa è un dono di Dio, anche quando non opera mediante la carità, e il suo atto è un'opera relativa alla salute, con cui l'uomo si sottomette liberamente a Dio stesso, consentendo e cooperando alla sua grazia, cui potrebbe resistere". Così il Concilio Vaticano ha condensato tutta la dottrina scritturale tradizionale. La tradizione è unanime nell'affermare che nell'opera della salvezza l'iniziativa spetta a Dio. Questa dottrina fu messa in rilievo soprattutto nel dibattito tra Sant'Agostino, dottore della grazia, e i Pelagiani. Annunciando l'Eucaristia alla folla, Gesù diceva: " Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre, che mi ha mandato ", e siccome gli ascoltatori erano poco disposti il Maestro divino cercava di prepararli a credere : il suo discorso sull'Eucaristia (Gv. 6) è anche un discorso sulla fede. " Io sono il pane della vita. Chi viene a me non avrà più fame ". Egli è il vero pane del cielo, e ci si nutre di Lui prima di tutto andando a Lui con la fede; ma per andare al Figlio bisogna che prima siamo stati dati a Lui dal Padre: a Tutto ciò che il Padre mi ha dato verrà a me ", e il Padre da soltanto quelli che si sono lasciati attirare da Lui.


La grazia che guarisce e la grazia che eleva.


- Così il credere non dipende soltanto dalla nostra buona volontà ma, per varie ragioni, occorre la grazia:


1. a titolo di rimedio (detta perciò grazia medicinale), perché la nostra buona volontà non è mai tanto sicura da non dover temere nessun ostacolo o difficoltà, che non mancano mai, nemmeno per i credenti. La nostra intelligenza è sempre in grado di dare tanto facilmente un consenso assoluto a verità non evidenti, per quanto ben fondate su testimonianze?


2. A titolo più rigoroso, che le da il nome di elevante. Abbiamo bisogno non solo di essere sostenuti perché siamo deboli, troppo deboli per il nostro compito, ma di essere " elevati " all'altezza del compito che ci domina in modo assoluto, perché non è naturale all'uomo stringere amicizia con Dio, ed è proprio questa che Dio propone e l'uomo accetta. Con la fede entriamo nel soprannaturale assoluto. Molte verità rivelate riguardano l'intima vita di Dio e lo stesso fatto della Rivelazione, indipendentemente dal contenuto e dai mezzi adoperati per attuarlo, é un atto di condiscendenza che traduce un'intenzione personale; è un'attenzione delicata e personale di Dio per l'uomo. È ancor naturale che l'uomo consideri l'autorità di Dio ben diversamente che una verità astratta, capace di giustificare una tesi, e vi si riferisca e appoggi direttamente su di essa, facendola entrare in qualche modo nelle sue vie, e che tratti con Dio da persona a persona? L'atto di fede, per se stesso e qual è stato definito, non è dunque nella natura dell'uomo o di qualsiasi altra creatura di Dio: per diventarne capaci bisogna riceverne la capacità da Dio, il quale se si china su di noi, non si abbassa, perché per rendere possibile l'incontro bisogna che ci elevi e ci " imparenti " con Lui.


Si spiega cosi la nostra possibilità di adattarci al bene soprannaturale che ci viene proposto e all'offerta che ci è fatta; si spiega che le nostre aspirazioni di uomini semplicemente onesti si innalzino alle soglie dell'Eterno, e che accogliamo con simpatia la Rivelazione e il suo oggetto; si spiega cosi quel a colpo d'occhio " che in segni materiali, fa riconoscere il modo di Dio, e la sua firma personale, " colpo d'occhio " che non è proporzionato né direttamente né inversamente all'intelligenza naturale e ai suoi gradi. C'è un dono che non è naturale, che è una luce nuova per lo spirito e un impulso, un'attrattiva, per la volontà, che vengono solo dall'alto.


