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Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
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Visita apostolica in Georgia Azerbaijan 30 settembre 2 ottobre 2016

Ultimo Aggiornamento: 04/10/2016 08:47
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN GEORGIA E AZERBAIJAN

(30 SETTEMBRE - 2 OTTOBRE 2016)

INCONTRO CON SUA SANTITÀ E BEATITUDINE ILIA II,
CATHOLICOS E PATRIARCA DI TUTTA LA GEORGIA

Palazzo del Patriarcato - Tbilisi
Venerdì, 30 settembre 2016

[Multimedia]


 

 








 

 

Indirizzo di saluto del Patriarca Ilia II

Discorso del Santo Padre


 

Indirizzo di saluto del Patriarca Ilia II

Santità!

Siamo lieti di poterLa ospitare nella nostra terra e di darLe il più caloroso benvenuto a nome del popolo dato in sorte alla Santissima Madre di Dio, a nome della Chiesa fondata dagli Apostoli del nostro Signore Gesù Cristo: la Chiesa di Roma fu fondata dal santo Apostolo Pietro, mentre la Chiesa di Georgia da sant’Andrea il Primo Chiamato. Pietro ed Andrea erano fratelli ed anche noi abbiamo avuto e dobbiamo avere rapporti particolarmente cordiali.

La Georgia è un piccolo Paese con un passato colmo di molte traversie. Nella nostra terra vivono numerosi rappresentanti di diverse religioni ed etnie, che per secoli hanno avuto rapporti di amicizia sia tra di essi sia con il nostro popolo. Furono soprattutto la fede in Cristo e il grande cuore dei Georgiani ad aver permesso la creazione di un tale clima di ospitalità e di convivenza. I rappresentanti delle minoranze etniche lo hanno ben percepito e hanno risposto rispettando e sempre osservando il limite, oltre il quale l’amore svanisce.

Il nostro Paese ignora l’antisemitismo. La Georgia ha sempre considerato gli ebrei suoi figli e li ha sempre protetti durante le persecuzioni.

Viviamo in un tempo di profonde contraddizioni. Il mondo è teatro di processi complessi: se da una parte la scienza e la tecnologia fanno progressi significativi, dall’altra diventa sempre più povera la vita nello Spirito. In un brevissimo tempo, davanti ai nostri occhi, l’umanità è diventata indifesa, l’uomo sempre più freddo ed indifferente verso la sofferenza altrui, mentre il peccato si è moltiplicato ed è diventato legalizzato.

In simili circostanze l’individuo perde il corretto orientamento e non trova più la via persino per risolvere i propri problemi.

È un periodo difficile anche per la Chiesa, ma è nostro dovere aiutare il prossimo con l’amore, la pazienza e standogli vicini, affinché egli comprenda la verità, trovi la grazia e trasmetta gli insegnamenti di vita agli altri.

Un’altra sfida davanti a noi è la globalizzazione estesa su tutto il mondo. È un processo inevitabile con risvolti anche positivi, ma rappresenta pure una minaccia di rendere tutto monocorde. Pertanto, per conservare la propria identità, è dovere di ogni nazione difendere con fermezza la propria cultura, le tradizioni e i valori. Credo che tutti dobbiamo esserne consapevoli.

Oggi davanti a tutto il mondo si pone, con tutta la sua drammaticità, ancora, il problema costituito dagli eventi svoltisi negli ultimi anni nel Vicino Oriente e dalla migrazione, soprattutto in Europa, di milioni di persone perseguitate per motivi religiosi ed etnici.

È naturale che a loro vada tutta la nostra solidarietà. È naturale che ci preoccupiamo per loro noi che siamo stati vittime di simili traversie circa 25 anni orsono, e ancora dopo, quando fu violata l’integrità territoriale della Georgia.

Malgrado un forte sostegno dei Paesi occidentali, non è stato possibile né far ritornare nelle loro case oltre 500mila persone, divenute profughi o sfollati, né restaurare l’integrità territoriale del Paese.

Ciò che è avvenuto nelle parti integranti della Georgia – nella regione di Tskhxinvali e in Abcasia – è frutto dell’attività intensificata di forze separatiste. Simili attività rappresentano una grave minaccia non solo per i Paesi piccoli, ma anche per qualsiasi altro Stato. È necessario che i Paesi sviluppati e le organizzazioni internazionali facciano passi efficienti per evitare il caos del mondo.

Atti terroristici, guerre, profughi, fame, malattie, problemi ecologici sono processi che accompagnano la nostra esistenza. La società progressista di oggi cerca di far fronte a queste sfide. Questo è positivo, ma lo sforzo profuso in tal senso mi ricorda una candela che segue anziché procedere gli eventi: si combatte infatti contro l’effetto e non contro la causa scatenante.

È nostro dovere ricordare agli esseri umani i valori spirituali, ricordare che senza fede in Dio la situazione non solo non potrà migliorare, ma, al contrario, peggiorerà, il processo assumerà dimensioni più ampie e diventerà sempre più grave. Questo perché l’uomo senza Dio preferisce quelle forme di sviluppo, crea attorno a sé quell’ambiente che per sua natura contraddice alla creazione di Dio. L’uomo senza Dio non potrà agire diversamente, perché il simile genera un simile e se ne trae diletto. Questo è un assioma e la situazione non migliorerà, finché non sarà superata la contraddizione poc’anzi accennata, finché i governanti non comprenderanno a fondo il significato della fede in Dio e non si adopereranno, affinché essa sia profondamente radicata nella società.

Quanto ai nostri rapporti, essi si datano a tempi antichissimi. Il primo rapporto tra la Roma cristiana e la Georgia risale al IV secolo, ai tempi di santa Nino, quando l’allora vescovo di Roma, rallegratosi per la proclamazione del cristianesimo a religione di Stato in Kartli, si congratulò con santa Nino con una missiva. D’altronde, anche Zabulone, padre di Nino, svolse un ruolo fondamentale nella cristianizzazione dei franchi, nel paese dei quali sembra essere stato pure sepolto.

Malgrado nel medioevo non avessimo più avuto i rapporti con la Chiesa di Roma nella sfera dottrinale, le nostre reciproche relazioni continuarono, abbracciando cultura, scienza, politica.

Come frutto diretto di queste relazioni, gli archivi e le biblioteche del Vaticano custodiscono molti documenti storici relativi alla Georgia. I microfilm di una parte, relativamente piccola, di essi ci sono stati donati dal Papa Giovanni Paolo II e oggi sono oggetto di conservazione e di studio nel Centro Nazionale dei Manoscritti “Korneli Kekelidze”.

Non vorrei dimenticare il merito, avuto dai cattolici georgiani nella lotta per l’indipendenza politica della Georgia e nello sviluppo culturale del nostro Paese. Vorrei parimenti ricordare l’aiuto, offerto alla Chiesa di Roma, per la formazione del clero georgiano in Europa.

Noi partecipiamo al dialogo teologico tra gli Ortodossi e i Cattolici. Presso il Patriarcato di Georgia sono già avviati i lavori di stesura di un’opera voluminosa, che illustrerà il cammino storico della Chiesa Cristiana indivisa (cioè, fino all’XI secolo) e il Vaticano ha già espresso la propria disponibilità a sostenere questa iniziativa.

Insieme alla Chiesa Cattolica in Georgia, abbiamo organizzato alcuni convegni sui temi di bioetica e riteniamo che questa direzione di ricerca possa creare una buona prospettiva di collaborazione.

Ancora, consideriamo molto importante la collaborazione che possiamo svolgere per la difesa dell’istituzione della famiglia.

Siamo tutti ben consapevoli che una famiglia forte e stabile è garante della forza e della stabilità di qualsiasi nazione e Stato; dunque è dovere di tutti noi provvedere alla sua difesa.

Santità, Le rinnovo il mio benvenuto! Con l’intercessione di sant’Andrea il Primo Chiamato e di san Pietro, Dio benedica i nostri Paesi e doni a tutto il creato la pace e il progresso spirituale!


Discorso del Santo Padre

Ringrazio Vostra Santità. Sono profondamente commosso di sentire l’“Ave Maria” che Sua Santità stessa ha composto. Soltanto da un cuore che tanto ama la Santa Madre di Dio, cuore di figlio e anche di bambino, può uscire una cosa così bella.

È per me una grande gioia e una grazia particolare incontrare Vostra Santità e Beatitudine e i venerabili Metropoliti, Arcivescovi e Vescovi, membri del Santo Sinodo. Saluto il Signor Primo Ministro e voi, illustri Rappresentanti del mondo accademico e della cultura.

Santità, Ella inaugurò una pagina nuova nelle relazioni tra la Chiesa Ortodossa di Georgia e la Chiesa Cattolica, compiendo la prima storica visita in Vaticano di un Patriarca georgiano. In quell’occasione scambiò con il Vescovo di Roma il bacio della pace e la promessa di pregare l’uno per l’altro. Così si sono potuti rinforzare i significativi legami, presenti tra noi fin dai primi secoli del cristianesimo. Essi si sono sviluppati e si mantengono rispettosi e cordiali, come manifestano anche la calorosa accoglienza qui riservata ai miei inviati e rappresentanti, le attività di studio e ricerca presso gli Archivi Vaticani e le Università Pontificie da parte di fedeli ortodossi georgiani, la presenza a Roma di una vostra comunità, ospitata in una chiesa della mia diocesi, e la collaborazione con la locale comunità cattolica, soprattutto di carattere culturale. Come pellegrino e amico, sono giunto in questa terra benedetta, mentre volge al culmine per i Cattolici l’Anno giubilare della Misericordia. Anche il santo Papa Giovanni Paolo II si era recato qui, primo tra i Successori di Pietro, in un momento estremamente importante, alle soglie del Giubileo del 2000: era venuto a rinsaldare i «vincoli profondi e forti» con la Sede di Roma (Discorso nella cerimonia di benvenuto, Tbilisi, 8 novembre 1999: InsegnamentiXXII,2 [1999], 843) e a ricordare quanto fosse necessario, alle soglie del terzo millennio, «il contributo della Georgia, antico crocevia di culture e tradizioni, per l’edificazione […] di una civiltà dell’amore» (Discorso nel Palazzo Patriarcale, Tbilisi, 8 novembre 1999: Insegnamenti XXII,2 [1999], 848).

Ora, la Provvidenza divina ci fa nuovamente incontrare e, di fronte a un mondo assetato di misericordia, di unità e di pace, ci chiede che quei vincoli tra noi ricevano nuovo slancio, rinnovato fervore, di cui il bacio della pace e il nostro abbraccio fraterno sono già un segno eloquente. La Chiesa Ortodossa di Georgia, radicata nella predicazione apostolica, in particolare nella figura dell’Apostolo Andrea, e la Chiesa di Roma, fondata sul martirio dell’Apostolo Pietro, hanno così la grazia di rinnovare oggi, in nome di Cristo e a sua gloria, la bellezza della fraternità apostolica. Pietro e Andrea erano infatti fratelli: Gesù li chiamò a lasciare le reti e a diventare, insieme, pescatori di uomini (cfr Mc 1,16-17). Carissimo Fratello, lasciamoci guardare nuovamente dal Signore Gesù, lasciamoci attirare ancora dal suo invito a lasciare ciò che ci trattiene dall’essere insieme annunciatori della sua presenza.

Ci sostiene in questo l’amore che trasformò la vita degli Apostoli. È l’amore senza eguali, che il Signore ha incarnato: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13); e che ci ha donato, perché ci amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amato (cfr Gv 15,12). A questo riguardo, il grande poeta di questa terra sembra rivolgere anche a noi alcune sue celebri parole: «Hai letto come gli apostoli scrivono dell’amore, come dicono, come lo lodano? Conoscilo, rivolgi la tua mente a queste parole: l’amore ci innalza» (S. RUSTAVELI, Il Cavaliere nella pelle di tigre, Tbilisi 1988, stanza 785). Davvero l’amore del Signore ci innalza, perché ci permette di elevarci al di sopra delle incomprensioni del passato, dei calcoli del presente e dei timori per l’avvenire.

