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LETTERE di Santa Caterina da Siena dalla 1 alla 71 (1)

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2021 21:40
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22/04/2016 11:21
 
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XXXVIII - A monna Agnesa, donna che fu di missere Orso Malavolti

Proemio, di Niccolò Tommaseo:
Impazienza è da superbia: perde il merito del bene, fa l'anima leggiera negl'impeti, incomportabile a sè, inferno a sè stessa. Pazienza è amica ad umiltà e a carità; è segno della vera virtù. Non basta sopportare il dolore che viene di fuori; conviene saper patire la scarsità delle interne consolazioni, e l'apparente o vera tiepidezza degli uomini, i loro consigli importuni. C'è de' difetti che hanno radice ne' vizii. La falsa pazienza si maschera di stolta umiltà. Chi non è troppo contento di sè, è più contento d'altri. La pazienza è obbediente, ma insieme esercita più appieno l'umana libertà. Ella è regina. Parla alla madre, della figliuola perduta.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù. Io Catarina serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondata in vera pazienzia, considerando me che senza la pazienzia non potiamo piacere a Dio. Perocchè siccome la impazienzia piace molto al dimonio e alla propria sensualità, e non si diletta altro che d'ira quando gli manca quello che la sensualità vuole; così per contrario dispiace molto a Dio. E perchè l'ira e impazienzia e il mirollo della superbia, e però piace molto al dimonio. La impazienzia perde il frutto della sua fadiga, priva l'anima di Dio; e comincia a gustare l'arra dell'inferno, e dàgli poi la eterna dannazione: perocchè nell'inferno arde la mala perversa volontà con ira, odio e impazienzia. Arde e non si consuma, ma sempre rinfresca; cioè che non viene meno in loro: e però dico, non consuma. Ha bene consumata e diseccata la Grazia nell'anima loro, ma non e consumato l'essere, come detto è: e però dura la pena loro eternalmente.

Questo dicono i santi, che i dannati addimandano la morte e non la possono avere, perchè l'anima non muore mai. Muore bene a Grazia per lo peccato mortale; ma non muore all'essere. Non è alcuno vizio nè peccato che in questa vita faccia gustare l'arra dell'inferno,quanto l'ira e la impazienzia. Egli sta in odio con Dio; egli ha in dispiacere il prossimo suo; e non vuole nè sa portare nè sopportare i difetti del suo prossimo. E ciò che gli è detto o fatto, subito avvelena; e muovesi il sentimento alla ira e alla impazienzia, come la foglia al vento. Egli diventa incomportabile a sè medesimo; perocchè la perversa volontà sempre il rode; e appetisce quello che non può avere; scordasi della volontà di Dio e della ragione dell'anima sua. E tutto questo procede dall'arbore della superbia, il quale ha tratto fuore il mirollo dell'ira e della impazienza. E diventa l'uomo uno dimonio incarnato:e molto fa peggio a combattere con questi dimoni visibili, che con gli invisibili. Bene la debbe dunque fuggire ogni creatura che ha in sè ragione.

Ma attendete, che sono due ragioni d'impazienzia. Questa è una impazienzia comune, cioè, de' comuni uomini del mondo; che loro addiviene per lo disordinato amore che hanno a loro medesimi e alle cose temporali, le quali amano fuore di Dio; che per averle, non si curano di perdere l'anima loro, e di metterla nelle mani delle dimonia. Questo è senza rimedio se egli non cognosce sè, che ha offeso Dio, tagliando questo arbore col coltello della vera umilità; la quale umilità notrica la carità nell'anima. La quale è uno arbore d'amore, che 'l mirollo suo è la pazienzia e benevolenzia del prossimo. Perocchè, come la impazienzia dimostra più che l'anima sia privata di Dio, che niun altro vizio (perocchè si giudica subito, perchè c'è il mirollo, egli ci è l'arbore della superbia); così la pazienzia dimostra meglio e più perfettamente, che Dio sia per grazia nell'anima, che veruna altra virtù. Pazienzia, dico, fondata nell'arbore dell'amore: cioè, che per amore del suo Creatore dispregi il mondo, e ami la ingiuria, da qualunque lato ella si viene.