Per quanto misteriosi gli apparenti indugi della grazia, questo dono non viene rifiutato a nessuno che lo cerchi con buona volontà, come insegna il Concilio Vaticano : " II Signore misericordiosissimo con la sua grazia eccita gli erranti e li aiuta a giungere alla conoscenza della verità; Egli da pure la sua grazia a quelli che ha trasferito dalle tenebre nella sua luce ammirabile per confermarli nella perseveranza fedele a questa luce, abbandonando solo quelli che lo abbandonano ".


Ricerca scientifica e fede personale.


- L'apologetica, dicevamo, non è una scienza disinteressata. Essa istruisce, ma per convincere; convince per persuadere e convertire.


Il credente che fa dell'apologetica è già in precedenza completamente convinto, persuaso e convertito. Prima dell'apologetica la sua fede non era cieca; egli aveva buone ragioni per credere e gli mancava solo di essersene reso nettamente conto, di conoscerne la profondità e l'estensione, di saperle ordinare in un sistema logico, spiegarle e renderle utili agli altri.


Anche dopo che il credente avrà fatto questo lavoro, l'incredulo non sarà costretto a seguirlo, poiché la fede non si crea a forza di ragionamenti; non viene data bell'e fatta; piuttosto la da Dio che può d'un sùbito illuminare l'intelligenza e convertire la volontà, restando sempre il padrone dei suoi doni, e del giorno e dell'ora. Conseguentemente l'apologista ha un compito complesso; alla solidità scientifica deve aggiungere l'abilità d'un avvocato e la santità di un apostolo, dovendo ad un tempo soddisfare lo spirito, guadagnare la volontà e ottenere la grazia.


Tutta la chiave del problema è in questi tre dati e dal fatto che compito e specialità propria dell'apologista è di offrire motivi, non si devono dimenticare gli altri due dati, anche se non se ne parla, perché trascurandoli non si giunge e non si può sperare di giungere a buon fine.


Già solo le dimensioni di questo volume, che è soltanto un manuale di volgarizzazione, scoraggerebbero le migliori volontà, se proprio la buona volontà, aiutata dalla grazia non fosse capace ad ogni istante di sollevare lo spirito che sta per essere sopraffatto. I problemi toccati dall'apologetica si moltipllcheranno ancora. Non ci dobbiamo sconcertare se crescerà sempre più il numero delle questioni da risolvere e delle obiezioni da confutare, perché non fa tanto impressione il fatto che da tutte le parti si fa fuoco contro le posizioni della Chiesa, quanto piuttosto che tutti gli assalti siano stati respinti uno dopo l'altro. Ora occorre custodire gelosamente tutte le conquiste di queste vittorie, almeno per servirsene al momento buono, perché i nuovi venuti della critica, quando non hanno nulla di nuovo da offrire, hanno il debole di rimettere in questione quello che è già stato risolto. In complesso la massa delle obiezioni non può costituire un'obiezione massiccia, e non oseremmo forse riprendere ad una ad una le risposte, se la buona volontà, sempre a aiutata dalla grazia " non traesse un argomento altrettanto plausibile dalla massa delle risposte. Si riprendano ad una ad una le obiezioni, anzi quelle che per me fanno difficoltà o, meglio ancora, si studino di preferenza quelle in cui si scopre già un raggio di luce; allora non occorrerà che siano esauriti tutti i problemi perché la buona volontà, sempre aiutata dalla grazia, si affretti a concludere, non essendo necessario né utile trarre dall'ombra tutti i dubbi formulati in passato per ripiombarveli, dal momento che sono già al loro posto, e non devono essere riportati alla luce quando non è indispensabile. Il vero amore per la verità non cerca l'ombra, ma la luce.


II compito dell'apologetica è insieme scienza e arte.


- Il ricercatore di buona volontà studierà finché non avrà trovato; rifletterà, pregherà, sia pure mettendo semplicemente i propri mali davanti al taumaturgo, denudando i propri dubbi, come chi espone una piaga al sole; se crede potrà anche discutere, purché non si lasci prendere dal gioco della discussione, discutendo per discutere.


