A tutti voi che passate da qui: BENVENUTI
Se avete desiderio di capire che cosa insegna la Bibbia che il Magistero della Santa Chiesa, con il Sommo Pontefice ci insegna, questo Gruppo fa per voi. Non siamo "esperti" del settore, ma siamo Laici impegnati nella Chiesa che qui si sono incontrati da diverse parti d'Italia per essere testimoni anche nella rete della Verità che tentiamo di vivere nel quotidiano, come lo stesso amato Giovanni Paolo II suggeriva.
Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Raccolta Magistero Benedetto XVI 1° e 2 novembre

Ultimo Aggiornamento: 29/10/2016 14:08
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 39.988
Sesso: Femminile
29/10/2016 14:08
 
Email
 
Scheda Utente
 
Quota

CAPPELLA PAPALE IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E VESCOVI 
DEFUNTI NEL CORSO DELL'ANNO

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Lunedì, 3 novembre 200
8


       

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle
!

All’indomani della Commemorazione liturgica di tutti i fedeli defunti, ci siamo radunati quest’oggi, secondo una bella tradizione, per celebrare il Sacrificio eucaristico in suffragio dei nostri Fratelli Cardinali e Vescovi che hanno lasciato questo mondo durante l’ultimo anno. La nostra preghiera è animata e confortata dal mistero della comunione dei santi, mistero che nei giorni scorsi abbiamo nuovamente contemplato nell’intento di comprenderlo, accoglierlo e viverlo sempre più intensamente.

In questa comunione ricordiamo con grande affetto i Signori Cardinali Stephen Fumio Hamao, Alfons Maria Stickler, Aloisio Lorscheider, Peter Porekuu Dery, Adolfo Antonio Suárez Rivera, Ernesto Corripio Ahumada, Alfonso López Trujillo, Bernardin Gantin, Antonio Innocenti e Antonio José Gonzáles Zumárraga. Noi li crediamo e li sentiamo vivi nel Dio dei viventi. E con loro ricordiamo anche ciascuno degli Arcivescovi e dei Vescovi, che negli ultimi dodici mesi sono passati da questo mondo alla Casa del Padre. Per tutti vogliamo pregare, lasciandoci illuminare nella mente e nel cuore dalla Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato.

La prima lettura - un brano del Libro della Sapienza (4,7-15) - ci ha ricordato che vera anzianità veneranda non è solo la lunga età, ma la saggezza e un’esistenza pura, senza malizia. E se il Signore chiama a sé un giusto anzitempo, è perché su di lui ha un disegno di predilezione a noi sconosciuto: la morte prematura di una persona a noi cara diventa un invito a non attardarci a vivere in modo mediocre, ma a tendere al più presto alla pienezza della vita. C’è nel testo della Sapienza una vena di paradosso che ritroviamo anche nella pericope evangelica (Mt 11,25-30). In entrambe le letture emerge un contrasto tra ciò che appare allo sguardo superficiale degli uomini e ciò che invece vedono gli occhi di Dio. Il mondo reputa fortunato chi vive a lungo, ma Dio, più che all’età, guarda alla rettitudine del cuore. Il mondo dà credito ai “sapienti” e ai “dotti”, mentre Dio predilige i “piccoli”. L’insegnamento generale che ne deriva è che vi sono due dimensioni del reale: una più profonda, vera ed eterna, l’altra segnata dalla finitezza, dalla provvisorietà e dall’apparenza. Ora, è importante sottolineare che queste due dimensioni non sono poste in semplice successione temporale, come se la vita vera cominciasse solo dopo la morte. In realtà, la vita vera, la vita eterna inizia già in questo mondo, pur entro la precarietà delle vicende della storia; la vita eterna inizia nella misura in cui noi ci apriamo al mistero di Dio e lo accogliamo in mezzo a noi. E’ Dio il Signore della vita e in Lui “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,28), come ebbe a dire san Paolo all’Areopago di Atene.

Dio è la vera sapienza che non invecchia, è la ricchezza autentica che non marcisce, è la felicità a cui aspira in profondità il cuore di ogni uomo. Questa verità, che attraversa i Libri sapienziali e riemerge nel Nuovo Testamento, trova compimento nell’esistenza e nell’insegnamento di Gesù. Nella prospettiva della sapienza evangelica, la stessa morte è portatrice di un salutare ammaestramento, perché costringe a guardare in faccia la realtà; spinge a riconoscere la caducità di ciò che appare grande e forte agli occhi del mondo. Di fronte alla morte perde d’interesse ogni motivo di orgoglio umano e risalta invece ciò che vale sul serio. Tutto finisce, tutti in questo mondo siamo di passaggio. Solo Dio ha la vita in sé, è la vita. La nostra è una vita partecipata, donata «ab alio», perciò un uomo può arrivare alla vita eterna solo a causa della relazione particolare che il Creatore gli ha donato con sé. Ma Dio, vedendo l'allontanamento dell'uomo da sé, ha fatto un passo ulteriore, ha creato una nuova relazione tra sé e noi della quale ci parla la seconda lettura della Liturgia di oggi. Egli, Cristo «ha dato la sua vita per noi» (1 Gv 3, 16).

