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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Brevi meditazioni dai Padri, dai Santi e Dottori della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 20/09/2018 20:39
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Sacratissimo Cuore di Gesù

Dalle «Opere» di san Bonaventura, vescovo
(Opusc. 3, Il legno della vita, 29,30.47; Opera omnia 8,79)


«Presso di te è la sorgente della vita»

Considera anche tu, o uomo redento, chi, quanto grande e di qual natura sia colui che pende per te dalla croce. La sua morte dà la vita ai morti, al suo trapasso piangono cielo e terra, le dure pietre si spaccano.

Inoltre, perché dal fianco di Cristo morto in croce fosse formata la Chiesa e si adempisse la Scrittura che dice: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37), per divina disposizione è stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza. Lo sgorgare da una simile sorgente, cioè dal segreto del cuore, dà ai sacramenti della Chiesa la capacità di conferire la vita eterna ed è, per coloro che già vivono in Cristo, bevanda di fonte viva ò che zampilla per la vita eterna» (Gv 4,14).

Sorgi, dunque, o anima amica di Cristo. Sii come colomba «che pone il suo nido nelle pareti di una gola profonda» (Ger 48,28). Come «il passero che ha trovato la sua dimora» (Sal 83,4), non cessare di vegliare in questo santuario. Ivi, come tortora, nascondi i tuoi piccoli, nati da un casto amore. Ivi accosta la bocca per attingere le acque dalle sorgenti del Salvatore (cfr. Is 12,3). Da qui infatti scaturisce la sorgente che scende dal centro del paradiso, la quale, divisa in quattro fiumi (cfr. Gn 2,10) e, infine, diffusa nei cuori che ardono di amore, feconda ed irriga tutta la terra.

Corri a questa fonte di vita e di luce con vivo desiderio, chiunque tu sia, o anima consacrata a Dio, e con l'intima forza del cuore grida a lui: «O ineffabile bellezza del Dio eccelso, o splendore purissimo di luce eterna! Tu sei vita che vivifica ogni vita, luce che illumina ogni luce e che conserva nell'eterno splendore i multiformi luminari che brillano davanti al trono della tua divinità fin dalla prima aurora.

O eterno e inaccessibile, splendido e dolce fluire di fonte nascosta agli occhi di tutti i mortali! La tua profondità è senza fine, la tua altezza senza termine, la tua ampiezza è infinita, la tua purezza imperturbabile!

Da te scaturisce il fiume «che rallegra la città di Dio» (Sal 45,5), perché «in mezzo ai canti di una moltitudine in festa» (Sal 41,5) possiamo cantarti cantici di lode, dimostrando, con la testimonianza dell'esperienza, che «in te è la sorgente della vita e alla tua luce vediamo la luce» (Sal 35,10).



Visitazione della B.V.Maria

Dalle «Omelie» di san Beda il Venerabile, sacerdote
(Lib. 1, 4; CCL 122, 25-26, 30)

«Maria magnifica il Signore che opera in lei»

«L'anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore» (Lc 1, 46). Con queste parole Maria per prima cosa proclama i doni speciali a lei concessi, poi enumera i benefici universali con i quali Dio non cessò di provvedere al genere umano per l'eternità. […]

«Cose grandi ha fatto a me l'onnipotente e santo è il suo nome».
Niente dunque viene dai suoi meriti, dal momento che ella riferisce tutta la sua grandezza al dono di lui, il quale essendo essenzialmente potente e grande, è solito rendere forti e grandi i suoi fedeli da piccoli e deboli quali sono.

Bene poi aggiunse: «E Santo è il suo nome», per avvertire gli ascoltatori, anzi per insegnare a tutti coloro ai quali sarebbero arrivate le sue parole ad aver fiducia nel suo nome e a invocarlo. Così essi pure avrebbero potuto godere della santità eterna e della vera salvezza, secondo il detto profetico: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Gl 3, 5).

Infatti è questo stesso il nome di cui sopra si dice: «Ed esultò il mio spirito in Dio, mio salvatore».
Perciò nella santa Chiesa è invalsa la consuetudine bellissima ed utilissima di cantare l'inno di Maria ogni giorno nella salmodia vespertina. Così la memoria abituale dell'incarnazione del Signore accende di amore i fedeli, e la meditazione frequente degli esempi di sua Madre, li conferma saldamente nella virtù. Ed è parso bene che ciò avvenisse di sera, perché la nostra mente stanca e distratta in tante cose, con il sopraggiungere del tempo del riposo si concentrasse tutta in se medesima.