Dicevo che l'ira e la impazienzia era in due modi: cioè in comune e in particolare. Abbiamo detto de' comuni; ora lo dico in particolare, cioè di coloro che hanno già spregiato il mondo, e vogliono essere servi di Cristo crocifisso a loro modo; cioè in quanto trovano diletto in lui e consolazione. Questo è perchè la propria volontà spirituale non è morta in loro; e però dimandano e chieggono a Dio, che doni le consolazioni e tribolazioni a loro modo, e non a modo di Dio; e così diventano impazienti, quand'hanno il contrario di quello che vuole la propria volontà spirituale. E questo è uno ramoscello di superbia, che esce della vera superbia; siccome l'arbore che mette l'arboscello da lato, che pare separato da lui, enondimeno la sustanzia della quale egli viene, la traie pure del medesimo arbore. Cosi è la volontà propria dell'anima, che elegge di servire a Dio a suo modo; e mancandogli quello modo, sostiene pena, e dalla pena viene alla impazienzia; ed è incomportabile a sè medesimo, e non gli diletta di servire a Dio nè al prossimo. Anco, chi venisse a lui per consiglio o per aiuto, non gli darebbe altro che rimproverio; e non saprebbe comportare il bisogno suo.

Tutto questo procede dalla propria volontà sensitiva spirituale, che esce dall'arbore della superbia, il quale è tagliato e non dibarbicato. Tagliato è quando già ha levato il desiderio suo dal mondo, e postolo in Dio; ma havvelo posto imperfettamente: evvi rimasta la radice, e però ha messo il figliuolo da lato: ecosi si manifesta nelle cose spirituali. Onde, se gli mancala consolazione di Dio, e rimanga la mente sterile esciutta, subito si conturba e contrista in sè medesimo: e sotto colore di virtù (perchè gli pare essere privato di Dio) diventa mormoratore, e ponitore di legge a Dio. Ma se egli fusse veramente umile, con vero odio e cognoscimento di sè, sì reputerebbesi indegno della visitazione che Dio fa nell'anima, e riputerebbesi degno della pena che sostiene, quando si vede essere privato per consolazione e non per grazia di Dio. Pena sostiene allora perchè gli conviene lavorare con ferri suoi; sicchè la volontà spirituale ne sente pena sotto colore di non offendere a Dio: ma ella è la propria sensualità.

E però l'anima umile che liberamente ha tratta la barba della superbia con affettuoso amore, ha annegata la volontà, cercando sempre l'onore di Dio e salute dell'anime: non si cura di pene; ma con più riverenzia porta la mente inquieta, che quieta; avendo rispetto santo, cioè, che Dio gliel dà e concede per suo bene, acciocchè ella si levi dalla imperfeione, e venga alla perfezione.Quella è la via da farvela venire; perocchè, per quella cognosce meglio il difetto suo e la grazia di Dio, la quale trova in sè per la buona volontà che Dio le ha data, dispiacendogli il peccato mortale. Ed anco, per considerazione che ella ha de' difetti e delle colpe antiche e presenti, ha conceputo odio contra sè medesima, e amore alla somma eterna volontà di Dio. E però le porta con reverenzia; ed è contenta di sostenere dentro e di fuore, in qualunque modo Dio gliel concede. Purchè possa adempire in sè e vestirsi della dolcezza della volontà di Dio, d'ogni cosa gode; e quanto più si vede privare di quella cosa che ama, o consolazione da Dio (come detto è) o dalle creature, più si rallegra.
Perocchè spesse volteadiviene che l'anima ama spiritualmente; e se non trova quella consolazione e satisfazione da quelle creature, come vorrebbe; o che le paia che ami o satisfaccia più ad altri che a lei; ne viene in pena, in tedio di mente, in mormorazione del prossimo, e in falso giudicio, giudicando la mente e la intenzione de' servi di Dio; e specialmente quella di coloro, di cui ha pena. Onde diventa impaziente, e pensa quello che non dee pensare, e con la lingua dice quello che non dee dire. E vuole allora usare, per queste cotali pene, una stolta umilità, che ha colore di umilità (ma egli è il figliuolo della superbia, che escedal lato), dicendo in sè medesima: «Io non voglio lor fare motto, nè impacciarmi più con loro. Starommi pianamente; e non voglio dare pena nè a loro nè a me». E sta in terra con un perverso sdegno. E a questo se ne dee avvedere, che è sdegno; cioè, nel giudicare che sente nel cuore, e nella mormorazione della lingua.