Se Dio - scrive san Giovanni - ci ha amato gratuitamente, anche noi possiamo, e dunque dobbiamo lasciarci coinvolgere da questo movimento oblativo, e fare di noi stessi un dono gratuito per gli altri. In questo modo conosciamo Dio come siamo da Lui conosciuti; in questo modo dimoriamo in Lui come Lui ha voluto dimorare in noi, e passiamo dalla morte alla vita (cfr 1 Gv 3,14) come Gesù Cristo, che ha sconfitto la morte con la sua risurrezione, grazie alla potenza gloriosa dell’amore del Padre celeste.

Cari fratelli e sorelle, questa Parola di vita e di speranza ci è di profondo conforto dinanzi al mistero della morte, specialmente quando colpisce le persone che a noi sono più care. Il Signore ci assicura quest’oggi che i nostri compianti Fratelli, per i quali particolarmente preghiamo in questa santa Messa, sono passati dalla morte alla vita perchè hanno scelto Cristo, ne hanno accolto il giogo soave (cfr Mt 11,29) e si sono consacrati al servizio dei fratelli. Perciò, se anche hanno da espiare la loro parte di pena dovuta all’umana fragilità – che tutti ci segna, aiutandoci a mantenerci umili –, la fedeltà a Cristo permette loro di entrare nella libertà dei figli di Dio. Se dunque ci ha rattristato doverci distaccare da loro, e tuttora ci addolora la loro mancanza, la fede ci riempie di intimo conforto al pensiero che, come è stato per il Signore Gesù, e sempre grazie a Lui, la morte non ha più potere su di loro (cfr Rm 6,9). Passando, in questa vita, attraverso il Cuore misericordioso di Cristo, sono entrati “in un luogo di riposo” (Sap4,7). Ed ora ci è caro pensarli in compagnia dei santi, finalmente sollevati dalle amarezze di questa vita, ed avvertiamo noi pure il desiderio di poterci unire un giorno a così felice compagnia.

Nel Salmo responsoriale abbiamo ripetuto queste consolanti parole: “Bontà e fedeltà mi saranno compagne / tutti i giorni della mia vita, / abiterò ancora nella casa del Signore / per lunghi giorni” (Sal 23[22],6). Sì, amiamo sperare che il Buon Pastore abbia accolto questi nostri Fratelli, per i quali celebriamo il divin Sacrificio, al tramonto della loro giornata terrena e li abbia introdotti nella sua intimità beata. L’olio benedetto – a cui si accenna nel Salmo (v. 5) - è stato posto per tre volte sul loro capo e una volta sulle loro mani; il calice (ibid.) glorioso di Gesù Sacerdote è diventato anche il loro calice, che hanno alzato giorno dopo giorno, lodando il nome del Signore. Ora sono giunti ai pascoli del cielo, dove i segni lasciano il posto alla realtà.

Cari fratelli e sorelle, uniamo la nostra comune preghiera ed innalziamola al Padre di ogni bontà e misericordia affinché, per intercessione di Maria Santissima, l’incontro con il fuoco del suo amore purifichi presto questi nostri amici defunti da ogni imperfezione e li trasformi a lode della sua gloria. E preghiamo perché noi, pellegrini sulla terra, manteniamo sempre orientati gli occhi e il cuore verso la meta ultima a cui aneliamo, la casa del Padre, il Cielo. E così sia!




CAPPELLA PAPALE IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E VESCOVI 
DEFUNTI NEL CORSO DELL'ANNO

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Giovedì, 5 novembre 2009
          

Immagini della celebrazione

 
 

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

“Quale gioia, quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore!”. Le parole del Salmo 122, che abbiamo cantato poco fa, ci invitano ad elevare lo sguardo del cuore verso la “casa del Signore”, verso il Cielo dove è misteriosamente raccolta, nella visione beatifica di Dio, la schiera di tutti i Santi che la liturgia ci ha fatto contemplare qualche giorno fa. Alla solennità dei Santi è seguita la commemorazione di tutti i Fedeli defunti. Queste due celebrazioni, vissute in un profondo clima di fede e di preghiera, ci aiutano a meglio percepire il mistero della Chiesa nella sua totalità e a comprendere sempre più che la vita deve essere una continua vigile attesa, un pellegrinaggio verso la vita eterna, compimento ultimo che dà senso e pienezza al nostro cammino terreno. Alle porte della Gerusalemme celeste “già sono fermi i nostri piedi” (v. 2).

