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LETTERE di Santa Caterina da Siena dalla 72 alla 152 (2)

Ultimo Aggiornamento: 19/10/2022 11:51
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01/01/2017 10:50
 
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LXXVII (77) - Al venerabile religioso frate Guglielino d'Inghilterra, il quale era baccelliere dell'ordine de' frati eremitani di Santo Agostino, a Selva di Lago


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.


A voi, reverendissimo e carissimo padre in Cristo Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi del Figliuolo di Dio, vi conforto e raccomando nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi uniti e trasformati nella sua inestimabile carità; sicchè noi che siamo arbori sterili e infruttuosi senza neuno frutto, siamo innestati nell'arbore della vita. Così rapportiamo uno saporoso e dolce frutto, non per noi, ma per lo maestro della grazia che è in noi. Siccome il corpo vive per l'anima, così l'anima vive per Dio. Questa Parola incarnata non ci poteva, in quanto Uomo, restituire la vita della grazia; ma, in quanto Dio, per amare, la divina Essenzia volse, e puotelo fare. Oh fuoco, abisso di carità, perchè non siamo separati da te, hai voluto fare un innesto di te in me. Questo fu quando seminasti la Parola tua nel campo di Maria. Adunque bene è vero che l'anima vive per te; e 'l prezzo dell'abbondantissimo sangue, sparto per me, valse per l'amore della divina Essenzia. Non mi maraviglio, carissimo padre, se la sapienzia di Dio, Parola incarnata, dice: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa trarrò a me». Oh cuori indurati, e stolti figliuoli di Adam! Bene è misero miserabile cuore, se non si lassa trare a sì dolce padre. Dice: Se io sarò levato, egli: perchè? solo perchè noi corriamo. Non ci veggo, carissimo padre, altro peso, se non l'amore e la ignoranza che noi abbiamo a noi medesimi, e poco lume e cognoscimento di Dio. Chi non cognosce, non può amare; e chi cognosce, sì ama. Non voglio che stiamo più in questa ignoranzia; chè non saremo innestati nella vita: ma voglio che l'occhio dell'intelletto sialevato sopra di noi a vedere e cognoscere quella somma e eterna vita. Non ne può altro volere, che la nostra santificazione: ogni luogo e ogni tempo, o per morte o per vita, o per persecuzioni, o per gli uomini o per li dimonii, ci dà solo a questo fine, perchè abbiamo la nostra santificazione. Dicovi che subito che l'anima ha aperto lo intendimento, diventa amatore dell'onore di Dio e delle creature: diventa amatore di pene; e non si diletta altro che in croce con lui. Non è grande fatto: chè già ha veduto che la bontà di Dio non può volere altro che bene, e ogni cosa viene da lui; già è privato dell'amore proprio (che gli dà tenebre, e però non vede lume).


O padre, non stiamo più; ed innestiamoci nell'arbore fruttuoso, acciocchè il maestro non si levi senza noi. Tolliamo il legame, il vincolo dell'ardentissima sua carità, la quale il tenne confitto e chiavellato in sul legnodella santissima croce. Percotiamo, percotiamo con affetto; perocchè lo infinito bene vuole infinito desiderio. Questa è la condizione dell'anima: perchè ella ha infinito essere, e però ella infinitamente desidera, e non si sazia mai, se non si congiugne con lo infinito. Levisi adunque il cuore con ogni suo movimento ad amare colui che ama senza essere amato. Oh amore inestimabile! Per fabricare le nostre anime facesti ancudine del corpo tuo: sicchè il corpo satisfa alla pena, e l'anima di Cristo ha dispiacimento del peccato: e la natura divina colla potenzia sua... Guardate come fedelmente siamo ricomperati! E perchè? perchè fu levato in alto. Sottomettiamo adunque la nostra volontà perversa sotto il giogo della volontà di Dio, che non vuole altro che il nostro bene; ricevendo con riverenzia ogni fatiga: chè noi non siamo degni di tanto bene.


