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Brevi meditazioni dai Padri, dai Santi e Dottori della Chiesa

Ultimo Aggiornamento: 20/09/2018 20:39
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15/11/2017 16:04
 
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Il processo a Gesù commentato da alcuni Padri della Chiesa

San Giovanni Crisostomo dice: «Quel consesso aveva solo l’apparenza di un tribunale; di fatto era una spelonca di assassini sitibondi di sangue (con molta sete di sangue, ndR). Per questo il Signore intese rimproverarli non rispondendo alle loro domande» (Omelia LXXXV, In Mt.; Cf. «Letture sulla passione di Gesù Cristo», G. Pesce, Ed. Desclée & C, riedizione introdotta da P. Teodoro Foley, Generale dei Passionisti, 20 dicembre 1964, III. Commento dei santi Padri, pagine 302, 303, 304 e 305).

Origene commenta: «Caifa scongiurò Gesù Cristo e gli comandò di dirgli se egli veramente era il Figlio di Dio. Uomo diabolico; Satana, per ben due volte chiese a Gesù Cristo: dimmi se tu sei il Figlio di Dio. Caifa, ripetendo la stessa domanda, imitò Satana, suo padre» (Trattato XXXV, In Ut.; Ivi).

San Beda aggiunge: «Caifa nella sua domanda, si mostrò peggiore di Satana, poiché il fine di ottenere dalla bocca del Signore la confessione della verità, era di calunniarlo e condannarlo a morte» (In Lc.; Ivi.).

Sant’Ilario dice: «Osservate: Caifa si stracciò le vesti al momento nel quale Gesù si dichiarò Figlio di Dio, il vero Messia alla presenza di tutta la nazione ebraica, riunita nella persona dei suoi capi. Ciò significa, che, appena il divino Redentore - legalmente e solennemente - scoprì la vera sua natura e la sua vera missione, cessarono tutte le ombre, che erano state destinate a figurarlo. Cessò il sacerdozio di Aronne; scomparve la legge, dinanzi al Vangelo; si squarciarono i veli delle sacre Scritture, figurati nelle vesti sacerdotali» (Canone XXXII, In Mt.; Ivi).

San Girolamo commenta: «Caifa, sacerdote ebraico, stracciò le sue proprie vesti; mentre i soldati gentili conservarono intatta la veste di Gesù sul Calvario. Ciò indica che il sacerdozio di Cristo, figurato nella sua veste inconsutile, sarebbe restato perpetuamente intatto presso i popoli pagani divenuti cristiani; mentre rimaneva scisso e abolito per sempre presso il popolo ebraico» (In Mt.; Ivi).

Particolarmente significativa è la sentenza di Papa san Leone I, detto Magno: «Il buffone sacrilego (Caifa, ndR), reprime la sua allegrezza interna, mentre affetta al di fuori raccapriccio, orrore; compone a mestizia il volto, mentre tripudia nel cuore; si mostra sacerdote zelante dell’onor di Dio vilipeso, mentre sfoga il suo odio crudele; e per fare più profonda impressione sul popolo spettatore, si abbandona a moti violenti, a smanie da uomo profondamente addolorato, mentre era tutta ipocrisia (…). Infelice Caifa! Egli non comprese il tremendo mistero che compiva con quella frenesia sacrilega. Stracciandosi le insegne sacerdotali, si dissacrò con le stesse sue mani; si privò egli medesimo dell’onore e della dignità di Grande Sacerdote; egli stesso, reo e carnefice, eseguì sopra se stesso questa sua obbrobriosa condanna» (Sermone IV, De Passione …; Ivi).

Ne approfitto di queste poche righe per riportare ancora il pensiero di san Girolamo, tratto da san Tommaso D’Aquino, «Catena Aurea in quatuor Evangelia», Expositio in Matthaeum, cap. 26, lectio 16, Taurini editum, 1953: «Hieronymus. Per hoc autem quod scidit vestimenta sua, ostendit Iudaeos sacerdotalem gloriam perdidisse, et vacuam sedem habere pontificis. Dum enim vestem sibi discidit, ipsum quo tegebatur vestimentum legis abrupit».

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Dove si legge: Cercavano false testimonianze ecc..., era già stabilito che Gesù doveva morire (Gv. 11, 50), si cercava solo di dare un’apparenza di legalità alla condanna. Non le trovavano ecc...: affine di poter condannare un uomo, la legge (Dt. 19, 14-15) richiedeva almeno due testimoni che, separatamente interrogati, fossero pienamente d’accordo nelle loro testimonianze. Costui ha detto ecc...: nei primordi del suo pubblico ministero Gesù aveva detto una frase consimile, ma non identica: «Disfate questo tempio, e io in tre giorni lo rimetterò in piedi».

