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Curiosità .... Cattoliche e dalla Città del Vaticano... (4)

Ultimo Aggiornamento: 08/04/2021 08:35
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14/01/2017 23:05
 
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  Tra tutte le parole che si potevano sbagliare, il Vaticano è inciampato su quella più importante, “Gesù”.


Le monete commemorative coniate (dalla zecca italiana, va detto) sono state ritirate a causa di un errore di stampa, in cui al posto di “IESVS” è “scritto “LESVS”. Le monete sono state messe in vendita martedì scorso, ottobre 2013, ma sono state immediatamente ritirate una volta scoperto l’errore.


l errore di stampa sulla moneta commermorativa per papa Francesco

Erano state coniate 6.200 monete (200 in oro, 3.000 in argento e 3.000 in bronzo), e nel breve periodo in cui sono state in vendita (solo in Piazza San Pietro) ne sono state vendute quattro, che ora sono dei pezzi unici che probabilmente faranno la fortuna dei possessori, dato che saranno facilmente molto ricercate dai collezionisti.

Un risvolto per certi versi ironico, dato che la scritta errata sulla moneta (il motto di Papa Francesco, “Vidit ergo Iesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” “Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi”) invece invita alla carità e la povertà.

L’errore, che per certi versi può sembrare avere dell’incredibile, è probabilmente dovuto al fatto che chi ha inserito il testo della moneta ha fatto un “copia&incolla” dal sito del Vaticano, dove la frase è riportata con l’errore. Infatti, il motto nella pagina web “Iesus” è scritto anziché con una “i” maiuscola, con una “l” minuscola: con il tipo di font utilizzato nella pagina, questo  scambio di lettere non si nota, ma convertendo tutto in maiuscolo (come è stato fatto nella moneta) l’errore diventa visibile.



Specola vaticana. Guerre stellari tra Papa e Apache

L'osservatorio astronomico fondato da Leone XIII è ora sul Monte Graham, in Arizona. Ma gli indiani non lo vogliono 

di Sandro Magister

È scoppiata una strana guerra stellare, sui monti dell'Arizona. Tra scoiattoli rossi, indiani Apache e gesuiti astronomi. Su su fino a sfiorare il papa. Quando Giovanni Paolo II visitò l'Arizona, nel lontano 1987, gli scappò di difendere la natura e le culture tribali. Da allora non gli hanno più dato pace. Prima sono arrivati a Roma gli animalisti. Poi gli Apache (l'ultima loro spedizione, lo scorso 23 luglio, s'è accampata nello studio del presidente della Camera, Luciano Violante). Poi altri Apache in disaccordo coi primi. Con questi ultimi il papa si è anche fatto fotografare. Erano tutti vestiti di azzurro, come il cielo.

La scintilla della guerra è infatti un osservatorio celeste. Che prima era in Vaticano, poi nelle ville papali di Castelgandolfo e adesso è in Arizona, sui 3.200 metri della vetta del Monte Graham, miracolo di cielo terso e notti profonde, paradiso dell'astronomia. Lì il più potente telescopio del mondo è attualmente in costruzione. Vi partecipano una corporation e due università americane, un consorzio tedesco e la Società astronomica italiana. Ma il Vaticano è arrivato prima. Con un suo nuovo osservatorio che per tecnologia è anche il capostipite dell'ultima generazione. L'ha inaugurato nel 1993. È operativo dal gennaio del 1995.

Per prima cosa i dieci gesuiti che vi lavorano fotografarono la Nebula Crab, un magnifico fiocco di polvere stellare che è quanto resta di una supernova vista esplodere nei nostri cieli nel 1054 dopo Cristo. Perché? Perché alcuni Apache erano già da parecchio sul sentiero di guerra contro l'osservatorio del Vaticano. E proprio la Nebula Crab poteva fare da calumet della pace, nelle speranze dei gesuiti astronomi. "Esistono prove che l'esplosione di questa supernova fu notata anche dai primitivi abitanti dell'Arizona, gli indiani Anasazi di Chaco Canyon", spiega padre Christopher Corbally. Ma niente da fare. Gli Apache, convinti che il Graham è un monte sacro e intoccabile, non si sono commossi. Continuano a far balenare che prima o poi gli spiriti puniranno chi ha violato la loro montagna.