L'apologista dal canto suo si studierà di guidare lo spirito del ricercatore, aiutandolo a prendere coscienza delle proprie certezze e aspirazioni, cercando di fargli scoprire le scorciatoie nella foresta di cui non occorre contare tutti gli alberi; suggerendogli, con l'analogia delle cose che conosce, gli atteggiamenti del credente e le certezze della fede. È importante quest'ultimo punto, poiché l'apologista ha il compito di condurre il ricercatore a "un modo di vedere ", a " un colpo d'occhio ", che tuttavia sono dati dalla grazia, potendo egli fare poco più che suggerirli, per mezzo di comparazioni, il che richiede abilità e tatto psicologico. Le comparazioni, di cui anche Gesù si servi nel suo insegnamento, non sono ragioni. Questo metodo è efficace non tanto perché illumina un oggetto con un altro, ma perché conduce lo spirito a fare su tale oggetto una messa a punto che lo aiuterà a vederne meglio un altro. Un ufficiale d'artiglieria che ha fatto pratica nello spostare i tiri, capirà a volo il metodo: il tiro viene aggiustato su di un obbiettivo in vista determinando e utilizzando gli elementi di aggiustamento per raggiungere un obbiettivo vicino e visto. Semplice comparazione.


Per finire riprendiamo il paragone della foresta, in cui ci possiamo perdere. Cosi nell'apologetica. Chi non conosce la foresta si deve lasciar guidare da chi l'ha percorsa in senso inverso, e soprattutto deve andare avanti, evitando di girare attorno, di ritornare sempre sui propri passi, di voler passare ad ogni costo dove c'è un albero, di fermarsi in un angolo piacevole senza più pensare alla meta. Proprio cosi fanno molti apologisti, che non avanzano, chiudendosi in un cerchio, ritornando su punti acquisiti, ostinandosi su di una difficoltà, compiacendosi di uno studio senza uscirne. L'essenziale è giungere alla meta, non importa per quale via. Lo spirito umano non è universale e una difficoltà superata resta una difficoltà, ma è superata, ed è ormai classica la formula di Newman: a Diecimila difficoltà non fanno un dubbio ". Di certezza in certezza si vada al vero, preferendo ciò che prova a ciò che crea il dubbio. Nel 1852 Ozanam consigliava a un amico di fare " in materia di religione ciò che si fa in materia di scienza: assicurare un certo numero di verità prime, provate, e poi abbandonare le obiezioni allo studio dei saggi ". n Quante obiezioni cadranno da se stesse quando si crederai "


L'apologetica in definitiva è una scienza; è la scienza delle ragioni di credere; ma è anche un'arte, e solo lo studio dell'atto di fede poteva determinarne le leggi.


M. H.


BIBLIOGRAFIA. - L'articolo postumo di Houdard prolunga con originalità l'insegnamento di G. Brunhes nel suo classico libro su La fot et sa justification rationelk, Paris, Bloud et Gay 1928; trad. it. presso Ed. Paoline, Alba, 1955.


Dopo di allora è stato pubblicato: R. Aubert, Le problèmi de l'aete de fot, Louvain 1Q.45- Questo lavoro, di oltre ottocento pagine, dispensa da ogni altra bibliografia, poiché vi si trova il repertorio più completo di tutto quello che fu pensato e scritto sul problema dell'atto di fede.


Segnaliamo due opere venute dopo quella dell'Aubert: M. L. Gherard de Lau-ries, Dimensions de la fot, a voli. Ed. du Cerf, Paris 1952. Contiene profonde analisi speculative. A. Decout, L'aete de fot. Beauchesne, Paris 1947. Presenta in forma facile gli elementi logici e psicologici dell'atto di fede. Infine ricordiamo il volumetto di J. MouROtrx, Io credo in te, Morcelliana, Brescia 1950, che studia la struttura personale della fede, e quello di R. Brini, Dalle certezze di ragione alle certezze di fede, Ed. C. Fanton, Torino 1949, che è uno studio sul tipo di certezza nell'assenso razionale della rivelazione cristiana.


 







Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 16:37. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com