La deposizione dei due testimoni non era quindi esatta quanto alla lettera, e meno ancora quanto al senso, poiché Gesù aveva parlato non del tempio materiale ma del tempio che era il suo corpo. L’accusa però era grave; venendo la bestemmia contro il tempio punita colla morte. Ma nelle parole di Gesù non v’era ombra di bestemmia, poiché promettendo egli di edificare un nuovo tempio, non veniva per nulla a disprezzare il culto di Dio. Ti scongiuro ecc...: Caifa non trovando sufficiente l’accusa dei due testimoni, e non avendo potuto ottenere alcuna risposta da Gesù, gli fa una nuova domanda sulla qualità di Messia e di Figlio di Dio, che Egli aveva tante volte a sé rivendicata, costringendolo a rispondere con un giuramento.

Ti scongiuro, cioè ti faccio giurare per Dio vivo, che ci dica se tu sei il Messia, e il Figlio di Dio. Queste ultime parole «Figlio di Dio» non sono sinonime di «Messia», ma vanno intese nel loro stretto e proprio senso di figlio naturale di Dio. Caifa e i membri del Sinedrio sapevano troppo bene che Gesù aveva affermato di essere Figlio naturale di Dio, e non potevano ingannarsi sul senso delle sue parole. Tu l’hai detto, cioè sì, io sono il Messia e il Figlio di Dio. Con giuramento solenne davanti al più alto consesso della nazione, Gesù afferma la sua divinità, rivendica a sé tutti i diritti e la potestà del Padre, e la qualità suprema di giudice di tutta l’umanità. Fra poco, Egli dice, vedrete il Figliuolo dell’uomo sedere alla destra della virtù di Dio (Sal. 109, 1), cioè regnare con Dio e far manifesta la sua potenza divina; lo vedrete venire sulle nubi del cielo (Dan. 7, 13), vale a dire come giudice supremo.

Fra poco conosceranno che Egli è Dio, quando saranno stati testimoni della sua risurrezione, della Pentecoste ecc... e, a suo tempo, ma specialmente alla fine del mondo, lo vedranno venire come giudice supremo. Stracciò le sue vesti ecc...: Caifa comprese la portata delle parole di Gesù, e in segno di orrore per la presunta bestemmia straccia da 7 a 8 centimetri le sue vesti, come solevano fare gli Ebrei per mostrare il loro dolore. Da presidente del tribunale, egli si fa accusatore, e pronunzia una sentenza senza aver sentito alcun testimonio a discolpa dell’accusato, senza concedere all’accusato il tempo per preparare la sua difesa. È reo di morte. La sentenza è pronunziata. Gesù deve morire perché ha bestemmiato. Allora gli sputarono ecc... Secondo san Marco 15; tra coloro che così maltrattarono Gesù vi erano alcuni membri del Sinedrio, i quali oltre all’essere stati accusatori e giudici vollero ancora essere esecutori della sentenza.

 

[Tratto da «La Sacra Bibbia», commentata dal P. Marco M. Sales O.P., 2 Imprimatur, Tipografia Pontificia cav. P. Marietti, Torino, 1911, pag. 122, note 59-67].

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Il processo a Gesù commentato dal Dottore Alfonso Maria de’ Liguori

L’iniquo pontefice (Caifa, ndR), non trovando testimoni per condannare l’innocente Signore, cercò dalle di lui stesse parole trovar materia di dichiararlo reo; onde l’interrogò in nome di Dio: Adiuro te per Deum vivum, ut dicas nobis, si tu es Christus Filius Dei. Gesù, udendo scongiurarsi in nome di Dio, dichiarò la verità, e rispose: Ego sum; et videbitis Filium hominis sedentem a dextris virtutis Dei, et venientem cum nubibus cœli. Caifa in sentir ciò si lacera le vesti e dice: A che servono più testimoni? Avete intesa la bestemmia che ha detta? Tunc princeps sacerdotum scidit vestimenta sua, dicens: Blasphemavit: Quid adhuc egemus testibus? Indi domandò agli altri sacerdoti: Quid vobis videtur? E quelli risposero: Reus est mortis. Ma questa sentenza fu già prima data dall’eterno Padre, quando Gesù offerissi a pagare la pena dei nostri peccati. Gesù mio, vi ringrazio ed amo. Pubblicata l’iniqua sentenza, tutti in quella notte si affaticano a tormentarlo: chi gli sputa in faccia, chi lo percuote coi pugni, e chi gli dà più schiaffi, deridendolo come falso profeta: Tunc expuerunt in faciem eius, et colaphis eum cæciderunt; alii autem palmas in faciem eius dederunt, dicentes: Prophetiza nobis, Christe, quis est qui te percussit? E, come soggiunge san Marco, gli coprono il sacro volto con un panno rozzo, e così poi a vicenda lo percuotono. Ah Gesù mio, quante ingiurie avete sofferte per me, per soddisfare all’ingiurie che ho fatto a voi! V’amo, bontà infinita. Mi dolgo sommamente di avervi così disprezzata. Perdonatemi e datemi la grazia di esser tutto vostro. Io tutto vostro voglio essere, e voi l’avete da fare. Voi ancora me l’avete da ottenere colle vostre preghiere, o avvocata e speranza mia Maria.

