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Quando e come un Papa favorisce l'eresia... (2)

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2018 01:10
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Sesso: Femminile
05/05/2017 15:04
 
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 Il clero ha devastato la Chiesa, i laici la salveranno. Il male del modernismo è penetrato troppo in profondità nella Chiesa ha inquinato tutto, i seminari, i libri di teologia, la pastorale, la liturgia, perfino l’arte sacra 

Il clero ha devastato la Chiesa, i laici la salveranno


 


di Francesco Lamendola


 



 


È molto, ma molto improbabile che la Chiesa possa essere salvata dal clero, da quello stesso clero, profondamente infiltrato dall’eresia modernista - con tutto ciò che ne consegue, a cominciare dalla smania malsana di voler piacere al mondo e andare d’accordo con il mondo, anche nelle sue manifestazioni più aberranti - che l’ha condotta a un passo dal disastro e che l’ha fatto scientemente, pervicacemente, testardamente e orgogliosamente.  

No: il male del modernismo è penetrato troppo in profondità, ha inquinato tutto, i seminari, i libri di teologia, la pastorale, la liturgia, perfino l’arte sacra: un’architettura che sa più di fabbrica o di palazzo dei congressi, che di chiesa; una pittura e una scultura che riflettono le angosce dell’immanenza radicale, non l’anelito verso Dio; una musica “sacra” che di sacro non ha più nulla, ma che è sempre più sguaiata, frivola, banale e mondana, e che, invece di elevare l’anima verso il cielo, la trascina nel ritmo quotidiano delle cose di quaggiù, e fa perno non su Dio, ma sull’ego dell’uomo. Lo si vede, fra l’altro, da come cantano i bambini, e spesso anche gli adulti, nei cori parrocchiali, durante la santa Messa: buttando fuori la voce con petulanza, con superficialità, con il narcisistico desiderio di attirare l’attenzione su di sé, e non suggeriscono a chi ascolta, e tanto meno a se stessi, il senso della trascendenza, della spiritualità, della mistica purezza che predispone all’incontro con Dio. E tutto questo è avvenuto con la connivenza, o - più spesso - con l’attiva ed entusiastica partecipazione, perfino con il forsennato incitamento, del clero. 

Un clero totalmente fuorviato dal senso ultimo della propria missione, totalmente secolarizzato, totalmente immerso nelle dinamiche sociali, nel senso deteriore della parola: l’emotività, la polemica, il rancore, il gusto della contraddizione e della contrapposizione, non di rado rivolti proprio contro la Chiesa, la propria madre, contro la Gerarchia e contro il Magistero, e anche contro il sommo pontefice: beninteso, quando si trattava di Benedetto XVI, non certo ora che, finalmente, il papa è uno dei loro.

Evidentemente, la malattia del modernismo è penetrata molto più in profondità di quel che si potesse immaginare, stando alle apparenze. Fino al pontificato di Pio XII, poteva quasi sembrare che la malattia fosse rientrata; ma subito dopo, a partire dal Concilio Vaticano II, essa è riemersa con veemenza raddoppiata e triplicata, mostrando chiaramente quanto fosse stata lucida e precisa la diagnosi di san Pio X, quanto necessaria e tempestiva la sua opera di repressione, che ancora oggi tutti gli storici cattolici politically correct continuano a rimproverargli, paragonandola al terrore giacobino e sostenendo, in maniera assurda e inverificabile, che essa abbia fatto alla Chiesa più male ancora di quanto gliene avesse fatto, o avrebbe potuto fargliene, il modernismo stesso. 

Al contrario! San Pio X aveva visto giusto: questo umile prete di campagna, salito al soglio di san Pietro passando per la gavetta, dal gradino più basso, con il suo sano buon senso contadino, aveva visto giusto, era stato un gigante; mentre tutti i don Milani, i padre Turoldo, per non parlare degli Enzo Bianchi (che non è nemmeno un prete), al confronto, appaiono sempre più, non come dei precursori di chi sa mai quali magnifiche sorti e progressive, quali ce li vuol dipingere la vulgata progressista, ma come dei nani, dei ritardatari, dei banali rimestatori di vecchi pregiudizi e di schemi mentali che poco o nulla hanno di cristiano e di cattolico, e che, semmai, sono interamente debitori del mondo, nel senso profano del termine, delle sue illusioni, delle sue cantonate, dei suoi abbagli (il primo e il più vistoso di tutti: il tragico e clamoroso fallimento dell’utopia marxista).

