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Omelie del Papa da Santa Marta Anno fine 2016 anno 2017-2018 (6)

Ultimo Aggiornamento: 16/03/2018 17:40
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24/11/2016 20:32
 
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Papa Francesco \ Messa a Santa Marta

Il Papa durante l'omelia a Santa Marta

Il Papa durante l'omelia a Santa Marta

Papa: corruzione è bestemmia, civiltà del "dio denaro" cadrà

24/11/2016 11:43

La corruzione è una forma di bestemmia, il linguaggio di Babilonia per la quale “non c’è Dio” ma solo il “il dio denaro, il dio benessere, il dio sfruttamento”. E’ quanto sottolineato dal Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta

Papa Francesco celebra Messa a S. Marta

Papa Francesco celebra Messa a S. Marta

Papa: la morte non fa paura se siamo fedeli al Signore

22/11/2016 10:26

La fine della nostra vita e il giudizio davanti a Dio: nella Messa a Casa S.Marta, il Papa invita a riflettere sulla traccia che lasciamo nella nostra esistenza e a non cadere nell'inganno delle cose superficiali 

Francesco a Santa Marta

Francesco a Santa Marta

Papa: amore cristiano è concreto, no a ideologie e intellettualismi

11/11/2016 10:34

L’amore del cristiano è concreto, non è l’amore “soft” di una telenovela. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia da quelle ideologie e intellettualismi che “scarnificano la Chiesa”

Il Papa durante la Messa a Santa Marta

Il Papa durante la Messa a Santa Marta

Papa: custodire la speranza di ogni giorno, no a religione spettacolo

10/11/2016 10:41

Dobbiamo vincere la tentazione di una religione dello spettacolo che cerca sempre rivelazioni nuove, come fuochi d’artificio: è quanto ha affermato il Papa nella Messa a Santa Marta. Il regno di Dio – ha sottolineato – cresce se custodiamo la speranza nella vita di ogni giorno



Papa: corruzione è bestemmia, civiltà del "dio denaro" cadrà

Il Papa durante l'omelia a Santa Marta - OSS_ROM

Il Papa durante l'omelia a Santa Marta - OSS_ROM

24/11/2016 

La corruzione è una forma di bestemmia, il linguaggio di Babilonia per la quale “non c’è Dio” ma solo il “il dio denaro, il dio benessere, il dio sfruttamento”. E’ quanto sottolineato dal Papa nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta. Francesco ricorda che in quest’ultima settimana dell’Anno liturgico, la Chiesa fa riflettere sulla fine del mondo e sulla nostra fine.

L’omelia di Francesco ripercorre la Lettura dell’Apocalisse che parla di tre voci. La prima è il grido dell’angelo: “E’ caduta Babilonia”, la grande città, “quella che seminava la corruzione nei cuori della gente” e che porta “tutti noi per la strada della corruzione”.

La corruzione è una forma di bestemmia
“La corruzione è il modo di vivere nella bestemmia, la corruzione è una forma di bestemmia”, spiega Francesco, “il linguaggio di questa Babilonia, di questa mondanità, è bestemmia, non c’è Dio: c’è il dio denaro, il dio benessere, il dio sfruttamento”. Questa mondanità che seduce i grandi della terra cadrà:

“Ma questa cadrà, questa civiltà cadrà e il grido dell’angelo è un grido di vittoria: ‘E’ caduta’, è caduta questa che ingannava con le sue seduzioni. E l’impero della vanità, dell’orgoglio, cadrà, come è caduto Satana, cadrà”.

La voce dell'adorazione del popolo di Dio, peccatore ma non corrotto, che cerca la salvezza in Gesù Cristo
Contrariamente al grido dell’angelo, che era un grido di vittoria per la caduta di “questa civiltà corrotta”, c’è un’altra voce potente, sottolinea Francesco, il grido della folla che dà lode a Dio: “Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio”:

“E’ la voce potente dell’adorazione, dell’adorazione del popolo di Dio che si salva e anche del popolo in cammino, che ancora è sulla terra. Il popolo di Dio, peccatore ma non corrotto: peccatore che sa chiedere perdono, peccatore che cerca la salvezza di Gesù Cristo”.

Questo popolo si rallegra quando vede la fine e la gioia della vittoria si fa adorazione. Non si può rimanere soltanto col primo grido dell’angelo, se non c’è “questa voce potente dell’adorazione di Dio”. Per i cristiani però “non è facile adorare”, rileva il Papa: “siamo bravi quando preghiamo chiedendo qualcosa” ma la preghiera di lode “non è facile farla”. Bisogna però impararla, “dobbiamo impararla da adesso per non impararla di fretta quando arriveremo là”, ammonisce Francesco che sottolinea la bellezza della preghiera di adorazione, davanti al Tabernacolo. Una preghiera che dice soltanto: “Tu sei Dio. Io sono un povero figlio amato da te”.

La voce soave di Dio che invita al banchetto
Infine la terza voce è un sussurro. L’angelo che dice di scrivere: “Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello!”. L’invito del Signore infatti non è un grido ma “una voce soave”. Come quando Dio parla a Elia. Francesco sottolinea la bellezza di questo parlare al cuore con voce soave. “La voce di Dio - dice il Papa - quando parla al cuore è così: come un filo di silenzio sonoro”. E questo invito alle “nozze dell’agnello” sarà la fine, “la nostra salvezza”, dice Francesco. Quelli che sono entrati nel banchetto, secondo la parabola di Gesù, sono infatti coloro che erano nei crocevia dei cammini, “buoni e cattivi, ciechi, sordi, zoppi, tutti noi peccatori ma con l’umiltà sufficiente per dire: ‘Sono un peccatore e Dio mi salverà’”. “E se abbiamo questo nel cuore Lui ci inviterà”, aggiunge il Papa, e sentiremo “questa voce sussurrata” che ci invita al banchetto:

“E il Vangelo finisce con questa voce: ‘Quando cominceranno ad accadere queste cose - ossia la distruzione della superbia, della vanità, tutto questo - risollevatevi e alzate il capo, la vostra liberazione è vicina’, cioè ti stanno invitando alle nozze dell’Agnello. Il Signore ci dia questa grazia di aspettare quella voce, di prepararci a sentire questa voce: ‘Vieni, vieni, vieni servo fedele - peccatore ma fedele – vieni, vieni al banchetto del tuo Signore’”.