Non dee fare dunque così: perocchè, per questo modo, non leverebbe però via la barba, nè mozzerebbe il figliuolo da lato, che impedisce che l'anima non giugne alla sua perfezione, la quale ha cominciata. Ma debbe con libero cuore, con odio santo di sè, e con spasimato desiderio dell'onore di Dio e della salute dell'anime, e con affetto di virtù nell'anima sua, ponersi in su la mensa della santissima croce a mangiare questo cibo; cercando con pena e con sudori d'acquistare la virtù, e non con proprie consolazioni, nè da Dio nè dalle creature, seguitando le vestigie e la dottrina di Cristo crocifisso; dicendo a sè medesima con grande rimproverio: «Tu non debbi, anima mia, tu che se' membro, passare per altra via che 'l capo tuo. Sconvenevole cosa è che sotto il capo spinato stieno i membri delicati». Che se per propria fragilità e inganno del dimonio, e' venti de' molti movimenti del cuore, per lo modo detto di sopra o per altra via, venissero; debbe allora salire l'anima sopra la coscienzia sua, e tenersi ragione, e non lassarlo passare che non sia punito e gastigato con odio e dispiacimento di sè medesima. E così divellerà la radice; e col dispiacimento di sè caccerà il dispiacimento del prossimo suo, cioè dolendosi più del disordinato sentimento del cuore e delle cogitazioni, che della pena che ricevesse dalle creature, o per altra ingiuria o dispiacere che per loro le fosse fatto.

Questo è quello dolce e santo modo che tengono coloro che son tutti affocati di Cristo: perocchè con esso modo hanno divelta la radice della perversa superbia e il mirollo della impazienzia, lo quale di sopra dicemmo che piaceva molto al dimonio, perocchè è principio e cagione d'ogni peccato: cosi per lo contrario, che come ella piace molto al dimonio, cosi dispiace molto a Dio. Dispiacegli la superbia, e piacegli l'umilità. E in tanto glipiacque la virtù dell'umilità di Maria che fu costretto per la bontà sua di donare a lei il Verbo dell'unigenito suo Figliuolo; ed ella fu quella dolce Maria che il donò a noi. Sapete bene, che infino che Maria non mostrò col suono della parola l'umilità e volontà sua, dicendo: « Ecce Ancilla Domini ; sia fatto a me secondo la parola tua»; il Figliuolo di Dio non incarnò in Lei; ma, detta che Ella l'ebbe, concepette in sè quello dolce e immacolato Agnello, mostrando in questo a noi la prima dolce Verità, quanto è eccellente questa virtù piccola, e quanto riceve l'anima che con umilità offera e dona la volontà sua al Creatore.

Oosì, dunque, nel tempo delle fadighe e delle persecuzioni, ingiurie, strazi e villanie, ricevendoledal prossimo suo, e battaglie di mente, e privazioni di consolazioni spirituali e temporali, dal Creatore e dalla creatura (dal Creatore per dolcezza, quando ritrae a sè il sentimento della mente; che non pare allora che Dio sia nell'anima, tante son le battaglie e le pene che ha; e dallecreature per conversazione e ricreazione, parendole più amare che ella non è amata); in tutte queste cose, dico che l'anima perfetta con la umilità dice: «Siguore mio, ecco l'Ancilla tua. Sia fatto in me secondo la tua volontà,e non secondo quello che voglio io sensitivamente». E così gitta l'odore della pazienzia verso del Creatore e della creatura e di sè medesima. Gusta la pace e la quiete della mente; e nella guerra ha trovata la pace, perocchè ha tolto di sè la propria volontà fondata nella superbia, ed ha conceputo nell'anima sua la divina Grazia. E porta nel petto della mente sua Cristo crocifisso, e dilettasi nelle piaghe di Cristo crocifisso, e non cerca di sapere altro che Cristo crocifisso; e il suo letto è la croce di Cristo crocifisso. Ine annega la sua volontà, e diventa umile e obediente.

Perocchè non è obedienzia senza umilità, e non è umilità senza carità. E questo trova nel Verbo; perocchè con l'obedienzia del Padre, e con l'umilità corre all'obbrobriosa morte della croce, conficcandosi e legandosi col chiovo e col legame della carità, e sostenendo con tanta pazienzia che non è udito il grido suo per mormorazione. Perocchè non erano sufficienti i chiovi a sostenere Dio-e-Uomo confitto e chiavellato in croce, se l'amore non l'avesse tenuto. Or questo dico che gusta l'anima: e però non si vuole dilettare altro che con Cristo crocifisso. Che se egli fusse possibile acquistare le virtù, fuggire l'inferno e avere vita eterna senza pena, e aver le consolazioni nel mondo spirituali e temporali; non le vorrebbe: ma piuttosto vuole con pena, sostenendo infino alla morte, che per altro affetto avere vita eterna, pure che si possa conformare con Cristo crocifisso e vestirsi degli obbrobrii e delle pene sue. Ella ha trovata la mensa dello immacolato Agnello.

