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Quando e come un Papa favorisce l'eresia... (2)

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2018 01:10
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21/01/2018 11:35
 
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Cum ex apostolatus officio



Dopo un certo silenzio, proponiamo la lettura di una Bolla Pontificia di Papa Paolo IV, la Cum ex apostolatus officioBolla che gode, fuor di ogni plausibile dubbio, dell'infallibilità papale e che lo stesso Papa stabilisce valida in perpetuo. Il fatto che sia verità infallibile risulta evidente dagli stessi requisiti richiesti dal Concilio Vaticano I con Bolla Dogmatica Pastor Æternus, che stabilisce appunto il dogma dell'infallibilità pontificia, mostrandone al contempo anche i precisi limiti.

Tali requisiti sono:
1) Il soggetto dell'infallibilità: è la persona del Romano Pontefice. Il che vuol dire che il Papa deve fare esplicitamente e personalmente propri anche i documenti di un Concilio Ecumenico perché possano questi essere "infallibili".
2) La materia dell'infallibilità: che è la dottrina sulla Fede e sulla morale valevole per la Chiesa universale.
3) Il modo di insegnamento da parte del Papa: che è quello di dare valore di definizione alla dottrina proposta.Ora questi tre requisiti si realizzano perfettamente nel documento pontificio che proponiamo alla lettura di tutti i cristiani di buona volontà. Ci siamo permessi di evidenziare alcuni passi che, a nostro avviso, risultano particolarmente significativi.Posto quindi che quando espresso in tale Bolla è verità cattolica, ciascuno tragga le sue conclusioni.

___________________________________________________________________

Cum ex apostolatus officio Paolo, Vescovo, Servo dei servi di Dio, Ad perpetuam rei memoriam.

Impedire il Magistero dell’errore

Poiché, a causa della carica d’Apostolato affidataci da Dio, benché con meriti non condicevoli, incombe su di noi il dovere d’avere cura generale del gregge del Signore, e siccome per questo motivo, siamo tenuti a vigilare assiduamente per la custodia fedele e per la sua salvifica direzione e diligentemente provvedere come vigilante Pastore, a che siano respinti dall’ovile di Cristo coloro i quali, in questi nostri tempi, indottivi dai loro peccati, poggiandosi oltre il lecito nella propria prudenza, insorgono contro la disciplina della vera ortodossia e pervertendo il modo di comprendere le Sacre Scritture, per mezzo di fittizie invenzioni, tentano di scindere l’unità della Chiesa Cattolica e la tunica inconsutile del Signore, ed affinché non possano continuare nel magistero dell’errore coloro che hanno sdegnato di essere discepoli della verità.

1 - Finalità della Costituzione: Allontanare i lupi dal gregge di Cristo.
Noi, riteniamo che una siffatta materia sia talmente grave e pericolosa che lo stesso Romano Pontefice, il quale agisce in terra quale Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ed ha avuto piena potestà su tutti i popoli ed i regni, e tutti giudica senza che da nessuno possa essere giudicato, qualora sia riconosciuto deviato dalla fede possa essere redarguito, e che quanto maggiore è il pericolo, tanto più diligentemente ed in modo completo si deve provvedere, con lo scopo d’impedire che dei falsi profeti o altre persone investite di giurisdizione secolare possano miserevolmente irretire le anime semplici e trascinare con sé alla perdizione ed alla morte eterna innumerevoli popoli, affidati alle loro cure e governo per le necessità spirituali o temporali; né accada in alcun tempo di vedere nel luogo santo l’abominio della desolazione predetta dal Profeta Daniele, desiderosi come siamo, per quanto ci è possibile con l’aiuto di Dio e come c’impone il nostro dovere di Pastore, di catturare le volpi indaffarate a distruggere la vigna del Signore e di tener lontani i lupi dagli ovili, per non apparire come cani muti che non hanno voglia di abbaiare, per non subire la condanna dei cattivi agricoltori o essere assimilati al mercenario.