Dicovi da parte di Cristo crocifisso, che non tanto che alcuna volta la settimana il priore volesse che voi dicestela Messa in convento, ma voglio che se vedete la sua volontà, ogni dì voi la diciate. Perchè voi perdiate le consolazioni, non perdete però lo stato della Grazia; anco, l'acquistate, quando voi perdete la vostra volontà. Voglio che, acciocchè noi mostriamo d'essere mangiatori dell'anime e gustatori de' prossimi, noi non attendiamo pure alle nostre consolazioni; ma dobbiamo attendere e udire e aver compassione alle fadighe de' prossimi, e specialmente a coloro che sono uniti a una medesima carità. E se non faceste così, sarebbe grandissimo difetto. E però voglio che alle fadighe e necessità di frate Antonio voi prestiate l'orecchie ad udirle: e frate Antonio voglio e prego che egli oda voi. E così vi prego da parte di Cristo, e mia, che facciate. A questo modo conserverete in voi la vera carità. E se non faceste così, dareste luogoal dimonio a seminare discordia. Altro non dico; se non che io vi prego e stringo che siate unito e trasformato in questo arbore di Cristo crocifisso. Gesù dolce, Gesù amore.



LXXVIII - A Niccolo povero, di Romagna, romito a Firenze

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi tutto rimesso nella divina providenzia, spogliato d'ogni affetto terreno, e di voi medesimo, acciocchè siate vestito di Cristo crocifisso; perocchè in altro modo non giugnereste al termine vostro, se non seguitaste la vita e dottrinadi questo amoroso Verbo. Così ci ammaestrò egli, quando disse: «neuno può venire al Padre, se non per me». Ma non veggo che in lui vi poteste bene rimettere, nè in tutto spogliarvi di voi, se prima non cognosceste la somma ed eterna bontà sua, e la nostra miseria.

Dove cognosceremo lui e noi? dentro nell'anima nostra. Onde c'è bisogno d'intrare nella cella del cognoscimento di noi, e aprire l'occhio dell'intelletto, levandone ogni nuvila d'amore proprio. E cognosceremo, noi non esser niente, e specialmente nel tempo delle molte battaglie e tentazioni; perocchè, se fussimo alcuna cosa, ci leveremmo quelle battaglie che noi non volessimo. Bene abbiamo adunque materia di umiliarci, e spogliarci di noi; perchè non è da sperare in quella cosa che non è. La bontà di Dio cognosceremo in noi, vedendoci creati all'imagine e similitudine sua affine che partiipiamo il suo infinito ed eterno bene:e essendo privati della Grazia per lo peccato del primo uomo, ci ha creati a Grazia nel sangue dell'unigenito suo Figliuolo. O Amore inestimabile!per ricomperare il servo hai dato il figliuolo proprio;per renderci la vita, désti a te la morte. Bene adunque vediamo che egli è somma ed eterna bontà, e che ineffabilmente ci ama: che se non ci amasse, non ci avrebbe dato sì fatto ricomperatore. Il sangue ci manifesta questo amore. Adunque in lui voglio che speriate e confidiatevi tutto; e in lui ponete ogni vostro affetto e desiderio.

Ma attendete che a lui non potiamo fare alcuna utilità, imperocchè egli è lo Dio nostro che non ha bisogno di noi. In che adunque dimostreremo l'amore che avremo a lui? In quello mezzo che egli ci ha dato posto per provare in noi la virtù, cioè il prossimo nostro, il quale dobbiamo amare come noi medesimi, sovvenendolo di ciò che vediamo che gli sia necessità, secondo le grazie che Dio ci ha date, o desse a ministrare; e offerirelagrime umili, e continue orazioni dinanzi a Dio per salute di tutto quanto il mondo, e specialmente per lo corpo mistico della santa Chiesa, la quale vediamo venuta in tanta ruina, se la divina bontà non provede. Allora seguiterete la dottrina di Cristo crocifisso, il quale per onore del Padre e salute nostra diè la vita, correndo come innamorato all'obbrobriosa morte della croce. E siccome egli non si trasse nè per pena, nè per rimproverio, nè per ingratitudine nostra, che non compisse la nostra salute;così dobbiamo fare noi, che per veruna cagione ci dobbiamo ritrare di sovvenire alla necessità del prossimo nostro, spirituale e temporale, senza rispetto d'alcuna utilità o consolazione riceverne quaggiù; solo amarlo e sovvenirlo, perchè Dio l'ama. Così adempirete la dilezione del prossimo, secondo il comandamento di Dio e il mio desiderio. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