A questa meta definitiva sono ormai giunti i compianti Cardinali: Avery Dulles, Pio Laghi, Stéphanos II Ghattas, Stephen Kim Sou-Hwan, Paul Joseph Pham Đình Tung, Umberto Betti, Jean Margéot, e i numerosi Arcivescovi e Vescovi che ci hanno lasciato durante quest’ultimo anno. Li ricordiamo con affetto e rendiamo grazie a Dio per il bene che hanno compiuto. In loro suffragio offriamo il Sacrificio eucaristico, raccolti, come ogni anno, in questa Basilica Vaticana. Pensiamo a loro nella comunione, reale e misteriosa, che unisce noi pellegrini sulla terra a quanti ci hanno preceduti nell’aldilà, certi che la morte non spezza i vincoli di fraternità spirituale sigillati dai Sacramenti del Battesimo e dell’Ordine.

In questi venerati nostri Fratelli amiamo riconoscere i servi di cui parla la parabola evangelica poc’anzi proclamata: servi fedeli, che il padrone, di ritorno dalle nozze, ha trovato svegli e pronti (cfr Lc 12,36-38); pastori che hanno servito la Chiesa assicurando al gregge di Cristo la necessaria cura; testimoni del Vangelo che, nella varietà dei doni e dei compiti, hanno dato prova di operosa vigilanza, di generosa dedizione alla causa del Regno di Dio. Ogni celebrazione eucaristica, alla quale tante volte essi pure hanno partecipato dapprima come fedeli e poi come sacerdoti, anticipa nel modo più eloquente quanto il Signore ha promesso: Egli stesso, sommo ed eterno Sacerdote, farà mettere i suoi servi a tavola e passerà a servirli (cfr Lc 12,37). Sulla Mensa eucaristica, convito nuziale della Nuova Alleanza, Cristo, Agnello pasquale si fa nostro cibo, distrugge la morte e ci dona la sua vita, la vita senza fine. Fratelli e sorelle, anche noi restiamo desti e vigilanti: ci trovi così “il padrone quando torna dalle nozze, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba” (cfr Lc 12,38). Anche noi, allora, come i servi del Vangelo, saremo Beati!

“Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio” (Sap 3,1). La prima lettura, tratta dal libro della Sapienza, parla di giusti perseguitati, messi ingiustamente a morte. Ma se anche la loro morte – sottolinea l’Autore sacro – avviene in circostanze umilianti e dolorose tali da sembrare una sciagura, in verità per chi ha fede non è così: “essi sono nella pace” e, se pur subirono castighi agli occhi degli uomini, “la loro speranza è piena di immortalità” (vv. 3-4). È doloroso il distacco dai propri cari, è un enigma carico di inquietudine l’evento della morte, ma, per i credenti, comunque esso avvenga, è sempre illuminato dalla “speranza dell’immortalità”. La fede ci sostiene in questi momenti umanamente carichi di tristezza e di sconforto: “Ai tuoi occhi la vita non è tolta ma trasformata – ricorda la liturgia -; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel Cielo” (Prefazio dei defunti). Cari fratelli e sorelle, sappiamo bene e lo sperimentiamo nel nostro cammino che non mancano difficoltà e problemi in questa vita, ci sono situazioni di sofferenza e di dolore, momenti difficili da comprendere e accettare. Tutto però acquista valore e significato se viene considerato nella prospettiva dell’eternità. Ogni prova, infatti, accolta con perseverante pazienza ed offerta per il Regno di Dio, torna a nostro vantaggio spirituale già quaggiù e soprattutto nella vita futura, in Cielo. In questo mondo siamo di passaggio, saggiati nel crogiuolo come l’oro, afferma la Sacra Scrittura (cfr Sap 3,6). Misteriosamente associati alla passione di Cristo, possiamo fare della nostra esistenza un’offerta gradita al Signore, un volontario sacrificio di amore.