Dalle «Opere» di san Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa
(Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)

«O prezioso e meraviglioso convito!»

L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi da uomini dèi.

Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull'altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati.
Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.

O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento? […]

L'Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell'Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini.



Giovanni Paolo II, Omelia, Solennità del Corpus Domini, Giovedì 22 Giugno 2000

L'istituzione dell'Eucaristia, il sacrificio di Melchisedek e la moltiplicazione dei pani: è questo il suggestivo trittico che ci presenta la liturgia della Parola nella solennità del Corpus Domini.

Il Libro della Genesi ci narra di Melchisedek, "re di Salem" e "sacerdote del Dio altissimo", il quale benedisse Abram e "offrì pane e vino" (Gn 14,18). A questo passo fa riferimento il Salmo 109, che attribuisce al Re-Messia un singolare carattere sacerdotale per diretta investitura di Dio: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek". Il giorno prima della sua morte in croce, Cristo istituì l'Eucaristia. Offrì anch'egli pane e vino, che "nelle sue mani sante e venerabili" (Canone Romano) diventarono il suo Corpo e il suo Sangue, offerti in sacrificio. Egli portava così a compimento la profezia dell'antica alleanza, legata all'offerta sacrificale di Melchisedek. Proprio per questo - ricorda la Lettera agli Ebrei - "Egli... divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek" (5, 7-10).

Il racconto evangelico della moltiplicazione dei pani ci aiuta a meglio comprendere il dono e il mistero dell'Eucaristia. Gesù prese i cinque pani e i due pesci, alzò lo sguardo al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede agli Apostoli perché li distribuissero al popolo (cfr Lc 9,16). Tutti mangiarono a sazietà e vennero raccolte addirittura dodici ceste di avanzi. Si tratta di un prodigio sorprendente, che costituisce come l'inizio di un lungo processo storico: il moltiplicarsi senza sosta nella Chiesa del Pane di vita nuova per gli uomini di ogni razza e cultura. Questo ministero sacramentale è affidato agli Apostoli ed ai loro successori. Ed essi, fedeli alla consegna del divin Maestro, non cessano di spezzare e di distribuire il Pane eucaristico di generazione in generazione.



Dalle «Lettere» di sant’Atanasio, vescovo 
(Lett. 1 a Serap. 28-30; PG 26, 594-595. 599)

«Luce, splendore e grazia della Trinità»

La nostra fede è questa: la Trinità santa e perfetta è quella che è distinta nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, e non ha nulla di estraneo o di aggiunto dal di fuori, né risulta costituita del Creatore e di realtà create, ma è tutta potenza creatrice e forza operativa. Una è la sua natura, identica a se stessa. Uno è il principio attivo e una l’operazione. Infatti il Padre compie ogni cosa per mezzo del Verbo nello Spirito Santo e, in questo modo, è mantenuta intatta l’unità della santa Trinità. Perciò nella Chiesa viene annunziato un solo Dio, che è al di sopra di ogni cosa, agisce per tutto ed è in tutte le cose (cfr. Ef 4, 6). È al di sopra di ogni cosa ovviamente come Padre, come principio e origine. Agisce per tutto, certo per mezzo del Verbo. Infine opera in tutte le cose nello Spirito Santo.

L’apostolo Paolo, allorché scrive ai Corinzi sulle realtà spirituali, riconduce tutte le cose ad un solo Dio Padre come al principio, in questo modo: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1 Cor 12, 4-6). […]

Questa stessa cosa insegna Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, con queste parole: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13). Infatti la grazia è il dono che viene dato nella Trinità, è concesso dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Come dal Padre per mezzo del Figlio viene data la grazia, così in noi non può avvenire la partecipazione del dono se non nello Spirito Santo. E allora, resi partecipi di esso, noi abbiamo l’amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito.



Dalla «Spiegazione dell’Ecclesiaste» di san Gregorio di Agrigento, vescovo
(Lib. 8, 6; PG 98, 1071-1074)

«L’anima mia esulti nel Signore»

Va’, mangia con gioia il tuo pane, bevi con cuore lieto il tuo vino perché Dio ha già gradito le opere tue (Qo 9, 7). Potremmo prendere queste parole come una sicura e sana norma di saggezza umana per la vita di tutti i giorni. Tuttavia la spiegazione anagogica ci porta ad una considerazione più alta, e ci insegna a considerare il pane celeste e mistico che è disceso dal cielo e ha portato la vita nel mondo. Così pure bere il vino spirituale con cuore sereno significa dissetarsi di quel vino che uscì dal costato della vera vite, al momento della sua passione salvifica.