2 - Approvazione e rinnovo delle pene precedenti contro gli eretici. 
Dopo approfondito esame di tale questione con i nostri venerabili fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa, con il loro parere ed unanime consenso, Noi, con Apostolica autorità, approviamo e rinnoviamo tutte e ciascuna, le sentenze, censure e pene di scomunica, sospensione, interdizione e privazione, in qualsiasi modo proferite e promulgate contro gli eretici e gli scismatici da qualsiasi dei Romani Pontefici, nostri predecessori o esistenti in nome loro, comprese le loro lettere non collezionate, ovvero dai sacri concili ricevute dalla Chiesa di Dio, o dai decreti dei Santi Padri, o dei sacri canoni, o dalle Costituzioni ed Ordinamenti Apostolici, e vogliamo e decretiamo che essi siano in perpetuo osservati e che si torni alla loro vigente osservanza ove essa sia per caso in disuso, ma doveva essere vigenti; inoltre che incorrano nelle predette sentenze, censure e pene tutti coloro che siano stati, fino ad ora, sorpresi sul fatto o abbiano confessato o siano stati convinti o di aver deviato dalla fede, o di essere caduti in qualche eresia, od incorsi in uno scisma, per averli promossi o commessi, di qualunque stato, grado, ordine, condizione e preminenza essi godano, anche se episcopale, arciepiscopale, primaziale o di altra maggiore dignità quale l’onore del cardinalato o l’incarico della legazione della Sede Apostolica in qualsiasi luogo, sia perpetua che temporanea; quanto che risplenda con l’autorità e l’eccellenza mondana quale la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regia o imperiale.

3 - Sulle pene da imporre alla gerarchia deviata dalla fede.

Legge e definizione dottrinale: privazione «ipso facto» delle cariche ecclesiastiche.

Considerando non di meno che coloro i quali non si astengono dal male per amore della virtù, meritano di essere distolti per timore delle pene e che i vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori, i quali debbono istruire gli altri e dare loro il buon esempio per conservarli nella fede cattolica, prevaricando peccano più gravemente degli altri in quanto dannano non solo se stessi, ma trascinano con se alla perdizione nell’abisso della morte altri innumerevoli popoli affidati alla loro cura o governo, o in altro modo a loro sottomessi;
Noi, su simile avviso ed assenso (dei cardinali) con questa nostra Costituzione valida in perpetuo, in odio a così grave crimine, in rapporto al quale nessun altro può essere più grave e pernicioso nella Chiesa di Dio, nella pienezza della Apostolica potestà, sanzioniamo, stabiliamo, decretiamo e definiamo, che permangano nella loro forza ed efficacia le predette sentenze, censure e pene e producano i loro effetti, per tutti e ciascuno dei vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori i quali, come prima è stato stabilito fino ad oggi, siano stati colti sul fatto, o abbiano confessato o ne siano stati convinti per aver deviato dalla fede o siano caduti in eresia o siano incorsi in uno scisma per averlo promosso o commesso, oppure quelli che nel futuro, siano colti sul fatto per aver deviato dalla fede o per esser caduti in eresia o incorsi in uno scisma, per averlo suscitato o commesso, tanto se lo confesseranno come se ne saranno stati convinti, poiché tali crimini li rendono più inescusabili degli altri, oltre le sentenze, censure e pene suddette, essi siano anche, per il fatto stesso e senza bisogno di alcuna altra procedura di diritto o di fatto, interamente e totalmente privati in perpetuo dei loro Ordini, delle loro chiese cattedrali, anche metropolitane, patriarcali e primaziali, della loro dignità cardinalizia e di ogni incarico di Legato, come pure di ogni voce attiva e passiva e di ogni autorità, nonché‚ di monasteri, benefici ed uffici ecclesiastici con o senza cura di anime, siano essi secolari o regolari di qualunque ordine che avessero ottenuto per qualsiasi concessione o dispensa Apostolica, o altre come titolari, commendatari, amministratori od in qualunque altra maniera e nei quali beneficiassero di qualche diritto, benché‚ saranno parimenti privati di tutti i frutti, rendite e proventi annuali a loro riservati ed assegnati, anche contee, baronie, marchesati, ducati, regni ed imperi;