Oggi, quindi, si può vedere e misurare con mano quanto avesse visto giusto san Pio X e quanto la Chiesa del dopo Concilio sia stata abbagliata da falsi profeti, da cattivi maestri, e si sia lasciata traviare, peraltro del tutto consenziente, da illusioni ed utopie che la storia si è incaricata di sbugiardare pienamente, anche se quei signori non avranno mai l’onestà di ammetterlo, e ciò per l’ottima ragione che la neochiesta gnostico-massonica, nella quale essi ora militano, ha colmato i vuoti di tutti quelli che se ne sono andati, piazzando al loro posto gli orfanelli dell’altra chiesa mondana, quella comunista. In tal modo essi pensano e s’illudono di aver chiuso la partita in parità, mentre la verità è che stanno raschiando il fondo del barile e che, quando si sarà allontanata l’ultima generazione d’illusisi e d’ingannati, non resterà più nessuno, e la Chiesa cattolica avrà fatto la fine delle tante sette protestanti: quella di restare vuota e deserta, nella perfetta indifferenza di quel “mondo” che essa si è ostinata a corteggiare, e dal quale ha voluto essere applaudita ed approvata. Infatti: dove sono i giovani cattolici, oggi? Spariscono, semplicemente, subito dopo la Cresima.

No: il clero ha prodotto il disastro, e non sarà il clero a porvi rimedio. Sia ben chiaro: preti come si deve, vescovi come si deve, autentici pastori d’anime, ce ne sono ancora, grazie a Dio; ci sono ancora frati e suore come si deve, animati dalla vera fede, e guidati dai sani principi del Magistero: ma sono così pochi che, per vestirli, basta poco panno, come direbbe il padre Dante. Sono pochi e, per giunta, disorientati: non sono abituati all’idea che il pastore del gregge non è più tale, che non sta guidando la Chiesa nella direzione giusta, che non si cura di salvare le sue pecorelle, anzi, è lui che le spinge di qua e di là, e sembra trarre una maligna, diabolica soddisfazione nel fare di tutto per confonderle, scandalizzarle, demoralizzarle.

Diciamo la verità: non sono abituati a pensare da soli, a esercitare la facoltà critica, a uscire dal grigiore del conformismo e assumersi delle responsabilità autonome, in caso di assoluta ed urgente necessità. Perciò è rimasta loro addosso l’abitudine di credere e obbedire alla Gerarchia, ma, guarda caso, dopo decenni di tiro al bersaglio contro di essa. Sicché ora credono ciecamente e passivamente non al vero e santo Magistero, ma a un magistero taroccato, posticcio, a volte perfino blasfemo; un magistero che nasce dallo spirito del mondo e che non è ispirato, consigliato, confortato e sostenuto dallo Spirito di Dio. No, non è da questo clero, nel suo complesso, e neppure da una parte significativa di esso, che verrà la salvezza. La vicenda dei quattro cardinali lo ha abbondantemente mostrato. Come! Quattro eminenti cardinali, a nome di migliaia di sacerdoti e di milioni di fedeli, chiedono chiarimenti su di un importante documento papale, che sembra introdurre una disastrosa difformità nel Magistero della Chiesa, e nessuno si degna di risponder loro, a distanza di sette mesi!

A quel punto, se nel clero cattolico vi fossero ancora sufficienti energie sane, ci sarebbe stato un sommovimento, un qualche segnale di risveglio: altri cardinali  e altri vescovi, e sacerdoti e religiosi, si sarebbero risvegliati, avrebbero fatto sentire la loro voce, avrebbero preteso una risposta. Non si tratta di una questione privata, di un contenzioso fra specialisti di teologia! Si tratta di una questione assolutamente vitale per la Chiesa tutta, giacché da essa dipende la retta interpretazione di ben tre sacramenti – la Confessione, il Matrimonio e l’Eucarestia – e, ancor più, perché da essa dipende il principio della oggettività della legge morale. Se passa l’interpretazione più permissiva di Amoris laetitia, sarà la fine della legge morale: ciascuno sarà libero di farsi la sua legge morale personale e privata, e sarà in diritto di pretendere che nessuno altro venga a ficcarci il naso.