Il popolo georgiano ha testimoniato nei secoli la grandezza di questo amore. È in esso che ha trovato la forza di rialzarsi dopo innumerevoli prove; è in esso che si è elevato fino alle vette di una straordinaria bellezza artistica. Senza l’amore, infatti, come ha scritto un altro grande poeta, «non regna il sole nella cupola del cielo» e per gli uomini «non esiste né bellezza, né immortalità» (G. TABIDZE, “Senza l’amore”, in Galaktion Tabidze, Tbilisi 1982, 25). Nell’amore trova ragion d’essere l’immortale bellezza del vostro patrimonio culturale, che si esprime in molteplici forme, quali ad esempio la musica, la pittura, l’architettura e la danza. Lei, carissimo Fratello, ne ha dato degna espressione, in modo speciale componendo pregiati inni sacri, alcuni pure in lingua latina e particolarmente cari alla tradizione cattolica. Essi arricchiscono il vostro tesoro di fede e cultura, dono unico alla cristianità e all’umanità, che merita di essere conosciuto e apprezzato da tutti.

La gloriosa storia del Vangelo in questa terra si deve in modo speciale a Santa Nino, che agli Apostoli viene equiparata: ella diffuse la fede nel segno particolare della croce fatta di legno di vite. Non si tratta di una croce spoglia, perché l’immagine della vite, oltre al frutto che eccelle in questa terra, rappresenta il Signore Gesù. Egli, infatti, è «la vite vera», e chiese ai suoi Apostoli di rimanere fortemente innestati in Lui, come tralci, per portare frutto (cfr Gv 15,1-8). Perché il Vangelo porti frutto anche oggi, ci viene chiesto, carissimo Fratello, di rimanere ancora più saldi nel Signore e uniti tra noi. La moltitudine di Santi che questo Paese annovera ci incoraggi a mettere il Vangelo prima di tutto e ad evangelizzare come in passato, più che in passato, liberi dai lacci delle precomprensioni e aperti alla perenne novità di Dio. Le difficoltà non siano impedimenti, ma stimoli a conoscerci meglio, a condividere la linfa vitale della fede, a intensificare la preghiera gli uni per gli altri e a collaborare con carità apostolica nella testimonianza comune, a gloria di Dio nei cieli e a servizio della pace in terra.

Il popolo georgiano ama celebrare, brindando con il frutto della vite, i valori più cari. Insieme all’amore che innalza, un ruolo particolare è riservato all’amicizia. «Chi non cerca un amico, di sé stesso è nemico», ricorda ancora il poeta (S. RUSTAVELI, Il Cavaliere nella pelle di tigre, stanza 847). Desidero essere amico sincero di questa terra e di questa cara popolazione, che non dimentica il bene ricevuto e il cui tratto ospitale si sposa con uno stile di vita genuinamente speranzoso, pur in mezzo a difficoltà che non mancano mai. Anche questa positività trova le proprie radici nella fede, che porta i Georgiani a invocare, attorno alla propria tavola, la pace per tutti e a ricordare persino i nemici.

Con la pace e il perdono siamo chiamati a vincere i nostri veri nemici, che non sono di carne e di sangue, ma sono gli spiriti del male fuori e dentro di noi (cfr Ef 6,12). Questa terra benedetta è ricca di valorosi eroi secondo il Vangelo, che come San Giorgio hanno saputo sconfiggere il male. Penso ai tanti monaci e in modo particolare ai numerosi martiri, la cui vita ha trionfato «con la fede e la pazienza» (IOANE SABANISZE, Martirio di Abo, III): è passata nel torchio del dolore restando unita al Signore e ha così portato un frutto pasquale, irrigando il suolo georgiano di sangue versato per amore. La loro intercessione dia sollievo ai tanti cristiani che ancor oggi nel mondo soffrono persecuzioni e oltraggi, e rafforzi in noi il buon desiderio di essere fraternamente uniti per annunciare il Vangelo della pace.

[Dopo lo scambio dei doni]

Grazie, Santità. Che Dio benedica Sua Santità e la Chiesa Ortodossa della Georgia. Grazie, Santità. E che possa andare avanti nel cammino della libertà.

[…]

Grazie Santità dell’accoglienza e delle Sue parole. Grazie della Sua benevolenza e anche di questo impegno fraterno di pregare l’uno per l’altro dopo esserci dato il bacio della pace. Grazie.






Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN GEORGIA E AZERBAIJAN

(30 SETTEMBRE - 2 OTTOBRE 2016)

INCONTRO CON LA COMUNITÀ ASSIRO-CALDEA

PREGHIERA DEL SANTO PADRE PER LA PACE

Chiesa Cattolica Caldea di S. Simone Bar Sabbae - Tbilisi
Venerdì, 30 settembre 2016

[Multimedia]










 

Signore Gesù,
adoriamo la tua croce,
che ci libera dal peccato, origine di ogni divisione e di ogni male;
annunciamo la tua risurrezione,
che riscatta l’uomo dalla schiavitù del fallimento e della morte;
attendiamo la tua venuta nella gloria,
che porta a compimento il tuo regno di giustizia, di gioia e di pace.

Signore Gesù,
per la tua gloriosa passione,
vinci la durezza dei cuori, prigionieri dell’odio e dell’egoismo;
per la potenza della tua risurrezione,
strappa dalla loro condizione le vittime dell’ingiustizia e della sopraffazione;
per la fedeltà della tua venuta,
confondi la cultura della morte e fa’ risplendere il trionfo della vita.

Signore Gesù,
unisci alla tua croce le sofferenze di tante vittime innocenti:
i bambini, gli anziani, i cristiani perseguitati;
avvolgi con la luce della Pasqua chi è ferito nel profondo:
le persone abusate, private della libertà e della dignità;
fa’ sperimentare la stabilità del tuo regno a chi vive nell’incertezza:
gli esuli, i profughi, chi ha smarrito il gusto della vita.

Signore Gesù,
stendi l’ombra della tua croce sui popoli in guerra:
imparino la via della riconciliazione, del dialogo e del perdono;
fa’ gustare la gioia della tua risurrezione ai popoli sfiniti dalle bombe:
solleva dalla devastazione l’Iraq e la Siria;
riunisci sotto la tua dolce regalità i tuoi figli dispersi:
sostieni i cristiani della diaspora e dona loro l’unità della fede e dell’amore.

Vergine Maria, regina della pace,
tu che sei stata ai piedi della croce,
ottieni dal tuo Figlio il perdono dei nostri peccati;
tu che non hai mai dubitato della vittoria della risurrezione,
sostieni la nostra fede e la nostra speranza;
tu che siedi regina nella gloria,
insegnaci la regalità del servizio e la gloria dell’amore.

Amen.

 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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FOCUS
di Lorenzo Bertocchi
Il Papa ieri in Georgia
 

Il Papa in Georgia usa parole durissime contro la dittatura gender: «Oggi c'è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Siamo travolti dai problemi mondiali e dalle nuove visioni della sessualità come la teoria del gender». Poi sul divorzio: «Così si sporca l'immagine di Dio. A pagare sono Dio e i bambini che soffrono per la separazione dei genitori». 


«Oggi c'è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio». E' questa la frase che rimbomba dalla giornata di ieri del viaggio papale in Georgia e Azerbajan. L'ha pronunciata Papa Francesco rispondendo alle sollecitazioni proposte da Irina, una giovane mamma intervenuta durante l'incontro con religiosi, religiose e seminaristi nella chiesa dell'Assunta di Tiblisi. L'ultima giornata georgiana di papa Bergoglio, iniziata con la S.Messa presso lo Stadio M. Meskhi, era proseguita con l'incontro nella chiesa dell'Annunziata, quindi quello con gli assistiti e con gli operatori nel Centro di Assistenza dei Camilliani, infine si è conclusa con la visita alla Cattedrale Patriarcale di Svetitskhoveli di Mtskheta. Oggi il viaggio prosegue e si conclude in Azerbajan.

IL GENDER E' UNA COLONIZZAZIONE IDEOLOGICA

«Assieme alle famiglie ortodosse - ha indicato la giovane mamma nel suo intervento a Tiblisi - incominciamo ad essere travolti dai problemi mondiali, quali la globalizzazione che non tiene conto dei valori locali, le nuove visioni della sessualità come la teoria del gender, e l’emarginazione della visione cristiana della vita, in particolare della nostra scelta di educare come cattolici i nostri figli». Inoltre, la giovane Irina ha ricordato l'importanza per le famiglie di «riscoprire la propria realtà sacramentale».

Rispondendo a questo intervento Papa Francesco ha fatto deflagrare un giudizio chiaro: «Oggi c'è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Oggi ci sono colonizzazioni ideologiche che distruggono, ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee. Pertanto, bisogna difendersi dalle colonizzazioni ideologiche». In effetti si tratta di un concetto che il pontefice ha già espresso in altre occasioni, e che troppe volte è stato stranamente silenziato da media, invece, particolarmente solleciti nel riportare altri gesti e altre parole di papa Bergoglio. Questa volta il messaggio è arrivato forte e chiaro e nessuno potrà far finta di non averlo sentito, dentro e fuori i Sacri Palazzi. 

LA PIAGA DEL DIVORZIO

Nella risposta alla giovane Irina il Papa ha indicato che «il matrimonio è la cosa più bella che Dio ha creato. La Bibbia ci dice che Dio ha creato l’uomo e la donna, li ha creati a sua immagine (cfr Gen 1,27). Cioè, l’uomo e la donna che diventano una sola carne sono immagine di Dio.»

«Irina, tu sai chi paga le spese del divorzio?», ha proseguito il Papa rivolgendosi direttamente alla giovane donna. «Due persone, pagano. Chi paga? [Irina risponde: tutti e due] Tutti e due? Di più! Paga Dio, perché quando si divide “una sola carne”, si sporca l’immagine di Dio. E pagano i bambini, i figli. Voi non sapete, cari fratelli e sorelle, voi non sapete quanto soffrono i bambini, i figli piccoli, quando vedono le liti e la separazione dei genitori! Si deve fare di tutto per salvare il matrimonio». 

LA MANCATA PARTECIPAZIONE ALLA MESSA DEGLI ORTODOSSI

Un altro grande tema della tappa del viaggio apostolico in Georgia, oltre alla questione della pace e dei rapporti tra le varie anime della regione caucasica, era quello delle controverse relazioni ecumeniche con la chiesa ortodossa georgiana. La giornata si era aperta ieri con la celebrazione della S.Messa del Papa dove, come era previsto dal programma, avrebbe dovuto presenziare anche una delegazione di ortodossi georgiani; per la prima volta nella storia avrebbero preso parte a una messa cattolica. Ma così non è stato. In una dichiarazione rilasciata appena prima dell'arrivo di Papa Francesco il Patriarcato sottolineava che la messa allo Stadio non poteva essere considerata “proselitismo”, accusa spesso lanciata dagli ortodossi georgiani ai cattolici, ma «i fedeli ortodossi non partecipano alla celebrazione».

La situazione quindi, a parte le dichiarazioni pubbliche del Papa e del Patriarca, rimane complessa. In questo contesto Papa Francesco, seduto a fianco del Patriarca Ilia II nell’antica cattedrale ortodossa di Svetyskhoveli a Tbilisi, ha ricordato che «nonostante i nostri limiti e al di là di ogni successiva distinzione storica e culturale, siamo chiamati a essere “uno in Cristo Gesù” e a non mettere al primo posto le disarmonie e le divisioni tra i battezzati, perché davvero è molto più ciò che ci unisce di ciò che ci divide».

IL PROSELITISMO E L'ECUMENISMO CON GLI ORTODOSSI

Sulla delicata questione dell'ecumenismo con gli ortodossi georgiani, Papa Francesco ha dato una chiave di lettura rispondendo ad una delle testimonianze rivoltegli nella chiesa dell'Assunta. 

«Mai litigare!», ha detto il Papa ad un seminarista che gli aveva posto il problema dell'ecumenismo. «Lasciamo che i teologi studino le cose astratte della teologia. Ma che cosa devo fare io con un amico, un vicino, una persona ortodossa? Essere aperto, essere amico. “Ma devo fare forza per convertirlo?”. C’è un grosso peccato contro l’ecumenismo: il proselitismo. Mai si deve fare proselitismo con gli ortodossi! Sono fratelli e sorelle nostri, discepoli di Gesù Cristo. Per situazioni storiche tanto complesse siamo diventati così. Sia loro sia noi crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, crediamo nella Santa Madre di Dio.

“E cosa devo fare?”. Non condannare, no, non posso. Amicizia, camminare insieme, pregare gli uni per gli altri. Pregare e fare opere di carità insieme, quando si può. E’ questo l’ecumenismo. Ma mai condannare un fratello o una sorella, mai non salutarla perché è ortodossa». 