LXXIX - All'abadessa e monache di San Pietro, in Monticelli a Lignaia in Firenze

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava di Gesù Cristo scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi vere serve e spose di Cristo crocifisso; e per siffatto modo seguitiate le vestigie sue, che innanzi eleggiate la morte, che trapassare icomandamenti dolci suoi ed i consigli, i quali voi avete promessi. Oh quanto è dolce e soave alla sposa consecrata a Cristo seguitare la via e la dottrina dello SpiritoSanto! Quale è la vita e dottrina sua? non è altro che amore. Perocchè tutte le altre virtù sono virtù per esso amore. La dottrina sua non è superbia nè disobedienzia nè amore proprio nè ricchezza nè onore nè stato del mondo; non piacimento nè diletto di corpo. Non ha amore d'amare il prossimo per sè, (ma... per utilità nostra ci ha amati e data la vita per noi con tanto fuoco d'amore): anco, è profonda e vera umiltà. Or fu mai veduta tanta umiltà, quanta è vedere Dio umiliato all'uomo? la somma altezza discesa a tanta bassezza, quanta è la nostra umanità? Egli è obbediente infino all'obbrobriosa morte della croce, egli è paziente, in tanta mansuetudine che non è udito il grido suo per veruna mormorazione: egli elesse povertà volontaria, quello che era somma ed eterna ricchezza; intanto che Maria dolce non ebbe panno dove invollerlo; e nell'ultimo, morendo nudo in su la croce, non ebbe luogo dove appoggiare il capo suo. Questo dolce e innamorato Verbo fu saziato di pene e vestito d'obbrobrii, dilettandosi delle ingiurie, delli scherni e villanie; sostenendo fame e sete, colui chesazia ogni affamato con tanto fuoco e diletto d'amore. Egli è il dolce Dio nostro che non ha bisogno di noi. E non ha allentato d'adoperare la nostra salute; anco, ha perseverato non lassando per la nostra ignoranzia e ingratitudine, nè per lo grido de'Giudei che gridano che egli discenda dalla croce; non lassù però, che non compisse la nostra salute.

Or questa è la dottrina e la via, la quale egli ha fatta: enoi miseri miserabili, pieni di difetti, non spose vere, maadultere, facciamo tutto il contrario; perocchè noi cerchiamo diletto, delizie, piaceri, amore sensitivo; uno amore proprio; del quale amore nasce discordia, disobedienzia. La cella si fa nemico: la conversazione de' secolari e di coloro che vivono secolarescamente, si fa amico. Vuole abondare e non mancare nella sustanzia temporale, parendogli, se non abonda sempre, avere necessità. Egli,si dilunga dall'amore del suo creatore; lassa la madre dell'orazione. Anco facendo l'orazione debita, alla quale voi sete obbligate, spesse volte viene a tedio; perocchè colui che non ama, ogni piccola fadiga gli pare grande a sostenere; la cosa possibile gli pare impossibile a potere adoperare. E tutto questo procede dall'amore proprio, il quale nasce da superbia, e la superbia nasce da lui, fondata in molta ingratitudine e ignoranzia e negligenzia nelle sante e buone operazioni.

Non voglio dunque, dilettissime figliuole, che questo divenga a voi: ma come spose vere, seguitate le vestigie dello sposo vostro; perocchè, altrimenti, non potreste osservare quello che voi avete promesso e fatto voto, cioè, povertà, obedienzia e continenzia. Sapete bene che nella professione voi deste per dota il libero arbitrio vostro allo sposo eterno; perocchè con libertà di cuore faceste la detta professione. Che sono tre colonne che tengono la città dell'anima nostra, e non lassano cadere in ruina; e non avendone, subito viene meno. Debbe dunque la sposa esser povera volontariamente per amore di Cristo crocifisso che gli ha insegnata la via.

