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Testo ufficiale Misericordia et Misera oltre il Giubileo

Ultimo Aggiornamento: 07/12/2016 08:58
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23/11/2016 10:35
 
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La copertina del Manifesto di ieri
 

Tutto secondo copione. La decisione canonica di Papa Francesco di concedere ai sacerdoti la facoltà di assolvere il peccato di aborto diventa un pretesto per spacciare un'inestistente rivoluzione della Chiesa. La stampa italiana è allineata su un unico obiettivo: far passare l'idea che ora l'aborto non sia più peccato. E pazienza se non è così, quel che conta è dare la caccia agli obiettori di coscienza negli ospedali. E la Cirinnà non lo nasconde neppure. 

di Andrea Zambrano

Il più malizioso e smaccato è senza dubbio il Manifestoche, titolando “Il Buon Pastore” con la gigantografia di Papa Bergoglio, aggiunge un catenaccio falso: “L’ostilità della curia conservatrice non ferma il papa, che abolisce di fatto la scomunica per le donne che abortiscono e consente ai sacerdoti di assolvere anche i medici”. Piccolo dettaglio, che i cronisti dell’organo comunista non hanno voluto cogliere per pura ideologia: la scomunica rimane. Ma bisognerebbe spiegare ai giornalisti improvvisati esperti di morale e di diritto canonico che la scomunica è una “pena finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un'adeguata conversione e penitenza”. Quindi non è un’ingiusta punizione, ma la più grande delle carità e delle misericordie visto che ha come obiettivo il pentimento in vista della vita eterna. O almeno così dice l’Evangelium Vitae di San Giovanni Paolo II Papa, che non si pretende che i giornalisti del foglio comunista abbiano letto.

Stando così le cose, il sospetto è che la decisione canonica di Papa Francesco di concedere la facoltà di assolvere i peccati di aborto anche ai sacerdoti, eliminando il vincolo della remissione della scomunica da parte del vescovo, pubblicata con l’esortazione Misericordia et misera, sia già stata presa e utilizzata per altri scopi. Come ad esempio far passare il messaggio che in fondo l’aborto sia un peccatuccio come un altro, quindi che senso ha la battaglia che la Chiesa faceva e continua a fare contro il più orrendo dei crimini?

Il sospetto si fa concreto nel passare in rassegna le prime pagine dei giornali di ieri dove la novità canonica introdotta da Bergoglio, secondo l’evangelico principio che ciò che sarà legato e sciolto sulla terra sarà sciolto e legato nei cieli, non è stata presa per quello che realmente è, cioè un’estensione della facilità di accesso ad un sacramento per non lasciare nulla di intentato nel rapporto tra Dio e il cuore pentito dell’uomo, ma uno sdoganamento tout court dello stesso peccato.

Basta leggere solo alcuni titoli: Corriere della Sera: “Aborto, il perdono del Papa”, titolo eccessivamente superficiale dato che il perdono spetta a Dio e non certo al Papa, ma lo scopo è quello di mettere questa decisione in contrasto con le guerre culturali “dei valori non negoziabili”. E’ forse stato derubricato l’aborto da peccato grave a bagatella? No. Però per Massimo Franco il gesto è comunque “simbolico”. Di che cosa? Della vittoria del Bene sul Male, quest’ultimo impersonificato da una curia arcigna e ottusa. Una forzatura disarmante.

Decisamente più  malizioso il titolo di Repubblica: Il Papa e l’aborto: “sì al perdono per donne e medici”. Forse che prima la Chiesa non perdonava a donne e medici pentiti? Assolutamente no, però l’occasione è propizia per dipingere un passato tutto odio e chiusura a fronte di un oggi così rivoluzionario. E il fatto che a tutt’oggi l’aborto resti un peccato grave che separa dalla comunione con la Chiesa? Derubricato a puro passaggio di inchiostro tra le colonne estatiche: “Alla comunione adesso potranno accedere sia le madri che i medici che hanno causato un aborto. Finora per loro scattava la scomunica in automatico che poteva essere sciolta solo da un vescovo”, dice Marco Ansaldo su Rep. Ma anche prima potevano farla, sempre alle solite condizioni, che restano. Detta e scritta così sembra che la scomunica non scatti più, in effetti Repubblica fatica a parlare di questa parola tabù così vecchia, dal sapore così ottuso.

E se qualcuno – come l’arcivescovo Gianfranco Girotti intervistato di taglio basso – si limita a dire che “avere a disposizione qualsiasi sacerdote per essere assolti potrebbe minimizzare il senso del peccato”, ecco che si replica prontamente con l’articolo successivo dove si getta la croce addosso ai teologi morali che hanno costruito carriere importanti sulla difesa di una interpretazione ristretta dell’enciclica Humanae Vitae a rimarcare che adesso non si faranno prigionieri. Pazienza se l’Humane Vitae non ha mai avuto interpretazioni ristrette, tanto era chiara, ma soltanto interpretazioni contrarie, da parte di teologi e anche giornalisti che la loro bella carriera l’hanno fatta, eccome. Anche oggi.