«INSHALLAH»

 

Infine un curioso particolare emerso ieri, ma che si riferisce a venerdì sera, quando il Papa ha incontrato la comunità assiro-caldea residente in Georgia  nella chiesa di San Simone Bar Sabbae. Secondo fonti ufficiali del Patriarcato caldeo comunicate all'Agenzia Fides, il Primate della Chiesa Caldea, Louis Raphael I Sako, conosciuto come il patriarca dei cristiani perseguitati in Iraq, si è sentito rispondere dal Papa “Inshallah”, espressione araba per dire “se Dio vuole”, dopo aver chiesto al Vescovo di Roma di poter presto visitare la martoriata terra irachena. 



VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN GEORGIA E AZERBAIJAN

(30 SETTEMBRE - 2 OTTOBRE 2016)

INCONTRO CON SACERDOTI, RELIGIOSI, RELIGIOSE, SEMINARISTI E AGENTI DI PASTORALE

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Chiesa dell'Assunta - Tbilisi
Sabato, 1 ottobre 2016

[Multimedia]



 

Buonasera!

Grazie, caro Fratello, grazie a Lei.

Adesso parlerò per tutti, mischiando tutte le domande.

Quando tu [si riferisce al sacerdote che ha fatto la testimonianza] hai parlato, alla fine mi è venuto in mente – e lui [Mons. Minassian] è testimone – una cosa che è accaduta alla fine della Messa a Gyumri [in Armenia]. Finita la Messa, ho invitato a salire sulla “papamobile” Sua Eccellenza e anche il Vescovo della Chiesa Apostolica Armena della stessa città. Eravamo tre vescovi: il Vescovo di Roma, il Vescovo cattolico di Gyumri e il Vescovo Armeno Apostolico. Tutti e tre: è una bella macedonia! Abbiamo fatto il giro e poi siamo scesi. E quando io andavo a prendere la macchina, una vecchietta, lì, mi faceva segno di avvicinarmi. Quanti anni aveva? Ottanta? Non era vecchietta… Sembrava di più, sembrava ottanta e più… Io ho sentito nel cuore la voglia di avvicinarmi a salutarla, perché era dietro le transenne. Era una donna umile, molto umile. Mi ha salutato con amore… Aveva un dente d’oro, come si usava in altri tempi… E mi ha detto questo: “Io sono armena, ma abito in Georgia. E sono venuta dalla Georgia!”. Aveva viaggiato otto ore, o sei ore nel bus, per incontrare il Papa. Poi, il giorno dopo, quando andavamo non ricordo dove – due ore e più – l’ho trovata lì! Le ho detto: “Ma, signora, lei è venuta dalla Georgia… Tante ore di viaggio. E poi due ore in più, il giorno dopo, per trovarmi…” - “Eh si! E’ la fede!”, mi ha detto. Tu hai parlato di essere saldi nella fede. Essere saldi nella fede è la testimonianza che ha dato questa donna. Credeva che Gesù Cristo, Figlio di Dio, ha lasciato Pietro sulla terra e lei voleva vedere Pietro.

Saldi nella fede significa capacità di ricevere dagli altri la fede, conservarla e trasmetterla. Tu hai detto, parlando di questo essere saldi nella fede: “tenere viva la memoria del passato, la storia nazionale e avere il coraggio di sognare e di costruire un futuro luminoso”. Saldi nella fede significa non dimenticare quello che noi abbiamo imparato, anzi, farlo crescere e darlo ai nostri figli. Per questo a Cracovia ho dato come missione speciale ai giovani quella di parlare con i nonni. Sono i nonni che ci hanno trasmesso la fede. E voi che lavorate con i giovani dovete insegnare loro ad ascoltare i nonni, a parlare con i nonni, per ricevere l’acqua fresca della fede, elaborarla nel presente, farla crescere – non nasconderla in un cassetto, no – elaborarla, farla crescere e trasmetterla ai nostri figli.

L’Apostolo Paolo, parlando al suo discepolo prediletto, Timoteo, nella Seconda Lettera, gli diceva di conservare salda la fede che aveva ricevuto dalla mamma e dalla nonna. Questa è la strada che noi dobbiamo seguire, e questo ci farà maturare tanto. Ricevere l’eredità, farla germogliare e darla. Una pianta senza radici non cresce. Una fede senza la radice della mamma e della nonna non cresce. Anche una fede che mi è stata data e che io non do agli altri, ai più piccoli, ai miei “figli” non cresce.

Dunque, per riassumere: per essere saldi nella fede bisogna avere memoria del passatocoraggio nel presente e speranza nel futuro. Questo, riguardo all’essere saldi nella fede. E non dimenticare quella signora georgiana, che è stata capace di andare col bus – 6/7 ore – in Armenia, nella città di Gyumri, dove lui [Mons. Minassian] è il vescovo, e il giorno dopo andare a trovare il Papa un’altra volta a Yerevan. Non dimenticare quell’immagine! E’ una donna che abita qui: è una donna armena, ma della Georgia! E le donne georgiane hanno fama, hanno grande fama di essere donne di fede, forti, che portano avanti la Chiesa!

E tu, Kote [il seminarista], una volta hai detto a tua mamma: “Io voglio fare quello che fa quell’uomo” [il sacerdote che celebra la Messa]. E alla fine del tuo intervento hai detto: “Io sono fiero di essere cattolico e di diventare un prete cattolico georgiano”. E’ tutto un percorso… Tu non hai detto che cosa disse tua mamma… Che cosa ti disse tua mamma quando tu le hai detto: “Io voglio fare quello che fa quell’uomo”? [Risponde: “Ero piccolo e la mia mamma mi ha detto: Va bene, fai quello che fa lui!… Ma ero piccolo…]. Ancora una volta la mamma, la donna georgiana forte. Quella donna “perdeva” un figlio, ma lodava Dio. Lo ha accompagnato nel suo cammino. E la mamma di Kote perdeva anche l’opportunità di diventare suocera!… Questo è l’inizio di una vocazione; e lì c’è sempre la mamma, la nonna… Ma tu hai detto la parola chiave: memoria. Conservare la memoria della prima chiamata. Custodire quel momento, come tu custodisci quel ricordo: “Mamma, io voglio fare quello che fa quell’uomo”. Perché questa non è una favola che è venuta nella tua mente: è stato lo Spirito Santo a toccarti. E custodire questo con la memoria è custodire la grazia dello Spirito Santo. Parlo a tutti i preti e le suore!

Tutti noi, nella nostra vita, abbiamo – o avremo – momenti bui. Anche noi consacrati abbiamo momenti bui. Quando sembra che la cosa non vada avanti, quando ci sono difficoltà di convivenza nella comunità, nella diocesi… In quei momenti, quello che si deve fare è fermarsi, fare memoria. Memoria del momento in cui io sono stato toccato o toccata dallo Spirito Santo. Come lui ha detto, del momento in cui lui disse: “Mamma, io voglio fare quello che fa quell’uomo”: il momento in cui ci tocca lo Spirito Santo. La perseveranza nella vocazione è radicata nella memoria di quella carezza che il Signore ci ha fatto e con cui ci ha detto: “Vieni, vieni con me”. E questo è quello che io consiglio a tutti voi consacrati: non tornare indietro, quando ci sono le difficoltà. E se volete guardare indietro, sia la memoria di quel momento. L’unico. E così la fede rimane salda, la vocazione rimane salda… Con le nostre debolezze, con i nostri peccati; tutti siamo peccatori e tutti abbiamo bisogno di confessarci, ma la misericordia e l’amore di Gesù sono più grandi dei nostri peccati.

E adesso vorrei parlare di due cose che avete detto… Ma [prima] dimmi: è tanto forte il freddo in Kazakhstan, in inverno? Sì?... Ma vai avanti lo stesso!

E adesso, Irina. Abbiamo parlato con il prete, con i religiosi, con i consacrati della fede salda; ma come è la fede nel matrimonio? Il matrimonio è la cosa più bella che Dio ha creato. La Bibbia ci dice che Dio ha creato l’uomo e la donna, li ha creati a sua immagine (cfr Gen 1,27). Cioè, l’uomo e la donna che diventano una sola carne sono immagine di Dio. Io ho capito, Irina, quando tu spiegavi le difficoltà che tante volte vengono nel matrimonio: le incomprensioni, le tentazioni… “Mah, risolviamo la cosa per la strada del divorzio, e così io mi cerco un altro, lui si cerca un’altra, e incominciamo di nuovo”. Irina, tu sai chi paga le spese del divorzio? Due persone, pagano. Chi paga?

[Irina risponde: tutti e due]

Tutti e due? Di più! Paga Dio, perché quando si divide “una sola carne”, si sporca l’immagine di Dio. E pagano i bambini, i figli. Voi non sapete, cari fratelli e sorelle, voi non sapete quanto soffrono i bambini, i figli piccoli, quando vedono le liti e la separazione dei genitori! Si deve fare di tutto per salvare il matrimonio. Ma è normale che nel matrimonio si litighi? Sì, è normale. Succede. Alle volte “volano i piatti”. Ma se è vero amore, allora si fa la pace subito. Io consiglio agli sposi: litigate finché volete, litigate finché volete ma non finite la giornata senza fare la pace. Sapete perché? Perché la “guerra fredda” del giorno dopo è pericolosissima. Quanti matrimoni si salvano se hanno il coraggio, alla fine della giornata, di non fare un discorso, ma una carezza, ed è fatta la pace! Ma è vero, ci sono situazioni più complesse, quando il diavolo si immischia e mette davanti all’uomo una donna che gli sembra più bella della sua, o quando mette davanti a una donna un uomo che le sembra più bravo del suo. Chiedete aiuto subito. Quando viene questa tentazione, chiedete aiuto subito.

E’ questo quello che tu [Irina] dicevi, di aiutare le coppie. E come si aiutano le coppie? Si aiutano con l’accoglienza, la vicinanza, l’accompagnamento, il discernimento e l’integrazione nel corpo della Chiesa. Accogliere, accompagnare, discernere e integrare. Nella comunità cattolica si deve aiutare a salvare i matrimoni. Ci sono tre parole: sono parole d’oro nella vita del matrimonio. Io domanderei ad una coppia: “Vi volete bene?” - “Sì”, diranno. “E quando c’è qualcosa che uno fa per l’altro, sapete dire grazie? E se uno dei due fa una diavoleria, sapete chiedere scusa? E se voi volete portare avanti un progetto, [ad esempio] passare una giornata in campagna, o qualsiasi cosa, sapete chiedere l’opinione dell’altro?”. Tre parole: “Cosa ti sembra? Posso?”; “grazie”; “scusa”. Se nelle coppie si usano queste parole: “Scusami, ho sbagliato”; “Posso fare questo?”; o “Grazie di quel bel pasto che mi hai fatto”; “Posso?”, “grazie”, “scusa”, se si utilizzano queste tre parole, il matrimonio andrà avanti bene. E’ un aiuto.

Tu, Irina, hai menzionato un grande nemico del matrimonio, oggi: la teoria del gender. Oggi c’è una guerra mondiale per distruggere il matrimonio. Oggi ci sono colonizzazioni ideologiche che distruggono, ma non si distrugge con le armi, si distrugge con le idee. Pertanto, bisogna difendersi dalle colonizzazioni ideologiche. Se ci sono problemi, fare la pace al più presto possibile, prima che finisca la giornata, e non dimenticare le tre parole: “permesso”, “grazie”, “perdonami”.

E tu, Kakha, hai parlato di una Chiesa aperta, che non si chiuda in sé stessa, che sia una Chiesa per tutti, una Chiesa madre - la mamma è così. Ci sono due donne che Gesù ha voluto per tutti noi: sua madre e la sua sposa. E queste due si assomigliano. La madre è la madre di Gesù, e lui l’ha lasciata come madre nostra. La Chiesa è la sposa di Gesù ed è anch’essa nostra madre. Con la madre Chiesa e la madre Maria si può andare avanti sicuri. E lì troviamo ancora una volta la donna. Sembra che il Signore abbia una preferenza per portare avanti la fede nelle donne. Maria, la Santa Madre di Dio; la Chiesa, la Santa Sposa di Dio – pur se peccatrice in noi, suoi figli – e la nonna e la mamma che ci hanno dato la fede.

