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Il Vicario di Cristo il Papa il suo ruolo e la sua rinuncia (2)

Ultimo Aggiornamento: 01/06/2017 00:02
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22/05/2016 15:08
 
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 a seguito delle dichiarazione di mons. Georg, segretario di Benedetto XVI e al tempo stesso Prefetto della Casa Pontificia del Papa regnante, Francesco, apriamo questo nuovo thread dopo quello precedente, vedi qui, nel quale già si è parlato di questo problema.

ESPLOSIVE DICHIARAZIONI DI MONS. GAENSWEIN: C’E’ UN “MINISTERO ALLARGATO” E BENEDETTO XVI E’ ANCORA PAPA. COM’E’POSSIBILE? COSA C’E’ DIETRO? ED E’ QUESTO CHE ANCORA “IMPEDISCE” A BERGOGLIO DI AFFONDARE IL COLPO DEFINITIVO SULLA CHIESA INDUCENDOLO A MILLE AMBIGUITA’?


 

Il giallo continua e – nella bandiera vaticana – sta ormai sommergendo il bianco. Infatti le dichiarazioni di ieri di mons. Georg Gaenswein, sullo “status” di Benedetto XVI e di Francesco, sono dirompenti (don Georg è segretario di uno e Prefetto della Casa pontificia per l’altro).

A questo punto non si capisce più cosa è accaduto in Vaticano nel febbraio 2013 e cosa sta accadendo oggi.

Prima di vedere queste dichiarazioni riassumo la vicenda che ha messo la Chiesa in una situazione mai vista.

STRANA RINUNCIA

Dopo anni di durissimi attacchi, l’11 febbraio 2013 Benedetto XVI annuncia la sua clamorosa “rinuncia”, sui cui motivi reali sono lecite molte domande (aveva iniziato il suo pontificato con una frase clamorosa: “Pregate per me, perché io non fugga per paura davanti ai lupi”).

Peraltro, a tre anni e mezzo di distanza, si è potuto appurare che non c’erano problemi di salute incombenti, né di lucidità.

La sua “rinuncia” fu formalizzata con una “declaratio”, in un latino un po’ sgangherato (quindi non scritto da lui) e senza richiamare – come sarebbe stato ovvio – il canone del Codice di diritto canonico che regola la stessa rinuncia al papato.

Una svista? Una scelta? Non si sa. In ogni caso la rinuncia al papato non era una novità assoluta. Ce ne sono state altre, in duemila anni, seppure molto rare. Quello che non c’è mai stato è un “papa emerito” perché tutti quelli che hanno lasciato sono tornati al loro status precedente.

Invece Benedetto, circa dieci giorni dopo la rinuncia, e prima dell’inizio della sede vacante, fece sapere – sconfessando anche il portavoce – che egli sarebbe diventato “papa emerito” e sarebbe rimasto in Vaticano.

UNO SCRITTO RISERVATO?

Tale inedita scelta non è stata accompagnata da un atto che la formalizzasse e definisse il “papato emerito” dal punto di vista canonistico e teologico.

E questo è molto strano. Così è rimasta indefinita una situazione delicatissima e dirompente. A meno che vi sia qualcosa di scritto che però è rimasto riservatissimo…

Del resto secondo gli addetti ai lavori la figura del “papato emerito” non c’entra nulla con l’episcopato emerito, istituito dopo il Concilio, in quanto l’episcopato è il terzo grado del sacramento dell’ordine e – quando un vescovo a 75 anni rinuncia alla giurisdizione su una diocesi – resta sempre vescovo (la Chiesa ha precisamente codificato in un atto ufficiale tutte le prerogative dell’episcopato emerito).

Il papato invece non è un quarto grado dell’ordine e i canonisti hanno sempre ritenuto che rinunciandovi si potesse tornare solo vescovi (così è stato per duemila anni).

