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da una vecchia rubrica ora chiusa di Padre Riccardo Barile O.P. Una malizia al mese

Ultimo Aggiornamento: 26/04/2017 11:08
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06/11/2016 22:50
 
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"Dentro" e "fuori" sono di per se stessi neutri senza l'oggetto contenitore nel quale si è dentro o dal quale si è fuori e qui l'oggetto contenitore è nientemeno che... l'ordine domenicano. Le suore - da non confondersi con le monache - vi appartengono? La domanda potrebbe sembrare oziosa. In realtà non lo è, poiché incontri e iniziative comuni tra frati e suore dovrebbero basarsi sul fondamento di una comune appartenenza. Ma quale?
 
La Famiglia Domenicana è qualcosa di più

I frati sono costituiti in un "Ordine" governato dai Capitoli generali e, fuori dei Capitoli, dal Maestro. Le monache sono unite all'Ordine «con un legame anche giuridico» (LCO 143), cioè sono soggette al Maestro dell'Ordine. Lo stesso, sia pure in modo differente, si può affermare per le Fraternite dei Laici Domenicani.
L'aggiornamento delle Costituzioni che seguì al Vaticano II diede un nome esplicito a una realtà che esisteva da tempo, e cioè a una molteplicità di aggregazioni che si riferivano all'Ordine.

È la Famiglia Domenicana, la quale «risulta formata / coalescit / dai frati chierici e cooperatori, dalle monache, dalle suore, dai membri degli istituti secolari e dalle fraternità dei sacerdoti e dei laici» (LCO 1 § IX). A questo elenco bisogna aggiungere un certo numero di gruppi e associazioni ai quali l'Ordine riconosce l'appartenenza alla Famiglia Domenicana, il cui principio di unità visibile è il Maestro dell'Ordine.

Dal punto di vista giuridico le suore non appartengono all'Ordine: il loro governo è autonomo e il loro riferimento alla Santa Sede è diretto. Naturalmente le suore appartengono alla Famiglia Domenicana e le congregazioni possono essere riconosciute con un particolare atto del Maestro dell'Ordine. Se si passa ad un livello più spirituale e vitale, l'Ordine riconosce le suore come animate «dallo spirito e dallo zelo di san Domenico», le quali «in parole e opere rendono testimonianza al Vangelo e sono unite ai frati con un'intima comunione in vista dell'edificazione del popolo di Dio» (LCO 144). Per questa ragione i frati e le suore «insieme curino / instituant / la collaborazione e la pianificazione apostolica» (LCO 145).
 
Quello che ci unisce,
cioè quello che unisce i frati e le suore, è il riferimento a san Domenico, alla storia e alla vita attuale dell'Ordine.
Ciò si è realizzato con un movimento che per lo più andava dai frati alle suore attraverso istruzioni, esercizi spirituali, qualche aiuto a livello legislativo ecc. Oggi si realizza anche con un auspicabile movimento in senso opposto, cioè dalle suore ai frati, poiché da parte delle suore c'è una comunicazione del loro modo di vedere e vivere il carisma di san Domenico che arricchisce i frati stessi.

È però doverosa una parola di precisazione sul primo movimento: se così è avvenuto non è perché i frati fossero maschilisti, ma perché tali erano i rapporti nella Chiesa e nella società.
Non bisogna infine dimenticare i "molti servizi" di gestione della casa e di prestazione infermieristiche/ospedaliere che le suore resero ai frati in un passato recente e che contribuirono al sereno svolgersi della predicazione evangelica.
 
Quello che ci differenzia

è anzitutto il riferimento stesso a san Domenico e in genere alla vita dell'Ordine, che è vissuto dalle suore con una prospettiva particolare, cioè nella prospettiva del fondatore o della fondatrice e dunque della spiritualità risalente all'epoca della fondazione. Questa prospettiva da una parte è arricchente, ma dall'altra è limitante.