La povertà è ricchezza e gloria delle religiose: e grande confusione è, ch'el si trova che elle abbiano che dare. Sapete quanto male n'esce? Che se passa questo, tutti gli altri passerà; perocchè colei che pone l'affetto suo in possedere, e non s'unisce con le suore (come voi dovete vivere, che dovete vivere a comune e avere tanto la grande quanto la piccola, e la piccola quanto la grande); se nol fa, ne viene in questo difetto, che ella caderà nella incontinenzia o mentale o attuale. E cade nella disobedienzia, perocchè è disobediente all'ordine suo e non vuole essere corretta dal prelato. E trapassa quello che aveva promesso. Onde vengono le conversazioni di coloro che vivono disordinatamente; vuoli secolari, vuoli religiosi, vuoli uomo, vuoli donna. Che la conversazione non sia fondata in Dio, non procede da altro, se non per alcuno dono o diletto o piacere che trovassero. E tanto basta quello amore e amistà, quanto basta il dono e il diletto. E però dico che colei che non possiede, e che non ha che donare, dico che, non avendo che donare, sarà tolto da lei ogni disordinata conversazione.

Levata la conversazione, non ha materia di svagolare la mente, nè di cadere nella immondizia corporalmente nè spiritualmente; ma trova, e vorrà, la conversazione di Cristo crocifisso, e de' servi dolcissimi suoi, i quali amano per Cristo e per amore della virtù, e non per propria utilità. Concepe uno desiderio e una fame della virtù, che non pare che se ne possa saziare. E perchè vede che della madre e della fontana dell'orazione trae la vita della grazia e il tesoro delle virtù, partesi dalla conversazione degli uomini, e fugge e ricovera in cella, cercando lo sposo suo, e abbracciandosi con esso in sul legno della santissima croce. Ine si bagna di lagrime e di sudori, ed inebriasi del sangue del consumato ed innamorato Agnello: pascesi de' sospiri, i quali gitta per dolci e affocati desiderii. Or questa è vera e reale sposa e che realmente séguita lo sposo suo. E come Cristo benedetto (come detto è) non lassa per veruna pena d'adoperare la salute nostra; così la sposa non lassa nè debbe lassare per veruna pena nè fadiga, nè per fame nè per sete, nè per alcuna necessità, che non adoperi continuamente l'onore di Dio. Anco, risponda alla tenerezza propria del corpo suo, e dolcemente dica: «Confòrtati, anima mia, chè ciò che ti manca quaggiù, t'avanza a vita eterna». E non lassi la buona operazione con santi desiderii, nè per tentazione del dimonio, nè per fragilità della carne, nè per li perversi consiglieri del dimonio, che sono peggio che Giudei, che dicono spesse volte «discendi dalla croce della penitenzia e della vita ordinata». E non debbe lassare il servire al prossimo suo, nè di cercare la salute sua, per ingratitudine nè per ignoranzia, che non cognoscesse il servizio. Non debbe lassare; perocchè, se lassasse, parrebbe che cercasse d'essere retribuito da loro, e non da Dio: la quale cosa non si debbe fare, ma prima eleggere la morte.

Con pazienzia portate, carissime figliuole, i difetti l'una dell'altra portando con pazienzia e sopportando con amore i difetti l'una dell'altra. E così sarete legate edunite nel legame della carità, il quale è di tanta fortezza, che nè dimonio nè creatura vi potrà separare se voi non vorrete. Siate obedienti infino alla morte; acciocchè siatespose vere; sicchè, quando lo sposo vi richiederà nell'ultima stremità della morte, voi abbiate la lampana piena e non vota, siccome vergini savie, e non matte. Drittamente il cuore vostro debbe essere una lampana, la quale debbe essere piena d'olio, e dentrovi il lume del cognoscimento di voi e della bontà di Dio in voi; che è lume e fuoco della carità, notricato e acceso nell'olio della verae profonda umilità. Perocchè chi non ha lume di cognoscimento di sè, non si può umiliare; chè con la superbia mai non si umilia. Poichè la lampana è fornita, debbesi tenere in mano con una santa e vera intenzione in Dio; cioè la mano del santo timore, il quale ha a regolare l'affetto e il desiderio nostro. Non dico, timore servile, ma timore santo, che per veruna cosa voglia offendere la somma ed eterna bontà di Dio. Ogni creatura che ha in sè ragione, ha questa lampana; perocchè il cuore dell'uomo è una lampana: onde se la mano del timore santo la tiene ritta, e ella è fornita, sta bene; ma se ella èin mano di timore servile, egli la rivolta sottosopra, perocchè serve e ama d'amore proprio per proprio diletto e non per amore di Dio. Costui affoga il lume e versane l'olio; perocchè non v'è lume di carità, e non v'è olio di vera umilità. E queste sono quelle cotali di cui disse il nostro Salvatore: «Io non vi cognosco, e non so chi voi vi sete». Adunque io voglio che siate forti e prudenti. Tenete il cuore vostro, e fate che sia lampana dritta. E come la lampana è stretta da piedi e larga da capo, così ilcuore e l'affetto si debbe restringere al mondo e ogni diletto e vanità e delizie e piacere e contento suo. E debbe essere larga da capo; cioè che il cuore, l'anima e l'affettosia tutto riposato e posto in Cristo crocifisso. Vestitevi di pene e d'obbrobrii per lui: unitevi e amatevi insieme.