Di essi così parla il vangelo della nostra salvezza: Avendo preso del pane, dopo averlo benedetto, Gesù disse ai suoi discepoli: Prendete e mangiate: questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi in remissione dei peccati. Similmente prese anche il calice e disse: Bevetene tutti: questo è il mio sangue della nuova alleanza, sparso per voi e per molti in remissione dei peccati (cfr. Mt 26, 26-28). Coloro dunque che mangiano questo pane e bevono questo mistico vino gioiscono ed esultano e possono esclamare a gran voce: Hai portato la gioia nel nostro cuore (cfr. Sal 4, 7).

A mio giudizio, è proprio a questo pane e a questo vino che si riferisce la Sapienza di Dio sussistente, cioè Cristo nostro salvatore, quando ci invita alla comunione vitale con se stesso, Verbo divino. Lo fa con le parole del libro dei Proverbi: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato» (Pro 9, 5). Coloro ai quali viene rivolto questo invito, devono compiere opere di luce, in modo da avere le loro anime splendenti non meno della luce stessa, come dice il Signore nel vangelo: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5, 16). Anzi in tal caso vedranno scendere sul loro capo anche l’olio, cioè lo Spirito di verità, che li proteggerà e li preserverà da ogni maleficio di peccato.



Dal trattato «Contro le eresie» di sant’Ireneo, vescovo e martire

Il Signore, concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli uomini in Dio, diceva loro: «Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28, 19).

Luca narra che questo Spirito, dopo l’ascensione del Signore, venne sui discepoli nella Pentecoste con la volontà e il potere di introdurre tutte le nazioni alla vita e alla rivelazione del Nuovo Testamento. Sarebbero così diventate un mirabile coro per intonare l’inno di lode a Dio in perfetto accordo, perché lo Spirito Santo avrebbe annullato le distanze, eliminato le stonature e trasformato il consesso dei popoli in una primizia da offrire a Dio. Perciò il Signore promise di mandare lui stesso il Paràclito per renderci graditi a Dio. Infatti come la farina non si amalgama in un’unica massa pastosa, né diventa un unico pane senza l’acqua, così neppure noi, moltitudine disunita, potevamo diventare un’unica Chiesa in Cristo Gesù senza l’«Acqua» che scende dal cielo.



Benedetto XVI, Omelia, Domenica di Pentecoste, 23 maggio 2010

Nella celebrazione solenne della Pentecoste siamo invitati a professare la nostra fede nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo e a invocarne l’effusione su di noi, sulla Chiesa e sul mondo intero. […] Gesù, infatti, vive sempre il suo sacerdozio d’intercessione a favore del popolo di Dio e dell’umanità e quindi prega per tutti noi chiedendo al Padre il dono dello Spirito Santo.

E cosa produce questa nuova e potente auto-comunicazione di Dio? Là dove ci sono lacerazioni ed estraneità, essa crea unità e comprensione. Si innesca un processo di riunificazione tra le parti della famiglia umana, divise e disperse; le persone, spesso ridotte a individui in competizione o in conflitto tra loro, raggiunte dallo Spirito di Cristo, si aprono all’esperienza della comunione, che può coinvolgerle a tal punto da fare di loro un nuovo organismo, un nuovo soggetto: la Chiesa.

Da questo, cari fratelli, deriva un criterio pratico di discernimento per la vita cristiana: quando una persona, o una comunità, si chiude nel proprio modo di pensare e di agire, è segno che si è allontanata dallo Spirito Santo. Il cammino dei cristiani e delle Chiese particolari deve sempre confrontarsi con quello della Chiesa una e cattolica, e armonizzarsi con esso. Ciò non significa che l’unità creata dallo Spirito Santo sia una specie di egualitarismo. Al contrario, questo è piuttosto il modello di Babele, cioè l’imposizione di una cultura dell’unità che potremmo definire “tecnica”. La Bibbia, infatti, ci dice (cfr Gen 11,1-9) che a Babele tutti parlavano una sola lingua. A Pentecoste, invece, gli Apostoli parlano lingue diverse in modo che ciascuno comprenda il messaggio nel proprio idioma. L’unità dello Spirito si manifesta nella pluralità della comprensione. La Chiesa è per sua natura una e molteplice, destinata com’è a vivere presso tutte le nazioni, tutti i popoli, e nei più diversi contesti sociali.