 

Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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12/01/2017 15:58
 
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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA 
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Senza replay

Giovedì, 12 gennaio 2017


 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.9, 13/01/2017)

 

«Oggi» e «cuore» sono le due parole che Papa Francesco ha indicato come cardini per un esame di coscienza personale dello stato di salute del proprio rapporto con Dio e con i fratelli. Per questa sua meditazione, nella messa celebrata giovedì mattina, 12 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta, Francesco ha preso le mosse dalla prima lettura, tratta dalla lettera di san Paolo agli Ebrei (3, 7-14).

«C’è lo Spirito Santo che ci parla» ha fatto notare il Papa, ripetendo proprio le prime parole del brano liturgico: «Fratelli, come dice lo Spirito Santo». E «in questo passo della lettera agli ebrei — ha spiegato — ci sono due parole che lo Spirito Santo ripete: “oggi” e “cuore”». Scrive infatti Paolo: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori». Poi «nel salmo del lezionario — ha aggiunto Francesco citando il salmo 94 — abbiamo chiesto questa grazia: che il nostro cuore non venga indurito, non sia duro».

«Oggi», dunque, è la prima parola. Ma «l’oggi del quale parla lo Spirito Santo — ha spiegato il Pontefice — è la nostra vita, è un oggi, come dice lo stesso Spirito, “pieno di giorni”, ma è un oggi». È «un oggi dopo il quale non ci sarà un replay, un domani: oggi». E «il tramonto sarà più vicino o più lontano, ma è oggi, un oggi scelto da Dio, un oggi nel quale noi abbiamo ricevuto l’amore di Dio, la promessa di Dio di trovarlo, di essere con lui; un oggi nel quale tutti i giorni di questo oggi possiamo rinnovare la nostra alleanza con la fedeltà a Dio». Ma è comunque un «oggi», perché «c’è soltanto un solo oggi nella nostra vita».

Certo, ha riconosciuto Francesco, «la tentazione è sempre quella di dire: “sì, sì, farò domani”». È «la tentazione del domani che non ci sarà, come Gesù stesso ci spiega nella parabola delle dieci vergini: le cinque stolte sono andate a comprare l’olio che non avevano» dicendosi a vicenda: «Sì, sì, dopo, domani, dopo, vado, dopo vengo». Però, alla fine, «quando sono arrivate, la porta era chiusa».

Dunque, ha insistito il Papa, la vita «è oggi: un oggi che incomincia e un oggi che finisce; un oggi pieno di giorni, ma è oggi». A questo proposito il Pontefice ha riproposto anche la parabola che racconta di quell’uomo «che è andato dal Signore e bussava alla porta: “Signore, aprimi, sono io, non ti ricordi? Ho mangiato con te, sono stato con te”». Ma il Signore gli risponde: «Non ti conosco, sei arrivato tardi».

«Questo lo dico non per spaventarvi — ha rassicurato Francesco rivolgendosi ai presenti — ma semplicemente per dire che la vita nostra è un oggi: oggi o mai. Io penso a questo. Il domani sarà il domani eterno, senza tramonto, con il Signore, per sempre, se io sono fedele a questo oggi». E, ha proseguito, «la domanda che vi faccio è questa che fa lo Spirito Santo: come vivo io, questo oggi?».

«L’altra parola» che si trova nel passo della lettera agli Ebrei proposto dalla liturgia è «cuore». Noi «con il cuore conosciamo Dio, incontriamo il Signore». Ma «com’è il nostro cuore?». San Paolo dà un consiglio preciso nella lettera: «Non indurite i vostri cuori». Allora è bene chiedere a se stessi se «il mio cuore è duro, è chiuso», magari anche «senza fede, perverso, sedotto». Del resto, «Gesù rimprovera tante volte» gli uomini «tardi di cuore, tardi a capire». Ed è proprio «nel nostro cuore» che «si gioca l’oggi». Ecco perché dobbiamo domandarci se «il nostro cuore è aperto al Signore».

«A me sempre colpisce — ha confidato Francesco — quando trovo una persona anziana, tante volte un sacerdote o una suorina, che mi dice: “Padre, preghi per la mia perseveranza finale”». A quella persona viene naturale chiedere se ha «paura», dopo aver vissuto «bene tutta la vita, tutti i giorni» del suo «oggi nel servizio del Signore». Ma non è certo questione di paura, tanto che quelle persone rispondono: «La mia vita non è ancora tramontata, io vorrei viverla pienamente, pregare perché l’oggi arrivi pieno, pieno, con il cuore saldo nella fede e non rovinato dal peccato, dai vizi, dalla corruzione».

Sono soprattutto «due parole», quindi, che ci vengono riproposte dalla liturgia e che il Papa ha invitato a fare proprie. Anzitutto «oggi: questo oggi pieno di giorni ma che non si ripeterà; l’oggi, i giorni si ripetono finché il Signore dice “basta”». Ma «l’oggi non si ripete: la vita è questa». La seconda parola è, appunto, «cuore». E noi dobbiamo avere sempre un «cuore aperto al Signore, non chiuso, non duro, non indurito, non senza fede, non perverso, non sedotto dai peccati». E «il Signore ha incontrato tanti che avevano il cuore chiuso: i dottori della legge, tutta questa gente che lo perseguitava, lo metteva alla prova per condannarlo, e alla fine sono riusciti a farlo».