Il Concilio di Trento, decidendo l’istituzione dei seminari, era corso ai ripari per porre fine al disordine e all’ignoranza dilaganti nella formazione del clero, sia a livello intellettuale, sia a livello spirituale; oggi bisogna avere il coraggio di fare un mesto bilancio e riconoscer che i seminari, come luogo di formazione del clero, hanno fallito il loro compito, perché sono stati infettati dall’eresia modernista e da tutta una serie di altri vizi, sia intellettuali, sia spirituali, a causa dei quali i sacerdoti delle ultime generazioni, generalmente parlando, non hanno saputo essere all’altezza dei loro predecessori, non sono stati capaci nemmeno di assolvere alla funzione minima e indispensabile della loro vocazione alla vita consacrata: la fedele custodia e trasmissione della vera dottrina e l’esempio vivente, ai fedeli, di una spiritualità bene orientata.

Vorremmo dire di più: non hanno neanche saputo, in molti casi – lo si vede da come parlano, da come predicano, da come agiscono, da quello che non dicono e da quello che non fanno – tenere accesa in se stessi la fiammella della fede, probabilmente perché hanno smesso di pregare e di rivolgersi a Dio, tutti presi da cento altre cose, le quali, pur lodevoli in se stesse - magari non tutte, ma molte – li hanno distratti e allontanati dalla sola cosa che è veramente essenziale, per qualunque cristiano e a maggior ragione per un sacerdote: la preghiera, il rapporto continuo con Dio, l’ascolto della Sua voce, il conforto della Sua presenza, il lasciar fare a Lui,  smettendola di voler fare tutto da soli. Il prete si è dimenticato di non essere un superuomo, ma, semplicemente, e molto più incisivamente e impegnativamente, un uomo di Dio. L’uomo di Dio non conta sulle proprie forze, perché sa che le sue forze, per quanto possano essere grandi, sono sempre limitate e penosamente inadeguate al compito più importante di tutti: la giustificazione davanti a Dio. Le opere sono utili, perfino necessarie – altrimenti avrebbe ragione Lutero – ma non senza la fede, non senza la grazia, e mai nella disattenzione della voce di Dio.

Una gran parte del clero contemporaneo ha permesso che le voci del mondo superassero, per intensità e quantità, la sola voce che conta davvero, la sola di cui non si può fare a meno: quella di Dio. Di conseguenza, questo clero fuorviato brancola nel buio, scivola nell’errore, si perde e diventa causa di perdizione per le anime: responsabilità gravissima, di cui, comunque, sarà chiamato a rendere conto. Sarebbe stato meglio se certi preti, certi vescovi e cardinali, e il papa Francesco per primo, avessero rinunciato alla vita consacrata, se non si sentivano più capaci di alimentare in se stessi la fiammella della fede: sarebbe stato mille volte meglio di questo tradimento della fede sottile, quotidiano, e veramente diabolico, che dà continuamente scandalo alle anime e le sospinge verso lo smarrimento.

Da questo punto di vista, cioè dal punto di vista dello scandalo dato ai piccoli e ai semplici, la colpa dei preti modernisti è perfino più grave della colpa dei preti moralmente disordinati, come quel parroco di Padova, del quale abbiamo altra volta parlato, che, nella perfetta ignavia del suo vescovo, ha fuorviato decine di anime nella sua parrocchia, praticando forme sempre più disordinate di sessualità e approfittandosi, cosa particolarmente indegna, del suo abito di sacerdote consacrato, per far cadere nella rete delle sue voglie le donne inquiete e insoddisfatte, bisognose di una parola di conforto cristiano. Sì: la colpa del clero modernista è perfino più grave, perché il suo cattivo esempio sul piano liturgico, pastorale e dottrinale, va a colpire direttamente le anime, gettandole nella confusione e sospingendole verso l’errore, mentre la colpa dei preti moralmente indegni, pur essendo una cosa orribile, investe una dimensione più terrena dell’esistenza e non arriva, di per sé, a mettere in pericolo il destino dell’anima immortale, pur se può lasciare delle cicatrici dolorose nel corpo e nell’anima delle vittime.

Una Chiesa afflitta da sacerdoti moralmente indegni può sopravvivere, nonostante le terribili ferite che essi le infliggono; ma una Chiesa traviata sul piano della dottrina, corre verso l’autodistruzione. Per questo la colpa dei preti modernisti è la peggiore di cui possa macchiarsi un uomo di Dio: invece di accendere una luce di salvezza per le anime, le inganna e la porta verso la morte. La sua opera nefasta assomiglia a quella dei naufragatori: quelle persone che, al tempo della navigazione a vela, accendevano dei fuochi sulla riva del mare, di notte, per trarre in inganno i velieri in difficoltà, sospinti dal mare grosso, e provocarne il naufragio sugli scogli, allo scopo di poterli poi saccheggiare. I naufragatori provocavano a bella posta la rovina degli ignari naviganti; i preti modernisti provocano, in piena consapevolezza, la rovina delle anime immortali che Dio aveva affidato loro, mediante il sacramento dell’Ordine sacro.