Anzi. Tre primavere fa la profezia è parsa avverarsi. Proprio il giorno in cui il Congresso americano votava il definitivo via libera ai nuovi osservatori del Monte Graham, con tanto di firma del presidente Bill Clinton, sulla montagna scoppiò un incendio indomabile. Era il 25 aprile del 1996. Le fiamme infuriarono fino all'8 maggio e arrivarono a meno di 100 yarde dall'osservatorio vaticano. Per poi misteriosamente spegnersi. Pochi anni prima, a mettere in pericolo la costruzione del nuovo osservatorio vaticano erano stati gli scoiattoli rossi, una specie rarissima i cui ultimi cento esemplari sopravvivevano proprio sulle cime del Graham. Gli ambientalisti avevano fatto il diavolo a quattro e bloccato i lavori. Ma poi si scoprì che gli scoiattoli s'erano trasferiti di loro spontanea volontà a quote più basse, ben più ricche di saporiti pinoli. E avevano ripreso allegramente a moltiplicarsi.

La Specola vaticana (perché così si chiama l'osservatorio del papa) ha più di cent'anni di vita. L'ha fondata Leone XIII nel 1891, nel villino con vigna in cui amava prendere il fresco d'estate, dietro il cupolone di San Pietro. Ma la preistoria della Specola risale al Cinquecento. Nella Torre dei Venti affrescata dal Pomarancio, a pochi passi dalla Cappella Sistina, papa Gregorio XIII fece fare gli ultimi calcoli celesti per la riforma del calendario che porta il suo nome, oggi in vigore in tutti i paesi del mondo.

Leone XIII aveva i suoi bravi motivi, per volere la Specola. "I figli delle tenebre", scrisse nella bolla di fondazione, "sono soliti calunniare la Chiesa e chiamarla amica dell'oscurantismo, nemica della scienza e del progresso". L'osservatorio doveva sgretolare l'accusa. Mostrare coi fatti che tra Chiesa e scienza ci può essere "amplesso fecondo". Che la condanna di Galileo era acqua passata. Il gesuita austriaco Johann Georg Hagen, direttore della Specola nel primo Novecento, costruì nella Torre di San Giovanni un ingegnoso bilanciere che forniva la prova provata della rotazione terrestre: "Ancor più preciso del pendolo di Foucault e proprio in quel Vaticano che per secoli aveva proibito alla terra di ruotare", commenta padre Sabino Maffeo, unico italiano tra i gesuiti che oggi hanno in affido la Specola. Ora che Giovanni Paolo II ha fatto autocritica sul caso Galileo, è sempre la Specola a pubblicare gli studi scientifici d'appoggio. Uno per tutti: il "Galileo" di Annibale Fantoli, dottissimo ex gesuita che vive tra Vancouver e Tokyo.

Nel 1935 la Specola traslocò a Castelgandolfo, più al riparo dalle luci di Roma. Pubblicò un rinomato Atlante spettrografico dei corpi celesti. E fino al 1955 gli astronomi del papa fecero la loro parte con altri 17 osservatori di cinque continenti per ridisegnare una completa Carta del Cielo. Mettendo a segno anche qualche buon colpo: la cometa Timmers porta il cognome del gesuita olandese che la scoprì nel 1946. Ma poi anche il cielo di Castelgandolfo si rivelò troppo disturbato dalle luci di città. E così, cerca cerca, negli anni Ottanta nacque la decisione di creare un nuovo osservatorio in Arizona. L'università di Tucson fornì la lente a specchio, diametro metri 1,83, prototipo della più avanzata tecnologia. Un gruppo di magnati americani offrì 3 milioni e mezzo di dollari per l'intera struttura. E il Vaticano disse a tutti grazie.

Padre George V. Coyne, l'attuale direttore della Specola, e gli altri gesuiti astronomi vivono dieci mesi dell'anno in Arizona e due a Castelgandolfo, dove d'estate tengono convegni di scienziati e corsi d'astronomia, con borse di studio per chi viene dai paesi poveri. Nel 1991, la Specola ha organizzato una scuola estiva di tre settimane addirittura per vescovi. Vi parteciparono in 19. E sarebbero stati 20 se l'allora arcivescovo di Buenos Aires, oggi volato in cielo, Antonio Quarracino, non avesse dato forfait perché nominato cardinale proprio alla vigilia del corso.