Nel Salmo responsoriale e poi nella seconda lettura, tratta dalla prima Lettera di Pietro, troviamo come un’eco alle parole del libro della Sapienza. Mentre il Salmo 122, riprendendo il canto dei pellegrini che ascendono alla Città santa e dopo un lungo cammino giungono pieni di gioia alle sue porte, ci proietta nel clima di festa del Paradiso, san Pietro ci esorta, durante il pellegrinaggio terreno, a tener viva nel cuore la prospettiva della speranza, di una “speranza viva” (1,3). Di fronte all’inevitabile dissolversi della scena di questo mondo – egli annota – ci è data la promessa di un’“eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce” (v. 4), perché Dio ci ha rigenerati, nella sua grande misericordia, “mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti” (1,3). Ecco il motivo per cui dobbiamo essere “ricolmi di gioia”, anche se siamo afflitti da varie pene. Se, infatti, perseveriamo nel bene, la nostra fede, purificata da molte prove, risplenderà un giorno in tutto il suo fulgore e tornerà a nostra lode, gloria e onore quando Gesù si manifesterà nella sua gloria. Sta qui la ragione della nostra speranza, che già qui ci fa esultare “di gioia indicibile e gloriosa”, mentre siamo in cammino verso la meta della nostra fede: la salvezza delle anime (cfr vv. 6-8).

Cari fratelli e sorelle, è con tali sentimenti che vogliamo affidare alla Divina Misericordia questi Cardinali, Arcivescovi e Vescovi, con i quali abbiamo lavorato insieme nella vigna del Signore. Definitivamente liberati da ciò che resta in loro dell’umana fragilità li accolga il Padre celeste nel suo Regno eterno e conceda loro il premio promesso ai buoni e fedeli servitori del Vangelo. Li accompagni, con la sua materna sollecitudine, la Vergine Santa, e apra loro le porte del Paradiso. Aiuti la Vergine Maria anche noi, ancora viandanti sulla terra, a mantenere fisso lo sguardo verso la patria che ci attende; ci incoraggi a restare pronti “con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese” per accogliere il Signore “quando arriva e bussa” (Lc 12,35-36). A qualsiasi ora e in qualsiasi momento. Amen!

   

CAPPELLA PAPALE IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E VESCOVI 
DEFUNTI NEL CORSO DELL'ANNO

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Altare della Cattedra della Basilica Vaticana
Giovedì, 4 novembre 20
10

(Video
Galleria fotografica

 

Signori Cardinali,
cari fratelli e sorelle!

«Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù». Le parole che abbiamo ascoltato poc’anzi nella seconda lettura (Col3,1-4) ci invitano ad elevare lo sguardo alle realtà celesti. Infatti, con l’espressione «le cose di lassù» san Paolo intende il Cielo, poiché aggiunge: «dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio». L’Apostolo intende riferirsi alla condizione dei credenti, di coloro che sono «morti» al peccato e la cui vita «è ormai nascosta con Cristo in Dio». Essi sono chiamati a vivere quotidianamente nella signoria di Cristo, principio e compimento di ogni loro azione, testimoniando la vita nuova che è stata loro donata nel Battesimo. Questo rinnovamento in Cristo avviene nell’intimo della persona: mentre continua la lotta contro il peccato, è possibile progredire nella virtù, cercando di dare una risposta piena e pronta alla Grazia di Dio.

Per antitesi, l’Apostolo segnala poi «le cose della terra», evidenziando così che la vita in Cristo comporta una «scelta di campo», una radicale rinuncia a tutto ciò che – come zavorra – tiene l’uomo legato alla terra, corrompendo la sua anima. La ricerca delle «cose di lassù» non vuol dire che il cristiano debba trascurare i propri obblighi e compiti terreni, soltanto non deve smarrirsi in essi, come se avessero un valore definitivo. Il richiamo alle realtà del Cielo è un invito a riconoscere la relatività di ciò che è destinato a passare, a fronte di quei valori che non conoscono l'usura del tempo. Si tratta di lavorare, di impegnarsi, di concedersi il giusto riposo, ma col sereno distacco di chi sa di essere solo un viandante in cammino verso la Patria celeste; un pellegrino; in un certo senso, uno straniero verso l’eternità.

A questo traguardo ultimo sono ormai giunti i compianti Cardinali Peter Seiichi Shirayanagi, Cahal Brendan Daly, Armand Gaétan Razafindratandra, Thomáš Špidlik, Paul Augustin Mayer, Luigi Poggi; come pure i numerosi Arcivescovi e Vescovi che ci hanno lasciato nel corso di quest’ultimo anno. Con sentimenti di affetto li vogliamo ricordare, rendendo grazie a Dio per i suoi doni elargiti alla Chiesa proprio attraverso questi nostri Fratelli che ci hanno preceduto nel segno della fede e ora dormono il sonno della pace. Il nostro ringraziamento diventa preghiera di suffragio per loro, affinché il Signore li accolga nella beatitudine del Paradiso. Per le loro anime elette offriamo questa Santa Eucaristia, stringendoci attorno all'Altare, su cui si rende presente il Sacrificio che proclama la vittoria della Vita sulla morte, della Grazia sul peccato, del Paradiso sull'inferno.