E’ chiaro però che l’operazione che Repubblica vuole fare, sia di tutt’altro tenore, spiegato a pagina 4. “I medici obiettori restano in trincea: è solo un gesto di misericordia”. Ecco svelato l’arcano: la persecuzione dei medici obiettori di coscienza, ultimo avamposto legale e morale ad uno sdoganamento dell’aborto a semplice estrazione dentaria. Ecco che un provvedimento canonico che investe la coscienza di un peccatore diventa un’arma di battaglia in più per la strisciante guerra contro l’obiezione di coscienza. Se non è malafede questa come la chiamiamo? Chi usa il corpo di chi?

Certo, mai come il Sole 24 Ore che dovendo riassumere su due colonne il titolo di prima pagina se n’è uscito con un fuorviante: “Svolta di Papa Francesco: assoluzione per l’aborto”. Anche qui verrebbe da fare la solita domanda: ma prima non era così? Stessa domanda che si potrebbe porre al segretario della Cei mons. Nunzio Galantino che si augura come questo provvedimento faccia “comprendere che non deve esserci ostacolo alla possibilità di riconciliazione sennò si fatica a capire la bontà della concessione estesa a tutti i sacerdoti”. Come se il problema della consapevolezza di chiedere perdono non fosse dettato dalla facilità e dalla superficialità con le quali si ricorre all’aborto, ma fosse esclusivamente una impervia pratica burocratica.

Epica e apocalittica Lucetta Scaraffia sulle colonne del Corriere: “Così la donna cessa di essere la grande peccatrice”. Quando mai lo è stato? La Scaraffia conosce vescovi che abbiano esposto alla pubblica gogna donne che hanno praticato aborti? Ha visto liste di proscrizione? Non ha forse visto tanta comprensione e tanta misericordia anche fino a un anno fa? Cos’era la Chiesa, prima, un lager? Forse la Scaraffia non ha letto le pagine commoventi che pontefici come Giovanni Paolo II o Benedetto XVI hanno scritto in altre encicliche. Si sarà distratta un attimo.

Il tenore è sempre lo stesso, tanto che ci si chiede ormai a che cosa serva avere tanti giornali se poi danno tutti la stessa lettura delle notizie. Il Giorno: “Perdonate l’aborto”, che detta così sembra: “So’ ragazzi, non è niente di grave”; Il Giornale: “Anche chi abortisce merita la misericordia di Dio”; Dacia Maraini sul Mattino che si lancia su un’iperbolica “apertura importante nell’era Trump”; Il Tempo: “Abortite pure, il Papa vi perdona”; Il Gazzettino: La svolta del Papa: “assolto” l’aborto; Il Messaggero: Aborto, il Papa rompe il tabù. Si potrebbe continuare scandagliando tutti gli scaffali delle edicole.

In realtà tutti questi titoli sono viziati da un virus di fondo: instillare il dubbio che adesso l’aborto non sia più un peccato, o se lo è, in definitiva, non è poi così grave, perché il Papa l’ha depenalizzato. Esaustivo il Giornale che riesce a fermare per un attimo il cardinale Kasper, il quale svela come il Papa si sia impossessato della sua agenda tanto da spoilerare anche la prossima rivoluzione: “Il celibato dei preti e le donne sacerdote”. Ma il Papa ha detto di no. “No? Diciamo che la sta ancora approfondendo”.

In definitiva il tutto serve per far tuonare i soliti tromboni: Monica Cirinnà è sicura: “Finalmente, ora non ci sono più scuse. Basta medici obiettori, deve essere garantito sempre e ovunque il diritto delle donne”. Che se non è sciacallaggio, cecchinaggio e killeraggio questo, come lo chiamate, libera stampa: è forse questa la vostra misericordia?






-QUELL'EQUIVOCO SU SCOMUNICA E PERDONO 

di Riccardo Cascioli


È un’esperienza straniante leggere Misericordia et Miserae poi leggere gli articoli o ascoltare i servizi radio tv che ne parlano e la spiegano all’opinione pubblica. Si fa davvero fatica a capire come si possa travisare così il contenuto della Lettera del Papa, al punto che il messaggio che arriva alla gente è così radicalmente diverso dal testo che chiunque può leggere (cosa però che faranno in pochissimi). 