Oh gloriosa virtù! chi non volesse darsi mille volte alla morte, e sostenere ogni pena per volerla acquistare? Tu sei regina, che possiedi tutto quanto il mondo: tu abiti nella vita durabile, perocchè, essendo ancora, l'anima che di te è vestita, mortale, tu la fai abitare per affetto d'amore con quelli che sono immortali. Poi, dunque, che tanto è eccellente e piacevole a Dio ed utile a noi e salute del prossimo, questa virtù; levatevi, carissima figliuola, dal sonno della negligenzia e della ignoranzia, gittando a terra la debilezza e la fragilità del cuore, acciocchè non senta pena nè impazienzia di neuna cosa che Dio permetta a noi; sicchè noi non cadiamo nella impazienzia comune, nè nella particolare, siccome detto è di sopra; ma virilmente, con libertà di cuore e con perfetta e vera pazienzia servire il nostro dolce Salvatore. Facendo altrimenti, nella prima impazienzia perderemo la Grazia, e nella seconda impediremo lo stato perfetto; e non giugnereste a quello che Dio v'ha chiamata.

Dio pare che vi chiami alla grande perfezione. E a questo me ne avveggo, perocchè Egli vi tolle ogni legame il quale ve la potesse impedire. Perocchè, secondo che io intendo, pare che abbia chiamata a sè la vostra figliuola, che era l'ultimo legame di fuore. Della quale cosa sono molto contenta, con una santa compassione, che Dio abbia sciolta voi, e tratta lei di fadiga. Ora voglio dunque, che al tutto voi tagliate la propria volontà, acciocch'ella non stia attaccata altro che a Cristo crocifisso. E per questo modo adempirete la volontà sua e il desiderio mio. E però vi dissi, non cognoscendo altra via perchè voi la adempiste, che io desideravo di vedervi fondata in vera e santa pazieniia: perocchè senza essa non potremo tornare al nostro dolce fine. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




XXXIX - A D. Jacomo monaco della Certosa nel monastero di Pontignano, presso a Siena

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo Padre e figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienzia. La quale pazienzia dimostra se le virtù sono vive o no nell'anima. La pazienzia non si prova se non nel tempo della fadiga; perocchè senza la tribolazione non si trova questa virtù: chè chi non è tribolato, non gli bisogna pazienzia, perchè non ha chi gli faccia ingiuria. Dico che pazienzia dimostra se le virtù sono nell'anima o no. Con che cel dimostra, se esse non vi sono? con la impazienzia. Vuoi tu vedere se le virtù sono anco imperfette, e se la radice dell'amore proprio vive ancora nell'anima? miralo, al tempo delle fadighe che frutto gli nasce. Perocchè se gli nasce frutto di pazienzia, la radice della propria volontà è segno ch'è morta, e le virtù sono vive; e se nasce frutto d'impazienzia, mostra chiarissimamente che la radice della propria volontà è anco viva in lui (e però si sente: perocchè coluiche è vivo si sente, ma la cosa morta no); e le virtù mostrano alienate in quell'anima.

Ma attendete, che sono due ragioni d'impazienzia: l'una delle quali dà morte, perocchè esce dalla morte; e l'altra impedisce la perfezione, perchè esce della imperfezione. Siccome sono due stati principali, che nell'uno sta la vita, nell'altro la morte, cioè in coloro che stannonella morte del peccato mortale. Costoro partoriscono (ricevendo tribolazione e persecuzione del mondo, perchè questa vita non passa senza fadiga, in qualunque stato l'uomo si sia) una impazienzia con odio e dispiacimento del prossimo suo, con una mormorazione verso di Dio; giudicando in suo male quello che Dio gli ha fatto per bene, e per riducerlo allo stato della Grazia, e pertollergli la morte del peccato mortale: ma egli, come ignorante e miserabile, perchè la radice sua è morta a Grazia, però produce il frutto morto della impazienzia; e con questo segno della impazienzia dimostra la morte ch'è dentro nell'anima.