 

[Tratto da: «Delle cerimonie della Messa», par. II, § 2, Considerazione II per il lunedì, pp. 800 e 801].

 

In altro luogo spiega ancora sant’Alfonso: Calvino (oppone all’autorità dei, ndR) Concilj, l’iniquità del Concilio di Caifas, che fu ben generale di tutti i prìncipi dei sacerdoti, ed ivi fu condannato Gesù Cristo come reo di morte. Dunque ne deduce che anche i Concilj ecumenici sono fallibili. Si risponde che noi diciamo infallibili i soli Concilj generali legittimi, ai quali assiste lo Spirito Santo; ma come può dirsi legittimo ed assistito dallo Spirito Santo quel Concilio, ove si condannava come bestemmiatore Gesù Cristo, per avere attestato di esser figlio di Dio, dopo tante prove che Egli ne aveva date di esser tale? E dove si procedeva con inganni subornando i testimonj, e si operava per invidia, come conobbe lo stesso Pilato? Sciebat enim quod per invidiam tradidissent eum.

 

[Tratto da: «Storia delle Eresie», confutazione XI, § 8, Dell’autorità de’ Concilj generali, n° 80].

 

In questo capitolo di «Storia delle Eresie», sant’Alfonso sta confutando gli errori di Lutero e di Calvino circa l’autorità dei concilii generali e l’infallibilità della Chiesa. La sua premessa è la seguente: La Chiesa poi c'istruisce per mezzo dei concilj ecumenici; e perciò la perpetua tradizione di tutti i fedeli ha tenute sempre per infallibili le definizioni de' concilj generali, e per eretici coloro che a quelle non han voluto sottoporsi. Tali sono stati i Luterani e i Calvinisti, dicendo che i concilj generali non sono infallibili. Ecco come parlava Lutero, e nell'articolo 30 fra gli articoli 41 condannati dal papa Leone X.: Via nobis facta est enervandi auctoritatem conciliorum, et iudicandi eorum decreta, et confidenter confitendi quidquid verum videtur, sive prolatum fuerit, sive reprobatum a quocunque concilio. Lo stesso scrisse Calvino, e questa falsa opinione è stata poi abbracciata dagli altri Luterani e da' Calvinisti; mentre anche Calvino con Beza, come scrive un autore, dissero che tutti i concilj, per santi che siano, possono errare in ciò che spetta alla fede. All'incontro la facoltà di Parigi, censurando l'articolo 30 di Lutero, dichiarò: Certum est concilium generale legitime congregatum in fidei et morum determinationibus errare non posse. Ed in verità è troppa ingiustizia il negare l'infallibilità de' concilj ecumenici: poiché essi rappresentano la Chiesa universale; sicché se potessero errare in materia di fede, potrebbe errare tutta la Chiesa, ed in tal caso potrebbero dire gli atei che Dio non ha provveduto abbastanza all'unità della fede, alla quale era tenuto a provvedere, volendo che da tutti una sola fede si tenesse. Fine delle citazioni.

 

Breve commento. Contro il dogma cattolico, contro la dottrina, qui ricordata e brevemente spiegata da sant'Alfonso, oggigiorno i cosiddetti "tradizionalisti" del modernismo, ossia i moderni pragmatisti e fallibilisti, negano l'infallibilità della Chiesa nelle definizioni dei Concilii universali. Essi sostengono, con Lutero e Calvino, che la Chiesa, riunita in un legittimo ed autorevole Concilio universale, possa definire in errore, così da deviare l'intera Chiesa dalla vera fede. All'atto pratico, i mentovati "tradizionalisti" ritengono che si debba necessariamente ricorrere alla loro guida, al loro aiuto, in pratica alla loro "consulenza", per sapere se la Chiesa, riunita in un legittimo ed autorevole Concilio universale, abbia definito correttamente, oppure no. La loro regola prossima di fede, come si evince, non è più il Magistero della Chiesa, bensì la loro propria opinione o valutazione. Dunque, stando a questa pretesa, ogni cattolico, che intenda professare la vera fede, dovrebbe ricorrere alla "consulenza" dei cosiddetti "tradizionalisti" del modernismo, mentre non dovrebbe ricorrere alla Chiesa, in quanto fallibile. Deduciamo l'evidente pretesa di infallibilismo che si arrogano, solo per se stessi, i cosiddetti "tradizionalisti" del modernismo. Altresì essi dichiarano di poggiare questa usurpazione di infallibilità sulla "dottrina tradizionale" che, in realtà e come abbiamo potuto constatare, sostiene l'esatto contrario.

 

A cura di Carlo di Pietro


 

[Modificato da Caterina63 15/11/2017 16:08]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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