«Andiamo a casa — ha concluso Francesco — con queste due parole soltanto», domandandoci: «com’è il mio oggi?». Senza mai dimenticare che «il tramonto può essere oggi stesso, questo giorno o tanti giorni dopo». Ma è bene verificare «come va il mio oggi nella presenza del Signore». E chiederci anche «com’è il mio cuore: è aperto, è saldo nella fede, si lascia condurre dall’amore del Signore?». E «con queste due domande — ha suggerito il Papa — chiediamo al Signore la grazia di cui ognuno di noi ha bisogno».




Fraternamente CaterinaLD

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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA 
DOMUS SANCTAE MARTHAE

La cordata dei corrotti

Venerdì, 10 novembre 2017


 

(da: www.osservatoreromano.va)

In una società contaminata dallo «smog della corruzione», il cristiano deve essere «furbo» e avere «fiuto»: infatti «non può permettersi di essere ingenuo» perché custodisce un «tesoro che è lo Spirito Santo». La riflessione proposta da Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta la mattina di venerdì 10 novembre, ha toccato una delle ferite aperte dell’uomo contemporaneo. E, nel rivolgersi alla coscienza di ogni persona, ha interpellato in particolare quanti nella società hanno responsabilità collettive di governo e di amministrazione.

Punto di partenza dell’omelia è stato il brano evangelico del giorno, nel quale Luca (16, 1-8) passa dalle «tre parabole della misericordia» a un argomento «totalmente diverso» attraverso la parabola dell’amministratore disonesto. Mentre le precedenti descrivevano «la storia di Dio, la storia dell’amore, la storia della misericordia», qui si arriva a «una storia di corruzione».

Il Pontefice ha riassunto la vicenda nella quale si parla di un uomo ricco che «aveva sentito come si amministrava la sua azienda» e si era accorto di «qualche cosa di sospetto nei confronti dell’amministratore». Un personaggio disonesto che, evidentemente, «aveva la mano lunga» e, sapendo ben destreggiarsi nelle truffe, «andò avanti tanto tempo, fino al momento che l’uomo ricco se ne accorse». E come ha reagito l’amministratore?. È lo stesso racconto evangelico, riportato dal Papa, a scandagliare i suoi pensieri: «Ma adesso con questa abitudine che io ho di guadagno facile, devo tornare a lavorare? A guadagnarmi il pane col sudore? Alzarmi tutti i giorni alle sei del mattino? No, no, no».

Da questa consapevolezza, ha spiegato il Pontefice, nasce l’escamotage dell’amministratore che incomincia a fare «la cordata con altri corrotti». E se pure «alcuni di questi non erano corrotti», però gli è ugualmente «piaciuta la proposta ed è entrato nella corruzione». Ha commentato Francesco: «Sono potenti questi! Quando fanno le cordate della corruzione sono potenti; persino arrivano anche ad atteggiamenti mafiosi». E ha sottolineato che quanto descritto in questa parabola «non è una favola», non è «una storia che dobbiamo cercare nei libri di storia antica: la troviamo tutti i giorni sui giornali, tutti i giorni». Infatti, ha aggiunto, «questo succede anche oggi, soprattutto con quelli che hanno la responsabilità di amministrare i beni del popolo». Del resto «con i propri beni nessuno è corrotto, li difende».

La conclusione del brano evangelico ha aperto la strada alle considerazioni del Pontefice. Innanzitutto si legge «che il padrone lodò quell’amministratore disonesto perché aveva agito con scaltrezza». Infatti, ha spiegato il Papa, i corrotti in genere «sono furbi», sanno portare avanti bene la loro condotta disonesta: «Anche con cortesia, con guanti di seta, ma la fanno bene». E, soprattutto, nel racconto c’è la chiosa finale di Gesù che dice: «I figli di questo mondo infatti, verso i loro pari, con i pari, sono più scaltri dei figli della luce». Ecco allora «la conseguenza che Gesù prende da questa storia, che è una storia quotidiana. La scaltrezza di questi».

Proprio da qui Francesco ha iniziato ad approfondire la sua riflessione chiedendosi: «Ma se questi sono più scaltri dei cristiani — ma non dirò cristiani, perché anche tanti corrotti si dicono cristiani —, se questi sono più scaltri di quelli fedeli a Gesù, io mi domando: ma c’è una scaltrezza cristiana?».

La parabola ha quindi offerto al Papa lo spunto per considerare la vita concreta del cristiano, che quotidianamente deve confrontarsi con la piaga della corruzione. Francesco è partito da una questione: «Esiste un atteggiamento per quelli che vogliono seguire Gesù» in modo che «non finiscano male, che non finiscano mangiati vivi — come diceva mia mamma: “Mangiati crudi” — dagli altri»?. Qual è, insomma, «la scaltrezza cristiana», una scaltrezza, cioè, «che non sia peccato, ma che serva per portarmi avanti al servizio del Signore e anche all’aiuto degli altri?». Esiste «una furbizia cristiana»?

La risposta, ha detto il Papa, viene direttamente dal Vangelo, dove si incontrano «alcune parole, alcuni detti che ci aiutano a capire se esiste — io dirò — il fiuto cristiano per andare avanti senza cadere nelle cordate della corruzione». Gesù, infatti, a tale scopo utilizza delle «contrapposizioni», come quella tra «agnelli» e «lupi» («Io vi invio come agnelli tra i lupi») con la quale si capisce che «il cristiano è un agnello che deve cavarsela con i lupi». E perciò, attraverso un «altro paradosso», gli viene dato un consiglio: «Siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come la colomba».