E sarà Maria, sarà la Chiesa, sarà la nonna, sarà la mamma a difendere la fede. I vostri antichi monaci dicevano questo - sentite bene: “Quando ci sono le turbolenze spirituali, bisogna rifugiarsi sotto il manto della Santa Madre di Dio”. E Maria è il modello della Chiesa, è il modello della donna, sì, perché la Chiesa è donna e Maria è donna.

Adesso un’ultima cosa… Chi lo ha detto? Proprio Kote, un’altra volta: il problema dell’ecumenismo. Mai litigare! Lasciamo che i teologi studino le cose astratte della teologia. Ma che cosa devo fare io con un amico, un vicino, una persona ortodossa? Essere aperto, essere amico. “Ma devo fare forza per convertirlo?”. C’è un grosso peccato contro l’ecumenismo: il proselitismo. Mai si deve fare proselitismo con gli ortodossi! Sono fratelli e sorelle nostri, discepoli di Gesù Cristo. Per situazioni storiche tanto complesse siamo diventati così. Sia loro sia noi crediamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, crediamo nella Santa Madre di Dio. “E cosa devo fare?”. Non condannare, no, non posso. Amicizia, camminare insieme, pregare gli uni per gli altri. Pregare e fare opere di carità insieme, quando si può. E’ questo l’ecumenismo. Ma mai condannare un fratello o una sorella, mai non salutarla perché è ortodossa.

Vorrei finire ancora con il povero Kote. “Santo Padre – tu dicevi alla fine – io sono fiero di essere cattolico e di diventare un prete cattolico georgiano”. A te e a tutti voi, cattolici georgiani, chiedo, per favore, di difenderci dalla mondanità. Gesù ci ha parlato con tanta forza contro la mondanità; e nel discorso dell’Ultima Cena ha chiesto al Padre: “Padre, difendili [i discepoli] dalla mondanità. Difendili dal mondo”. Chiediamo questa grazia tutti insieme: che il Signore ci liberi dalla mondanità; ci faccia uomini e donne di Chiesa; saldi nella fede che abbiamo ricevuto dalla nonna e dalla mamma; saldi nella fede che è sicura sotto la protezione del manto della Santa Madre di Dio.

E così, come stiamo, senza muoverci, preghiamo la Santa Madre di Dio, l’Ave Maria.

[Recita: Ave Maria]

E adesso vi darò la benedizione. E vi chiedo, per favore, di pregare per me.

[Benedizione]

Pregate per me.




VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN GEORGIA E AZERBAIJAN

(30 SETTEMBRE - 2 OTTOBRE 2016)

INCONTRO CON GLI ASSISTITI E CON GLI OPERATORI DELLE OPERE DI CARITÀ DELLA CHIESA

SALUTO DEL SANTO PADRE

Centro di assistenza dei Camilliani - Tbilisi
Sabato, 1 ottobre 2016

[Multimedia]



 

Cari fratelli e sorelle,

vi saluto con affetto e sono lieto di incontrarmi con voi, operatori di carità qui in Georgia, che mediante la vostra sollecitudine esprimete in maniera eloquente l’amore al prossimo, distintivo dei discepoli di Cristo. Ringrazio P. Zurab per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Voi rappresentate i diversi centri caritativi del Paese: Istituti religiosi maschili e femminili, Caritas, Associazioni ecclesiali e altre organizzazioni, gruppi di volontariato. A ciascuno va il mio apprezzamento per l’impegno generoso al servizio dei più bisognosi.

La vostra attività è un cammino di collaborazione fraterna tra i cristiani di questo Paese e tra fedeli di diversi riti. Questo incontrarsi nel segno della carità evangelica è testimonianza di comunione e favorisce il cammino dell’unità. Vi incoraggio a proseguire su questa strada esigente e feconda: le persone povere e deboli sono la “carne di Cristo” che interpella i cristiani di ogni confessione, spronandoli ad agire senza interessi personali, ma unicamente seguendo la spinta dello Spirito Santo.

Un saluto speciale rivolgo agli anziani, agli ammalati, ai sofferenti e agli assistiti dalle diverse realtà caritative. Mi rallegra poter stare un po’ con voi e incoraggiarvi: Dio non vi abbandona mai, vi è sempre vicino, pronto ad ascoltarvi, a darvi forza nei momenti di difficoltà. Voi siete prediletti da Gesù, che ha voluto immedesimarsi nelle persone sofferenti, soffrendo Egli stesso nella sua passione.

Le iniziative della carità sono il frutto maturo di una Chiesa che serve, che offre speranza e che manifesta la misericordia di Dio. Pertanto, cari fratelli e sorelle, la vostra missione è grande! Continuate a vivere la carità nella Chiesa e a manifestarla in tutta la società con l’entusiasmo dell’amore che viene da Dio. La Vergine Maria, icona dell’amore gratuito, vi guidi e vi protegga. Vi sostenga anche la benedizione del Signore che di cuore invoco su tutti voi.

   





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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02/10/2016 13:18
 
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN GEORGIA E AZERBAIJAN

(30 SETTEMBRE - 2 OTTOBRE 2016)

VISITA ALLA CATTEDRALE PATRIARCALE DI SVETITSKHOVELI

SALUTO DEL SANTO PADRE

Mtskheta
Sabato, 1 ottobre 2016

[Multimedia]



 

Santità, 
Signor Primo Ministro, distinte Autorità e illustri Membri del Corpo Diplomatico, 
carissimi Vescovi e Sacerdoti, 
cari fratelli e sorelle,

al culmine del mio pellegrinaggio in terra di Georgia, sono grato a Dio di poter sostare in raccoglimento in questo tempio santo. Qui desidero anche ringraziare vivamente per l’accoglienza ricevuta, per la vostra toccante testimonianza di fede, che mi ha fatto tanto bene; e anche ringraziare vivamente per il cuore buono dei Georgiani. Mi vengono alla mente, Santità, le parole del Salmo: «Com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! È come olio prezioso versato sul capo» (Sal 133,1-2). Carissimo Fratello, il Signore, che ci ha dato la gioia di incontrarci e di scambiare il bacio santo, riversi su di noi l’unguento profumato della concordia e faccia scendere copiose benedizioni sul nostro cammino e sul cammino di questo amato popolo.

La lingua georgiana è ricca di espressioni significative che descrivono la fraternità, l’amicizia e la prossimità tra le persone. Ve n’è una, nobile e genuina, che manifesta la disponibilità a sostituirsi all’altro, la volontà di farsene carico, di dirgli con la vita “vorrei essere al tuo posto”: shen genatsvale. Condividere nella comunione della preghiera e nell’unione degli animi le gioie e le angosce, portando i pesi gli uni degli altri (cfr Gal 6,2): sia questo fraterno atteggiamento cristiano a segnare la via del nostro cammino insieme.

Questa grandiosa Cattedrale, che custodisce molti tesori di fede e di storia, ci invita a fare memoria del passato. È quanto mai necessario, perché «la caduta del popolo comincia là, dove finisce la memoria del passato» (I. Chavchavadze, Il popolo e la storia, in Iveria, 1888). La storia della Georgia è come un libro antico che ad ogni pagina narra di testimoni santi e di valori cristiani, che hanno forgiato l’animo e la cultura del Paese. Nondimeno, questo pregiato libro racconta gesta di grande apertura, accoglienza e integrazione. Sono valori inestimabili e sempre validi, per questa terra e per l’intera regione, tesori che ben esprimono l’identità cristiana, la quale si mantiene tale quando rimane ben fondata nella fede ed è al tempo stesso sempre aperta e disponibile, mai rigida o chiusa.

Il messaggio cristiano – questo luogo sacro lo ricorda – è stato nei secoli il pilastro dell’identità georgiana: ha dato stabilità in mezzo a tanti sconvolgimenti, anche quando, purtroppo non di rado, la sorte del Paese è stata quella di essere amaramente abbandonato a sé stesso. Ma il Signore non ha mai abbandonato l’amata terra di Georgia, perché Egli è «fedele in tutte le sue parole e buono in tutte le sue opere, sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto» (Sal 145,13-14).

La vicinanza tenera e compassionevole del Signore è qui rappresentata, in modo particolare, dal segno della sacra tunica. Il mistero della tunica «senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo» (Gv 19,23), ha attirato l’attenzione dei cristiani fin dagli inizi. Un Padre antico, San Cipriano di Cartagine, ha affermato che nella tunica indivisa di Gesù appare quel «vincolo di concordia, che inseparabilmente unisce», quell’«unità che viene dall’alto, che viene cioè dal cielo e dal Padre, che non poteva essere assolutamente lacerata» (De catholicae Ecclesiae unitate, 7: SCh 1 [2006], 193). La sacra tunica, mistero di unità, ci esorta a provare grande dolore per le divisioni consumatesi tra i cristiani lungo la storia: sono delle vere e proprie lacerazioni inferte alla carne del Signore. Al tempo stesso, però, l’“unità che viene dall’alto”, l’amore di Cristo che ci ha radunato donandoci non solo la sua veste, ma il suo stesso corpo, ci spingono a non rassegnarci e ad offrire noi stessi sul suo esempio (cfr Rm 12,1): ci stimolano alla carità sincera e alla comprensione reciproca, a ricomporre le lacerazioni, animati da uno spirito di limpida fraternità cristiana. Tutto ciò richiede un cammino certamente paziente, da coltivare con fiducia nell’altro e umiltà, ma senza paura e senza scoraggiarsi, bensì nella gioiosa certezza che la speranza cristiana ci fa pregustare. Essa ci sprona a credere che le contrapposizioni possono essere sanate e gli ostacoli rimossi, ci invita a non rinunciare mai alle occasioni di incontro e di dialogo, e a custodire e migliorare insieme quanto già esiste. Penso, ad esempio, al dialogo in corso nella Commissione Mista Internazionale e ad altre proficue occasioni di scambio.

San Cipriano affermava anche che la tunica di Cristo, «unica, indivisa, tutta d’un pezzo, indica l’inseparabile concordia del nostro popolo, di noi che ci siamo rivestiti di Cristo» (ibid., 195). Quanti sono stati battezzati in Cristo, afferma infatti l’Apostolo Paolo, si sono rivestiti di Cristo (cfr Gal 3,27). Per questo, nonostante i nostri limiti e al di là di ogni successiva distinzione storica e culturale, siamo chiamati a essere «uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28) e a non mettere al primo posto le disarmonie e le divisioni tra i battezzati, perché davvero è molto più ciò che ci unisce di ciò che ci divide.

In questa Cattedrale Patriarcale tanti fratelli e sorelle ricevono il Battesimo, che nella lingua georgiana esprime bene la vita nuova ricevuta in Cristo, indicando un’illuminazione che dà senso a tutto, perché conduce fuori dall’oscurità. In georgiano, anche la parola “educazione” nasce dalla stessa radice ed è perciò strettamente imparentata col Battesimo. La nobiltà della lingua induce così a pensare alla bellezza di una vita cristiana che, fin dall’inizio luminosa, si mantiene tale se rimane nella luce del bene e rigetta le tenebre del male; se, custodendo la fedeltà alle proprie radici, non cede alle chiusure che rendono oscura la vita, ma si conserva ben disposta ad accogliere e imparare, ad essere rischiarata da tutto ciò che è bello e vero. Che le splendenti ricchezze di questo popolo siano conosciute e apprezzate; che possiamo sempre più condividere, per l’arricchimento comune, i tesori che Dio dona a ciascuno, e aiutarci a vicenda a crescere nel bene!

Assicuro di cuore la mia preghiera perché il Signore, che fa nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5), per l’intercessione dei Santi Fratelli Apostoli Pietro e Andrea, dei Martiri e di tutti i Santi, accresca l’amore tra i credenti in Cristo e la luminosa ricerca di tutto quanto ci possa avvicinare, riconciliare e unire. Possano la fraternità e la collaborazione crescere ad ogni livello; possano la preghiera e l’amore farci sempre più accogliere l’accorato desiderio del Signore su tutti quelli che credono in Lui mediante la parola degli Apostoli: che siano «una sola cosa» (cfr Gv 17,20-21).

 

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN GEORGIA E AZERBAIJAN

(30 SETTEMBRE - 2 OTTOBRE 2016)

SANTA MESSA NELLA CHIESA DELL'IMMACOLATA

OMELIA DEL SANTO PADRE

Centro Salesiano - Baku
Domenica, 2 ottobre 2016

[Multimedia]



 

La Parola di Dio ci presenta oggi due aspetti essenziali della vita cristiana: la fede e il servizio. A proposito della fede, vengono rivolte al Signore due particolari richieste.