E da chi, allora, potrebbe venire la salvezza della Sposa di Cristo, tradita dai suoi ministri, se non dai semplici fedeli, dai laici, costretti, letteralmente costretti dalla gravità e dall’imminenza del pericolo, a prendere il timone della barca di san Pietro, prima che essa vada a fracassarsi contro gli scogli del modernismo, del relativismo, del soggettivismo, di un ecumenismo malinteso e di un dialogo interreligioso che è l’anticamera del suicidio morale per i seguaci del Vangelo di Gesù Cristo? Certo, essi non sono qualificati: lo riconosciamo senz’altro.

Diremo di più: a partire dal Vaticano II, si è fatta anche troppa retorica pseudo democratica, anzi, demagogica, riguardo al ruolo dei laici nella vita della Chiesa, quasi che non esista una sostanziale differenza fra la vita consacrata a Dio e la vita profana. L’autorizzazione a prendere la Particola consacrata nelle mani e portarla in bocca, da pare dei laici, è solo l’ultimo segno di questa bassa demagogia e di questa irresponsabile negazione del ruolo del sacerdote come tramite indispensabile, come alter Christus, tra il fedele e Dio. Il passo successivo, e ci stiamo arrivando, sarà l’auto-confessione e l’auto-assoluzione, dopo di che non ci sarà più bisogno di preti e di confessionali,  tutti i laici potranno decidere da soli se e quando accostarsi alla santa Eucarestia. Ma, demagogia, a parte, il momento che stiamo vivendo è così grave che un pronto e deciso intervento dei laici non è solo utile, ma indispensabile. Quando un uomo sta morendo, non si chiede a chi lo soccorre se abbia la laurea in medicina. Senza contare che lo Spirito soffia dove vuole: e forse, in quest’ora, sta soffiando più sui laici che sui sacerdoti...

 

Francesco Lamendola

 

Francesco Lamendola è nato a Udine nel 1956. Laureato in Materie Letterarie e in Filosofia, è abilitato in Lettere, in Filosofia e Storia, Filosofia e Pedagogia, Storia dell’Arte, Psicologia Sociale. Insegna nell’Istituto Superiore “Marco Casagrande” di Pieve di Soligo e ha pubblicato una decina di volumi tra saggi storici, musicali, filosofici, di poesia e di narrativa, di cui ricordiamo “Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C.”, “Il genocidio dimenticato. La soluzione finale del problema herero nel sud-ovest africano”, “Metafisica del Terzo Mondo”, “L’unità dell’Essere”, “La bambina dei sogni e altri racconti”, “Voci di libertà dei popoli oppressi.” Fogli Sparsi (E-Book). Collabora con numerose riviste scientifiche (tra cui “Il Polo” dell’Istituto Geografico Polare e “L’Universo” dell’Ist. Geogr. Militare) e letterarie, su cui ha pubblicato diverse centinaia di articoli e a siti internet “Arianna Editrice”, “Edicola Web” ,”Libera Opinione” e “il Corriere delle Regioni” Quaderni culturali: Giornale Web animato aggiornato sui suoi ultimi scritti. Tiene conferenze per la Società “Dante Alighieri” di Treviso, per l’”Alliance Française”, per l’Associazione Italiana di Cultura Classica, per l’Associazione Eco-Filosofica, per l’Istituto per la Storia del Risorgimento, “Alfa e Omega”, “Il pensiero mazziniano” e per varie Amministrazioni Comunali, oltre alla presentazione di mostre di pittura e scultura.





 

Lo ammettono. E' l'enciclica di san Giovanni Paolo II il vero "nemico" e la grande imputata colpevole di aver bloccato la teologia morale. Lo sostiene un fuoco incrociato di teologi à la page con in testa Andrea Grillo. "Veritatis splendor "sbaglia sugli assoluti morali e il rifiuto di un'etica della situazione e perchè è un pronunciamento magisteriale sulla materia morale, che si vuole sganciata dalla Rivelazione. Amoris Laetitia interverrebbe per sanare la frattura". Ma le cose non stanno così perchè contraddirla significa intaccare l'unità della Chiesa. 

di Lorenzo Bertocchi

Dopo il convegno “A un anno da Amoris laetitia. Fare chiarezza”, organizzato a Roma da La Nuova Bussola Quotidiana e dal mensile di apologetica Il Timone, c'è un fatto nuovo e interessante che si inserisce nel dibattito posto dai dubia che quattro cardinali hanno rivolto al pontefice sulle parti ritenute ambigue dell'esortazione apostolica. Un fatto e una domanda. Che meritano di essere conosciuti.