Un'altra impazienzia è, la quale dico che impedisce la perfezione (e così è la verità), e dimostra la imperfezione. E se esso non se ne corregge, potrà venire a tanto che perderà il frutto della sua fadigao starà in continua pena. Questi sono coloro che sono levati dalla tenebra del peccato mortale, e vivono in Grazia: ma che è? è che la radice dell'amor proprio non è anco morta in loro: onde sono ancora imperfetti, e con una tenerezza di loro medesimi; con la quale tenerezza s'hanno compassione. Perocchè perchè anco s'ama, si duole; e quello che egli ha in sè (cioè d'aversi compassione), vorrebbe che ognuno li avesse. E non trovando che gli sia avuta compassione, ha pena; e così l'una pena con l'altra, cioè la pena della tribolazione o d'infirmità odi molestia mentale, o per persecuzione dagli uomini (o da qualunque lato ella viene), accordata questa pena con quella che egli porta (cioè di volere che gli altri gli abbiacompassione), viene ad impazienzia, e spesse volte a mormorazione contra 'l prossimo suo, e a giudicio, giudicando la volontà altrui. Perocchè spesse volte potrà avergli compassione, e non gli 'l dimostrerà. E tutto questo gli diviene, perchè la radice dell'amore proprio non è morta in lui. Chi ce la mostra? la impazienzia, come detto è.
Perocchè ella ha partorito frutto imperfetto; non però di morte, perocchè egli è levato dalla colpa mortale; ma uno dispiacimento e una pena, che egli riceve delle fadighe sue proprie, e verso del prossimo suo, non parendogli ch'egli gli abbia compassione, come egli vorrebbe. Questa è una imperfezione la quale impedisce la grande perfezione del Monaco o d'altri religiosi, li quali hanno lassato lo stato imperfetto della carità comune, dove stanno i secolari, volendo vivere in Grazia, e iti alla grande perfezione, dove essi debbono essere specchio d'obedienzia e di pazienzia, con volontà morta e non Viva

Quale sarebbe quella lingua che potesse narrare quanti inconvenienti ne vengono? non credo che ne fusse neuna. Ma tre principali n'escono di colui che non ha morta la sua volontà. L'uno è, ch'egli è infedele, e non fedele col lume della fede viva; anco, ha posto la nebula sopra l'occhio dell'intelletto, dove sta la pupilla del lume della fede. Onde subito che egli ha questo principale, cioè d'avere posta una nebbia d'amore proprio sopra l'occhio suo, e offuscato il lume delle fede; cade subito nel secondo e nel terzo, cioè nella disobedienzia, donde verrà la impazienzia; e nel giudicio, donde verrà nella mormorazione. E se voi ragguarderete bene, di questi tre l'uno non è senza l'altro. Non è dunque da dubitare che, esso fatto che la radice dell'amore proprio non è morta in noi, l'occhio è tenebroso, e tutti i frutti delle virtù sono imperfetti; perocchè ogni perfezione procede da occidere la volontà sensitiva, e dar vita alla ragione nella dolce volontà di Dio.

Sicchè dunque, essendo viva e imperfetta, subito è disobediente contra Dio e contra il prelato suo. Perocchè, se egli fusse obediente, porterebbe la disciplina di Dio e quella del prelato con debita reverenzia; ma perchè egli non è obediente, ma è disobediente con volontà viva, però viene ad impazienzia verso di Dio e a disobedienzia. Però che volontà di Dio è, che noi portiamo con pazienzia ogni disciplina, da qualunque lato egli ce la concede, e con vera pazienzia riceverle da lui con quello amore ch'egli ce la dà: perocchè ciò che egli dà e permette a noi, è per nostra santificazione; e però con amore le doviamo ricevere. Onde non facendo così, siamo disobbedienti a lui, e cadiamo nella mormorazione, e in uno giudicio; con una tenerezza di noi medesimi, con una superbia e infedelità, di volere eleggere di servire a Dio a nostro modo. Perocchè, se in verità credessimo che ogni cosa che è, procede da Dio, eccetto il peccato, e che egli non può volere altro che 'l nostro bene, il quale vediamo e gustiamo nel sangue di Cristo crocifisso (perocchè, s'egli avesse voluto altro che la nostra santificazione, non ci averebbe dato sì fatto ricompratore); dico, che se questo credessimo in verità che il lume della fede non fusse offuscato con l'amore proprio di noi, saremmo obedienti e riceveremmo con reverenzia quello ch'egli ci dà, e giudicheremmolo in nostro bene, dato a noi per amore e non per odio, com'egli è. Ma perchè ci è la infidelità, però riceviamo pena, e siamo impazienti delle pene che noi sosteniamo, e disobedienti verso il prelato, giudicando la volontà del prelato, e non la volontà di Dio in lui.