La prima è quella del profeta Abacuc, che implora Dio perché intervenga e ristabilisca la giustizia e la pace che gli uomini hanno infranto con violenza, liti e contese: «Fino a quando, Signore, - dice - implorerò aiuto e non ascolti?» (Ab 1,2). Dio, rispondendo, non interviene direttamente, non risolve la situazione in modo brusco, non si rende presente con la forza. Al contrario, invita ad attendere con pazienza, senza mai perdere la speranza; soprattutto, sottolinea l’importanza della fede. Perché per la sua fede l’uomo vivrà (cfr Ab 2,4). Così Dio fa anche con noi: non asseconda i nostri desideri che vorrebbero cambiare il mondo e gli altri subito e continuamente, ma mira anzitutto a guarire il cuore, il mio cuore, il tuo cuore, il cuore di ciascuno; Dio cambia il mondo cambiando i nostri cuori, e questo non può farlo senza di noi. Il Signore desidera infatti che gli apriamo la porta del cuore, per poter entrare nella nostra vita. E questa apertura a Lui, questa fiducia in Lui è proprio «la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (1 Gv 5,4). Perché quando Dio trova un cuore aperto e fiducioso, lì può compiere meraviglie.

Ma avere fede, una fede viva, non è facile; ed ecco allora la seconda richiesta, quella che nel Vangelo gli Apostoli rivolgono al Signore: «Accresci in noi la fede!» (Lc 17,6). È una bella domanda, una preghiera che anche noi potremmo rivolgere a Dio ogni giorno. Ma la risposta divina è sorprendente e anche in questo caso ribalta la domanda: «Se aveste fede…». È Lui che chiede a noi di avere fede. Perché la fede, che è un dono di Dio e va sempre chiesta, va anche coltivata da parte nostra. Non è una forza magica che scende dal cielo, non è una “dote” che si riceve una volta per sempre, e nemmeno un super-potere che serve a risolvere i problemi della vita. Perché una fede utile a soddisfare i nostri bisogni sarebbe una fede egoistica, tutta centrata su di noi. La fede non va confusa con lo stare bene o col sentirsi bene, con l’essere consolati nell’animo perché abbiamo un po’ di pace nel cuore. La fede è il filo d’oro che ci lega al Signore, la pura gioia di stare con Lui, di essere uniti a Lui; è il dono che vale la vita intera, ma che porta frutto se facciamo la nostra parte.

E qual è la nostra parte? Gesù ci fa comprendere che è il servizio. Nel Vangelo, infatti, il Signore fa subito seguire alle parole sulla potenza della fede quelle sul servizio. Fede e servizio non si possono separare, anzi sono strettamente collegati, annodati tra di loro. Per spiegarmi vorrei utilizzare un’immagine a voi molto familiare, quella di un bel tappeto: i vostri tappeti sono delle vere opere d’arte e provengono da una storia antichissima. Anche la vita cristiana di ciascuno viene da lontano, è un dono che abbiamo ricevuto nella Chiesa e che proviene dal cuore di Dio, nostro Padre, il quale desidera fare di ciascuno di noi un capolavoro del creato e della storia. Ogni tappeto, voi lo sapete bene, va tessuto secondo la trama e l’ordito; solo con questa struttura l’insieme risulta ben composto e armonioso. Così è per la vita cristiana: va ogni giorno pazientemente intessuta, intrecciando tra loro una trama e un ordito ben definiti: la trama della fede e l’ordito del servizio. Quando alla fede si annoda il servizio, il cuore si mantiene aperto e giovane, e si dilata nel fare il bene. Allora la fede, come dice Gesù nel Vangelo, diventa potente, fa meraviglie. Se cammina su quella strada, allora matura e diventa forte, a condizione che rimanga sempre unita al servizio.

Ma che cos’è il servizio? Possiamo pensare che consista solo nell’essere ligi ai propri doveri o nel compiere qualche opera buona. Ma per Gesù è molto di più. Nel Vangelo di oggi Egli ci chiede, anche con parole molto forti, radicali, una disponibilità totale, una vita a piena disposizione, senza calcoli e senza utili. Perché è così esigente Gesù? Perché Lui ci ha amato così, facendosi nostro servo «fino alla fine» (Gv 13,1), venendo «per servire e dare la propria vita» (Mc 10,45). E questo avviene ancora ogni volta che celebriamo l’Eucaristia: il Signore viene in mezzo a noi e per quanto noi ci possiamo proporre di servirlo e amarlo, è sempre Lui che ci precede, servendoci e amandoci più di quanto immaginiamo e meritiamo. Ci dona la sua stessa vita. E ci invita a imitarlo, dicendoci: «Se uno mi vuole servire, mi segua» (Gv 12,26).

Dunque, non siamo chiamati a servire solo per avere una ricompensa, ma per imitare Dio, fattosi servo per nostro amore. E non siamo chiamati a servire ogni tanto, ma a vivere servendo. Il servizio è allora uno stile di vita, anzi riassume in sé tutto lo stile di vita cristiano: servire Dio nell’adorazione e nella preghiera; essere aperti e disponibili; amare concretamente il prossimo; adoperarsi con slancio per il bene comune.

Non mancano anche per i credenti le tentazioni, che allontanano dallo stile del servizio e finiscono per rendere la vita inservibile. Dove non c’è servizio la vita è inservibile! Anche qui possiamo evidenziarne due. Una è quella di lasciare intiepidire il cuore. Un cuore tiepido si chiude in una vita pigra e soffoca il fuoco dell’amore. Chi è tiepido vive per soddisfare i propri comodi, che non bastano mai, e così non è mai contento; poco a poco finisce per accontentarsi di una vita mediocre. Il tiepido riserva a Dio e agli altri delle “percentuali” del proprio tempo e del proprio cuore, senza mai esagerare, anzi cercando sempre di risparmiare. Così la sua vita perde di gusto: diventa come un tè che era veramente buono, ma che quando si raffredda non si può più bere. Sono certo però che voi, guardando agli esempi di chi vi ha preceduto nella fede, non lascerete intiepidire il cuore. La Chiesa intera, che nutre per voi una speciale simpatia, vi guarda e vi incoraggia: siete un piccolo gregge tanto prezioso agli occhi di Dio!

C’è una seconda tentazione, nella quale si può cadere non perché si è passivi, ma perché si è “troppo attivi”: quella di pensare da padroni, di darsi da fare solo per guadagnare credito e per diventare qualcuno. Allora il servizio diventa un mezzo e non un fine, perché il fine è diventato il prestigio; poi viene il potere, il voler essere grandi. «Tra voi però – ricorda Gesù a tutti noi – non sarà così: ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore» (Mt 20,26). Così si edifica e si abbellisce la Chiesa. Riprendo l’immagine del tappeto, applicandola alla vostra bella comunità: ciascuno di voi è come uno splendido filo di seta, ma solo se sono ben intrecciati tra di loro i diversi fili creano una bella composizione; da soli, non servono. Restate sempre uniti, vivendo umilmente in carità e gioia; il Signore, che crea l’armonia nelle differenze, vi custodirà.

Ci aiuti l’intercessione della Vergine Immacolata e dei Santi, in particolare di Santa Teresa di Calcutta, i cui frutti di fede e di servizio sono in mezzo a voi. Accogliamo alcune sue splendide parole, che riassumono il messaggio di oggi: «Il frutto della fede è l’amore. Il frutto dell’amore è il servizio. Il frutto del servizio è la pace» (Il cammino semplice, Introduzione).

 

ANGELUS

Centro Salesiano - Baku
Domenica, 2 ottobre 2016

[Multimedia]


 

Cari fratelli e sorelle,

in questa Celebrazione eucaristica ho reso grazie a Dio con voi, ma anche per voi: qui la fede, dopo gli anni della persecuzione, ha compiuto meraviglie. Vorrei ricordare i tanti cristiani coraggiosi, che hanno avuto fiducia nel Signore e sono stati fedeli nelle avversità. Come fece san Giovanni Paolo II, a voi tutti rivolgo le parole dell’Apostolo Pietro: «onore a voi che credete!» (1 Pt 2,7;Omelia, Baku, 23 maggio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 852).

Il nostro pensiero va ora alla Vergine Maria, venerata in questo Paese non solo dai cristiani. A Lei ci rivolgiamo con le parole con le quali l’Angelo Gabriele Le recò il lieto annuncio della salvezza, preparata da Dio per l’umanità.

Nella luce che risplende dal volto materno di Maria, rivolgo un cordiale saluto a voi, cari fedeli dell’Azerbaigian, incoraggiando ciascuno a testimoniare con gioia la fede, la speranza e la carità, uniti fra di voi e con i vostri Pastori. Saluto e ringrazio in modo particolare la famiglia salesiana, che si prende tanto cura di voi e promuove diverse opere di bene, e le Suore Missionarie della Carità: proseguite con entusiasmo la vostra opera al servizio di tutti!

Affidiamo questi voti all’intercessione della Santissima Madre di Dio e invochiamo la sua protezione per le vostre famiglie, per i malati e gli anziani, per quanti soffrono nel corpo e nello spirito.

[Angelus]

[Benedizione]

Qualcuno può pensare che il Papa perde tanto tempo: fare tanti chilometri di viaggio per visitare una piccola comunità di 700 persone, in un Paese di 2 milioni… Eppure è una comunità non uniforme, perché fra voi si parla l’azero, l’italiano, l’inglese, lo spagnolo…: tante lingue… E’ una comunità di periferia. Ma il Papa, in questo, imita lo Spirito Santo: anche Lui è sceso dal cielo in una piccola comunità di periferia chiusa nel Cenacolo. E a quella comunità che aveva timore, si sentiva povera e forse perseguitata, o lasciata da parte, dà il coraggio, la forza, la parresia per andare avanti e proclamare il nome di Gesù! E le porte di quella comunità di Gerusalemme, che erano chiuse per la paura o la vergogna, si spalancano ed esce la forza dello Spirito. Il Papa perde il tempo come lo ha perso lo Spirito Santo in quel tempo!

Soltanto due cose sono necessarie: in quella comunità c’era la Madre - non dimenticare la Madre! -; e in quella comunità c’era la carità, l’amore fraterno che lo Spirito Santo ha riversato in loro. Coraggio! Avanti! Go ahead! Senza paura, avanti!

     



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN GEORGIA E AZERBAIJAN

(30 SETTEMBRE - 2 OTTOBRE 2016)

INCONTRO INTERRELIGIOSO CON LO SCEICCO DEI MUSULMANI DEL CAUCASO 
E CON RAPPRESENTANTI DELLE ALTRE COMUNITÀ RELIGIOSE DEL PAESE

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Moschea “Heydar Aliyev” - Baku
Domenica, 2 ottobre 2016

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Trovarsi qui insieme è una benedizione. Desidero ringraziare il Presidente del Consiglio dei Musulmani del Caucaso, che con la sua consueta cortesia ci ospita, e i Capi religiosi locali della Chiesa Ortodossa Russa e delle Comunità Ebraiche. È un grande segno incontrarci in amicizia fraterna in questo luogo di preghiera, un segno che manifesta quell’armonia che le religioni insieme possono costruire, a partire dai rapporti personali e dalla buona volontà dei responsabili. Qui ne danno prova, ad esempio, l’aiuto concreto che il Presidente del Consiglio dei Musulmani ha garantito in più occasioni alla comunità cattolica, e i saggi consigli che, in spirito di famiglia, condivide con essa; sono anche da sottolineare il bel legame che unisce i Cattolici alla Comunità Ortodossa, in una fraternità concreta e in un affetto quotidiano che sono un esempio per tutti, e la cordiale amicizia con la comunità ebraica.