Invece papa Ratzinger – uomo di raffinata dottrina – è “papa emerito” e ha conservato sia il nome Benedetto XVI che il titolo “Santo Padre” e pure le insegne pontificie nello stemma (cosa che ha stupito perché in Vaticano i simboli sono molto importanti).

Tutto questo non certo per vanità personale. Ratzinger è famoso per il contrario: ha sempre vissuto come un peso le cariche e fece di tutto per non essere eletto papa.

La domanda che dunque rimbalza, da tre anni, nei palazzi vaticani, è questa: si è dimesso davvero o – per ignote ragioni è ancora papa, sia pure in una forma inedita?

Ad alimentare il mistero c’è pure il discorso di commiato che egli fece nell’udienza del 27 febbraio 2013, nel quale – rievocando il suo “sì” all’ elezione, nel 2005 – disse che era “per sempre” e spiegò:

Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’ – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo”.

Erano parole che avrebbero dovuto mettere tutti sul chi va là (si trattava di una rinuncia al solo “esercizio attivo” del minister petrino? Era plausibile?).

Ma, in quel febbraio-marzo 2013, tutti si guardarono bene dall’andare a chiedere al papa il perché della sua rinuncia, il senso di quelle sue parole del 27 febbraio e la definizione della carica di “papa emerito”.

DUE PAPI?

Lo stesso papa Francesco – eletto il 13 marzo 2013 – si trovò in una situazione inedita che poi lui contribuì a rendere ancora più enigmatica, fin dalla sera dell’elezione, perché si affacciò dalla loggia di San Pietro senza paramenti pontifici e definendosi sei volte “vescovo di Roma”, ma mai papa (oltretutto non ha messo il pallio – simbolo dell’incoronazione pontificia – nello stemma).

Come se non bastasse Francesco ha continuato a chiamare Joseph Ratzinger: “Sua Santità Benedetto XVI”.

Insomma c’era un papa regnante che non si definiva papa, ma vescovo e che poi chiamava papa colui che – stando all’ufficialità – non era più papa, ma era tornato vescovo. Un groviglio incomprensibile.

La Chiesa, per la prima volta nella storia, si trovava con due papi: a dirlo fu lo stesso Bergoglio, nel luglio 2013, sul volo che dal Brasile lo riportava in Italia.

In seguito qualcuno deve avergli spiegato che – per la divina costituzione della Chiesa – non possono esserci due papi contemporaneamente e allora ha ripiegato, nelle successive occasioni, sull’analogia con l’“episcopato emerito”. Ma anche lui sa che non c’è nessuna analogia, per le ragioni che ho detto sopra e perché non c’è nessun atto formale di istituzione del “papato emerito”.

IPOTESI

Qualche canonista ha cercato di decifrare – dal punto di vista giuridico e teologico – la nuova, inaudita situazione.

Stefano Violi, studiando la “declaratio” di papa Benedetto, conclude:

“(Benedetto XVI) dichiara di rinunciare al ‘ministerium’. Non al Papato, secondo il dettato della norma di Bonifacio VIII; non al ‘munus’ secondo il dettato del can. 332 § 2, ma al ‘ministerium’, o, come specificherà nella sua ultima udienza, all’‘esercizio attivo del ministero’…”.

Poi Violi prosegue:

“Il servizio alla chiesa continua con lo stesso amore e la stessa dedizione anche al di fuori dell’esercizio del potere. Oggetto della rinuncia irrevocabile infatti è l’ ‘executio muneris’ mediante l’azione e la parola (agendo et loquendo) non il ‘munus’ affidatogli una volta per sempre”.

Le conseguenze di un fatto simile però sarebbero dirompenti.

Un altro canonista, Valerio Gigliotti ha scritto che la situazione di Benedetto apre una nuova fase, che definisce “mistico-pastorale”, una “nuova configurazione dell’istituto” del Papato che “è attualmente al vaglio della riflessione canonistica”. Anche questo è dirompente.

LA BOMBA DI DON GEORG

Ieri poi, mons. Gaenswein, alla presentazione di un libro su Benedetto XVI, ha spiegato che il suo pontificato va letto a partire dalla sua battaglia contro “la dittatura del relativismo”.