Questi venerati nostri Fratelli amiamo ricordarli come Pastori zelanti, il cui ministero è stato sempre segnato dall'orizzonte escatologico che anima la speranza nella felicità senz'ombra a noi promessa dopo questa vita; come testimoni del Vangelo protesi a vivere quelle «cose di lassù», che sono il frutto dello Spirito: «amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22); come cristiani e Pastori animati da profonda fede, dal vivo desiderio di conformarsi a Gesù e di aderire intimamente alla sua Persona, contemplando incessantemente il suo volto nella preghiera. Per questo essi hanno potuto pregustare la «vita eterna», di cui ci parla l’odierna pagina del Vangelo (Gv 3,13-17) e che Cristo stesso ha promesso a «chiunque crede in lui». L’espressione «vita eterna», infatti, designa il dono divino concesso all’umanità: la comunione con Dio in questo mondo e la sua pienezza in quello futuro.

La vita eterna ci è stata aperta dal Mistero Pasquale di Cristo e la fede è la via per raggiungerla. E’ quanto emerge dalle parole rivolte da Gesù a Nicodemo e riportate dall’evangelista Giovanni: «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15). Qui vi è l’esplicito riferimento all’episodio narrato nel libro dei Numeri (21,1-9), che mette in risalto la forza salvifica della fede nella parola divina. Durante l’esodo, il popolo ebreo si era ribellato a Mosè e a Dio, e venne punito con la piaga dei serpenti velenosi. Mosè chiese perdono, e Dio, accettando il pentimento degli Israeliti, gli ordina: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque dopo esser stato morso lo guarderà, resterà in vita». E così avvenne. Gesù, nella conversazione con Nicodemo, svela il senso più profondo di quell’evento di salvezza, rapportandolo alla propria morte e risurrezione: il Figlio dell’uomo deve essere innalzato sul legno della Croce perché chi crede in Lui abbia la vita. San Giovanni vede proprio nel mistero della Croce il momento in cui si rivela la gloria regale di Gesù, la gloria di un amore che si dona interamente nella passione e morte. Così la Croce, paradossalmente, da segno di condanna, di morte, di fallimento, diventa segno di redenzione, di vita, di vittoria, in cui, con sguardo di fede, si possono scorgere i frutti della salvezza.

Continuando il dialogo con Nicodemo, Gesù approfondisce ulteriormente il senso salvifico della Croce, rivelando con sempre maggiore chiarezza che esso consiste nell’immenso amore di Dio e nel dono del Figlio unigenito: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». E’ questa una delle parole centrali del Vangelo. Il soggetto è Dio Padre, origine di tutto il mistero creatore e redentore. I verbi “amare” e “dare” indicano un atto decisivo e definitivo che esprime la radicalità con cui Dio si è avvicinato all’uomo nell’amore, fino al dono totale, a varcare la soglia della nostra ultima solitudine, calandosi nell’abisso del nostro estremo abbandono, oltrepassando la porta della morte. L’oggetto e il beneficiario dell’amore divino è il mondo, cioè l’umanità. E’ una parola che cancella completamente l’idea di un Dio lontano ed estraneo al cammino dell’uomo, e svela, piuttosto, il suo vero volto: Egli ci ha donato il suo Figlio per amore, per essere il Dio vicino, per farci sentire la sua presenza, per venirci incontro e portarci nel suo amore, in modo che tutta la vita sia animata da questo amore divino. Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e donare la vita. Dio non spadroneggia, ma ama senza misura. Non manifesta la sua onnipotenza nel castigo, ma nella misericordia e nel perdono. Capire tutto questo significa entrare nel mistero della salvezza: Gesù è venuto per salvare e non per condannare; con il Sacrificio della Croce egli rivela il volto di amore di Dio. E proprio per la fede nell’amore sovrabbondante donatoci in Cristo Gesù, noi sappiamo che anche la più piccola forza di amore è più grande della massima forza distruttrice e può trasformare il mondo, e per questa stessa fede noi possiamo avere una “speranza affidabile”, quella nella vita eterna e nella risurrezione della carne.

Cari fratelli e sorelle, con le parole della prima lettura, tratta dal libro delle Lamentazioni, chiediamo che i Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi, che oggi ricordiamo, generosi servitori del Vangelo e della Chiesa, possano ora conoscere pienamente quanto «buono è il Signore con chi spera in lui, con l’anima che lo cerca» e sperimentare che «presso il Signore è la misericordia e grande presso di lui la redenzione» (Sal 129). E noi, pellegrini in cammino verso la Gerusalemme celeste, aspettiamo in silenzio, con ferma speranza, la salvezza del Signore (cfr Lam 3,26), cercando di camminare sulle vie del bene, sostenuti dalla grazia di Dio, ricordando sempre che “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14). Amen.