Di questa concordia beneficia l’Azerbaigian, che si distingue per l’accoglienza e l’ospitalità, doni che ho potuto sperimentare in questa memorabile giornata, per la quale sono molto grato. Qui si desidera custodire il grande patrimonio delle religioni e al tempo stesso si ricerca una maggiore e feconda apertura: anche il cattolicesimo, ad esempio, trova posto e armonia tra altre religioni ben più numerose, segno concreto che mostra come non la contrapposizione, ma la collaborazione aiuta a costruire società migliori e pacifiche. Il nostro trovarci insieme è anche in continuità con i numerosi incontri che si svolgono a Baku per promuovere il dialogo e la multiculturalità. Aprendo le porte all’accoglienza e all’integrazione, si aprono le porte dei cuori di ciascuno e le porte della speranza per tutti. Ho fiducia che questo Paese, «porta tra l’Oriente e l’Occidente» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso nella Cerimonia di benvenuto, Baku, 22 maggio 2002: Insegnamenti XXV,1 [2002], 838), coltivi sempre la sua vocazione di apertura e incontro, condizioni indispensabili per costruire solidi ponti di pace e un futuro degno dell’uomo.

La fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti; sono però invocate e attese da chi desidera il bene comune, e soprattutto gradite a Dio, Compassionevole e Misericordioso, che vuole i figli e le figlie dell’unica famiglia umana tra loro più uniti e sempre in dialogo. Un grande poeta, figlio di questa terra, ha scritto: «Se sei umano, mescolati agli umani, perché gli uomini stanno bene tra di loro» (NIZAMI GANJAVI, Il libro di Alessandro, I, Sul proprio stato e il passare del tempo). Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta a essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità; ad agire senza idealismi e senza interventismi, senza operare dannose interferenze e azioni forzate, bensì sempre nel rispetto delle dinamiche storiche, delle culture e delle tradizioni religiose.

Proprio le religioni hanno un grande compito: accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capacità dell’essere umano e i beni di questo mondo non devono mai diventare degli assoluti. Ha scritto ancora Nizami: «Non stabilirti solidamente sulle tue forze, finché in cielo non avrai trovato dimora! I frutti del mondo non sono eterni, non adorare ciò che perisce!» (Leylā e Majnūn, Morte di Majnūn sulla tomba di Leylā). Le religioni sono chiamate a farci capire che il centro dell’uomo è fuori di sé, che siamo protesi verso l’Alto infinito e verso l’altro che ci è prossimo. Lì è chiamata a incamminarsi la vita, verso l’amore più elevato e insieme più concreto: esso non può che stare al culmine di ogni aspirazione autenticamente religiosa; perché – dice ancora il poeta –, «amore è quello che mai non muta, amore è quello che non ha fine» (ibid., Disperazione di Majnūn).

La religione è dunque una necessità per l’uomo, per realizzare il suo fine, una bussola per orientarlo al bene e allontanarlo dal male, che sta sempre accovacciato alla porta del suo cuore (cfr Gen 4,7). In questo senso le religioni hanno un compito educativo: aiutare a tirare fuori dall’uomo il meglio di sé. E noi, come guide, abbiamo una grande responsabilità, per offrire risposte autentiche alla ricerca dell’uomo, oggi spesso smarrito nei vorticosi paradossi del nostro tempo. Vediamo, infatti, come ai nostri giorni, da una parte imperversa il nichilismo di chi non crede più a niente se non ai propri interessi, vantaggi e tornaconti, di chi butta via la vita adeguandosi all’adagio «se Dio non esiste tutto è permesso» (cfr F.M. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, XI, 4.8.9); dall’altra parte, emergono sempre più le reazioni rigide e fondamentaliste di chi, con la violenza della parola e dei gesti, vuole imporre atteggiamenti estremi e radicalizzati, i più distanti dal Dio vivente.

Le religioni, al contrario, aiutando a discernere il bene e a metterlo in pratica con le opere, con la preghiera e con la fatica del lavoro interiore, sono chiamate a edificare la cultura dell’incontro e della pace, fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti. Così si serve la società umana. Essa, da parte sua, è sempre tenuta a vincere la tentazione di servirsi del fattore religioso: le religioni non devono mai essere strumentalizzate e mai possono prestare il fianco ad assecondare conflitti e contrapposizioni.

È invece fecondo un legame virtuoso tra società e religioni, un’alleanza rispettosa che va costruita e custodita, e che vorrei simboleggiare con un’immagine cara a questo Paese. Mi riferisco alle pregiate vetrate artistiche presenti da secoli in queste terre, fatte soltanto di legno e vetri colorati (Shebeke). Nel produrle artigianalmente, vi è una particolarità unica: non si usano colle né chiodi, ma si tengono insieme il legno e il vetro incastrandoli fra di loro con un lungo e accurato lavoro. Così il legno sorregge il vetro e il vetro fa entrare la luce. Allo stesso modo è compito di ogni società civile sostenere la religione, che permette l’ingresso di una luce indispensabile per vivere: per questo è necessario garantirle un’effettiva e autentica libertà. Non vanno dunque usate le “colle” artificiali che costringono l’uomo a credere, imponendogli un determinato credo e privandolo della libertà di scelta; non devono entrare nelle religioni neanche i “chiodi” esterni degli interessi mondani, delle brame di potere e di denaro. Perché Dio non può essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo o colonialismo. Ancora una volta, da questo luogo così significativo, sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio! Che il suo santo Nome sia adorato, non profanato e mercanteggiato dagli odi e dalle contrapposizioni umane.

Onoriamo invece la provvidente misericordia divina verso di noi con la preghiera assidua e con il dialogo concreto, «condizione necessaria per la pace nel mondo, dovere per i cristiani, come per le altre comunità religiose» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 250). Preghiera e dialogo sono tra loro profondamente correlati: muovono dall’apertura del cuore e sono protesi al bene altrui, dunque si arricchiscono e rafforzano a vicenda. La Chiesa Cattolica, in continuità con il Concilio Vaticano II, con convinzione «esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi» (Dich. Nostra aetate, 2). Nessun «sincretismo conciliante», non «un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 251), ma dialogare con gli altri e pregare per tutti: questi sono i nostri mezzi per mutare le lance in falci (cfr Is 2,4), per far sorgere amore dove c’è odio e perdono dove c’è offesa, per non stancarci di implorare e percorrere vie di pace.

Una pace vera, fondata sul rispetto reciproco, sull’incontro e sulla condivisione, sulla volontà di andare oltre i pregiudizi e i torti del passato, sulla rinuncia alle doppiezze e agli interessi di parte; una pace duratura, animata dal coraggio di superare le barriere, di debellare le povertà e le ingiustizie, di denunciare e arrestare la proliferazione di armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri. La voce di troppo sangue grida a Dio dal suolo della terra, nostra casa comune (cfr Gen 4,10). Ora siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile, a costruire insieme un futuro di pace: non è tempo di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione. La vera questione del nostro tempo non è come portare avanti i nostri interessi - questa non è la vera questione -, ma quale prospettiva di vita offrire alle generazioni future, come lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto. Dio, e la storia stessa, ci domanderanno se ci siamo spesi oggi per la pace; già ce lo chiedono in modo accorato le giovani generazioni, che sognano un futuro diverso.

Nella notte dei conflitti, che stiamo attraversando, le religioni siano albe di pace, semi di rinascita tra devastazioni di morte, echi di dialogo che risuonano instancabilmente, vie di incontro e di riconciliazione per arrivare anche là, dove i tentativi delle mediazioni ufficiali sembrano non sortire effetti. Specialmente in questa amata regione caucasica, che ho tanto desiderato visitare e nella quale sono giunto come pellegrino di pace, le religioni siano veicoli attivi per il superamento delle tragedie del passato e delle tensioni di oggi. Le inestimabili ricchezze di questi Paesi vengano conosciute e valorizzate: i tesori antichi e sempre nuovi di sapienza, cultura e religiosità delle genti del Caucaso sono una grande risorsa per il futuro della regione e in particolare per la cultura europea, beni preziosi cui non possiamo rinunciare. Grazie.

* * *

Grazie tante a tutti voi. Grazie tante per la compagnia … E vi chiedo, per favore, di pregare per me.

   

 

VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE FRANCESCO 
IN GEORGIA E AZERBAIJAN

(30 SETTEMBRE - 2 OTTOBRE 2016)

CONFERENZA STAMPA DEL SANTO PADRE
DURANTE IL VOLO DI RITORNO DALL'AZERBAIJAN

Volo Papale
Domenica, 2 ottobre 2016

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Papa Francesco:

Buonasera. E grazie tante del vostro lavoro, del vostro aiuto. E’ vero, è stato un viaggio breve – tre giorni – ma voi avete avuto tanto lavoro. Io sono a vostra disposizione, e vi ringrazio tanto per il lavoro. E domandate quello che volete.

Dott. Burke:

Grazie, Santo Padre. La prima domanda viene dalla Georgia, la televisione georgiana, Ketevan Kardava.

Ketevan Kardava:

Grazie tante, Santo Padre, per il suo primo viaggio in Georgia. Per me è stato molto importante dare copertura giornalistica di questa visita e seguire la Sua visita nel mio Paese. Noi tutti cittadini della Georgia siamo rimasti colpiti dal Suo discorso, e in modo particolare la foto che La ritrae con il Patriarca della Georgia è stata condivisa migliaia e migliaia di volte nei social. E’ stata una visita incoraggiante per la nostra comunità cattolica, davvero molto piccola. Dopo il Suo incontro con il Patriarca della Georgia, Lei intravede le basi per una collaborazione futura e un dialogo costruttivo tra Lei e le Chiese ortodossa e cattolica in merito alle differenze dottrinali che ci sono? Lei ci ha detto che abbiamo molto in comune, che ci unisco, più di quanto ci separi. Grazie, aspetto la Sua risposta.

Papa Francesco:

Io ho avuto due sorprese in Georgia. Una è la Georgia. Mai ho immaginato tanta cultura, tanta fede, tanta cristianità. Un popolo credente; e di una cultura cristiana antichissima, un popolo di tanti martiri. E ho scoperto una cosa che io non conoscevo: le profonde radici di questa fede georgiana. La seconda sorpresa è stato il Patriarca: è un uomo di Dio, quest’uomo mi ha commosso. Io, le volte in cui l’ho incontrato, sono uscito con il cuore commosso, e con la sensazione di aver trovato un uomo di Dio. Davvero, un uomo di Dio. Sulle cose che ci uniscono e ci separano, dirò: non metterci a discutere le cose di dottrina, questo lasciarlo ai teologi, loro sanno farlo meglio di noi. Discutono e sono bravi, sono buoni, hanno buona volontà, i teologi di una parte e dell’altra. Che cosa dobbiamo fare noi, il popolo? Pregare gli uni per gli altri. Questo è importantissimo: la preghiera. E secondo, fare cose insieme: ci sono i poveri, lavoriamo insieme con i poveri; c’è questo e questo problema, possiamo affrontarlo insieme?, lo facciamo insieme; ci sono i migranti?, facciamo qualcosa insieme... Facciamo qualcosa di bene per gli altri, insieme, questo possiamo farlo. E questo è il cammino dell’ecumenismo. Non solo il cammino della dottrina, questo è l’ultima cosa, si arriverà alla fine. Ma incominciamo a camminare insieme. E con buona volontà, questo si può fare. Si deve fare. Oggi l’ecumenismo si deve fare camminando insieme, pregando gli uni per gli altri. E che i teologi continuino a parlare tra loro, a studiare tra loro. Ma la Georgia è meravigliosa, è una cosa che non mi aspettavo; una Nazione cristiana, ma nel midollo!

Dott. Burke:

La seconda domanda viene da un giornalista tedesco, Tassilo Forchheimer, della radio tedesca ARD:

Tassilo Forchheimer:

Santo Padre, dopo aver parlato con tutte le persone che possono cambiare questa brutta storia tra Armenia e Azerbaigian, che cosa deve succedere per arrivare a una pace permanente che tuteli i diritti umani? Quali sono i problemi e che ruolo può avere Sua Santità?

Papa Francesco:

Due volte, in due discorsi ho parlato di questo. Nell’ultimo ho parlato del ruolo delle religioni per aiutare a questo scopo. Credo che l’unica strada sia il dialogo, il dialogo sincero, senza cose sottobanco, sincero, faccia a faccia. Il negoziato sincero. E se non si può arrivare a questo, bisogna avere il coraggio di andare a un Tribunale internazionale, andare all’Aja, per esempio, e sottomettersi al giudizio internazionale. Non vedo altra via. L’alternativa è la guerra, e la guerra distrugge sempre, con la guerra si perde tutto! E inoltre, per i cristiani, c’è la preghiera: pregare per la pace, perché i cuori prendano questa via di dialogo, di negoziato, o di andare a un tribunale internazionale. Ma non si possono tenere problemi così... Pensate che i tre Paesi caucasici hanno problemi: anche la Georgia ha un problema con la Russia, non si conosce tanto… ma ha un problema, che può crescere… non si sa; e l’Armenia è un Paese senza frontiere aperte, ha problemi con l’Azerbaigian. Si deve andare al tribunale internazionale se non vanno avanti il dialogo e il negoziato: non c’è un’altra via. E la preghiera, la preghiera per la pace.