Dal «Trattato sulla Trinità» di sant'Ilario, vescovo
(Lib. 2, 1, 33. 35; PL 10, 50-51. 73-75)

«Il Dono del Padre in Cristo»

Nell'ambito della Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, tutto è perfettissimo: l'immensità nell'eterno, la manifestazione nell'immagine, il godimento nel dono.

Ascoltiamo dalle parole dello stesso Signore quale sia il suo compito nei nostri confronti. Dice: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso» (Gv 16, 12). È bene per voi che io me ne vada, se me ne vado vi manderò il Consolatore (cfr. Gv 16, 7). Ancora: «Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità» (Gv 14, 16-17). «Egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio» (Gv 16, 13-14).

Insieme a tante altre promesse vi sono queste destinate ad aprire l'intelligenza delle alte cose. […]
Siccome la nostra limitatezza non ci permette di intendere né il Padre, né il Figlio, il dono dello Spirito Santo stabilisce un certo contatto tra noi e Dio, e così illumina la nostra fede nelle difficoltà relative all'incarnazione di Dio.

Lo si riceve dunque per conoscere. I sensi per il corpo umano sarebbero inutili se venissero meno i requisiti per il loro esercizio. Se non c'è luce o non è giorno, gli occhi non servono a nulla; gli orecchi in assenza di parole o di suono non possono svolgere il loro compito; le narici se non vi sono emanazioni odorifere, non servono a niente. E questo avviene non perché venga loro a mancare la capacità naturale, ma perché la loro funzione è condizionata da particolari elementi. Allo stesso modo l'anima dell'uomo, se non avrà attinto per mezzo della fede il dono dello Spirito Santo, ha sì la capacità di intendere Dio, ma le manca la luce per conoscerlo.

Il dono, che è in Cristo, è dato interamente a tutti. 



Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. sull’Ascensione del Signore, ed. A. Mai, 98, 1-2; PLS 2, 494-495)

«Nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo»

Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore. […] Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso. […]

Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per l’amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3, 13). […]

Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l’unità del corpo non sia separata dal capo.



Dal «Dialogo della Divina Provvidenza» di santa Caterina da Siena
(Cap. 167, Ringraziamento alla Trinità: libero adattamento; cfr. ed. I. Taurisano, Firenze, 1928. II, pp. 586-588)

O Deità eterna, o eterna Trinità, che, per l’unione con la divina natura, hai fatto tanto valere il sangue dell’Unigenito Figlio! Tu, Trinità eterna, sei come un mare profondo, in cui più cerco e più trovo, e quanto più trovo, più cresce la sete di cercarti. Tu sei insaziabile; e l’anima, saziandosi nel tuo abisso, non si sazia, perché permane nella fame di te, sempre più te brama, o Trinità eterna, desiderando di vederti con la luce della tua luce.

Io ho gustato e veduto con la luce dell’intelletto nella tua luce il tuo abisso, o Trinità eterna, e la bellezza della tua creatura. Per questo, vedendo me in te, ho visto che sono tua immagine per quella intelligenza che mi vien donata della tua potenza, o Padre eterno, e della tua sapienza, che viene appropriata al tuo Unigenito Figlio. Lo Spirito Santo poi, che procede da te e dal tuo Figlio, mi ha dato la volontà con cui posso amarti.

Tu infatti, Trinità eterna, sei creatore e io creatura; e ho conosciuto – perché tu me ne hai data l’intelligenza, quando mi hai ricreata con il sangue del Figlio – che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura.

O abisso, o Trinità eterna, o Deità, o mare profondo! E che più potevi dare a me che te medesimo? Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell’anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità.

Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d’amore ti sei dato agli uomini.



Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di san Cirillo d'Alessandria, vescovo

Il Signore dice di se stesso di essere la vite… Coloro che gli sono uniti, ed in certo qual modo incorporati e innestati, li paragona ai tralci. Questi sono resi partecipi della sua stessa natura, mediante la comunicazione dello Spirito Santo. Infatti lo Spirito Santo di Cristo ci unisce a lui.