Perocchè spesse volte il prelato farà con buona e santa intenzione quello ch'egli farà verso del suddito; e il suddito infedele e disobediente terrà tutto il contrario. Questo è per la superbia sua, e perchè la radice dell'amore proprio non èmorta in lui, perocchè se ella fusse morta, sarebbe quello perche egli entrò nell'Ordine, cioè d'obedire schiettamente e senza alcuna passione, siccome fa l'umile obediente. Che se il prelato suo fusse un Dimonio, il vero obediente, ciò che gli è fatto, ose gli sono imposte le gravi obedienzie, ogni cosa riceve con pazienzia, giudicando che volontà di Dio è di far tenere quelli modi al prelato verso di lui; o per necessità della sua salute, o per farlo venire a grande perfezione. E però riceve con pace e quiete di mente l'obedienzia sua, e gusta l'arra di vita eterna in questa vita. E perchèesso ha morta la volontà, ed è ito con lume della fede e con vera obedienzia; però gusta il dolce e amoroso frutto della pazienzia, con fortezza e perseveranzia infino alla morte. Questo frutto ha dimostrato ch'egli in verità s'è levato dalla imperfezione, ed è giunto alla perfezione.Siccome il disobediente dimostra li difetti suoi con la impazienzia, onde vediamo che sempre si scandalizza; se non quando la prosperità andasse a modo suo, e il prelato facesse quello ch'egli vuole.

Ma se fa il contrario, si turba. Perchè? perchè egli è vivo. Perocchè, se egli fusse morto, non gli addiverrebbe. Onde questi cotali sono debili: perocchè come la paglia lor si volle fra' piedi, così vengono meno. E se il prelato comanda cosa che non gli piaccia, egli si turba. E se egli è infermo, egli è impaziente per la tenerezza ch'gli ha al corpo suo. E spesse volte sotto colore di bene dirà: «se io avessi un'altra infirmità, io me la porterei più agevolmente. Ma questa infirmità è una cosa occulta, che non si vede; e però non m'è creduta, e impediscemi l'officio e l'altre osservanzie,di non poter fare come gli altri». E però non pare che ci possa avere pace. Costui, come imperfetto e con poco lume, è ingannato dalla propria passione e tenerezza di sè. Chi cel dimostra? la impazienzia ch'egli ha, perchè non gli pare che gli altri gli abbiano compassione. Questi vuole eleggere il tempo e 'l luogo e le fadighe a suo modo. Non debbe fare cosi, ma umiliarsi sotto la potente mano di Dio, e ogni cosa avere in riverenzia; e fare quello ch'egli può fare. E quand'egli non può rendere il debito dell'officio edegli altri esercizii, come gli altri; edegli rendere il debito della pazienzia. Perocchè Dio non ci richiede più che noi potiamo fare. Ma ben ci richiede l'amore col santo desiderio, e con pazienzia portare ogni pena e fadiga, e in ogni tempo e in ogni luogo che noi siamo, con odio e dispiacimento della propria sensualità. Perocchè così fanno coloro che vogliono essere perfetti.
E a questo modo gusterà vita eterna nelle pene sue in questa vita; e avendo pena, non avrà pena, ma la pena gli sarà refrigerio, pensando che egli si possa conformare con li obbrobri di Cristo crocifisso. E non vorrà, egli,servo, tenere per altra via che 'l Signore; e però porterà con reverenzia, bagnandosi e annegandosi nel sangue di Cristo crocifisso. Il quale sangue, all'anima che 'l gusta con affetto di carità, rimane morta la volontà sua.

Morta la volontà, gli è tolta ogni pena; perocchè solo la volontàè quella cosa che le pene e le tribolazioni ci fa essere pene; ma morta la volontà nostra, e vestiti della volontà di Dio, la pena c'è diletto, e il diletto sensitivo, per odio santo di noi, ci sarebbe fatica, perocchè vedremmo che la via del diletto non è la via di Cristo crocifisso. Vede e'Santi che l'hanno seguito, e vede che 'l regno del cielo, vita eterna, non si vende nè acquistasi per diletto; anco, si acquista e si guadagna il regno di Dio con povertà volontaria, e con avere la pena per diletto, e con molto sostenere; e il diletto ci paia fadiga, come detto è. La volontà allora accordata con la volontà di Dio, ne riceve l'arra: e però dicevo che in questa vita gusta l'arra di vitaeterna.