    

CAPPELLA PAPALE IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E VESCOVI 
DEFUNTI NEL CORSO DELL'ANNO

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica VaticanaAltare della Cattedra
Giovedì, 3 novembre 2011

[Video]
Galleria fotografica
 

 

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

All’indomani della Commemorazione liturgica di tutti i fedeli defunti, ci siamo riuniti intorno all’altare del Signore per offrire il suo Sacrificio in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi che, nel corso dell’ultimo anno, hanno concluso il loro pellegrinaggio terreno. Con grande affetto ricordiamo i venerati membri del Collegio Cardinalizio che ci hanno lasciato: Urbano Navarrete, S.I., Michele Giordano, Varkey Vithayathil, C.SS.R., Giovanni Saldarini, Agustín García-Gasco Vicente, Georg Maximilian Sterzinsky, Kazimierz Świątek, Virgilio Noè, Aloysius Matthew Ambrozic, Andrzej Maria Deskur. Insieme con essi presentiamo al trono dell’Altissimo le anime dei compianti Fratelli nell’Episcopato. Per tutti e per ciascuno eleviamo la nostra preghiera, animati dalla fede nella vita eterna e nel mistero della comunione dei santi. Una fede piena di speranza, illuminata anche dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato.

Il brano tratto dal Libro del profeta Osea ci fa pensare immediatamente alla risurrezione di Gesù, al mistero della sua morte e del suo risveglio alla vita immortale. Questo passo di Osea – la prima metà del capitolo VI – era profondamente impresso nel cuore e nella mente di Gesù. Egli infatti – nei Vangeli – riprende più di una volta il versetto 6: “voglio l’amore e non il sacrificio, / la conoscenza di Dio più degli olocausti”. Invece il versetto 2 Gesù non lo cita, ma lo fa suo e lo realizza nel mistero pasquale: “Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza”. Alla luce di questa parola, il Signore Gesù è andato incontro alla passione, ha imboccato con decisione la via della croce; Egli parlava apertamente ai suoi discepoli di ciò che doveva accadergli a Gerusalemme, e l’oracolo del profeta Osea risuonava nelle sue stesse parole: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà” (Mc 9,31).

L’evangelista annota che i discepoli “non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo” (v. 32). Anche noi, di fronte alla morte, non possiamo non provare i sentimenti e i pensieri dettati dalla nostra condizione umana. E sempre ci sorprende e ci supera un Dio che si fa così vicino a noi da non fermarsi nemmeno davanti all’abisso della morte, che anzi lo attraversa, rimanendo per due giorni nel sepolcro. Ma proprio qui si attua il mistero del “terzo giorno”. Cristo assume fino in fondo la nostra carne mortale affinché essa sia investita dalla gloriosa potenza di Dio, dal vento dello Spirito vivificante, che la trasforma e la rigenera. E’ il battesimo della passione (cfr Lc 12,50), che Gesù ha ricevuto per noi e di cui scrive san Paolo nella Lettera ai Romani. L’espressione che l’Apostolo utilizza – “battezzati nella sua morte” (Rm 6,3) – non cessa mai di stupirci, tale è la concisione con cui riassume il vertiginoso mistero. La morte di Cristo è fonte di vita, perché in essa Dio ha riversato tutto il suo amore, come in un’immensa cascata, che fa pensare all’immagine contenuta nel Salmo 41: “Un abisso chiama l’abisso / al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde / sopra di me sono passati” (v. 8). L’abisso della morte viene riempito da un altro abisso, ancora più grande, che è quello dell’amore di Dio, così che la morte non ha più alcun potere su Gesù Cristo (cfr Rm 8,9), né su coloro che, per la fede e il Battesimo, sono associati a Lui: “Se siamo morti con Cristo – dice san Paolo – crediamo che anche vivremo con lui” (Rm 8,8). Questo “vivere con Gesù” è il compimento della speranza profetizzata da Osea: “… e noi vivremo alla sua presenza” (6,2).

In realtà, è solo in Cristo che tale speranza trova il suo fondamento reale. Prima essa rischiava di ridursi ad un’illusione, ad un simbolo ricavato dal ritmo delle stagioni: “come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera” (Os 6,3). Al tempo del profeta Osea, la fede degli Israeliti minacciava di contaminarsi con le religioni naturalistiche della terra di Canaan, ma questa fede non è in grado di salvare nessuno dalla morte. Invece l’intervento di Dio nel dramma della storia umana non obbedisce a nessun ciclo naturale, obbedisce solamente alla sua grazia e alla sua fedeltà. La vita nuova ed eterna è frutto dell’albero della Croce, un albero che fiorisce e fruttifica per la luce e la forza che provengono dal sole di Dio. Senza la Croce di Cristo, tutta l’energia della natura rimane impotente di fronte alla forza negativa del peccato. Era necessaria una forza benefica più grande di quella che manda avanti i cicli della natura, un Bene più grande di quello della stessa creazione: un Amore che procede dal “cuore” stesso di Dio e che, mentre rivela il senso ultimo del creato, lo rinnova e lo orienta alla sua meta originaria e ultima.