Noi ci siamo accostati a Cristo nella fede per una buona deliberazione della volontà, ma partecipiamo della sua natura per aver ottenuto da lui la dignità dell'adozione. Infatti, secondo san Paolo, «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1 Cor 6, 17). […]

Siamo poi conservati nell'essere, inseriti in qualche modo in lui, se ci atteniamo tenacemente ai santi comandamenti che ci furono dati, se mettiamo ogni cura nel conservare il grado di nobiltà ottenuto, e se non permettiamo che venga contristato lo Spirito che abita in noi, quello Spirito che ci rivela il senso dell'inabitazione divina. […]

Come la radice comunica ai tralci le qualità e la condizione della sua natura, così l'unigenito Verbo di Dio conferisce agli uomini, e soprattutto a quelli che gli sono uniti per mezzo della fede, il suo Spirito, concede loro ogni genere di santità, conferisce l'affinità e la parentela con la natura sua e del Padre, alimenta l'amore e procura la scienza di ogni virtù e bontà.



Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

Il Signore Gesù afferma che dà un nuovo comandamento ai suoi discepoli, cioè che si amino reciprocamente: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34).

Ma questo comandamento non esisteva già nell'antica legge del Signore, che prescrive: «Amerai il tuo prossimo come te stesso»? (Lv 19, 18). Perché allora il Signore dice nuovo un comandamento che sembra essere tanto antico? È forse un comandamento nuovo perché ci spoglia dell'uomo vecchio per rivestirci del nuovo? Certo. Rende nuovo chi gli dà ascolto o meglio chi gli si mostra obbediente. Ma l'amore che rigenera non è quello puramente umano. È quello che il Signore contraddistingue e qualifica con le parole: «Come io vi ho amati» (Gv 13, 34).

Questo è l'amore che ci rinnova, perché diventiamo uomini nuovi, eredi della nuova alleanza, cantori di un nuovo cantico. Quest'amore, fratelli carissimi, ha rinnovato gli antichi giusti, i patriarchi e i profeti, come in seguito ha rinnovato gli apostoli. Quest'amore ora rinnova anche tutti i popoli, e di tutto il genere umano, sparso sulla terra, forma un popolo nuovo, corpo della nuova Sposa dell'unigenito Figlio di Dio. […]

A questo fine quindi ci ha amati, perché anche noi ci amiamo a vicenda. Ci amava e perciò ha voluto ci trovassimo legati di reciproco amore, perché fossimo il Corpo del supremo Capo e membra strette da un così dolce vincolo.



Dai «Discorsi» di san Pietro Crisologo, vescovo

Ascolta il Signore che chiede: vedete in me il vostro corpo… il vostro sangue. […] Non abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più profondamente in me l'amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio interno. […] Venite, dunque, ritornate. Sperimentate almeno la mia tenerezza paterna, che ricambia il male col bene, le ingiurie con l'amore, ferite tanto grandi con una carità così immensa.

Ma ascoltiamo adesso l'Apostolo: «Vi esorto», dice, «ad offrire i vostri corpi» (Rm 12, 1). L'Apostolo così vede tutti gli uomini innalzati alla dignità sacerdotale per offrire i propri corpi come sacrificio vivente. O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L'uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. L'uomo non cerca fuori di sé ciò che deve immolare a Dio, ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica a Dio per sé. […] «Vi esorto per la misericordia di Dio ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente». […] Davvero Cristo fece il suo corpo ostia viva perché, ucciso, esso vive. In questa vittima, dunque, è corrisposto alla morte il suo prezzo. Ma la vittima rimane, la vittima vive e la morte è punita. […]

Questo è quanto il profeta ha predetto: «Non hai voluto sacrificio né offerta, ma mi hai dato un corpo» (cfr. Sal 39, 7 volg.). Sii, o uomo, sii sacrificio e sacerdote di Dio… La croce permanga a difesa della tua fronte. Accosta al tuo petto il sacramento della scienza divina. Fa' salire sempre l'incenso della preghiera come odore soave. Afferra la spada dello spirito, fa' del tuo cuore un altare, e così presenta con ferma fiducia il tuo corpo quale vittima a Dio. Dio cerca la fede, non la morte. Ha sete della tua preghiera, non del tuo sangue. Viene placato dalla volontà, non dalla morte.