Costui non cade nel terzo difetto del giudicio, cioè di giudicare la volontà di Dio, altro che giustamente, e con amore; e vedendosi amato da lui, per amore riceve ogni cosa. Nè cade ancora in giudicare la volontà degli uomini in cosa, o in alcuno modo nel mondo, nè per strazio, nè per ingiurie, o per persecuzioni che gli fussero dette o fatte da loro. Ma giudica con una santa considerazione, che Dio il permetta per suo bene, e che essi il fanno per provarlo in virtù. Nè non giudicherà mai li servi di Dio, nè le operazioni d'alcuna creatura: eziandio se vedesse il male espressamente, nol vede, nè debbe vedere, per giudicio nè per mormorazione; ma per compassione il debbe portare dinanzi da Dio, ponendo i difetti del prossimo sopra di sè.

Così vuole l'affetto della carità; e non vuole che si faccia come fanno gl'imperfetti, accecati ancora d'un proprio amore di loro medesimi. Chè pare che si nutrichino del giudicare le creature; e non tanto che li uomini del mondo, ma li servi di Dio, volendoli mandare a loro modo; e se non vanno al oro modo, sono iscandalizzati in loro. E spesse volte, sotto colore di compassione, caggiono nella mormorazione. Costui vuole ponere legge allo Spirito Santo, e non se n'avvede. Perchè non se n'avvede? perchè lo dimonio l'ha velato col velame della compassione; ma ella è piuttosto una radicata invidia e presunzione, presumendo di sè, di sapere alcuna cosa più, che compassione. Perocchè s'ella fusse compassione e zelo della salute delle anime e onore di Dio; userebbe la carità, e dischiarerebbe sè medesimo alle proprie persone di cui egli avesse pena; e così guadagnerebbesi e il prossimo suo, e goderebbe, sè egli fusse largo in verità, e con vero lume, di vedere i differenti modi e vie che Dio tiene co' servi suoi. Onde dimostra la somma Bontà, che egli ha che dare. E però disse Cristo benedetto: «nella casa del padre mio sono molte mansioni». E quale sarà quella lingua che possa narrare tanti diversi modi e visitazioni e doni e grazie che Dio fa, non tanto in molte creature, ma in una anima medesinia? perocchè, come le virtù sono diverse, poniamochè tutte traggano nel segno della carità; così sono diversi e' diversi modi e costumi de' servi di Dio.

Non, che chi ha perfettamente la virtù della carità, non abbia tutte quante l'altre virtù; ma a cui è propria una virtù, e a cui è un'altra,sopra la quale principal virtù tira tutte l'altre. Onde altrimodi vediamo in colui a cui è propria la virtù della carità, e tutto dilettato nella carità del prossimo suo; e altro modo ha colui a cui è appropriata la virtù dell'umilità, con una fame di solitudine. In un altro la giustizia;in un altro una libertà, con una fede viva che di neuna cosa pare che possa temere; e altri in una penitenzia, dandosi tutti a mortificare li corpi loro: e altri studia adoccidere la propria volontà, con vera e perfetta obedienzia. Or così sono diversi i modi e i costumi loro; e ciascuno corre però nella virtù della carità. Onde abbiamo che i Santi che sono a vita eterna, tutti sono andati per lavia della carità, ma in diversi modi; chè l'uno non è simile all'altro. Ed eziandio nella natura angelica è differenzia; perocchè non sono tutti eguali: onde tra gli altri diletti, che abbia l'anima a vita eterna, si è di vedere la grandezza di Dio ne' santi suoi, in quanti diversi modi gli ha remunerati. E in tutte le cose create troviamo questa differenzia, cioè, di vederle variate in qualche cosa, perocchè tutte non sono a un modo: poniamochè sieno fatte tutte da uno medesimo affetto, cioè, create da Dio in uno medesimo amore. E questa è la grande dignità a vedere in Dio, a chi avesse lume, e volesse punto cognoscere la sua grandezza; perocchè la troverebbe nelle cose visibili ed invisibili, come detto è. Dunque bene è matto e folle colui che vorrà mandare le creature a suo modo; che non anderà secondo il suo parere, ne sarà scandalizzato in lui.