inoltre, tutti costoro saranno considerati come inabili ed incapaci a tali funzioni come dei relapsi e dei sovversivi in tutto e per tutto, per cui, anche se prima abiurassero in pubblico giudizio tali eresie, mai ed in nessun momento potranno essere restituiti, rimessi, reintegrati e riabilitati nel loro primitivo stato nelle chiese cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali o nella dignità del Cardinalato od in qualsiasi altra dignità maggiore o minore, nella loro voce attiva o passiva, nella loro autorità, nei loro monasteri e benefici ossia nella loro contea, baronia, marchesato, ducato, regno ed impero; al contrario, siano abbandonati all’arbitrio del potere secolare che rivendichi il diritto di punirli, a meno che mostrando i segni di un vero pentimento ed i frutti di una dovuta penitenza, per la benignità e la clemenza della stessa Sede, non siano relegati in qualche monastero od altro luogo soggetto a regola per darsi a perpetua penitenza con il pane del dolore e l’acqua dell’afflizione.Essi saranno considerati come tali da tutti, di qualunque stato, grado, condizione e preminenza siano e di qualunque dignità anche episcopale, arciepiscopale, patriarcale, primaziale o altra maggiore ecclesiastica anche cardinalizia, ovvero che siano rivestiti di qualsiasi autorità ed eccellenza secolare, come la comitale, la baronale, la marchionale, la ducale, la regale e l’imperiale, e come persone di tale specie dovranno essere evitate ed escluse da ogni umana consolazione.

4 - Estinzione della vacanza delle cariche ecclesiastiche 
Coloro i quali pretendono di avere un diritto di patronato (e di nomina delle persone idonee a reggere le chiese cattedrali, comprese le metropolitane, patriarcali, primaziali o anche monasteri ed altri benefici ecclesiastici resisi vacanti a seguito di tali privazioni, affinchè‚ non siano esposti agli inconvenienti di una diuturna vacanza, ma dopo averli strappati alla servitù degli eretici, siano affidati a persone idonee a dirigere fedelmente i popoli nella via della giustizia, dovranno presentare a Noi o al Romano Pontefice allora regnante, queste persone idonee alle necessità di queste chiese, monasteri ed altri benefici, nei limiti di tempo fissati dal diritto o stabiliti da particolari accordi con la Sede, altrimenti, trascorso il termine come sopra prescritto, la libera disposizione, delle chiese e monasteri, o anche dei benefici predetti, sia devoluto di pieno diritto a Noi od al Romano Pontefice suddetto.

5 - Pene per il delitto di favoreggiamento delle eresie.

Inoltre, incorreranno nella sentenza di scomunica «ipso facto», tutti quelli che scientemente si assumeranno la responsabilità d’accogliere e difendere, o favorire coloro che, come già detto, siano colti sul fatto, o confessino o siano convinti in giudizio, oppure diano loro attendibilità o insegnino i loro dogmi; e siano tenuti come infami; né siano ammessi, né possano esserlo con voce, sia di persona, sia per iscritto o a mezzo delegato o di procuratore per cariche pubbliche o private, consigli, o sinodi o concilio generale o provinciale, né conclave di cardinali, né alcuna congregazione di fedeli od elezione di qualcuno, né potranno testimoniare; non saranno intestabili, né chiamati a successione ereditaria, e nessuno sarà tenuto a rispondere ad essi in alcun affare; se poi abbiano la funzione di giudici, le loro sentenze non avranno alcun valore e nessuna causa andrà portata alle loro udienze; se avvocati il loro patrocinio sia totalmente rifiutato; se notai, i rogiti da loro redatti siano senza forza o validità.