Dai «Discorsi» di sant’Efrem, diacono

Il nostro Signore fu schiacciato dalla morte, ma a sua volta egli la calpestò come una strada battuta. […] Siccome la morte non poteva inghiottire il Verbo senza il corpo, né gli inferi accoglierlo senza la carne, egli nacque dalla Vergine, per poter scendere mediante il corpo al regno dei morti. […]

Fu ben potente il figlio del falegname, che portò la sua croce sopra gli inferi che ingoiavano tutto e trasferì il genere umano nella casa della vita. […] Gloria a te che della tua croce hai fatto un ponte sulla morte. Attraverso questo ponte le anime si possono trasferire dalla regione della morte a quella della vita. Gloria a te che ti sei rivestito del corpo dell’uomo mortale e lo hai trasformato in sorgente di vita per tutti i mortali. Tu ora certo vivi. Coloro che ti hanno ucciso hanno agito verso la tua vita come gli agricoltori. La seminarono come frumento nel solco profondo. Ma di là rifiorì e fece risorgere con sé tutti.

Venite, offriamo il nostro amore come sacrificio grande e universale, eleviamo cantici solenni e rivolgiamo preghiere a colui che offrì la sua croce in sacrificio a Dio, per rendere ricchi tutti noi del suo inestimabile tesoro.



Dalle «Omelie sui Vangeli» di san Gregorio Magno, papa
(Om. 14, 3-6; PL 76, 1129-1130)

«Cristo, buon pastore»

Domandatevi, fratelli carissimi, se siete pecore del Signore, se lo conoscete, se conoscete il lume della verità. Parlo non solo della conoscenza della fede, ma anche di quella dell'amore; non del solo credere, ma anche dell'operare. L'evangelista Giovanni, infatti, spiega: «Chi dice: Conosco Dio, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo» (1 Gv 2, 4).

Perciò in questo stesso passo il Signore subito soggiunge: «Come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e offro la vita per le pecore» (Gv 10, 15). Come se dicesse esplicitamente: da questo risulta che io conosco il Padre e sono conosciuto dal Padre, perché offro la mia vita per le mie pecore; cioè io dimostro in quale misura amo il Padre dall'amore con cui muoio per le pecore. […]
Cerchiamo, quindi, fratelli carissimi, questi pascoli, nei quali possiamo gioire in compagnia di tanti concittadini. La stessa gioia di coloro che sono felici ci attiri. Ravviviamo, fratelli, il nostro spirito. S'infervori la fede in ciò che ha creduto. I nostri desideri s'infiammino per i beni superni. In tal modo amare sarà già un camminare.

Nessuna contrarietà ci distolga dalla gioia della festa interiore, perché se qualcuno desidera raggiungere la mèta stabilita, nessuna asperità del cammino varrà a trattenerlo. Nessuna prosperità ci seduca con le sue lusinghe, perché sciocco è quel viaggiatore che durante il suo percorso si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare.



Dalla «Prima Apologia a favore dei cristiani» di san Giustino, martire

«Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, li renderò bianchi come la neve.»

Gesù ha detto: Se non rinascerete, non entrerete nel regno dei cieli (cfr. Mt 18, 3). Non si tratta, ovviamente, di rientrare nel grembo materno, perché la nascita di cui parliamo è spirituale.
Il profeta Isaia ha spiegato in quale modo si liberano dai peccati coloro che li hanno commessi e fanno penitenza: Lavatevi, purificatevi, togliete il male dalle vostre anime. Imparate a fare il bene, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova. Su, venite e discutiamo, dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, li renderò bianchi come la neve. Ma se non ascolterete, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato (cfr. Is 1, 16-20).

Questa dottrina l’abbiamo ricevuta dagli apostoli. Nella nostra prima nascita siamo stati messi al mondo dai genitori per istinto naturale e in modo inconscio. Ora non vogliamo restare figli della semplice natura e dell’ignoranza, ma di una scelta consapevole. Vogliamo ottenere nell’acqua salutare la remissione delle colpe commesse. Per questo su chi desidera di essere rigenerato e ha fatto penitenza dei peccati, si pronunzia il nome del Creatore e Signore Dio dell’universo. È questo solo nome che invochiamo su colui che viene condotto al lavacro per il battesimo.