L'ANTEFATTO

Nel settembre 2014 il vescovo di Anversa, Johan Bonny, scrisse una lunga lettera indirizzata ai padri che stavano per riunirsi a Roma in vista del primo round del doppio sinodo sulla famiglia, l'assemblea straordinaria, a cui seguirà poi quella ordinaria del 2015. Il nocciolo di quella lunga missiva era contenuto in poche righe. Queste: «Dopo l'Humanae Vitae e la Familiaris Consortio, la dottrina della Chiesa Cattolica si è trovata legata quasi esclusivamente ad una determinata scuola di teologia morale, costruita su una propria interpretazione della legge naturale».

Occorreva, secondo Bonny, riaprire la porta a quella teologia morale capace di riconoscere «ciò che è umanamente possibile quando ci si trova in circostanze fragili e complesse». Una porta che, sempre secondo Bonny, era stata “marginalizzata” non da un magistero, come ad esempio quello dell'enciclica Veritatis splendor, ma, sostiene il presule, da “uno sviluppo politico ecclesiale”.

IL FATTO

Ma qual è il fatto nuovo che sembra emergere sempre più chiaro nel dibattito sull'Amoris laetitia? Lo scrivono nero su bianco i due curatori di un autorevole volume, Amoris laetitia: un punto di svolta per la teologia morale? (edizioni San Paolo), che nella domanda del titolo contiene già un indizio di questo nuovo elemento.

Il fatto è che l'enciclica di san Giovanni Paolo II Veritatis splendor sarebbe la grande imputata per aver bloccato la teologia morale cattolica (e quindi tutta una serie di questioni legate alla sessualità, alla contraccezione, etc.), dietro a una visione ritenuta unilaterale. Il problema, secondo Stephan Goertz e Antonio Autiero, i curatori del libro presentato giovedì scorso alla Gregoriana, è dato dall'idea «complessiva che con Familiaris consortio e Veritatis splendor sia stata codificata una dottrina completamente inattaccabile dal punto di vista della teologia morale, una dottrina che si basa solidamente sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, una dottrina non più bisognosa di ulteriori sviluppi, ha portato a dei blocchi di pensiero e di azione nella chiesa cattolica. Con Amoris laetitia, papa Francesco si propone di offrire uno spunto a continuare nella ricerca, anche in questo campo».

Sulla stessa lunghezza d'onda il professore Andrea Grillo, insegnante al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, che ha parlato di “massimalismo morale” nel caso di Veritatis splendor. Anzi, secondo Grillo la rottura con la tradizione l'avrebbe operata proprio l'enciclica di Giovanni Paolo II e ora Amoris laetitia, semplicemente, avrebbe rimesso le cose al loro posto. «La discontinuità», ha scritto sul suo blog Come se non, «era stata introdotta da alcuni documenti del XX secolo – che vanno da Casti Connubii, a Humanae Vitae a Veritatis Splendor – i quali avevano introdotto un “massimalismo morale” del tutto inedito fino ad allora, con una grande forzatura nella lettura delle fonti tradizionali, e rispetto a cui Amoris Laetitia opera un vero e proprio atto di “riconciliazione con la tradizione”».

Che il problema fosse proprio Veritatis splendor, con i suoi chiari riferimenti agli assoluti morali, al rifiuto di una coscienza creativa e di un'etica della situazione, lo ha ribadito anche il redentorista Marcelo Vidal all'Università di Salamanca, durante un recente incontro introdotto dal cardinale di Madrid Carlos Osoro. «Amoris laetitia», avrebbe detto Vidal, come riporta Infocatolica, «è contro Veritatis splendor, vale a dire un testo che abbiamo voluto come risarcimento di quella [enciclica] che ha fermato il rinnovamento della Teologia morale del Vaticano II».