Oltre a ciò, siano i chierici privati di tutte e ciascuna delle loro chiese, anche cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali, delle loro dignità, monasteri, benefici e cariche ecclesiastiche in qualsivoglia modo, come sopra riferito, dalle qualifiche ottenute anche regolarmente, da loro come dai laici, anche se rivestiti, come si è detto, regolarmente delle suddette dignità, siano privati «ipso facto», anche se in possesso regolare, di ogni regno, ducato, dominio, feudo e di ogni bene temporale posseduto; i loro regni, ducati, domini, feudi e gli altri beni di questo tipo, diverranno per diritto, di pubblica proprietà o anche proprietà di quei primi occupanti che siano nella sincerità della fede e nell’unità con la Santa Romana Chiesa sotto la nostra obbedienza o quella dei nostri successori, i Romani Pontefici canonicamente eletti.

6 - Nullità della giurisdizione ordinaria e pontificale in tutti gli eretici.Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di arcivescovo o di patriarca o primate od un cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore, la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza tutte e ciascuna di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto, e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione, private di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere.

7 - La liceità delle persone subordinate di recedere impunemente dall’obbedienza e devozione alle autorità deviate dalla fede.

E sia lecito a tutte ed a ciascuna delle persone subordinate a coloro che siano stati in tal modo promossi od elevati, ove non abbiano precedentemente deviato dalla fede, né siano state eretiche e non siano incorse in uno scisma o questo abbiano provocato o commesso, e tanto ai chierici secolari e regolari così come ai laici come pure ai cardinali, compresi quelli che avessero partecipato all’elezione di un Pontefice che in precedenza aveva deviato dalla fede o fosse eretico o scismatico o avesse aderito ad altre dottrine, anche se gli avessero prestato obbedienza e lo avessero adorato e così pure  ai castellani, ai prefetti, ai capitani e funzionari, compresi quelli della nostra alma Urbe e di tutto lo Stato Ecclesiastico, anche quelli obbligati e vincolati a coloro così promossi od elevati per vassallaggio o giuramento o per cauzione, sia lecito ritenersi in qualsiasi tempo ed impunemente liberati dalla obbedienza e devozione verso quelli in tal modo promossi ed elevati, evitandoli quali maghi, pagani, pubblicani ed eresiarchi, fermo tuttavia da parte di queste medesime persone sottoposte, l’obbligo di fedeltà e di obbedienza da prestarsi ai futuri vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali e Romano Pontefice canonicamente subentranti [ai deviati].

Ed a maggior confusione di quelli in tale modo promossi ed elevati, ove pretendano di continuare l’amministrazione, sia lecito richiedere l’aiuto del braccio secolare, né per questo, coloro che si sottraggono alla fedeltà ed all’obbedienza verso quelli che fossero stati nel modo già detto promossi ed elevati, siano soggetti ad alcuna di quelle censure e punizioni comminate a quanti vorrebbero scindere la tunica del Signore.

8 - Permanenza dei documenti precedenti e deroga dei contrari
Non ostano all’applicabilità di queste disposizioni, le costituzioni ed ordinamenti apostolici, né i privilegi, gli indulti e le lettere apostoliche dirette ai vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati e cardinali, né qualsiasi altro disposto di qualunque tenore e forma e con qualsivoglia clausola e neppure i decreti anche se emanati «motu proprio» e con scienza certa nella pienezza della potestà Apostolica, o promulgati concistorialmente od in qualsiasi altro modo e reiteratamente approvati e rinnovati od inseriti nel «corpus iuris», né qualsivoglia capitolo di conclave, anche se corroborati da giuramento o dalla conferma apostolica o rinforzate in qualsiasi altro modo, compreso il giuramento da parte del medesimo.Tenute presenti tutte le risoluzioni sopra precisate, esse debbono aversi come inserite, parola per parola, in quelle che dovranno restare in vigore, mentre per la presente deroghiamo tutte le altre disposizioni ad esse contrarie, soltanto in modo speciale ed espresso.

9 - Mandato di pubblicazione solenne
Affinché‚ pervenga notizia delle presenti lettere a coloro che ne hanno interesse, vogliamo che esse, od una loro copia (che dovrà essere autenticata mediante sottoscrizione di un pubblico notaio e l’apposizione del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica), siano pubblicate ed affisse sulle porte della Basilica del Principe degli Apostoli in Roma e della Cancelleria Apostolica e messe all’angolo del Campo dei Fiori da uno dei nostri corrieri; e che copia di esse sia lasciata affissa nello stesso luogo, e che l’ordine di pubblicazione, di affissione e di lasciare affisse le copie sia sufficiente allo scopo e sia pertanto solenne e legittima la pubblicazione, senza che si debba richiedere o aspettare altra.