Ma, ha proseguito Francesco, «come si fa per arrivare a questo atteggiamento di prudenza come i serpenti e di semplicità come le colombe?». Di nuovo il suggerimento viene da Gesù, che «ripete tante volte nel Vangelo: “State attenti, state attenti. Guardate, guardate i segni del tempo: quando l’albero dei fichi incomincia a fare delle foglie è perché è vicina la primavera; quando il mandorlo fiorisce è vicina la primavera». Occorre, cioè, stare «attenti a quello che succede», guardare bene, tenere «gli occhi aperti».

È proprio questo, ha spiegato il Pontefice, il primo atteggiamento che ci porta alla «scaltrezza cristiana»: l’attenzione a quello che succede. Coltivare, cioè, quel «senso della sfiducia sana», che ci porta, ad esempio, a dire: «Di questo non mi fido, parla troppo, promette troppo...». Come accade quando qualcuno propone: «Fa’ l’investimento nella mia banca io ti darò un interesse doppio di quello che danno gli altri” — “Oh, che bello!”». E invece lo scaltro capisce che «questo è troppo». Il cristiano, quindi, «sta attento, guarda i segni del tempo».

C’è poi un secondo suggerimento: «riflettere». Bisogna, ha suggerito Francesco, «non essere veloci nell’accettare certe proposte, perché il diavolo sempre fa così con noi; viene con una finta umiltà». La stessa cosa è accaduta a Eva: «Ma guarda questa mela, è bella, eh!” — “No, ma non posso mangiarla” — “Ma guarda, se tu la mangi diventerai...”». Una storia che tutti conoscono e che parla della «seduzione» del diavolo. Occorre quindi «stare attenti e riflettere», tenendo conto che «il diavolo sa per quale porta entrare nel nostro cuore, perché conosce le nostre debolezze. Ognuno ha la propria. E bussa a quella porta, entra per quella porta».

Infine, un terzo elemento: «pregare». Se si hanno questi tre atteggiamenti, ha affermato il Papa, «stai sicuro che arriverai a questa scaltrezza cristiana che non si lascia ingannare, non si lascia vendere un pezzettino di vetro credendo che siano pietre preziose. E così saremo, come dice Gesù: “Prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”». E «avremo il fiuto cristiano davanti alle cose che succedono».

In conclusione, come di consueto, il Pontefice ha suggerito un’intenzione di preghiera legata alla meditazione appena compiuta: «Preghiamo oggi il Signore che ci dia questa grazia di essere furbi, furbi cristiani, di avere questa scaltrezza cristiana», perché «se c’è una cosa che il cristiano non può permettersi è essere ingenuo». Infatti «come cristiani abbiamo un tesoro dentro: il tesoro che è Spirito Santo. Dobbiamo custodirlo». Chi «si lascia rubare lo Spirito» è un ingenuo. E un cristiano «non può permettersi di essere ingenuo».

Chiedere al Signore «questa grazia della scaltrezza cristiana e del fiuto cristiano», ha concluso il Papa, è anche «una buona occasione per pregare per i corrotti». Del resto, ha detto Francesco, «si parla dello smog che causa inquinamento», ma esiste anche «uno smog di corruzione nella società». Perciò «preghiamo per i corrotti: poveretti, che trovino l’uscita da quel carcere nel quale loro sono voluti entrare».





MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA 
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Pensiero alla morte

Venerdì, 17 novembre 2017


 

(da: www.osservatoreromano.va)

«Pensare alla nostra morte non è una brutta fantasia»; anzi, vivere bene ogni giorno come se fosse «l’ultimo», e non come se questa vita fosse «una normalità» che dura per sempre, potrà aiutare a trovarsi davvero pronti quando il Signore chiamerà. È un invito a riconoscere serenamente la verità essenziale della nostra esistenza quello che Papa Francesco ha riproposto nella messa celebrata venerdì mattina, 17 novembre, a Santa Marta.

«In queste due ultime settimane dell’anno liturgico — ha subito fatto presente — la Chiesa nelle letture, nella messa, ci fa riflettere sulla fine». Da una parte, certo, «la fine del mondo, perché il mondo crollerà, sarà trasformato» e ci sarà «la venuta di Gesù, alla fine». Ma, dall’altra parte, la Chiesa parla anche della «fine di ognuno di noi, perché ognuno di noi, morirà: la Chiesa, come madre, maestra, vuole che ognuno di noi pensi alla propria morte».

«A me attira l’attenzione — ha confidato il Pontefice, facendo riferimento al brano evangelico di Luca (17, 26-37) — quello che dice Gesù in questo passo che abbiamo letto». In particolare la sua risposta «quando domandano come sarà la fine del mondo». Ma intanto, ha rilanciato il Papa seguendo le parole del Signore, «pensiamo a come sarà la mia fine». Nel Vangelo Gesù usa le espressioni «come avvenne anche nei giorni di Noè» e «come avvenne anche nei giorni di Lot». Per dire, ha spiegato, che gli uomini «in quel tempo mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno che Noè entrò nell’arca». E, ancora, «come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano».

Ecco però, ha proseguito il Papa, che arriva «il giorno che il Signore fa piovere fuoco e zolfo dal cielo». Insomma, «c’è la normalità, la vita è normale — ha fatto notare Francesco — e noi siamo abituati a questa normalità: mi alzo alle sei, mi alzo alle sette, faccio questo, faccio questo lavoro, vado a trovare questo domani, domenica è festa, faccio questo». E «così siamo abituati a vivere una normalità di vita e pensiamo che questo sarà sempre così». Ma lo sarà, ha aggiunto il Pontefice, «fino al giorno che Noè salì sull’arca, fino al giorno che il Signore ha fatto cadere fuoco e zolfo dal cielo».