E voi, madonna l'abbadessa, siate madre e pastore, che poniate la vita per le vostre figliuole, s'el bisogna. Ritraetele dal vivere in particolare e dalla conversazione;le quali cose sono la morte dell'anime loro e disfacimento di perfezione. Nella conversazione fate che voi gli siate uno specchio di virtù, acciocchè la virtù ammonisca più che le parole. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




LXXX (80) - A maestro Giovanni Terzo dell'ordine de'frati eremitani di Santo Agostino

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. lo Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi bagnato nel sangue dello svenato Agnello, il quale sangue lava e annega, cioè uccide, la propria perversa volontà. Dico che lava la faccia della coscienzia, e uccide il vermine d'essa coscienzia; perocchè 'l sangue c'è fatto bagno. E perchè il sangue non è senza fuoco, anco è intriso col fuoco della divina carità (perocchè fu sparto per amore); sicchè il fuoco col sangue lava e consuma la ruggine nella colpa, che è nella coscienzia: la quale colpa è uno vermine che rode in essa coscienzia. Onde, morto che è questo vermine, e lavata che è la faccia dell'anima, è privata del proprio e disordinato amore. Perocchè, mentre che l'amor proprio è nell'anima, questo vermine non muore mai nè si leva la lebbra della faccia dell'anima. Poniamochè 'l sangue e il fuoco del divino amore ci sia dato (e a tutti è dato questo sangue e fuoco per nostra redenzione); e nondimeno da tutti non è participato: e questo non è per difetto del sangue, nè del fuoco, nè della prima dolce Verità che ce l'ha donato; ma è difetto di chi non vota il vasello per poterlo empire d'esso sangue. Onde il vasello del cuore, mentre che egli è pieno del proprio amore, o spiritualmente o temporalmente non può empire il divino amore, nè participare la virtù del sangue: e però non si lava la faccia, e non s'uccide ilvermine. Dunque c'è bisogno di trovare modo di votarsi e d'empirsi, acciocchè noi giugnamo a quella perfezione d'uccidere la propria volontà: perocchè, uccisa la volontà, è ucciso il vermine.

Che modo ci è dunque, carissimo figliuolo? dicovelo. Che noi ci apriamo l'occhio dell'intelletto a cognoscere uno sommo bene e uno miserabile male. Il sommo bene è Dio, il quale ci ama d'ineffabile amore: il quale amore ci è manifestato col mezzo del Verbo unigenito suo Figliolo, e il Figliuolo ce l'ha manifestato col mezzo del sangue suo. Onde nel sangue cognosce l'uomo l'amore che Dio gli porta, e il suo proprio miserabile male. Perocchè la colpa è quella che conduce l'anima alle miserabili pene eternali. E però è solo il peccato quello che è male, il quale procede dal proprio amore: perocchè veruna altra cosa è che sia male, se non questa. E questo fu cagione della morte di Cristo. E però dico che nel sangue cognosciamo il sommo bene dell'amore che Dio ci ha, e il miserabile nostro male; perocchè altre cose non sono male, se non solo la colpa, come detto è. Onde nè tribolazioni nè persecuzioni del mondo non sono male; nè ingiurie, nè strazii, nè scherni, nè villanie, nè tentazioni del dimonio, nè tentazioni degli uomini, le quali tentano i servi di Dio; nè le tentazioni, nè le molestie chedà l'uno servo di Dio all'altro: le quali Dio tutte permette per tentare, e per cercare se trova in noi fortezza e pazienzia e perseveranzia infino all'ultimo; anco, conducono l'anima a gustare il sommo ed eterno Bene. Questo vediamo noi manifestamente nel Figliuolo di Dio, il quale essendo Dio e uomo, e non potendo volere veruno male, non le averebbe elette per sè; chè tutta la vita sua non fu altro che pene e tormenti e strazii e rimprovèrii, enell'ultimo l'obbrobriosa morte della croce: e questo volse sostenere, perchè era bene, e per punire la colpa nostra, che è quella cosa ch'è male.