10 - Illiceità degli Atti contrari e sanzioni penali e divine
Pertanto, a nessun uomo sia lecito infrangere questo foglio di nostra approvazione, innovazione, sanzione, statuto, derogazione, volontà e decreto, né contraddirlo con temeraria audacia.Che se qualcuno avesse la presunzione d’attentarvisi, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo.

Data a Roma, in San Pietro, nell’anno 1559 dall’Incarnazione del Signore, il giorno 15 marzo, IV anno del Nostro Pontificato.
† Io PaoloVescovo della Chiesa Cattolica

† Io Giovanni Bellaio, Vescovo d’Ostia† Io R. Card. di Carpo, Vescovo di Porto e Santa Ruffina† Io F. Card. Pisano, Vescovo di Tuscolo† Io Fed. Card. Cesio, Vescovo di Palestrina† Io P. Card. Vescovo di Albano† Io R. Card. di Sant’Angelo Penitenziere Maggiore† Io T. Card. Crispo† Io Fulvio Card. di Perugia† Io Michele Card. Saraceno† Io Giovanni Card. di San Vitale† Io Giovanni Card. Pozzo† Io Gerolamo, Card. di Imola† Io B. Card. di Trani† Io Diomede, Card. d’Ariano† Io Scipione, Card. di Pisa† Io  Card. Reumano† Io Antonio, Card. di San Pancrazio† Io Taddeo, Card. Gaddo† Io Virgilio Card. di Spoleto† Io F. Michele Card. Alessandrino† Io Clemente Moniliano, Card. di Santa Maria in Ara Coeli† Io G. Asc., Diacono Card. Camerario (Camerlengo)† Io N., Card. di Sermoneta† Io Giacomo Card. Sabello† Io Gerolamo, Card. di San Giorgio† Io Innocenzo, Card. del Monte† Io Luigi, Card. Cornelio† Io Carlo, Card. Carafa† Io Alfonso, Card. di Napoli† Io Vitellio, Card. Vitelli
† Io Giovanni Battista, Card. consigliere.

Tutti i successori di Pietro sono stati sempre garanti dell’ortodossia della fede cattolica?

Il pontefice romano è il supremo garante dell’ortodossia della fede cattolica, la quale egli è chiamato a custodire, insegnare e trasmettere, vigilando su ogni possibile corruzione di essa. Questo mandato viene conferito al vicario di Cristo in forza del suo essere innestato nella successione apostolica petrina. Pertanto, Pietro non può venir mai meno alla fede, mentre i singoli vescovi, al contrario, a causa dei loro limiti umani, possono potenzialmente incorrere in questo rischio, venendo, così, meno alla pienezza, potremmo dire al pieno compimento, della loro funzione di pastori del gregge loro affidato da Dio.

San Girolamo (347-419/420) – cfr. Ep. 41, 2 –, ha ben precisato che il Signore ha fondato la sua Chiesa su Pietro, conferendole, così, il culmen auctoritatis, come sottolineato da Sant’Agostino (354-430) nel De utilitate credendi 17, 35. Sant’Ambrogio (339/340-397), dal canto suo, aveva contribuito parimenti ad illustrare il legame costitutivo, possiamo dire ontologico, tra la Chiesa e la sede romana, quasi l’“essenza petrina” della Chiesa, con la sua ben nota definizione «ubi Petrus, ibi Ecclesia».