Anche a papa Karol Wojtyla capita di far capolino tra gli astronomi. Una volta, durante un simposio in Vaticano, s'imbatté nell'inglese Stephen Hawking, il celebre autore della teoria dell'universo prima del big bang: "Piccolo come un pisello e sospeso in uno spazio senza tempo". Hawking aveva appunto finito di sostenere, nella sua conferenza, che l'universo non ha avuto un inizio e che quindi non c'è stata creazione. Il papa gli rispose tranquillo: "La Bibbia non vuole insegnarci come è stato fatto il cielo, ma come si va al cielo".

Quello degli extraterrestri è un altro dei punti critici che sembrano contraddire la tradizionale visione cristiana del cosmo. Padre Coyne non si scompone: "La vera sorpresa è che nell'universo c'è la vita. Sulla terra e, perché no?, magari anche fuori della terra". Quando due anni fa su un meteorite caduto da Marte nell'Antartide furono scoperte tracce di un fossile, Coyne spedì immediatamente al Polo Sud un suo confratello astrofisico, Guy Consolmagno, alla caccia di altri reperti di vita dal vicino pianeta. E fece ristudiare da capo i meteoriti che la Specola ha in custodia a Castelgandolfo, una delle più ricche collezioni esistenti.

Niente ferma i gesuiti astronomi. Nemmeno gli ambientalisti e gli Apache. Coyne sorride: "A sentir loro, mi viene da pensare che se qualcuno di essi fosse stato presente alla creazione del mondo, avrebbe detto a Dio: 'Okey, adesso basta. Hai fatto gli uccelli, non creare l'uomo, sarebbe solo capace di rovinare tutto'. Meno male che non è andata così".



__________
28.1.1999 




Brandano, il folle di Dio

Personaggio assai pittoresco, Bartolomeo Carosi, detto il Brandano, nasce a Petroio nel 1486. In gioventù fu libertino, bestemmiatore, giocatore, ma cambiò vita allorchè, zappando il suo campo, una scheggia di pietra lo colpì sulla fronte e in un occhio. Spaventato da quello che gli sembrò un segno divino e conquistato dal predicatore frà Serafino da Pistoia, si convertì alla religione, interpetrò al venerdì santo il buon ladrone crocefisso accanto a Gesù e, deposto dalla croce "si coprì con un sacco di capecchio e scalzo e così seminudo si fece beffa del verno". Trasferito a Montefollonico con la famiglia, ove aveva sposato una certa Checca, l'abbandonò per recarsi a Siena dove viveva di elemosine, tra penitenze e stenti.

Qui Brandano, incoragga i cittadini a difendere la propria libertà predicendo la caduta della repubblica ed allorchè gli spagnoli e Don Diego di Mendoza costruiscono in città la fortezza Brandano proclamava: "Don Diego tu questa tela l' hai ordita male, ti mancherà il ripieno, perché Iddio te la taglierà e non la finirai" (i suoi seguaci infatti demolivano di notte quanto era stato costruito di giorno).

Le sue rampogne gli attirarono le ire della guarnigione dell'esercito spagnolo che lo spedì in esilio ordinadogli di rimettere più piede in città.

Viaggiò per l'Italia, la Francia, la Spagna, perseguitato, deriso e venerato predicando con un crocefisso in mano e un teschio nell'altra "fate del bene che la morte viene", e pronunciando profezie e invettive in rima che lo resero famoso: "Siena Siena, metti la Signoria nel cervello, se no andrai in bordello"; "Guai a te, Siena, quando i tuoi lupi porteranno il campano e i monti scenderanno al piano". 
Prima dell'invasione spagnola al soldo dei Medici, avvertì: "Siena, Siena, incomincia a arrivare la piena".

Ed altri motti quali: 
"Arcidosso, Arcidosso, dovrai rodere un grand' osso: che dirtelo non posso", (riferimento a Davide Lazzeretti); "Quando le macchie saranno giardini sarà un vivere d' assassini"; "Quando le carrozze cammineranno senza cavalli, sarà un mondo di travagli". 