Perché sicuramente «verrà un giorno in cui il Signore dirà a ognuno di noi: “vieni”», ha ricordato il Pontefice. E «la chiamata per alcuni sarà repentina, per altri sarà dopo una malattia, in un incidente: non sappiamo». Ma «la chiamata ci sarà e sarà una sorpresa: non l’ultima sorpresa di Dio, dopo di questa ce ne sarà un’altra — la sorpresa dell’eternità — ma sarà la sorpresa di Dio per ognuno di noi».

A proposito della fine, ha proseguito, «Gesù ha una frase, l’abbiamo letta ieri nella messa: sarà “come la folgore che guizzando brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno”, il giorno che busserà alla nostra vita».

«Noi siamo abituati a questa normalità della vita — ha proseguito Francesco — e pensiamo che sarà sempre così». Però «il Signore, e la Chiesa, ci dice in questi giorni: fermati un po’, fermati, non sempre sarà così, un giorno non sarà così, un giorno tu sarai tolto e quello che è accanto a te sarà lasciato».

«Signore, quando sarà il giorno in cui sarò tolto?»: proprio «questa — ha suggerito il Papa — è la domanda che la Chiesa invita a farci oggi e ci dice: fermati un po’ e pensa alla tua morte». Ecco il significato della frase citata da Francesco, posta all’ingresso «in un cimitero, al nord di Italia: “Pellegrino, tu che passi, pensa dai tuoi passi, l’ultimo passo”». Perché «ci sarà un ultimo» passo.

«Questo vivere la normalità della vita come fosse una cosa eterna, un’eternità — ha spiegato il Papa — si vede anche nelle veglie funebri, nelle cerimonie, nelle onorificenze funebri: tante volte le persone che davvero sono coinvolte con quella persona morta, per la quale preghiamo, sono poche».

E così «una veglia funebre si è trasformata normalmente in un fatto sociale: “Dove vai oggi?” — “Oggi devo andare a fare questo, questo, questo, poi al cimitero perché c’è la cerimonia”». Diventa così «un fatto in più e lì incontriamo gli amici, parliamo: il morto è lì ma noi parliamo: normale». Così «anche quel momento trascendente, per il modo di camminare della vita abituale, diventa un fatto sociale». E «questo — ha confidato ancora Francesco — io l’ho visto nella mia patria: in alcune veglie funebri c’è un servizio di ricevimento, si mangia, si beve, il morto è lì: ma noi qui facciamo un po’, non dico “festa”, ma parliamo, mondanamente; è una riunione in più, per non pensare».

«Oggi — ha affermato il Pontefice — la Chiesa, il Signore, con quella bontà che ha, dice a ognuno di noi: fermati, fermati, non tutti i giorni saranno così; non abituarti come questa fosse l’eternità; ci sarà un giorno che tu sarai tolto, l’altro rimarrà, tu sarai tolto». Insomma, così «è andare col Signore, pensare che la nostra vita avrà fine, e questo fa bene perché lo possiamo pensare all’inizio del lavoro: oggi forse sarà l’ultimo giorno, non so, ma farò bene il lavoro». E «farò» bene anche «nei rapporti a casa, con i miei, con la famiglia: andare bene, forse sarà l’ultimo giorno, non so». Lo stesso dobbiamo pensarlo, ha proseguito Francesco, «anche quando andiamo a fare una visita medica: questa sarà una in più o sarà l’inizio delle ultime visite?».

«Pensare alla morte non è una fantasia brutta, è una realtà», ha insistito il Pontefice, spiegando: «Se è brutta o non brutta dipende da me, come io la penso, ma ci sarà e lì sarà l’incontro col Signore: questo sarà il bello della morte, sarà l’incontro col Signore, sarà lui a venire incontro, sarà lui a dire “vieni, vieni, benedetto da mio Padre, vieni con me”». A nulla serve dire: «Ma, Signore, aspetta che devo sistemare questo, questo». Perché tanto «non si può sistemare niente: quel giorno chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa non scenda: dove stai ti prenderanno, ti prenderanno, tu lascerai tutto».

Però «avremo il Signore, questa è la bellezza dell’incontro», ha rassicurato il Papa. «L’altro giorno — ha aggiunto — ho trovato un sacerdote, più o meno sessantacinquenne: non si sentiva bene, è andato dal dottore», il quale «dopo la visita» gli «ha detto: “Guardi, lei ha questo, questa è una cosa brutta, ma forse stiamo in tempo di fermarla, faremo questo; se non si ferma faremo quest’altro e se non si ferma incominceremo a camminare e io la accompagnerò fino alla fine”». Perciò, ha commentato Francesco, «bravo quel medico! Con quanta dolcezza ha detto la verità: anche noi accompagniamoci in questa strada, andiamo insieme, lavoriamo, facciamo del bene e tutto, ma sempre guardando là».

«Oggi facciamo questo» ha concluso il Papa, perché «ci farà bene a tutti fermarsi un po’ e pensare il giorno nel quale il Signore verrà a trovarmi, verrà a prendermi per andare da lui».





[Modificato da Caterina63 17/11/2017 20:53]
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MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA 
DOMUS SANCTAE MARTHAE

No alle colonizzazioni ideologiche

Martedì, 21 novembre 2017
Risultati immagini per scra faccia papa francesco

 

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.268, 22/11/2017)

Il cristiano deve dare la sua testimonianza di fronte alle «colonizzazioni ideologiche e culturali» che suonano come vere e proprie «bestemmie» e suscitano «persecuzioni» furiose. Introducendo «novità» cattive, fino ad arrivare a considerare normale «uccidere i bambini» o perpetrare «genocidi» per «annullare le differenze», cercando di fare «piazza pulita» di Dio con l’idea di essere «moderni» e al passo coi tempi. Come esempio concreto per rispondere alle «colonizzazioni culturali e spirituali che ci vengono proposte» Papa Francesco ha rilanciato la testimonianza di Eleàzaro, suggerita alla liturgia della messa celebrata, martedì 21 novembre, a Santa Marta.