Una seconda differenza è "ciò che" si fa. I frati si dedicano all'evangelizzazione e alla predicazione in forma diretta nonché alla presidenza degli atti sacramentali. Le suore si dedicano a una "diaconia", cioè al "servizio" attraverso la gestione di scuole, ospedali, case per anziani ecc., oppure sono inserite in queste attività "nel nome del Signore" e senza escludere la collaborazione pastorale.
La "diaconia" delle suore e il ministero tipico dei frati fa sì che l'organizzazione della vita e anche in un certo senso il riferimento a san Domenico non possano essere gli stessi per le une e per gli altri e dunque a questo livello gli spazi di incontro e collaborazione sono più limitati.

C'è poi una terza ed evidente differenza: i frati sono uomini e le suore sono donne! E anche qui nella storia recente c'è un via vai di atteggiamenti contrapposti. Un tempo si insisteva sulla separazione o sulla "vicinanza controllata", tanto che una casa di suore per carnevale invitava i frati studenti offrendo un rinfresco in una sala dove i frati stavano da una parte e le suore dall'altra, mentre in mezzo c'era un tavolino con il maestro dei frati studenti e la superiora seduti ognuno dalla parte dei rispettivi "sudditi": scena veramente felliniana! Oggi si insiste di più sull'incontro e la collaborazione a diversi livelli, incrementando il valore della complementarietà ma restando molto meno vigili a un pericolo che non è di natura affettiva ma più sottile, e cioè che le suore vivano da frati (lascio il problema al sovrano discernimento delle interessate) e che i frati vivano e parlino e pensino... da suore!
 
«Oh che casa!... oh che casa in confusione»!
(esclamazione sconsolata della serva Berta nel "Barbiere di Siviglia", atto II, scena VI)
(come eravamo...)

Un tempo le competenze, i ministeri, i ruoli ecc. erano tutti chiari e distinti. Oggi il rinnovamento avviato dal Vaticano II e le mutate condizioni di vita sollevano problemi ai quali non è dato di rispondere in tempi brevi e di riflesso c'è un calo vocazionale. Le inevitabili domande: «Se siamo in pochi/e, come possiamo andare avanti e come possiamo trovare aiuto? Quale è il nostro ruolo? e se lo ripensassimo? e se lo cambiassimo un poco? ecc.» costringono ad abitare in una casa un poco in confusione.

La confusione può nascere quando dalla collaborazione si passa a quella che a qualcuno può sembrare una confusione di ruoli o a un eccessivo peso dell'influsso delle suore sui frati (situazione nuova) o dei frati sulle suore (situazione passata e in fase di archiviazione).

È possibile fare un poco di ordine? Forse per ora no. Ognuno però deve provarci con dei tentativi che arricchendosi e correggendosi a vicenda, porteranno forse a una sintesi.

Vi sono però dei punti di riferimento abbastanza chiari: il comune ispirarsi a san Domenico, lo studio del dato cristiano, l'analisi del mondo odierno, alcuni aspetti della formazione permanente ecc. possono favorire la collaborazione. È già in atto la collaborazione a livello di predicazione organizzata e resta sempre aperta - nella misura delle competenze - la collaborazione scolastica non solo dei frati nelle scuole delle suore, ma delle suore nelle scuole filosofiche e teologiche dei frati. Certe iniziative nelle quali si esprime la "compassione" di san Domenico verso chi soffre (dalle sofferenze fisiche all'ingiustizia) possono costituire un terreno di collaborazione ecc.

Ma vi sono alcuni punti delicati. Uno è quello della formazione iniziale, in cui gli elementi comuni andrebbero gestiti con senso della realtà - partecipano a incontri comuni solo quelli e quelle che hanno effettivamente dei formandi/e - e con attenzione che nelle conclusioni pratiche si salvi la differenza che il Lateranense IV stabiliva tra Dio e l'uomo ma che vale anche tra... frati e suore, e cioè che tra di essi «non potest similitudo notari, quin inter eos maior sit dissimilitudo notanda» (D 806). Un altro punto delicato è che la programmazione apostolica tra frati e suore dovrebbe sempre essere rispettosa dello specifico carisma, essendo il mandato canonico della predicazione dei soli frati (così sembra, almeno secondo una certa teologia e per ora).