A Roma, Brandano si presentò alla corte pontificia distribuendo ammonizioni, insulti e ossa di morto ai cardinali e al papa Clemente VII (Giulio de' Medici), che lo imprigionò più volte e alla fine lo fece gettare nel Tevere chiuso in un sacco ed incatenato. Ma riemerse dal fiume prodigiosamente vivo. Predisse il sacco di Roma ("Roma, Roma, da qui a poco sarai doma"), nonchè la morte imminente del papa Clemente VII, e a Siena la annunciò con soddisfazione, prima che ne giungesse notizia da Roma, con le parole; "Lume,lume, il papa non vede più lume" e anche "Non più Medici, siamo tutti sani". La più specifica profezia di sciagura rivolta alla corte papale è una delle più famose: “Bastardo sodomita, per i tuoi peccati Roma sarà distrutta. Confessati e convertiti, perché tra 14 giorni l’ira di Dio si abbatterà su di te e sulla città”. Il suo patriottismo verso la Repubblica senese risulta evidente anche nelle invettive lanciate contro Giulio III: “Io vi avviso Santo Padre, anzi Pastore, che voi non pigliate impresa contro la città vecchia di Siena, che è città dell’alta Reina che l’ha guardata e guarderà, e chi contra ci verrà malcontento se ne partirà”.

Morì a Siena il 24 maggio 1554, a 68 anni, poco prima che si avverasse la sua profezia sulla caduta della città.
Il suo corpo fu esposto per tre giorni alla venerazione della gente nella chiesa di San Martino, e poi interrato. Ma dei suoi resti sono perse le tracce, così come lui stesso aveva voluto.
A Brandano, Petroio ha dedicato una piccola statua in terracotta (foto sopra).
I suoi motti e le vicende delle città a cui alludono hanno fatto sì che nei secoli seguenti venissero perpetuati e ripetuti, e non è difficile trovare anziani che ancora oggi, nelle campagne comprese tra la Val d' Orcia e la Valdichiana ricordano le strane profezie pronunciate da Brandano più di 400 anni fa.

Testo tratto da
Trequanda e dintorni editrice Don Chisciotte

Da altra fonte:

Brandano, un profeta discusso ma veritiero. Veste una tunica fino al ginocchio, porta un crocifisso con due Marie, una testa di morto sotto il braccio ed urla a tutti quelli che incontra: "il castigo di Dio è vicino" ed ancora "fate del bene che la morte viene".


Portato da un prete esorcista gli disse: "esorcizzate voi medesimo io sono già stato esorcizzato da Nostro Signore"


Tanto per inquadrare il personaggio:


- A Roma riempì un sacco di ossa di morto entrò in San Pietro e ai cardinali dette un osso per uno dicendo: "ad ognuno tocca a rodere il suo"


- Papa Clemente medici lo fece incarcerare a più riprese, fu anche gettato nel Tevere legato dentro un sacco da alcuni soldati, ma il giorno seguente tornava ad urlare: "Attenti la morte viene".


- Un corriere postale, che lo aveva visto a Roma poco prima di partire, lo rivide il giorno dopo a Siena: 

"o l'hanno portato gli angeli o il diavolo"

- Giunse in un luogo e disse: "silenzio il palazzo casca..." e il palazzo cascò dopo pochi giorni...


- A San Gusmè disse: "quante più vigne pianterai, più il vino caro beverai", e così fu.


- A Santa Vittoria 20 persone che scavavano per trovare l'acqua gli chiesero quanto dovevano scavare "affondate bene perchè fra poco l'averete tutta ad empire di ossa di morto": alcuni giorni dopo avvenne proprio in quella zona una sanguinosa battaglia con alcune migliaia di morti che furono sepolti in quella fossa.


- A Roma un soldato gli divise la spalla con una sciabolata lui la raccolse ci mise della terra, la bagnò con un po' d'acqua e se la riattaccò...

ecc.

Morì nel 1551 a 68 anni. La salma fu esposta nella chiesa di S. Martino a Siena... e
- venne un contadino al quale Brandano aveva promesso di parlare di un certo affare. Si lamentava perchè non aveva mantenuto la parola così Brandano si girò dalla sua parte e gli parlò nell'orecchio per tre quarti d'ora poi tornò ad essere morto...
La chiesa, che avrebbe dovuto subire un restauro, crollò in parte ed il corpo di Brandano non fu più trovato. Con ciò si avverava la sua ultima profezia "il mio corpo non sarà trovato fino alla fine del mondo".

Brandano, il pazzo di Cristo

Intorno alla prima metà del XVI secolo, si aggira nei dintorni del Monte Amiata un curioso personaggio, scalzo, vestito di miseri cenci legati alla vita da un rosario intrecciato con ossa di morto con le quali batte un teschio a mo’ di tamburo per richiamare la gente alle sue prediche.
Il suo nome è Bartolomeo Garosi, ma è meglio noto alle genti dell’Amiata come Brandano, il pazzo di Cristo.