Poi ha testualmente dichiarato:

“Dall’elezione del suo successore, Papa Francesco – il 13 marzo 2013 – non ci sono dunque due Papi, ma di fatto un ministero allargato con un membro attivo e uno contemplativo. Per questo, Benedetto non ha rinunciato né al suo nome né alla talare bianca. Per questo, l’appellativo corretto con il quale bisogna rivolgersi a lui è ancora ‘Santità’. Inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all’interno del Vaticano, come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo Successore e a una nuova tappa della storia del Papato che egli, con quel passo, ha arricchito con la centralità della preghiera e della compassione posta nei Giardini vaticani”.

Si tratta di dichiarazioni esplosive, il cui significato è tutto da capire. Che vuol dire infatti che dal 13 marzo 2013 c’è “un ministero (petrino) allargato con un membro attivo e uno contemplativo”?

E dire che Benedetto ha fatto “solo” (sottolineo quel “solo”) un “passo di lato per fare spazio al Successore”? Addirittura parla di “una nuova tappa nella storia del Papato”.

E tutto questo – dice Gaenswein – fa capire perché Benedetto “non ha rinunciato né al suo nome né alla talare bianca” e perché “l’appellativo corretto con il quale bisogna rivolgersi a lui è ancora ‘Santità’”.

Una cosa è certa: è una situazione anomala e misteriosa. E c’è qualcosa di importante che non viene detto.

.

Antonio Socci

Da “Libero”, 22 maggio 2016




La notizia come è stata data da Radio Vaticana

Gänswein: nessun corvo o traditore ha spinto Benedetto XVI alla rinuncia

Benedetto XVI saluta prima di partire per Castel Gandolfo, il 28 febbraio 2013 - ANSA

Benedetto XVI saluta prima di partire per Castel Gandolfo, il 28 febbraio 2013 - ANSA

21/05/2016 

“Un Pontificato dell’apertura intellettuale e dell’incontro”. Così è definito il ministero di del Papa emerito da don Roberto Regoli, autore del libro “Oltre la crisi”. Il testo, che intende storicizzare gli otto anni del pontificato di Benedetto XVI, è stato presentato a Roma, nell’Università Gregoriana, dall’arcivescovo Georg Gänswein, segretario particolare del Papa emerito, e dallo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Il servizio di Eugenio Murrali:

Quando il suo biografo, Peter Seewald, chiese a Benedetto XVI se si sentisse "la fine del vecchio o l’inizio del nuovo", Ratzinger rispose con perspicacia, “Entrambi”. Da questa constatazione della complessità del ministero di Papa Benedetto prende le mosse l’analisi storica di don Roberto Regoli. Così l’autore spiega il titolo del suo lavoro:

"'Oltre la crisi' dà l’idea di un Pontificato che si confronta su lungo periodo".

La difficoltà maggiore in quest’opera di storicizzazione è derivata dall’impossibilità di accedere ai documenti degli archivi vaticani che, come è noto, vengono aperti solo dopo molto tempo:

"Mi sono dovuto esercitare su una documentazione non archivistica ma accessibile: i discorsi pubblici del Papato, tutti i documenti di Benedetto XVI, quelli della Curia, le interviste dei cardinali e quelle dei grandi protagonisti dell’epoca e tutte le interpretazioni dei giornalisti, facendo però un’analisi critica". 

Nell’incontro alla Gregoriana, mons. Gänswein, commentando il libro, ha offerto una sua sintesi della figura di Benedetto XVI, a partire dalla battaglia contro il relativismo:

"A una dittatura del relativismo, che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io, aveva contrapposto il Figlio di Dio e vero uomo come misura del vero umanesimo". 