«Nella prima lettura — ha infatti osservato subito il Pontefice riferendosi al passo tratto dal secondo libro dei Maccabei (6, 18-31) — abbiamo ascoltato il martirio di un uomo che è stato condannato a morire per fedeltà a Dio, alla legge, in una persecuzione: ci sono parecchi motivi di una persecuzione ma possiamo dirne tre principali».

C’è anzitutto «una persecuzione soltanto religiosa: io vado contro la tua fede perché la mia fede dice di no e col potere che ho faccio la persecuzione» ha spiegato Francesco. «Un’altra persecuzione, un altro motivo è un motivo religioso, culturale, storico, politico, religioso-politico, quando si mischia il religioso col politico» ha aggiunto, invitando a pensare «alla guerra dei trent’anni, alla notte di san Bartolomeo: queste guerre religiose o politiche».

E ancora, «un altro motivo di persecuzione — ha fatto presente il Papa — è puramente culturale: viene una nuova cultura che vuole fare tutto nuovo e fa piazza pulita delle tradizioni, della storia, anche della religione di un popolo: quello che accade nella lettura di oggi, il martirio di Eleàzaro, è proprio di questo stile culturale».

«Ieri è incominciato il racconto di questa persecuzione culturale» ha spiegato Francesco facendo riferimento ai passi biblici proposti dalla liturgia. «Alcuni — ha continuato — vedendo il potere e anche la bellezza magnifica di Antioco Epìfane, anche la cultura che veniva da quella parte, hanno detto: “Andiamo e facciamo alleanza con le nazioni che ci stanno attorno, siamo moderni, questi hanno una modernità più grande, questi sono proprio ‘al giorno’; noi andiamo con le nostre tradizioni, che non servono a niente».

A questo proposito il Pontefice ha voluto ripetere proprio le parole della Scrittura: «Parve buono ai loro occhi questo ragionamento e quindi alcuni del popolo presero l’iniziativa, andarono dal re che diede loro facoltà di introdurre le istituzioni pagane delle nazioni». E così, ha aggiunto Francesco, non chiesero di «introdurre le idee o introdurre gli dei, no: le istituzioni, cioè questo popolo che era nato, che era cresciuto attorno alla legge del Signore, all’amore del Signore, tramite i suoi dirigenti, fa entrare nuove istituzioni, nuova cultura che fanno piazza pulita di tutto, di tutto: cultura, religione, legge, tutto. Tutto è nuovo».

«La “modernità” è una vera colonizzazione culturale, una vera colonizzazione ideologica» ha rilanciato il Papa. E «così vuol imporre al popolo d’Israele questa abitudine unica, tutto si fa così, non c’è libertà per altre cose». Ma «alcuni accettarono perché sembrava buona la cosa: “No, ma è vero, dobbiamo essere come gli altri”». E «questa gente che arrivava alle nuove istituzioni — ha affermato Francesco — caccia via questo, toglie le tradizioni e il popolo incomincia a vivere in modo diverso».

Ecco che proprio «per difendere la storia, per difendere la fedeltà del popolo, per difendere le tradizioni, le vere tradizioni, le buone tradizioni del popolo, si fanno resistenze, alcune resistenze». La prima lettura odierna, ha spiegato il Pontefice, ci dice che «Eleàzaro non vuole: era un uomo dignitoso, molto rispettato e lui non vuole farlo». E come lui «tanti altri, nel libro dei Maccabei si racconta la storia di questi martiri, di questi eroi».

«Così va avanti sempre — ha proseguito — una persecuzione nata da una colonizzazione culturale, da una colonizzazione ideologica, che distrugge, fa tutto uguale, non è capace di tollerare le differenze». In particolare, ha affermato Francesco, «c’è una parola chiave nella lettura di ieri — tratta dal primo libro dei Maccabei — quando incomincia questo racconto: “In quei giorni uscì una radice perversa”», e «cioè Antioco Epìfane». Dunque, ha insistito il Papa, «si toglie la radice del popolo di Israele e entra questa radice, qualificata come perversa perché farà crescere nel popolo di Dio queste abitudini nuove, pagane, mondane e lo farà crescere col potere, col dominio». E «questo è il cammino delle colonizzazioni culturali che finiscono per perseguitare anche i credenti».

Del resto, ha affermato il Pontefice, «non dobbiamo andare troppo lontano per vedere alcuni esempi: pensiamo ai genocidi del secolo scorso, che era una cosa culturale, nuova: “Tutti uguali e questi che non hanno il sangue puro fuori e questi... Tutti uguali, non c’è posto per le differenze, non c’è posto per gli altri, non c’è posto per Dio”».

Ecco «la radice perversa», ha proseguito il Papa. «Davanti a queste colonizzazioni culturali che nascono dalla perversità di una radice ideologica — ha fatto notare — Eleàzaro, lui stesso, si fa radice: è interessante, Eleàzaro muore pensando ai giovani». Difatti, ha detto Francesco, «per tre volte, alla fine del racconto di oggi, si parla dei giovani». Eleàzaro afferma: «Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio perché sappiano affrontare la morte prontamente e nobilmente». E ancora, «due volte in più parla dei giovani». Insomma «Eleàzaro, il martire, quello che dà la vita, per amore a Dio e alla legge, si fa radice per il futuro: cioè dà vita, fa crescere, fa crescere il popolo e davanti a quella radice perversa che è nata e fa questa colonizzazione ideologica e culturale, c’è quest’altra radice che dà la propria vita per far crescere il futuro».