La vicenda esistenziale e spirituale di Brandano è un tipico esempio di conversione (carattere ricorrente nei misticismo amiatino): sposato, impenitente blasfemo e rissoso, ha un’improvvisa illuminazione a seguito di un incidente e da quel momento vota la sua vita interamente alla predicazione richiamando la gente alla rettitudine dei costumi e profetizzando la futura dissoluzione della Chiesa di Roma e della società tutta.

Brandano non ha lasciato nessuna testimonianza scritta della sua dottrina o del suo pensiero ma è rimasto vivo nella leggenda popolare: “Quando le carrozze andranno senza cavalli il mondo sarà pieno di travagli” oppure “Poveri popolini quando le macchie saranno giardini” sono espressioni che la voce popolare attribuisce tuttora al “Beato” o al “Poro” Brandano.

Pur non essendo a rigore collocabile nell’ambito del “millenarismo”, Brandano è uno di quei personaggi che riuscirono a catalizzare ed esprimere il disagio di un’epoca (nel caso la Riforma protestante e la fine della Repubblica di Siena), la paura del mutamento e l’aspirazione ad un mondo migliore e più giusto.

Fonte: R. Ferretti, Quando le macchie saranno giardini - Follonica, Il Golfo, 1981


La chiesa di S. Giovanni, ubicata tra i torrenti Doccia e Galegno, era probabilmente la cappella della comunità della Fratta.
Legato a questa chiesa è un episodio che accadde nella prima metà del ’500 e del quale si conserva ancora memoria. Il fatto è relativo alla vita di Bartolomeo Garosi, detto Brandano e noto come “il pazzo di Cristo”, una sorta di santone che andava predicando tra Siena e Roma e a cui venivano attribuite profezie di vario genere.

«[Brandano] giunse verso la Fratta, e trovò il Signor Emilo Pannilini molto suo amico, e gli disse: “Emilio datemi uno scudo” ed egli rispose: “Che cosa vuoi tu fare di uno scudo?”; e detto Signore dette ordine al suo Servitore che desse uno scudo a Brandano. La mattina veniente Brandano fece fare un chiodo, e lo portò a casa del suddetto Signor Emilio: “Tenete Sig. Emilio, conficcate la ruota della vostra fortuna”, dicendogli che la casa Pannilini doveva cascare a basso, ma che poi sarebbe risalita, e quindi si mise a predicare nel medesimo luogo, e proseguì: “O Fratta, o Fratta, quando questa Croce sarà coperta dalla terra, sarà finito il mondo da tanti guai”, e con la sua Croce ne fece una nella pietra ed in fino al dì d’oggi si chiama la Croce di Brandano». (Da Vita di Bartolomeo Garosi detto comunemente Brandano, contenente la sua nascita azioni profezie e morte, cavata da un Autore de’ suoi tempi - Anonimo, Siena 1801).

Il fatto ebbe un seguito che vale la pena ricordare, anche se si conosce solo l’effetto finale e non la causa che lo provocò. Erano passati circa 150 anni, la Croce di Brandano era ancora lì sul muro della chiesa (non si sa esattamente dove) a ricordare la sua profezia apocalittica. Il nuovo proprietario della fattoria era Augusto Gori Pannilini che, a quanto si dice, non era tipo da dare ascolto a certe cose (oppure non ci credeva perché, come si sa, “porta male”). A un certo punto, forse a causa di lavori presso la chiesa, o forse perché qualcuno aveva previsto un’alluvione (la chiesetta sorge in una piccola valle tra due torrenti dagli argini molto alti), sorsero delle perplessità in merito alla sicurezza della croce. Così, giusto per dare una mano alla provvidenza, il Signor Augusto la fece togliere dal luogo originale per murarla più in alto, ponendo a ricordo anche una lapide che riporta la profezia e l’anno dello spostamento, il 1699. L’episodio è ricordato dal Pecci (che conosceva il Pannilini) solo pochi decenni più tardi ed è quindi probabilmente vero, ma è singolare che la croce e la lapide commemorativa, messa da Augusto Gori Pannilini, non si trovi all’interno nella parete destra, tra la porta e una finestrella, come ci racconta il Pecci, ma all’esterno.



 

[Modificato da Caterina63 30/10/2017 20:51]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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