L’immagine del Pontefice è stata arricchita anche dalle parole con cui Andrea Riccardi ha insistito sul carattere persuasivo del governo di Ratzinger:

"Il grande equivoco: l’immagine "dura" di Ratzinger. Invece, giustamente, Regoli scrive – e sono parole chiave in questa biografia – “Benedetto vuole convincere, non imporre”. Qui appare una caratteristica di Ratzinger che allo stesso tempo è forza e debolezza del suo Pontificato. A pagina 135, secondo me, c’è la svolta interpretativa. È la sua forza gentile, un magistero articolato, persuasivo che – credo – dovrà essere ripreso e approfondito".

La personalità umana del Papa emerito è stata inoltre raccontata nella sua profondità dalla descrizione che mons. Gänswein ne ha fatto:

"Benedetto non è stato un Papa attore e ancor meno un insensibile Papa automa. Anche sul trono di Pietro è stato ed è rimasto uomo. Non fu un libro ingegnoso, fu un uomo con le sue contraddizioni. È così che io stesso l’ho potuto conoscere e apprezzare quotidianamente".

A queste parole, mons. Ganswein ha aggiunto particolari inediti sul dolore di Ratzinger per la scomparsa inattesa di Manuela Camagni:

"L’autore definisce quel 2010 un anno nero per il Papa e precisamente in relazione al tragico incidente mortale occorso a Manuela Camagni, una delle quattro Memores appartenenti alla piccola famiglia pontificia. Posso senz’altro confermarlo. A confronto con tale disgrazia i sensazionalismi mediatici di quegli anni, pur avendo un certo effetto, non colpirono il cuore del Papa tanto quanto la morte di Manuela, strappata così improvvisamente a noi". 

Inoltre, il presule tedesco ha voluto precisare con parresia come la rinuncia al Soglio pontificio sia stata dettata da una profonda riflessione interiore più che dagli eventi esterni:

"È bene che io dica una volta per tutte, con tutta chiarezza, che Benedetto non si è dimesso a causa del povero e mal guidato aiutante di camera oppure a causa delle ghiottonerie provenienti dal suo appartamento che nel cosiddetto affare 'Vatileaks' circolarono a Roma come moneta falsa e che furono commerciate nel resto del mondo come autentici lingotti d’oro. Nessun traditore o corvo o qualsivoglia giornalista avrebbe potuto spingerlo a quella decisione. Quello scandalo era troppo piccolo per una cosa del genere e tanto più grande è stato il ben ponderato passo di millenaria portata storica che Benedetto XVI ha compiuto". 

Il segretario particolare di Benedetto XVI si è quindi soffermato sulla portata rivoluzionaria del gesto di rinuncia:

"Dall’elezione del suo successore, Papa Francesco - il 13 marzo 2016 - non ci sono dunque due Papi, ma di fatto un ministero allargato con un membro attivo e uno contemplativo. Per questo, Benedetto non ha rinunciato né al suo nome né alla talare bianca. Per questo, l’appellativo corretto con il quale bisogna rivolgersi a lui è ancora 'Santità'. Inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all’interno del Vaticano, come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo Successore e a una nuova tappa della storia del Papato che egli, con quel passo, ha arricchito con la centralità della preghiera e della compassione posta nei Giardini vaticani".

Gli fa eco don Regoli:

"Forse, solo Ratzinger poteva permettersi una cosa del genere, perché tutti i suoi predecessori ci avevano pensato, almeno da alcune testimonianze che abbiamo, ma nessuno aveva voluto compiere un passo del genere. Lui l’ha compiuto come frutto di una riflessione teologica postconciliare. E anche nelle interpretazioni che vediamo da parte di alcuni teologi, anche nella rinuncia a un ministero attivo quell’uomo investito della funzione di Papa rimane Papa, rimane tale. Questo prima non era possibile". 

Per comporre la sua analisi storica, don Roberto Regoli ha dovuto consultare un’imponentissima bibliografia e confrontarsi anche con le informazioni più delicate, ma, ha spiegato l’autore, l’importante è utilizzare i documenti e non farsi usare da essi.










[Modificato da Caterina63 22/05/2016 15:10]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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