«È vero, questo che è arrivato dal regno di Antioco era una novità» ha aggiunto il Papa, invitando a domandarci se «le novità sono tutte cattive, tutte». La risposta è «no». Del resto, «il Vangelo è una novità, Gesù è una novità, è la novità di Dio». Dunque «bisogna discernere le novità: questa novità è del Signore, viene dallo Spirito Santo, viene dalla radice di Dio o questa novità viene da una radice perversa?». E così «prima, sì, era peccato, non si poteva uccidere i bambini; ma oggi si può, non c’è tanto problema, è una novità perversa».

Di più: «Ieri le differenze erano chiare, come ha fatto Dio, la creazione si rispettava; ma oggi siamo un po’ moderni: tu fai, tu capisci, le cose non sono tanto differenti e si fa una mescolanza di cose». E «questa è la radice perversa: la novità di Dio mai fa una mescolanza, mai fa un negoziato; è vita, va di fronte, è radice buona, fa crescere, guarda il futuro».

Invece, ha affermato il Papa, «le colonizzazioni ideologiche e culturali guardano soltanto il presente, rinnegano il passato e non guardano il futuro: vivono nel momento, non nel tempo, e per questo non possono prometterci niente». E «con questo atteggiamento di fare tutti uguali e cancellare le differente commettono, fanno il peccato bruttissimo di bestemmia contro il Dio creatore». Perciò, ha ricordato Francesco, «ogni volta che arriva una colonizzazione culturale e ideologica si pecca contro Dio creatore perché si vuole cambiare la creazione come l’ha fatta lui».

Comunque, ha avvertito il Pontefice, «contro questo fatto che lungo la storia è accaduto tante volte c’è soltanto una medicina: la testimonianza, cioè il martirio». Ci sono alcuni, come Eleàzaro» che danno «la testimonianza della vita, pensando al futuro, all’eredità che darò io con il mio esempio. Nella maggioranza la testimonianza di vita: io vivo così, sì, dialogo con quelli che pensano altrimenti, ma la mia testimonianza è così, secondo la legge di Dio, secondo quello che Dio mi ha offerto».

Francesco ha suggerito di guardare l’esempio di Eleàzaro: «In quel momento lui non pensò: “lascio questo denaro a questo, lascio questo”, no, pensò ai giovani, pensò al futuro, pensò all’eredità della propria testimonianza, pensò che quella testimonianza sarebbe stata per i giovani una promessa di fecondità e davanti alla radice perversa lui stesso si fa radice per dare vita agli altri». Perciò, ha concluso il Pontefice, «questo esempio ci aiuti nei momenti forse di confusione davanti alle colonizzazioni culturali e spirituali che ci vengono proposte».




Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
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08/03/2018 20:07
 
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Meditazioni Quotidiane 2018





 

MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA 
DOMUS SANCTAE MARTHAE

Faccia a faccia con Dio

Giovedì, 15 marzo 2018

 

(da: www.osservatoreromano.va)

Quante volte accade che a un cristiano venga chiesto: “Prega per me”? E quante volte ci si impegna a farlo, consapevoli di cosa ciò davvero significhi? Per mettersi di fronte a Dio, «faccia a faccia» con Lui, per «bussare al suo cuore» ci vogliono, infatti, grande «coraggio» e altrettanta «pazienza». E una «libertà» interiore che non si può dare per scontata. È quanto ha sottolineato Papa Francesco, durante l’omelia della messa celebrata a Santa Marta giovedì 15 marzo, prendendo spunto dalla prima lettura del giorno (Esodo 32, 7-14).

Il Pontefice ha ripercorso con grande attenzione, punto per punto il brano biblico nel quale viene presentato un «dialogo fra Dio e Mosè» che discutono di «un problema che Mosè doveva risolvere»: il fatto cioè che il popolo di Israele si fosse costruito un vitello d’oro per adorarlo. Ha sottolineato il Papa: «Il Signore era un po’ impaziente: si è adirato contro il suo popolo e alla fine ha detto: “Ma tu stai tranquillo, questo lo risolvo io, perché il tuo popolo si è pervertito. E questo popolo è un popolo dalla dura cervice”, dice il Signore. “Ora, lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione”». Ci si trova quindi di fronte a una posizione dura del Signore che «vuole risolvere questo problema della apostasia del popolo».

Francesco ha fatto notare che innanzitutto Mosè è colpito dalle «due proposte» di Dio: «Distruggerò il popolo: ma tu stai tranquillo. Di te, invece, farò una grande nazione». Una situazione per lui assolutamente particolare. A tale riguardo il Pontefice, per facilitare la comprensione ha suggerito un esempio tratto dalla «vita quotidiana». Può infatti accadere che «a un dirigente, a una persona che ha responsabilità in un’impresa, in un governo, in una ditta», di fronte a una situazione negativa venga prospettata la punizione per molti, e che questo immaginario dirigente accetti in cambio di qualcosa per se stesso («Ma va bene: quanto è per me?»). È, ha spiegato il Papa, la «logica della tangente», lasciar fare qualcosa pur di avere un tornaconto.

Nel dialogo con Mosè, il Signore gli propone un’alternativa: «Lasciamo fare questo e a te pago con questo: ti farò capo di un grande popolo!». Utilizzando un’iperbole, Francesco ha detto: «...quasi un tangente!», per sottolineare la presa di posizione spiazzante per Mosè che, però, ha una reazione illuminante. Quest’ultimo infatti, ha evidenziato il Pontefice, «amava il Signore: dice la Bibbia che parlava faccia a faccia, come un uomo con il suo amico». E ha sottolineato quanto sia «bello sentire questo!» perché fa comprendere che egli «aveva libertà davanti al Signore». Una libertà che gli consente di «reagire»: egli infatti «supplicò» Dio, fece cioè «una preghiera di intercessione».