Ma i tratti “petrini” della Chiesa divinamente istituita dal Signore erano già patrimonio teologico condiviso dei credenti, ed avevano trovato nell’Epistula 43 di San Cipriano (210 ca.-258) una delle migliori e più chiare espressioni: «una Ecclesia et cathedra una super Petrum Domini voce fondata» («[Come Dio è uno e uno è Cristo,] così c’è una sola Chiesa e una sola cattedra fondata su Pietro dal Signore»). Per San Cipriano, nella Chiesa di Roma, quindi nel papa, non può allignare l’errore, così come avevano fermamente creduto e bene espresso, ancora un secolo prima, sia Sant’Ignazio di Antiochia che Sant’Ireneo di Lione, il quale asseriva, a proposito della Chiesa di Roma: «Con questa Chiesa, a causa della più alta preminenza, deve accordarsi ogni altra Chiesa, poiché in essa si è conservata la fede apostolica».

Alla luce di questo affidamento toto corde della Chiesa alla sede petrina, e al suo legittimo vescovo, quale “luogo”, istituzionale e ideale contempo, della custodia e della trasmissione della retta fede, va inquadrata la possibilità, tutta umana, di errare dottrinalmente, meglio di non portare a maturo compimento o di non enunciare con sufficiente aderenza alla Sacra Scrittura e alla Tradizione dei Padri alcune specifiche questioni teologiche o morali, da parte del pontefice romano pro tempore.

La Chiesa, illuminata e guidata dallo Spirito Santo, è, d’altronde, un organismo vivente che, nel suo cammino nella Storia, avanza nella sempre maggiore comprensione, potremmo dire nel “disvelamento”, del mistero del progetto salvifico di Dio, sempre memore, tuttavia, del monito, dell’avvertenza paolina di una visione destinata a rimanere «per speculum, in aenigmate».

Non è possibile riassumere in poche battute la complessa e bimillenaria vicenda dello svilupparsi del pensiero teologico, cui furono commisti elementi, a tratti debordanti, politici, sociali e culturali. I pontefici romani, quindi, immersi nella storia così come la loro Chiesa, non vanno enucleati dal loro contesto, quasi guardati come figure titanicamente isolate su di uno sfondo metafisicamente evanescente. Tutt’altro. Le dispute teologiche e le questioni ecclesiologiche furono, per secoli, anche il coacervo di tensioni sociali e istituzionali che caratterizzarono fortemente alcuni risultati, seppur temporanei, dell’elaborazione teologica di singoli pontefici.

Non abbiamo, dunque, a indignarci – soltanto per citare un caso molto noto – se papa Vigilio († 555), e dopo di lui il suo diacono e successore Pelagio I (556-561), cedette alle prolungate minacce e lusinghe dell’imperatore Giustiniano, fino ad un’adesione agli Atti del V Concilio Ecumenico (II di Costantinopoli, 553), e, in seguito, alla condanna postuma dei tre vescovi – i cosiddetti «Tre capitoli» – in causa. Reputando come beni maggiori la pacificazione della Chiesa e della regione italica, devastata da eserciti sanguinari, il pontefice accondiscese a quella specifica concessione, pur facendo salva la dottrina di Calcedonia.

Risulta ben chiaro, quindi, che ci si deve approcciare a queste tematiche come ad un prisma, dal quale si irradiano mille e più linee di ricerca e di approfondimento, pena l’approdare a conclusioni affrettate e non rispondenti alla complessità storica che sta alla base delle questioni teologiche.

È storicamente molto riduttivo, pertanto, definire come «papi eretici» tout court, seguendo una per certi versi consolidata vulgata storiografica, papa Zeffirino († 217), per la sua vicinanza ai Montanisti, o papa Liberio († 366) per la sua presunta consonanza all’arianesimo. Zeffirino, rappresentante del gruppo etnico latino-africano affermatosi nella comunità romana durante il suo predecessore Vittore I († 199), si trovò ad operare in una Chiesa romana dilaniata da un susseguirsi di lotte che la sconvolsero profondamente e prepararono il terreno al grande scisma di Ippolito.

Certo è che papa Zeffirino tollerò il diffondersi all’interno delle comunità delle dottrine adozionistiche, contrapponendo loro, solo parzialmente, dottrine tuttavia monarchiane, sorta di continuazione di un monoteismo giudaico, per cui il Figlio e lo Spirito Santo sono soltanto delle potenze del Dio unico, che sarebbe stata l’unica persona divina a manifestarsi in Cristo. Anche in questo caso, la vicenda teologica va analizzata nella sua davvero intricata articolazione storica, e richiede un metodo interdisciplinare, fondato su un ricco bagaglio di erudizione.