Tutto questo avvenne in quei “tre giorni”, quando il “chicco di grano” cadde nella terra, vi rimase per il tempo necessario a colmare la misura della giustizia e della misericordia di Dio, e finalmente produsse “molto frutto”, non rimanendo solo, ma come primizia di una moltitudine di fratelli (cfr Gv 12,24; Rm 8,29). Ora sì, grazie a Cristo, grazie all’opera compiuta in Lui dalla Santissima Trinità, le immagini tratte dalla natura non sono più soltanto simboli, miti illusori, ma ci parlano di una realtà. A fondamento della speranza c’è la volontà del Padre e del Figlio, che abbiamo ascoltato nel Vangelo di questa Liturgia: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io” (Gv 17,24). E tra costoro, che il Padre ha dato a Gesù, ci sono anche i venerati Fratelli per i quali offriamo questa Eucaristia: essi “hanno conosciuto” Dio mediante Gesù, hanno conosciuto il suo nome, e l’amore del Padre e del Figlio, lo Spirito Santo, ha dimorato in loro (cfr Gv 12,25-26), aprendo la loro vita al Cielo, all’eternità. Rendiamo grazie a Dio per questo dono inestimabile. E, per intercessione di Maria Santissima, preghiamo perché questo mistero di comunione, che ha riempito tutta la loro esistenza, si compia pienamente in ciascuno di essi.

   

CAPPELLA PAPALE IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E VESCOVI
DEFUNTI NEL CORSO DELL'ANNO

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica VaticanaAltare della Cattedra
Sabato, 3 novembre 2012

[Video]
Galleria fotografica

 

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Nei nostri cuori è presente e vivo il clima della comunione dei Santi e della commemorazione dei fedeli defunti, che la liturgia ci ha fatto vivere in modo intenso nelle celebrazioni dei  giorni scorsi. In particolare, la visita ai cimiteri ci ha permesso di rinnovare il legame con le persone care che ci hanno lasciato; la morte, paradossalmente, conserva ciò che la vita non può trattenere. Come i nostri defunti hanno vissuto, che cosa hanno amato, temuto e sperato, che cosa hanno rifiutato, lo scopriamo, infatti, in modo singolare proprio dalle tombe, che sono rimaste quasi come uno specchio della loro esistenza, del loro mondo: esse ci interpellano e ci inducono a riannodare un dialogo che la morte ha messo in crisi. Così, i luoghi della sepoltura costituiscono come una sorta di assemblea, nella quale i vivi incontrano i propri defunti e con loro rinsaldano i vincoli di una comunione che la morte non ha potuto interrompere. E qui a Roma, in quei cimiteri peculiari che sono le catacombe, avvertiamo, come in nessun altro luogo, i legami profondi con la cristianità antica, che sentiamo così vicina. Quando ci inoltriamo nei corridoi delle catacombe romane - come pure in quelli dei cimiteri delle nostre città e dei nostri paesi -, è come se noi varcassimo una soglia immateriale ed entrassimo in comunicazione con coloro che lì custodiscono il loro passato, fatto di gioie e di dolori, di sconfitte e di speranze. Ciò avviene, perché la morte riguarda l’uomo di oggi esattamente come quello di allora; e anche se tante cose dei tempi passati ci sono diventate estranee, la morte è rimasta la stessa.

Di fronte a questa realtà, l’essere umano di ogni epoca cerca uno spiraglio di luce che faccia sperare, che parli ancora di vita, e anche la visita alle tombe esprime questo desiderio. Ma come rispondiamo noi cristiani alla questione della morte? Rispondiamo con la fede in Dio, con uno sguardo di solida speranza che si fonda sulla Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Allora la morte apre alla vita, a quella eterna, che non è un infinito doppione del tempo presente, ma qualcosa di completamente nuovo. La fede ci dice che la vera immortalità alla quale aspiriamo non è un’idea, un concetto, ma una relazione di comunione piena con il Dio vivente: è lo stare nelle sue mani, nel suo amore, e diventare in Lui una cosa sola con tutti i fratelli e le sorelle che Egli ha creato e redento, con l’intera creazione. La nostra speranza allora riposa sull’amore di Dio che risplende nella Croce di Cristo e che fa risuonare nel cuore le parole di Gesù al buon ladrone: «Oggi con me sarai nel paradiso» (Lc 23,43). Questa è la vita giunta alla sua pienezza: quella in Dio; una vita che noi ora possiamo soltanto intravedere come si scorge il cielo sereno attraverso la nebbia.