Poi, dunque, che l'occhio dell'intelletto ha così ben veduto e discernuto chi gli è cagione del bene, e chi gli ècagione del male, e quale è quello che è bene, e quello che è miserabile male; l'affetto, perchè va dietro all'intelletto, corre di subito e ama il suo Creatore, cognoscendo nel sangue l'amore suo ineffabile; e ama tutto quello che vede che 'l faccia più piacere e unire con lui. Onde allora si diletta delle molte tribolazioni, e priva sèmedesimo delle consolazioni proprie per affetto e amore della virtù. E non elegge lo strumento delle tribolazioni, che provano le virtù, a suo modo, ma a modo di colui che gli 'l dà, cioè Dio; il quale non vuole altro, se non che siamo santificati in lui; e però gli 'l concede. Così egli ha tratto l'amore dell'amore. E perchè l'occhio dell'intelletto in esso amore ha veduto il suo male, cioè la sua colpa, odialo, in tanto che desidera vendetta di quella cosa che n'è stata cagione. La cagione del peccato è il proprio amore, il quale notrica la perversa volontà, che ribella alla ragione. E mai non resta di crescere e di multiplicare l'odio dell'amore sensitivo infino che l'ha morto. E però diventa subito paziente; e non si scandalizza in Dio, nè in sè, nè nel prossimo suo; ma ha presa l'arme a uccidere questo perverso sentimento, il quale conduce l'anima a tanto miserabile male, che gli tolle l'essere della grazia, e dàgli la morte, tornando a non cavelle, perchè è privata di Colui che è. Tolle dunque il coltello, che è l'arme con che sì difende da'nemici suoi; e con quello uccide la propria sensualità. Il qule, coltelloha due tagli, cioè odio e amore. E menalo con la mano del libero arbitrio, il quale, cognosce che Dio gli ha datoper grazia, e non per debito; e con esso coltello taglia, euccide.

Or a questo modo, figliuolo, partecipiamo la virtù del sangue e il calore del fuoco: il quale sangue lava, e il fuoco consuma la ruggine della colpa, e uccide il vermine della coscienzia: non uccide propriamente la coscìenzia, la quale è guardia dell'anima, ma il vermine della colpa, che v'è dentro. In altro modo nè per altra via non potremo giugnere a pace e a quiete, nè gustare il sangue dell'immacolato Agnello. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso.

Dunque levatevi su e destatevi dal sonno della negligenzia, e annegate la propria perversa volontà in questo glorioso prezzo. E non vi ritragga timore servile, nè amore proprio, nè detto delle creature, nè mormorazione, nè scandalo del mondo: ma perseverate con virile cuore. E guardate che voi non facciate come i matti; e se voi l'avete fatto, si ve ne dolete, di scandalizzarvi nei servi di Dio, o mormorare delle loro operazioni: perocchè questo è uno de' segni che la volontà non è morta: e se ella è morta nelle cose temporali, non è anco morta nelle spirituali. Vogliate dunque che in tutto muoia ad ogni suo parere, e viva in voi, la dolce eterna volontà di Dio: edi questa siate giudice, siccome dice la nostra lezione. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Scrivestemi che il figliuolo non poteva stare senza il latte e il fuoco della mamma. Onde se ne averete volontà, non tardate a venire per esso. Dite, che non vorreste, offendere l'obedienzia. Venite per la licenzia, e non l'offenderete. E ecci di bisogno; perchè Nanni s'è partito per buona necessità; sicchè se potete venire, l'averò molto caro Gesù dolce, Gesù amore.

Raccomandateci al baccelliere, e a Frate Antonio, e a misser Matteo, e all'Abbate, e a tutti gli altri.








Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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