C'è poi un ultimo punto delicato che è all'origine spesso di un'acuta sofferenza: a fronte della situazione critica nella quale si trovano certe attività di "diaconia" un tempo fiorenti (scuole, asili, ospedali ecc. - non le case di riposo!), da parte delle suore la comprensibile tentazione è un poco di abbandonarle e di passare ad attività di evangelizzazione diretta in collaborazione con i frati. Ora, se ciò è possibile e positivo nel caso di singole attività, è invece problematico come tendenza generale poiché si va verso... un cambio di carisma! Lo sforzo risolutivo non dovrebbe essere di far qualcosa come i frati, ma di far funzionare oggi ciò che ieri è stato all'origine di molte congregazioni.

Tutto questo con il senso della realtà e della storia e cioè considerando che certi servizi, proprio perché sono molto concreti, non possono durare per dei secoli, o per lo meno non possono durare per dei secoli con la medesima estensione e con il medesimno dispiegamento di forze. Queste considerazioni tra l'altro portano a una certa serena gioia nel Signore: si diminuisce e forse ci si estingue perché la concretezza storica di un servizio è passata o cambiata e non perché siamo inosservanti/infedeli o perché preghiamo troppo poco.

Insomma, come ha confessato un guru cattolico/cristiano, un insegnamento appreso dalle sue umili origini contadine (Monferrato) raccomandava: «Mesciùma menta el robi/ Non mescoliamo le cose!» (Enzo Bianchi, Il pane di ieri. Einaudi, Torino 2008, p. 12). Ad un altro livello, «Ciascun stato o professione deve stare entro i limiti del suo abito e del suo grado»: così Umberto di Silva Candida († 1061) in relazione a Niceta Stethatos che aveva appena scritto una Vita di Simeone il nuovo teologo in cui esaltava gli "spirituali". I contesti sono diversi, ma la tendenza cattolica dell'impostare le questioni è in questa linea e forse illumina anche i rapporti tra frati e suore, senza mortificarli ma anzi promuovendo sempre di più quanto c'è di buono. Collaborare dovrebbe essere una gioia: se ci sono delle lentezze è a causa dei limiti umani, non di questi princìpi.
 
E se provassimo a decongestionare?
(... e come siamo)

«(...) studiate la storia, sforzatevi di acquisire una cultura storica, secondo le vostre possibilità di lettura e di cultura, ma studiate la storia. Essa sola permette di dare, anche al fatto attuale, la sua vera dimensione e spesso il suo senso. Essa decongestiona i problemi, inquadrandoli: è una straordinaria scuola di saggezza» (Yves Congar, Autorità e libertà nella Chiesa. Città nuova, Roma 1971, p. 23).
Valido per la storia "vera", il potere decongestionante della storia forse vale anche per la storia "ben immaginata".
E allora proviamo a immaginare. Se al tempo di san Domenico e delle prime generazioni di frati fossero esistite le suore, queste, insieme alle monache, sarebbero di certo state inserite all'interno de "l'Ordine" e in seguito si sarebbero trovate tantissime ragioni che avrebbero "dimostrato" che così era e che così "doveva essere"! Ecco decongestionati tanti problemi di oggi.

Tuttavia - così sembra amasse ripetere Caterina II di Russia († 1796) - con i "se" e con i "ma" non si fa la storia, la quale nella sua cruda realtà dipende da ciò che veramente è accaduto. Di certo se Gesù Cristo nascesse oggi o fosse nato trent'anni fa parlerebbe in inglese, ma nacque quando nacque e parlò (sembra) in galileo aramaico.
 
Fra Riccardo Barile o.p.




 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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