In questo clima di fede e di preghiera, cari Fratelli, siamo raccolti attorno all’altare per offrire il Sacrificio eucaristico in suffragio dei Cardinali, degli Arcivescovi e dei Vescovi che, durante l’anno trascorso, hanno terminato la loro esistenza terrena. In modo particolare ricordiamo i compianti Fratelli Cardinali John Patrick Foley, Anthony Bevilacqua, José Sánchez, Ignace Moussa Daoud, Luis Aponte Martínez, Rodolfo Quezada Toruňo, Eugênio de Araújo Sales, Paul Shan Kuo-hsi, Carlo Maria Martini, Fortunato Baldelli. Estendiamo il nostro affettuoso ricordo anche a tutti gli Arcivescovi e Vescovi defunti, chiedendo al Signore, pietoso, giusto e misericordioso (cfr Sal 114), di voler loro concedere il premio eterno promesso ai fedeli servitori del Vangelo.

Ripensando alla testimonianza di questi nostri venerati Fratelli, possiamo riconoscere in essi quei discepoli «miti», «misericordiosi», «puri di cuore», «operatori di pace» di cui ci ha parlato la pericope evangelica (Mt 5,1-12): amici del Signore che, fidandosi della sua promessa, nelle difficoltà e anche nelle persecuzioni hanno conservato la gioia della fede, ed ora abitano per sempre la casa del Padre e godono della ricompensa celeste, ricolmi di felicità e di grazia. I Pastori che oggi ricordiamo hanno, infatti, servito la Chiesa con fedeltà e amore, affrontando talvolta prove onerose, pur di assicurare al gregge loro affidato attenzione e cura. Nella varietà delle rispettive doti e mansioni, hanno dato esempio di solerte vigilanza, di saggia e zelante dedizione al Regno di Dio, offrendo un prezioso contributo alla stagione post-conciliare, tempo di rinnovamento in tutta la Chiesa.

La Mensa eucaristica, alla quale si sono accostati, dapprima come fedeli e poi, quotidianamente, come ministri, anticipa nel modo più eloquente quanto il Signore ha promesso nel «discorso della montagna»: il possesso del Regno dei cieli, il prendere parte alla mensa della Gerusalemme celeste. Preghiamo perché ciò si compia per tutti. La nostra preghiera è alimentata da questa ferma speranza che «non delude» (Rm 5,5), perché garantita da Cristo che ha voluto vivere nella carne l’esperienza della morte per trionfare su di essa con il prodigioso avvenimento della Risurrezione. «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto» (Lc 24,5-6). Questo annuncio degli angeli, proclamato la mattina di Pasqua presso il sepolcro vuoto, è giunto attraverso i secoli fino a noi, e ci propone, anche in questa assemblea liturgica, il motivo essenziale della nostra speranza. Infatti, «se siamo morti con Cristo – ricorda san Paolo alludendo a ciò che è avvenuto nel Battesimo, – crediamo che anche vivremo con lui» (Rm6,8). È lo stesso Spirito Santo, per mezzo del quale l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori, a far sì che la nostra speranza non sia vana (cfr Rm 5,5). Dio Padre, ricco di misericordia, che ha dato alla morte il suo Figlio unigenito quando eravamo ancora peccatori, come non ci donerà la salvezza ora che siamo giustificati per il sangue di Lui (cfr Rm 5,6-11)? La nostra giustizia si basa sulla fede in Cristo. È Lui il «Giusto», preannunciato in tutte le Scritture; è grazie al suo Mistero pasquale che, varcando la soglia della morte, i nostri occhi potranno vedere Dio, contemplare il suo volto (cfr Gb 19,27a).

Alla singolare esistenza umana del Figlio di Dio si affianca quella della sua Madre Santissima, che, sola tra tutte le creature, veneriamo Immacolata e piena di grazia. I nostri Fratelli Cardinali e Vescovi, di cui oggi facciamo memoria, sono stati amati con predilezione dalla Vergine Maria e hanno ricambiato il suo amore con devozione filiale. Alla sua materna intercessione vogliamo oggi affidare le loro anime, affinché siano da Lei introdotti nel Regno eterno del Padre, attorniati da tanti loro fedeli per i quali hanno speso la vita. Col suo sguardo premuroso vegli Maria su di essi, che ora dormono il sonno della pace in attesa della beata risurrezione. E noi eleviamo a Dio per loro la nostra preghiera, sorretti dalla speranza di ritrovarci tutti un giorno, uniti per sempre in Paradiso. Amen.

     



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 22:58. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com