Dott. Burke:

Adesso abbiamo Maria Elena Ribezzo della Svizzera, della rivista “La Presse”:

Maria Elena Ribezzo:

Salve, Santità, buona sera. Senta, Lei ieri ha parlato di una guerra mondiale in atto contro il matrimonio, e in questa guerra ha usato parole molto forti contro il divorzio: ha detto che sporca l’immagine di Dio; mentre nei mesi scorsi, anche durante il Sinodo, si era parlato di un’accoglienza nei confronti dei divorziati. Volevo sapere se questi approcci si conciliano, e in che modo.

Papa Francesco:

Tutto è contenuto, tutto quello che ho detto ieri, con altre parole - perché ieri ho parlato a braccio e un po’ a caldo – si trova nell’Amoris laetitia, tutto. Quando si parla del matrimonio come unione dell’uomo e della donna, come li ha fatti Dio, come immagine di Dio, è uomo e donna. L’immagine di Dio non è l’uomo [maschio]: è l’uomo con la donna. Insieme. Che sono una sola carne quando si uniscono in matrimonio. Questa è la verità. È vero che in questa cultura i conflitti e tanti problemi non sono ben gestiti, e ci sono anche filosofie dell’“oggi faccio questo [matrimonio], quando mi stanco ne faccio un altro, poi ne faccio un terzo, poi ne faccio un quarto”. E’ questa “guerra mondiale” che Lei dice contro il matrimonio. Dobbiamo essere attenti a non lasciare entrare in noi queste idee. Ma prima di tutto: il matrimonio è immagine di Dio, uomo e donna in una sola carne. Quando si distrugge questo, si “sporca” o si sfigura l’immagine di Dio. Poi l’Amoris laetitia parla di come trattare questi casi, come trattare le famiglie ferite, e lì entra la misericordia. E c’è una preghiera bellissima della Chiesa, che abbiamo pregato la settimana scorsa. Diceva così: “Dio, che tanto mirabilmente hai creato il mondo e più mirabilmente lo hai ricreato”, cioè con la redenzione e la misericordia. Il matrimonio ferito, le coppie ferite: lì entra la misericordia. Il principio è quello, ma le debolezze umane esistono, i peccati esistono, e sempre l’ultima parola non l’ha la debolezza, l’ultima parola non l’ha il peccato: l’ultima parola l’ha la misericordia! A me piace raccontare – non so se l’ho detto, perché lo ripeto tanto – che nella chiesa di Santa Maria Maddalena a Vézelay c’è un capitello bellissimo, del 1200 più o meno. I medievali facevano catechesi con le sculture delle cattedrali. Da una parte del capitello c’è Giuda, impiccato, con la lingua fuori, gli occhi fuori, e dall’altra parte del capitello c’è Gesù, il Buon Pastore, che lo prende e lo porta con sé. E se guardiamo bene la faccia di Gesù, le labbra di Gesù sono tristi da una parte ma con un piccolo sorriso di complicità dall’altra. Questi avevano capito cos’è la misericordia! Con Giuda! E per questo, nell’Amoris laetitia si parla del matrimonio, del fondamento del matrimonio come è, ma poi vengono i problemi. Come prepararsi al matrimonio, come educare i figli; e poi, nel capitolo ottavo, quando vengono i problemi, come si risolvono. Si risolvono con quattro criteri: accogliere le famiglie ferite, accompagnare, discernere ogni caso e integrare, rifare. Questo sarebbe il modo di collaborare in questa “seconda creazione”, in questa ri-creazione meravigliosa che ha fatto il Signore con la redenzione. Si capisce così? Sì, se prendi una parte sola non va! L’Amoris laetitia – questo voglio dire –: tutti vanno al capitolo ottavo. No, no. Si deve leggere dall’inizio alla fine. E qual è il centro? Ma… dipende da ognuno. Per me il centro, il nocciolo dell’Amoris laetitia è il capitolo quarto, che serve per tutta la vita. Ma si deve leggerla tutta e rileggerla tutta e discuterla tutta, è tutto un insieme. C’è il peccato, c’è la rottura, ma c’è anche la misericordia, la redenzione, la cura. Mi sono spiegato bene su questo?

Dott. Burke:

Adesso c’è Joshua McElwee, del giornale americano National Catholic Reporter.

Joshua McElwee:

Grazie, Santo Padre. In quello stesso discorso di ieri in Georgia, Lei ha parlato, come in tanti altri Paesi, della teoria del gender, dicendo che è il grande nemico, una minaccia contro il matrimonio. Ma vorrei chiedere: cosa direbbe a una persona che ha sofferto per anni con la sua sessualità e sente veramente che c’è un problema biologico, che il suo aspetto fisico non corrisponde a quello che lui o lei considera la propria identità sessuale? Lei come pastore e ministro, come accompagnerebbe queste persone?

Papa Francesco:

Prima di tutto, io ho accompagnato nella mia vita di sacerdote, di vescovo – anche di Papa – ho accompagnato persone con tendenza e con pratiche omosessuali. Le ho accompagnate, le ho avvicinate al Signore, alcuni non possono, ma le ho accompagnate e mai ho abbandonato qualcuno. Questo è ciò che va fatto. Le persone si devono accompagnare come le accompagna Gesù. Quando una persona che ha questa condizione arriva davanti a Gesù, Gesù non gli dirà sicuramente: “Vattene via perché sei omosessuale!”, no. Quello che io ho detto riguarda quella cattiveria che oggi si fa con l’indottrinamento della teoria del gender. Mi raccontava un papà francese che a tavola parlavano con i figli – cattolico lui, cattolica la moglie, i figli cattolici, all’acqua di rose, ma cattolici – e ha domandato al ragazzo di dieci anni: “E tu che cosa voi fare quando diventi grande?” - “La ragazza”. E il papà si è accorto che nei libri di scuola si insegnava la teoria del gender. E questo è contro le cose naturali. Una cosa è che una persona abbia questa tendenza, questa opzione, e c’è anche chi cambia il sesso. E un’altra cosa è fare l’insegnamento nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità. Queste io le chiamo “colonizzazioni ideologiche”. L’anno scorso ho ricevuto una lettera di uno spagnolo che mi raccontava la sua storia da bambino e da ragazzo. Era una bambina, una ragazza, e ha sofferto tanto, perché si sentiva ragazzo ma era fisicamente una ragazza. L’ha raccontato alla mamma, quando era già ventenne, 22 anni, e le ha detto che avrebbe voluto fare l’intervento chirurgico e tutte queste cose. E la mamma gli ha chiesto di non farlo finché lei era viva. Era anziana, ed è morta presto. Ha fatto l’intervento. E’ un impiegato di un ministero di una città della Spagna. È andato dal vescovo. Il vescovo lo ha accompagnato tanto, un bravo vescovo: “perdeva” tempo per accompagnare quest’uomo. Poi si è sposato. Ha cambiato la sua identità civile, si è sposato e mi ha scritto la lettera che per lui sarebbe stata una consolazione venire con la sua sposa: lui, che era lei, ma è lui. E li ho ricevuti. Erano contenti. E nel quartiere dove lui abitava c’era un vecchio sacerdote, ottantenne, il vecchio parroco, che aveva lasciato la parrocchia e aiutava le suore, lì, nella parrocchia… E c’era il nuovo [parroco]. Quando il nuovo lo vedeva, lo sgridava dal marciapiede: “Andrai all’inferno!”. Quando trovava il vecchio, questo gli diceva: “Da quanto non ti confessi? Vieni, vieni, andiamo che ti confesso e così potrai fare la Comunione”. Hai capito? La vita è la vita, e le cose si devono prendere come vengono. Il peccato è il peccato. Le tendenze o gli squilibri ormonali danno tanti problemi e dobbiamo essere attenti a non dire: “E’ tutto lo stesso, facciamo festa”. No, questo no. Ma ogni caso accoglierlo, accompagnarlo, studiarlo, discernere e integrarlo. Questo è quello che farebbe Gesù oggi. Per favore, non dite: “Il Papa santificherà i trans!”. Per favore! Perché io vedo già i titoli dei giornali... No, no. C’è qualche dubbio su quello che ho detto? Voglio essere chiaro. È un problema di morale. E’ un problema. E’ un problema umano. E si deve risolvere come si può, sempre con la misericordia di Dio, con la verità, come abbiamo detto nel caso del matrimonio, leggendo tutta l’Amoris laetitia, ma sempre così, sempre con il cuore aperto. E non dimenticatevi quel capitello di Vézelay: è molto bello, molto bello.

Dott. Burke:

Grazie, Santo Padre. Adesso Gianni Cardinale, di “Avvenire”.

Gianni Cardinale:

Due domande: una personale e una pubblica. La personale è – legata al mio nome, diciamo – quando farà i nuovi cardinali e a quali criteri si ispira per questa scelta. La seconda, più seria, diciamo, e pubblica, da italiano: quando andrà a trovare le popolazioni terremotate e quale sarà la caratteristica di questa visita?

Papa Francesco:

Per la seconda, mi sono state proposte tre date possibili. Due sono dei numeri che non ricordo bene; la terza, la ricordo bene, è la prima domenica di Avvento. Io ho detto che al rientro sceglierò la data. Ce ne sono tre: devo scegliere. E la farò privatamente, da solo, come sacerdote, come vescovo, come Papa. Ma da solo. Così voglio farla. E vorrei essere vicino alla gente. Ma non so ancora come.

Sui cardinali: i criteri saranno gli stessi dei due altri concistori. [Sceglierli] un po’ dappertutto, perché la Chiesa è in tutto il mondo. Sì, forse… ancora sto studiando i nomi, ma forse saranno tre di un continente, due di un altro e uno di un’altra parte, uno dell’altra, uno di un Paese… ma, non si sa. La lista è lunga, ma ci sono soltanto 13 posti. E si deve pensare di fare un equilibrio. A me piace che si veda, nel Collegio cardinalizio, l’universalità della Chiesa: non soltanto il centro – per dire – “europeo”; ma dappertutto. I cinque continenti, se si può.

[“C’è già una data?”]

Papa Francesco:

No, perché devo studiare la lista e fare la data. Può essere la fine dell’anno, può essere all’inizio dell’anno prossimo. Per la fine dell’anno c’è il problema dell’Anno Santo, ma si può risolvere… O all’inizio dell’anno prossimo. Ma sarà prossimo.

Dott. Burke:

Grazie, Santo Padre. Adesso c’è Aura Miguel di Radio Renascença del Portogallo.

Aura Miguel:

Santo Padre, buona sera. La mia domanda riguarda la Sua agenda di viaggi fuori d’Italia, in tre parti. Lei ha già detto in questi giorni agli argentini che la Sua agenda è molto piena e ha parlato dell’Africa e dell’Asia: possiamo sapere quali Paesi? E c’è anche qui un collega della Colombia che La aspetta in Colombia, naturalmente, e io in Portogallo, La aspettiamo! In Portogallo, concretamente, come sarà? 12 e 13? Lisbona e Fatima?

Papa Francesco:

Di sicuro, ad oggi, andrò in Portogallo, e andrò soltanto a Fatima. Ad oggi. Perché? C’è un problema. In questo Anno Santo sono state sospese le visite [dei Vescovi] ad limina; nel prossimo anno devo ricevere le visite ad limina di quest’anno e del prossimo. E c’è poco spazio per i viaggi. Ma in Portogallo ci andrò. In India e Bangladesh, quasi sicuro. In Africa, ancora non è sicuro il posto, tutto dipende sia dal clima, in quale mese, perché se è in Africa del Nordovest è una cosa e se è nel Sudovest è un’altra. E anche dipende dalla situazione politica e dalle guerre… Ma ci sono possibilità allo studio in Africa. In America, io ho detto che quando il processo di pace [in Colombia]… se esce, io vorrei andare, quando tutto sarà “blindato”, cioè quando tutto – se vince il plebiscito – quando tutto sia sicuro sicuro, che non si può andare indietro, cioè che il mondo internazionale, tutte le nazioni siano d’accordo, che non si può fare ricorso, no, è finito, se è così, potrei andare. Ma se la cosa è instabile… Tutto dipende da quello che dirà il popolo. Il popolo è sovrano. Noi siamo abituati a guardare più le forme democratiche che la sovranità del popolo, e tutte e due devono andare insieme. Per esempio, è diventata un’abitudine in alcuni continenti dove, quando finisce il secondo mandato, chi è al governo cerca di cambiare la costituzione per averne un terzo. E questo è sopravvalutare la cosiddetta democrazia, contro la sovranità del popolo, che è nella Costituzione. Tutto dipende da quello. E il processo di pace si risolverà oggi, in parte, con la voce del popolo: è sovrano. Quello che dirà il popolo, credo che debba farsi.