Bisogna però riconoscere che ormai giornali e opinione pubblica si aspettano sempre dal Papa la prossima spallata all’edificio dottrinale della Chiesa; è un pregiudizio che inficia all’origine qualsiasi cronaca o analisi. Chi in Vaticano si occupa di comunicazione sarebbe il caso che si facesse qualche domanda al proposito: se questo effetto non è voluto, come mai accade? Prendersela con l’ignoranza o la malafede dei giornalisti non è più una scusa, è evidente che c’è dell’altro. Non a caso ieri un giornale chiedeva al cardinale Walter Kasper, dopo aver sistemato l’aborto quale sarebbe stata la prossima spallata del Papa e lui ovviamente ha risposto con l’agenda dei prossimi mesi.

Resta il fatto che sulla Misericordia et misera si è andati oltre ogni misura, e non solo sull’aborto. Bisogna ad esempio riconoscere a papa Francesco di avere spiegato che non è lui ad avere scoperto che Dio è misericordia. Ha infatti citato diversi passi della Liturgia che dimostrano come la Chiesa da sempre e continuamente riconosce e chiede la Misericordia di Dio. Ha anche ricordato come a questo argomento Giovanni Paolo II abbia dedicato la sua seconda enciclica (Dives in Misericordia, in verità piuttosto dimenticata in questo anno giubilare), e come lo stesso Giovanni Paolo II abbia istituito la Festa della Divina Misericordia e abbia canonizzato suor Faustina Kowalska. 

Sicuramente papa Francesco ha fatto di questo il centro della sua missione pastorale, ma tanto fracasso come se tre anni fa fosse iniziata una nuova Chiesa dopo secoli di bastonate e porte chiuse è piuttosto ridicolo oltre che lontano dal vero. C’è chi gioca su questo equivoco perché ne approfitta per liquidare la Chiesa e chi cade nelle esagerazioni tipiche dei “leccacalze” (così il Papa nell’ultima intervista a Tv 2000 ha definito i suoi adulatori). E quest’ultima categoria, tutta interna alla Chiesa, è anche quella che sta contribuendo al travisamento della Lettera apostolica. 

Prendiamo ad esempio il titolo di apertura di ieri di Avvenire: “Misericordia sempre”. Come a dire che fino a Francesco la misericordia era qualche volta. Oppure che misericordia vuol dire assolvere sempre e senza condizioni. Ma tutte e due sono menzogne e sicuramente non corrispondono a quanto leggiamo nella Lettera del Papa: la necessità del pentimento e il proposito di non commettere ancora l’«orrendo peccato» sono ben presenti. C’è poi una fantasiosa Lucetta Scaraffia, che è coordinatrice del mensile “Chiesa donne mondo” allegato all’Osservatore Romano, che in una intervista rilasciata al Corriere della Sera, afferma addirittura che con questa Lettera «la donna smette di essere considerata la “grande peccatrice” secondo una certa tradizione». Chissà se la Scaraffia, a proposito di donne e aborto ha mai letto la Evangelium Vitae (senza considerare che comunque se l’aborto resta «un grave peccato» qualcuno che pecca ci dovrà pur essere).

C’è però in effetti una questione che rimane sullo sfondo ma che è il punto centrale, un equivoco che ritorna e che spinge a certe chiavi di lettura: il valore da dare ai limiti che la Chiesa ha sempre posto. In questi tempi di retorica sui muri da abbattere qualsiasi limite, qualsiasi confine – anche quello che separa il bene dal male, il pentimento dall’ostinazione e dalla superbia – è visto come un intollerabile ostacolo all’azione di Dio. È la stessa questione attorno a cui gira il discorso della comunione ai divorziati risposati. 

Nel caso specifico dell’aborto, la scomunica (che peraltro resta) e il rinvio al vescovo o a un suo delegato, sono percepiti come un muro nei confronti di chi vuole riconciliarsi. È ad esempio la spiegazione che dà il segretario della Conferenza Episcopale Italiana, monsignor Nunzio Galantino, nel suo commento di ieri su Il Sole 24 Ore. Spiegando che neanche chi si pente di un peccato grave come l’aborto può rimanere «senza l’abbraccio del suo perdono», così prosegue: «Se si comprende che non dev’esserci ostacolo alla possibilità di riconciliazione, allora non si fatica ad accogliere la bontà della concessione ora estesa nel tempo a tutti i sacerdoti, perché assolvano quanti hanno posto fine a una vita innocente». 