Parole che sanno tanto di rivincita in bocca a Vidal, visto che il redentorista fu “ripreso” dalla congregazione per la Dottrina della fede nel 2001 (vedi QUI), proprio in riferimento a tre suoi libri sull'insegnamento della teologia morale. La “Notificazione” firmata dal prefetto cardinale Ratzinger indicava, tra l'altro, che «consequenziale al modello morale assunto [nei libri di Vidal, nda] è l’attribuzione di un ruolo insufficiente alla Tradizione e al Magistero morale della Chiesa, che vengono filtrati attraverso le frequenti «opzioni» e «preferenze» dell’Autore. Dal commento all’Enciclica Veritatis splendor, in modo particolare, si evince la concezione manchevole della competenza morale del Magistero ecclesiastico». Sul finale poi si legge un passo significativo: «con questa Notificazione, [la congregazione della Dottrina della fede] desidera anche incoraggiare i teologi moralisti a proseguire il cammino di rinnovamento della teologia morale, in particolare nell’approfondimento della morale fondamentale e nell’uso rigoroso del metodo teologico-morale, secondo gli insegnamenti dell’Enciclica Veritatis splendor e con il vero senso di responsabilità ecclesiale».

LA DOMANDA

Se le cose stanno come sostengono il vescovo Bonny, i curatori di un importante libro, il professor Grillo e il redentorista Vidal, viene spontaneo chiedersi quale possa essere stato in quasi venticinque anni il dovuto “ossequio della volontà e dell'intelletto” al magistero autentico rappresentato da Veritatis splendor. Ma non è questa la domanda principale che si propone.

Leggendo le “Osservazioni” della congregazione per la Dottrina della fede a di un libro in lingua tedesca, “Teologia morale fuorigioco? Risposta alla enciclica Veritatis splendor”, è possibile comprendere la portata delle questioni che si sollevano. Tali “osservazioni” furono pubblicate sull'Osservatore romano del 2 febbraio 1996. 

Secondo gli autori di quel testo in lingua tedesca, «la Veritatis splendor sbaglia non solo perché critica delle teorie morali che, a loro avviso, rispondono alla verità, ma soprattutto perché intende essere un pronunciamento magisteriale su una materia - la morale normativa - che di per sé non rientrerebbe nelle competenze del magistero della chiesa, dato che su di essa non esisterebbe un concreto insegnamento specifico nella Rivelazione né sarebbe esistita, almeno fino a questo momento, una dottrina cattolica definita. (…) Conseguentemente alcuni autori sono convinti di poter rendere la "Veritatis splendor" oggetto di una "quaestio disputata", e si sentono autorizzati a favorire il dissenso pubblico da un pronunciamento del magistero ordinario del romano pontefice».

La questione comincia a emergere, e riguarda nello specifico il fatto che Veritatis splendor possa effettivamente essere derubricata a mero “sviluppo politico ecclesiale” rispetto al pluralismo della teologia morale, come ha scritto il vescovo Bonny, oppure a espressione unilaterale di un “massimalismo morale”, come dice, invece, il professore Andrea Grillo; o come un'enciclica che ha “portato a dei blocchi di pensiero” come hanno scritto gli autorevolissimi Stephan Goertz e Antonio Autiero nella post fazione al testo presentato il 4 maggio alla Gregoriana.

Ma quanto spazio ha avuto nella Chiesa questa interpretazione di Veritatis splendor? Quanti i pastori, i teologi e i sacerdoti, che sono andati per la loro strada indipendentemente dall’insegnamento di quell’enciclica? E' questo un esempio di “pluriformità” della Chiesa?

La risposta a queste domande deve tener conto della conclusione di quell’ “Osservazione” pubblicata sull'Osservatore romano nel 1996:

«Come ha ricordato recentemente Giovanni Paolo II (…): “Nelle encicliche Veritatis splendor ed Evangelium vitae, così come nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, ho voluto riproporre la dottrina costante della fede della chiesa, con un atto di conferma di verità chiaramente attestate dalla Scrittura, dalla tradizione apostolica e dall'insegnamento unanime dei pastori. Tali dichiarazioni, in virtù dell'autorità trasmessa al successore di Pietro di "confermare i fratelli" (Lc 22,32), esprimono quindi la comune certezza presente nella vita e nell'insegnamento della chiesa” (Discorso alla sessione plenaria della Congregazione per la dottrina della fede, 24.11.1995, nn. 5-6). «A nessuno sfugge», chiosava la congregazione per la Dottrina della fede, «che contestare in linea di principio il ruolo del magistero della chiesa espresso in queste parole, (...), non costituisce un problema semplicemente disciplinare, bensì intacca profondamente l'unità e l'identità della Parola sulla quale è fondata la chiesa». 





[Modificato da Caterina63 09/05/2017 15:37]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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