[“Fatima sarà 12 e 13 (maggio)?”]

Papa Francesco:

Finora il 13. Ma può darsi, non so…

Dott. Burke:

Grazie, Santo Padre. Adesso arriva Jean-Marie Guénois di “Le Figaro”.

Jean-Marie Guénois:

Grazie, Santo Padre. Una domanda sui viaggi: perché nella sua risposta non ha parlato della Cina? E quali sono le ragioni per le quali Lei non può avere come Papa il biglietto per Pechino? Ragioni all’interno della Chiesa cinese? Ragioni di problemi tra la Chiesa cinese e il governo cinese, o ragioni, problemi tra il Vaticano e il governo cinese? E, se permette, una domanda recente, perché qualche ora fa Mons. Lebrun, arcivescovo di Rouen, ha annunciato che Lei ha autorizzato a cominciare il processo di beatificazione di padre Hamel senza tenere conto della regola dell’attesa dei cinque anni. Perché ha preso questa decisione? Grazie.

Papa Francesco:

Su quest’ultimo: ho parlato con il Cardinale Amato [Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi], faremo degli studi e lui darà la notizia ultima. Ma l’intenzione è andare su questa linea, fare le ricerche necessarie e vedere se ci sono le ragioni per farlo.

[“Ha annunciato che era aperto il processo di beatificazione”]

Papa Francesco:

No, che si devono cercare testimonianze per aprire il processo. Non perdere le testimonianze, questo è molto importante. Perché le testimonianze fresche, quello che ha visto la gente, poi con il tempo qualcuno muore, qualcuno si dimentica… e questo succede. In latino si dice: ne pereant probationes.

La Cina. Voi conoscete bene la storia della Cina e della Chiesa: la Chiesa patriottica, la Chiesa nascosta… Ma noi siamo in buoni rapporti, si studia e si parla, ci sono commissioni di lavoro… Io sono ottimista. Adesso credo che i Musei Vaticani hanno fatto un’esposizione in Cina, i cinesi ne faranno un’altra in Vaticano… Ci sono tanti professori che vanno a fare scuola nelle università cinesi, tante suore, tanti preti che possono lavorare bene lì. I rapporti tra Vaticano e i cinesi… Si deve fissare in un rapporto, e per questo si sta parlando, lentamente… Le cose lente vanno bene, sempre. Le cose in fretta non vanno bene. Il popolo cinese ha la mia più alta stima. L’altro ieri, per esempio, c’è stato un convegno di due giorni, credo, nella [Pontificia] Accademia delle Scienze sulla Laudato si’, e c’era una delegazione cinese del Presidente. E il Presidente cinese mi ha inviato un regalo. Ci sono buone relazioni.

[“Il Papa farà il viaggio?”]

Papa Francesco:

Ah, mi piacerebbe…, ma io non penso ancora.

Dott. Burke:

Grazie. C’è tempo ancora per una domanda? Sì? Juan Vicente Boo del quotidiano spagnolo ABC.

Juan Vicente Boo:

Grazie, Santo Padre. Nel gruppo di lingua spagnola, abbiamo visto che il vincitore del Premio Nobel per la pace verrà annunciato il prossimo 7 ottobre. Ci sono più di 300 nomination: ad esempio, il popolo di Lesbo per quello che ha fatto in favore dei rifugiati, o i Caschi Bianchi della Siria, questi volontari che tirano fuori la gente dalle macerie dopo i bombardamenti: ne hanno tirati fuori 60 mila al prezzo della vita di 132 di loro. O anche il presidente Santos della Colombia e il comandante Timoshenko delle Farc, che hanno firmato l’Accordo di pace. E tanti altri. Allora, la domanda è: qual è il Suo candidato favorito o quali sono le persone o le organizzazioni che meritano più riconoscimento per il lavoro che fanno in favore della pace? Grazie.

Papa Francesco:

C’è tanta gente che vive per fare la guerra, per fare la vendita delle armi, per uccidere, ce n’è tanta. Ma c’è anche tanta gente che lavora per la pace, tanta, tanta. Io non saprei dire quale scegliere fra tanta gente, che oggi lavora per la pace, è molto difficile. Lei ne ha menzionati alcuni, ce ne sono di più. Ma sempre c’è l’inquietudine di dare un premio per la pace... Io mi auguro anche che a livello internazionale, lasciando da parte il Premio Nobel per la pace, ci sia un ricordo, un riconoscimento, una dichiarazione sui bambini, sui disabili, sui minorenni, sui civili morti sotto le bombe. Credo che quello sia un peccato! E’ un peccato contro Gesù Cristo, perché la carne di quei bambini, di quella gente ammalata, di quegli anziani indifesi, è la carne di Cristo. Bisognerebbe che l’umanità dicesse qualcosa per le vittime delle guerre. Per quelli che fanno la pace, Gesù ha detto che sono beati, nelle Beatitudini: “Gli operatori di pace”. Ma le vittime delle guerre, dobbiamo dire qualcosa e prendere coscienza! Che ti buttano su un ospedale di bambini una bomba e ne muoiono trenta, quaranta… O su una scuola… Questa è una tragedia dei nostri giorni.

Dott. Burke:

Grazie, Santo Padre. Il prossimo è John Jeremiah Sullivan, del “New York Times Magazine”, è il primo viaggio che fa.

John Jeremiah Sullivan:

Santo Padre, come Lei sa, gli Stati Uniti si stanno avvicinando alla fine di una lunga campagna presidenziale, molto brutta, che ha ricevuto molta attenzione nel mondo. Molti cattolici americani e persone di coscienza hanno difficoltà nella scelta tra due candidati, uno dei quali si allontana da alcuni aspetti degli insegnamenti della Chiesa e l’altro ha fatto dichiarazioni che denigrano immigranti e minoranze religiose. Quale consiglio darebbe ai fedeli in America? E a quale saggezza Lei li richiamerebbe il prossimo mese, quando ci saranno le elezioni?

Papa Francesco:

Lei mi fa una domanda in cui descrive una scelta difficoltosa, perché secondo Lei c’è difficoltà in uno e c’è difficoltà nell’altro. In campagna elettorale io mai dico una parola. Il popolo è sovrano, e soltanto dirò: studia bene le proposte, prega e scegli in coscienza! Poi esco dal problema e vado a una “finzione” [un caso immaginario], perché non voglio parlare del problema concreto. Quando succede che in un Paese qualsiasi ci sono due, tre, quattro candidati che non risultano soddisfacenti, significa che la vita politica di quel Paese forse è troppo politicizzata ma non ha molta cultura politica. E uno dei compiti della Chiesa e dell’insegnamento nelle facoltà è di insegnare ad avere cultura politica. Ci sono Paesi – io penso all’America Latina – che sono troppo politicizzati ma non hanno cultura politica: sono di questo partito o di quell’altro o di quell’altro, ma affettivamente, senza un pensiero chiaro sulle basi, sulle proposte.

Dott. Burke:

Grazie, Santo Padre. Adesso c’è Caroline Pigozzi.

Caroline Pigozzi:

Santità, buona sera. Questa domanda non potevo farGliela prima. La testimonianza per la storia, secondo Lei, è più importante che il testamento di un Papa? Mi spiego: Papa Wojtyla aveva lasciato nel suo testamento che fossero bruciati molti documenti e molte lettere che si sono poi ritrovati in un libro: vuol dire che la volontà di un Papa forse non è rispettata? Volevo sapere cosa ne pensa. Poi, la seconda domanda è più facile: vorrei sapere per quale miracolo Lei, che stringe la mano a migliaia di persone tutte le settimane, non ha ancora una tendinite. Come fa? Il presidente Chirac stringeva mani, lui si metteva un cerotto…

Papa Francesco:

Io ancora non sento tendiniti… La prima domanda. Lei dice: un Papa che manda a bruciare carte, lettere… questo è il diritto di ogni uomo e ogni donna, ha il diritto di farlo prima di morire.

Caroline Pigozzi:

Ma non è stato rispettato con Papa Wojtyla… c’è stato quel libro…

Papa Francesco:

Ah, quello… Chi non ha rispettato quello, sarà colpevole, non so, non conosco bene il caso. Ma ogni persona, quando dice: “Questo si deve distruggere”, è perché c’è qualcosa di concreto. Ma forse c’è una copia da un’altra parte, e questo lui non lo sapeva… Ma è un diritto di ogni persona fare il testamento come vuole.

Caroline Pigozzi:

Anche del Papa, ma lui non è stato rispettato.

Papa Francesco:

Di tanta gente non è stato rispettato il testamento…

Caroline Pigozzi:

Ma il Papa è più importante.

Papa Francesco:

No. Il Papa è un povero peccatore, come gli altri. Grazie.

Dott. Burke:

Il Papa ha detto che c’è spazio per una domanda ancora, però non c’è nessuno sul mio elenco.

Intanto, vorrei dire che oggi [al termine della Messa a Baku] ha risposto a una domanda, sul perché fa questi viaggi in posti dove ci sono pochissimi cattolici, e questo ci è piaciuto. Neanche noi pensiamo di perdere tempo: facciamo questi viaggi brevi ma intensi. Però, se Lei ne vuole fare uno lungo e rilassante, possiamo anche farlo…

Papa Francesco:

No…

Dopo il primo viaggio, che è stato in Albania, mi hanno detto: “Perché Lei ha scelto di andare in Albania nel primo viaggio in Europa? Un Paese che non è dell’Unione Europea?”. Poi sono andato a Sarajevo, in Bosnia Erzegovina, che non è dell’Unione Europea. Il primo Paese dell’Unione Europea nel quale sono andato è stata la Grecia, l’Isola di Lesbo: il primo. E’ stato il primo. Perché fare viaggi in questi Paesi? Questi tre sono caucasici. I tre Presidenti sono venuti in Vaticano a invitarmi. E con forza. E tutti e tre hanno un atteggiamento religioso diverso: gli armeni sono fieri – e questo senza offendere – fieri della loro “armenità”, hanno una storia, e loro sono cristiani, la grande maggioranza, quasi tutti cristiani apostolici, poi cristiani cattolici e un pochettino di cristiani evangelici, pochi. La Georgia è un Paese cristiano, totalmente cristiano, ma ortodosso. I cattolici sono pochi, un gruppo, ma sono ortodossi. Invece l’Azerbaigian è un Paese credo al 96-98% musulmano. Non so quanti abitanti abbia, perché io ho detto due milioni, ma credo che siano venti…

[“Circa dieci”]

Papa Francesco:

…circa dieci, ecco. Circa dieci milioni. I cattolici sono al massimo 600: piccolini. E io, perché vado lì? Per i cattolici, per andare alla periferia di una comunità cattolica, che è proprio nella periferia, è piccolina. E oggi a Messa ho detto che mi faceva ricordare la comunità “periferica” di Gerusalemme, chiusa nel Cenacolo, in attesa dello Spirito Santo, in attesa di poter crescere, uscire… E’ piccola. Non è perseguitata, no, perché in Azerbaigian c’è un grande rispetto religioso, una grande libertà religiosa. Questo è vero, l’ho detto oggi nel discorso. E anche questi tre Paesi sono Paesi periferici, come l’Albania, la Bosnia Erzegovina … E io vi ho detto: la realtà si capisce meglio e si vede meglio dalle periferie che dal centro. E per questo scelgo di andare lì. Ma questo non toglie la possibilità di andare in un grande Paese come il Portogallo, la Francia, non so… Vediamo…

Grazie tante per il vostro lavoro. Adesso riposate un po’. E buona cena. Grazie. E pregate per me.


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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