Insomma, scomunica e rinvio a penitenzieri specifici, per monsignor Galantino sono ostacoli alla possibilità di riconciliazione. È un’affermazione grave, perché contraddice ciò che la Chiesa ha sempre insegnato. Leggiamo Evangelium Vitae no. 62:

«La disciplina canonica della Chiesa, fin dai primi secoli, ha colpito con sanzioni penali coloro che si macchiavano della colpa dell'aborto e tale prassi, con pene più o meno gravi, è stata confermata nei vari periodi storici. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 comminava per l'aborto la pena della scomunica. Anche la rinnovata legislazione canonica si pone in questa linea quando sancisce che «chi procura l'aborto ottenendo l'effetto incorre nella scomunica latae sententiae», cioè automatica. La scomunica colpisce tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena, inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato: con tale reiterata sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più gravi e pericolosi, spingendo così chi lo commette a ritrovare sollecitamente la strada della conversione. Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della gravità di un certo peccato e a favorire quindi un'adeguata conversione e penitenza».

La scomunica dunque non solo non è un ostacolo alla riconciliazione ma addirittura è la strada più diretta perché questa avvenga e sia piena. E stessa funzione aveva il rinvio al vescovo o a suoi delegati, non era un iter burocratico come qualche altro esegeta ha voluto dire ieri. Peraltro lo stesso Giovanni Paolo II aveva già provveduto a una maggiore disponibilità di sacerdoti per confessare questo peccato, ma mantenendo quella norma che non è affatto un muro, un ostacolo. Tutt’altro. Ciò che a monsignor Galantino evidentemente sfugge è che un peccatore cosciente del proprio peccato e seriamente pentito non desidera mettersi a posto la coscienza in qualche modo e più in fretta possibile, ma desidera anzitutto la grazia di una vera conversione che si traduce tra l’altro nella disponibilità a un cammino penitenziale adeguato. 

Si può comprendere quindi il timore di chi ritiene – tra gli altri il presidente del Movimento per la Vita Gian Luigi Gigli – che questa decisione del Papa possa tramutarsi in una banalizzazione del peccato di aborto, soprattutto in un contesto sociale e politico che lo sta tramutando in un diritto umano. In discussione non è tanto l’intenzione del Papa quanto l’ignoranza, la superficialità, la negligenza di tanti preti – e come abbiamo visto, vescovi – che già oggi trattano in modo inadeguato chi si reca in confessionale. E certo, le reazioni di questi giorni non aiuteranno ad accogliere correttamente quanto il Papa indica nella Misericordia et Misera.

 



-IL GINECOLOGO: NON E' UN PECCATO DI SERIE B

Dottor Pino Noia, da 40 anni sul fronte per combattere da ginecologo l’aborto. Che cosa pensa della novità canonica introdotta da Papa Francesco con la Misericordia et Misera?

Che questa apertura all’assoluzione da parte dei sacerdoti per il peccato di aborto non è assolutamente uno sdoganare un peccato per renderlo di serie B. Rimane un crimine orrendo, fatto al più povero tra i poveri e dico questo guardando proprio alle donne. 

Perché?

Perché ho conosciuto tantissime donne che hanno sofferto gravissime forme di depressione e quando si entra in queste storie si comprende come il cammino che fanno sia proprio quello di rendersi conto della gravità dell’atto che hanno commesso, che spesso sfuggiva loro per svariati motivi. 

Dunque non c’è secondo lei il rischio di derubricare un aborto? 

Una donna non derubrica mai un aborto. Quando vengono accompagnate umanamente si aprono alla vita e sono in grado di accogliere anche vite deboli. E questo lo vedo anche per molte donne non credenti. 

Le è capitato di conoscere donne che hanno cercato il perdono?

Sì. In tutti i casi scatta quando scoprono di sentirsi amate, ecco perché la sfida è far comprendere che bisogna aumentare la consapevolezza della preziosità della vita umana, facendo la scelta di offrire alternative. Dobbiamo sapergliele offrire con i fatti fornendo percorsi di assistenza medica gratuita, fornendo disponibilità, fornendo aperture. E’ quello che io chiamo la medicina che si toglie il camice e si mette il grembiule. 

Pensa che questo provvedimento possa aiutare le donne ad aprirsi alla misericordia di Dio?

Sì perché non si tratta di un allentamento nella materia del peccato, ma nella procedura. Credo che sia come quando una madre scopre che il figlio è malato e prima doveva fare 100 km per andare dallo specialista, ora lo specialista lo trova sotto casa. Il male è lo stesso, ma la prossimità della cura è diversa. Allo stesso modo la facilità con la quale si trova il prete non significa che è facile l’assoluzione perché per un peccato di questo tipo si tratta di fare un cammino, non un mordi e fuggi. 

Però i media hanno già iniziato un altro tipo di campagna: il papa ha derubricato l’aborto a peccato minore.

La manipolazione dei media è una delle grandi falsità che dobbiamo combattere.

Ma è chiaro l’obiettivo: l’obiezione di coscienza.

Infatti l’obiezione di coscienza non deve risultarne indebolita, non possiamo pensare che facendo un atto di misericordia automaticamente si ingenera un rilassamento morale perché sarebbe come se la legge superasse l’amore. 


Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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