Il lavacro si chiama illuminazione, perché coloro che imparano le verità ricordate sono illuminati nella loro mente. Colui che viene illuminato è anche lavato. È illuminato e lavato nel nome di Gesù Cristo crocifisso sotto Ponzio Pilato, è illuminato e lavato nel nome dello Spirito Santo, che ha preannunziato per mezzo dei profeti tutte le cose riguardanti Gesù.



Dai «Discorsi» di sant'Atanasio, vescovo

« La morte ormai non ha più nessuna efficacia sugli uomini»

Il Verbo di Dio, immateriale e privo di sostanza corruttibile, si stabilì tra noi, anche se prima non ne era lontano. Nessuna regione dell'universo infatti fu mai priva di lui, perché esistendo insieme col Padre suo, riempiva ogni realtà della sua presenza. […]

Egli stesso si costruì nella Vergine un tempio, cioè il corpo e, abitando in esso, ne fece un elemento per potersi rendere manifesto. Prese un corpo soggetto, come quello nostro, alla caducità e, nel suo immenso amore, lo offrì al Padre accettando la morte. Così annullò la legge della morte in tutti coloro che sarebbero morti in comunione con lui. Avvenne che la morte, colpendo lui, nel suo sforzo si esaurì completamente, perdendo ogni possibilità di nuocere ad altri. Gli uomini ricaduti nella mortalità furono resi da lui immortali e ricondotti dalla morte alla vita. Infatti in virtù del corpo che aveva assunto e della risurrezione che aveva conseguito distrusse la morte come fa il fuoco con una fogliolina secca. Egli dunque prese un corpo mortale perché questo, reso partecipe del Verbo sovrano, potesse soddisfare alla morte per tutti. Il corpo assunto, perché inabitato dal Verbo, divenne immortale e mediante la risurrezione, rimedio di immortalità per noi. […] La morte ormai non ha più nessuna efficacia sugli uomini per merito del Verbo.



Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

«La Chiesa è stata fondata sulla «Pietra» che fu oggetto della professione di fede di Pietro»

Cristo disse a Pietro: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 19). Con ciò Pietro assurse a simbolo di tutta la Chiesa, di quella Chiesa che in questo mondo è sconvolta da ogni genere di tribolazioni ed è come investita da piogge torrenziali, alluvioni, uragani e tuttavia non crolla mai perché è fondata su quella pietra da cui Pietro ricevette il suo nome. Perciò il Signore disse: «Su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Era la risposta alle affermazioni di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16).

Gesù dunque volle dire: Sulla pietra che fu oggetto della tua professione di fede, io edificherò la mia Chiesa. Quella pietra era Cristo (cfr. 1 Cor 10, 4). Sopra questo fondamento fu edificato anche Pietro. «Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (1 Cor 3, 11).

Dunque la Chiesa che è fondata in Cristo, ricevette da lui, nella persona di Pietro, le chiavi del regno dei cieli, cioè la potestà di sciogliere e legare i peccati e questa Chiesa ama e segue Cristo e per questo viene liberata dai mali. La Chiesa segue Cristo in modo speciale nella persona di coloro che lottano per la verità fino alla morte.



Dal «Proslogion» di sant'Anselmo, vescovo.

Anima mia, hai trovato quello che cercavi? Cercavi Dio e hai trovato che egli è qualcosa di sommo tra tutti, di cui non si può pensare nulla di meglio; che è la stessa vita, la luce, la sapienza, la bontà, l'eterna beatitudine e la beata eternità; che è dovunque e sempre. Signore Dio mio, che mi hai formato e rifatto, dì all'anima mia, che lo desidera, che cosa altro sei oltre a quello che ha visto, perchè veda chiaramente ciò che desidera. […]

Ti prego, o Dio, fa' che io ti conosca, ti ami per gioire di te. E se non posso pienamente in questa vita, che io avanzi almeno di giorno in giorno fino a quando giunga alla pienezza. Cresca qui la mia conoscenza di te e diventi piena nell'altra vita. Cresca il tuo amore e un giorno divenga perfetto, perchè la mia gioia sia grande qui nella speranza e completa mediante il possesso definitivo nel futuro.
Signore, per mezzo di tuo Figlio comandi, anzi consigli di chiedere, e prometti che otterremo perché la nostra gioia sia piena. […] Possa io ricevere ciò che prometti… Nel frattempo mediti la mia mente, ne parli la mia lingua. Ne abbia fame l'anima…fino a quando io non entri nella gioia del mio Signore.


[Modificato da Caterina63 20/09/2018 20:39]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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