Proprio su questo tipo di preghiera si è soffermato il Papa, consapevole che la preghiera «per gli altri, non è facile farla. E ha spiegato che a chi chiede «Per favore, preghi per me che ho questo...», non si può promettere preghiera e risolvere il tutto con «un Padre Nostro e un’Ave Maria» e poi dimenticarsi. «No: se tu dici che vai a pregare per l’altro, la preghiera di intercessione ti coinvolge, come Mosè è coinvolto con il suo popolo». Addirittura Mosè con coraggio — ma, ha detto Francesco, «ci vuole coraggio, eh? Ma la preghiera di intercessione richiede coraggio! Dire in faccia a Dio le cose...» — «rinfresca la memoria a Dio» e obbietta: «Signore, ascolta un po’: si accenderà la tua ira contro il tuo popolo... Tu, che lo hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente»; e gli dice: «Ma Tu hai fatto tutto questo, e adesso distruggerai tutto quello che tu hai fatto? Ma, Signore, non va, questo!».

Va innanzitutto notato come Mosè porti delle «argomentazioni». Francesco ha così sintetizzato il discorso fatto al Signore: «Pensa alla brutta figura che Tu farai: perché dovranno dire gli egiziani: “Con malizia li hai fatti uscire per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra?”», e ancora: «Ma Tu sei il Dio della bontà e farai una brutta figura davanti agli egiziani... Eh no, Signore, questo non va!». E cerca di convincerlo. Poi insiste: «Desisti, Signore, dall’ardore della tua ira; abbandona questo proposito di fare del male al Tuo popolo». Ovvero: «Non fare questa brutta figura: ricordati che sei stato Tu a liberare il popolo». E, come se avesse «paura che le argomentazioni non fossero sufficienti», aggiunge: «Signore, anche ricordati: ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, Tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso, hai detto “renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutta questa terra di cui ho parlato la darò ai discendenti e la possederanno per sempre”. Ricordati di questo!».

Mosé, ha spiegato il Pontefice, si «appella alla memoria di Dio» e, è importante notarlo, si «coinvolge». Tanto che — è narrato in un altro passo dell’Esodo (32, 32) — dice: «E alla fine, Signore, se Tu vuoi cancellare questo popolo dalla terra, cancella anche me».

Proprio questa è la caratteristica della «preghiera di intercessione: una preghiera che argomenta», che ha il coraggio di dire le cose «in faccia al Signore»; una preghiera che è «paziente». Infatti, ha aggiunto il Papa, «ci vuole pazienza: noi non possiamo promettere a qualcuno di pregare per lui e poi finire la cosa con un Padre Nostro e un’Ave Maria e andarcene. No. Se tu dici di pregare per un altro, devi andare per questa strada. E ci vuole pazienza». Si tratta della «stessa pazienza della cananea»: la donna può infatti anche «sentirsi insultata da Gesù», ma «va avanti, lei vuole arrivare a quello e va avanti». Ed è la stessa pazienza insistente della donna che «che andava dal giudice iniquo e un giorno il giudice si stancò e disse: “Ma a me non importa niente di Dio né degli uomini, ma per togliermi questa sì, farò la cosa”, e ha vinto, ha vinto la vedova». Ci vuole, ha concluso Francesco aggiungendo un altro esempio, «la costanza. La pazienza di andare avanti. La pazienza di quel cieco all’uscita di Gerico: gridava e gridava e gridava, e volevano farlo tacere... Ma gridava! E alla fine, il Signore lo ha sentito e lo ha fatto venire».

Quindi, riassumendo, «per la preghiera di intercessione ci vogliono due cose: coraggio, cioè parresìa, coraggio, e pazienza. Se io voglio che il Signore ascolti qualcosa che gli chiedo, devo andare, e andare, e andare, bussare alla porta, e busso al cuore di Dio», e farlo «perché il mio cuore è coinvolto con quello! Ma se il mio cuore non si coinvolge con quel bisogno, con quella persona per la quale devo pregare, non sarà capace neppure del coraggio e della pazienza».

Naturalmente, ha continuato Francesco, è necessario avere una «grande libertà», come quella che si permette Mosè. Tant’è che si potrebbe pensare: «Ma, Mosè è stato maleducato» nel rifiutare la proposta di Dio. Mosè invece, pur rispettando Dio, non viene meno al «suo amore al popolo. E questo piace a Dio». Accade allora che «quando Dio vede un’anima, una persona che prega e prega e prega per qualcosa, Lui si commuove» e «concede la grazia».

Da tutto questo scaturisce il consiglio per ogni cristiano che si trova in una situazione simile. Sarebbe bene domandarsi: «Quando a me chiedono di aiutare con la preghiera a risolvere un problema, una situazione difficile, un dolore in una famiglia, io mi coinvolgo con quello?». Perché se non si è capaci di coinvolgersi, è meglio dire «la verità» e confessare: «Non posso pregare: dirò soltanto un Padre Nostro». Se invece ci si impegna e si dice «Io pregherò», ha suggerito il Pontefice, la «strada della preghiera di intercessione» è ben chiara: «coinvolgiti; lotta; vai avanti; digiuna; pensa a Davide, quando il bambino si ammalò: digiuno, preghiera per ottenere la grazia della guarigione del bambino. Ha lottato con Dio. Non ha potuto vincere, ma il suo cuore era tranquillo: ha giocato la propria vita per il figlio».

Occorre perciò, ha concluso il Papa, chiedere al Signore «la grazia di pregare davanti a Dio con libertà, come figli; di pregare con insistenza, di pregare con pazienza. Ma soprattutto, pregare sapendo che io parlo con mio Padre, e mio Padre mi ascolterà».



[Modificato da Caterina63 16/03/2018 17:40]
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