Non debbe dunque cadere in questo terzo giudicio; ma debbe godere, e avere in reverenzia li modi e costumi de' servi di Dio, dicendo in sè medesimo con umilità: «Grazia sia a te, Signore, di tanti modi e vie, quante tu dài e fai tenere alle tue creature». E quando spressamente vedesse il difetto o ne' servi di Dio o ne' servi del mondo, portilo con grande compassione dinanzi da Dio. E se può caritativamente dirlo al prossimo suo, il debbe dire. Così fa colui che è perfetto in carità eumile che non presume di sè medesimo. Costui è veramente fondato, e non si scandalizza in sè per pena che sostenga, nè nel prelato per la grave obedienzia: anco, obedisce infino alla morte in ogni cosa, se non in quello che vedesse che fusse fuora della volontà di Dio. Perocchè cosa che egli vedesse che fusse offesa di Dio, nol debbe fare: ma ogni altra cosa, sì. E non si scandalizza nel prossimo, nè per ingiuria che li fusse fatta da lui, nèper modi e costumi diversi che in loro vedesse; ma d'ogni cosa gode e guadagna, e trae il frutto a sè per la virtù della carità che è dentro nell'anima sua. Chi dimostra questo? la virtù della pazienzia che ha fatto chiaro emanifesto la virtù nel perfetto, e il mancamento delle virtù nello imperfetto, vedendovisi il contrario, cioè la impazienzia. Adunque bene è vero che la virtù della pazienzia è uno segno dimostrativo, che mostra l'uomo perfetto e imperfetto.

Voi sete posto nello stato della grande perfezione; e però dovete essere paziente per lo modo che detto è, bagnata e annegata la propria volontà nel sangue di Cristo crocifisso. Perocchè in altro modo offendereste la vostra perfezione, alla quale sete entrato a servire, e così cadereste nella seconda impazienzia, della quale facemmo menzione. E però vi dissi, ch'io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienzia, acciocchè fra le fadighe godeste e gustaste l'arra di vita eterna, e nell'ultimoriceveste il frutto delle vostre fadighe. E però riposateviin croce col dolce immacolato Agnello. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




XL (40) - A certe figliuole da Siena

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi serve fedeli al vostro Creatore, e perseveranti, che giammai non volliate il capo addietro per neuna cosa che sia, per prosperità pigliandone troppo letizia, nè per avversità pigliandone impazienzia e amaritudine.

Ma io voglio, e vi prego, che neuna cosa sia che vi tolga e impedisca il santo desiderio. E acciò che il santo desiderio cresca in voi e non scemi, voglio che apriate l'occhio dell'intelletto a cognoscere l'amore ineffabile che Dio v'ha; che per amore v'ba dato l'unigenito suo Figliuolo, e 'l Figliuolo v'ha dato la vita con tanto fuoco d'amore, che ogni cuore duro debbe dissolvere la durezza sua. Or qui ponete l'occhio dell'intelletto vostro, pensando ecogitando il prezzo del Figliuolo di Dio; e nel sangue lavate la faccia vostra dell'anima. Levisi, e destisidal sonno della negligenzia: e pigliate sollecitudine, poich'è levata, di ponere la bianchezza della purità, e 'l cuore dell'ardentissima carità, la quale tutta troverete nel sangue dell'Agnello.
E voglio che voi pensiate, figliuole mie, che questa purità di mente e di corpo non si potrebbe avere con le molte conversazioni delle creature, nè col ponere l'affetto e l'amore nostro in loro nè in cosecreate, fuori della volontà di Dio; nè con amore proprio e tenerezza del corpo nostro; ma acquistasi con molta sollicitudine di vigilie e d'orazioni, e con continua memoria del suo Creatore; sempre ricognoscendo l'amore ineffabile che Dio gli ha. Poichè l'anima arà acquistata lapurità per lo modo detto, vedendo che a Dio non può fare utilità neuna, distenderà l'amore al prossimo suo, facendo a lui quella utilità ch'egli non può fare a Dio; visitando gl'infermi, sovvenendo e' poverelli consolando e' tribolati; piangendo con coloro che piangono, e godendo con loro che godono: cioè piangendo con coloro che sono nel pianto del peccato mortale, avendo loro compassione, offerendo per loro continue orazioni nel cospetto di Dio; e godendo con coloro che godono, che sono veri servi di Cristo crocifisso; e sempre dilettarvi della loro conversazione. Così vi prego, figliuole mie, che facciate; e a questo.modo sarete serve fedeli, e non infedeli; e questo desidera l'anima mia di vedere in voi. Altro non dico. Per manete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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