Anche il caso di papa Liberio e dei suoi controversi rapporti con l’arianesimo richiede un approccio culturale altamente qualificato. A parere, infatti, di alcuni filologi, gli scritti di S. Atanasio che “incriminano” il papa sarebbero di due anni precedenti l’elezione di papa Liberio e quindi l’accusa contro di lui andrebbe considerata come posteriore e elaborata “ad arte”, e anche sulle stesse lettere sottoscritte dal pontefice vengono alzati alcuni dubbi. Questa ancora non del tutto chiarita vicenda storica vede, inoltre, come ben noto, coinvolto in prima persona l’imperatore ariano Costanzo II, figlio di Costantino, il quale decisamente pesò sul convulso affastellarsi di vicende politiche e teologiche ad un tempo, di fronte alle quali gli storici del Cristianesimo ancora conservano un motivato atteggiamento di critica, e non del tutto compiuta, rilettura.

Per risalire, soltanto metaforicamente, più avanti nei secoli, altrettanto conosciuta è la questione sollevata da Giovanni XXII (1249-1334), il francese Jacques Duèze o d’Euse, circa la visio beatifica. Nel sermone della festa di Ognissanti pronunciato in Notre Dame a Parigi nel 1331, il papa si chiese in cosa consistesse la gloria dei santi intesa come ricompensa – merces –: per i padri dell’Antico Testamento si tratta del seno di Abramo, mentre dopo l’avvento di Cristo ci si deve riferire all’Apocalisse dove si dice che essa consiste nel tenersi «sotto l’altare» (Apc 6, 9).

Seguendo l’interpretazione che già era stata di Agostino e soprattutto di San Bernardo di Chiaravalle, Giovanni XXII lesse l’altare sotto cui si trovano i martiri come l’umanità di Cristo. Le anime beate, dunque, dovranno accontentarsi della contemplazione dell’umanità di Cristo fino al momento del Giudizio in cui contempleranno, corpo e anima, la divinità. Questa tesi del pontefice turbò particolarmente la Curia perché parve probabilmente troppo prossima a quell’error Graecorum condannato nel 1241, secondo cui le anime elette non sono in paradiso fino al giorno del Giudizio.

Di qui, si sarebbe accesa una contesa che avrebbe visto nella tenzone gli spiriti migliori del tempo, e avrebbe coinvolto dei milieux filosofici e letterari di altissimo livello quale la cerchia agostiniana di Francesco Petrarca e di Roberto di Barduccio Bardi, cancelliere dell’Università di Parigi e fine collettore dei manoscritti recanti le opere dell’Ipponense. Il tutto, inoltre, andò ad innestarsi sulle ormai fratricide lotte tra ordini mendicanti e maestri secolari per il predominio accademico sulle Università e sul timore, espresso in una lettera al Bardi, del re di Francia circa il pericolo di una condanna del pontefice che avrebbe inesorabilmente riaperto la strada del ritorno della Sede apostolica dalla Francia a Roma.

Da questi brevi cenni, si può ben comprendere la densità delle tematiche che si vanno ad affrontare quando si voglia trattare il tema della erranza dottrinale dei pontefici, più che verosimilmente uno dei temi più difficili da analizzare nella bimillenaria vicenda della Chiesa cattolica.

Il 18 luglio 1870, con la Costituzione dogmatica Pastor Aeternus, il Concilio Vaticano I non compiva, pertanto, un atto di prevaricazione dei cuori e delle menti dei Pastori e dei Christifideles, ma, alla luce della tradizione e dell’esperienza plurisecolari della custodia e della trasmissione del deposito della fede, e tenendo ben presente la caducità umana del singolo Pastore, ben affermava e segnatamente specificava: «Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi […]».





[Modificato da Caterina63 10/02/2018 16:23]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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