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Ultimo Aggiornamento: 08/01/2019 13:00
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24/02/2018 09:33
 
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 STATO VEGETATIVO

Mamma muore e papà scrive un libro: "Ti dico la verità"

 


Nel libro si narra la storia di Luca e di sua moglie Viviana, entrata in stato vegetativo quando Mattia aveva poco più di sei mesi e morta dopo quattro anni. "Ti dico la verità", è la storia di una famiglia, al tempo stesso spezzata e tenuta in piedi, con una capacità esemplare di coraggio.


“Ti dico la verità”, è una lettera ad un figlio, un lascito a sé, una memoria del tempo, il grido di dolore e di salvezza che un uomo ferito è riuscito a pronunciare. Nel libro edito da Lindau e scritto da Paola Turroni, si narra la storia di Luca Nisoli e di sua moglie Viviana, entrata in stato vegetativo quando Mattia, il loro figlio, aveva poco più di sei mesi, e morta dopo quattro anni.

Luca nel giro di pochissime ore, si è ritrovato a vivere il dramma inesorabile di una moglie costretta in un letto, senza appigli a cui aggrapparsi, con un bambino da gestire, crescere, amare. Con fatica, questo giovane uomo si è rialzato ed è riuscito a sconfiggere i demoni che ogni notte lo visitavano, perché è riuscito a guardare oltre la propria dimensione personale. Aveva Mattia da crescere, da proteggere, da guardare negli occhi senza negargli mai nulla, senza edulcorare una realtà che non poteva essere celata. Luca ha imparato a diventare padre grazie a Mattia raccontandogli la verità, crescendo con lui, senza aver mai la pretesa di sostituirsi alla madre. 

È una storia quella contenuta in “Ti dico la verità” che richiama tutti noi, a quella semplicità del vivere tipica di quella civiltà novecentesca che il mondo moderno sembra aver cancellato. A muoverlo forse un moto inconscio, neppure razionalizzato a dovere. Istintivo, come molte delle azioni che spesso si è trovato a dover compiere nel frangente di un secondo. Come un saggio naturale, senza costruzioni intellettuali, schemi prestabiliti, metodi indotti. Luca si è mosso con il semplice istinto del buon senso. Proprio come gli uomini di una volta, quando in tempo di guerra o di carestia, senza dotte pretese di salvezza, salvavano. Senza precetti religiosi da osservare, manifestavano il sacro dentro i loro gesti. Questo libro non è nato con la pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno, per indicare una via od un metodo. Non vi è neppure la tentazione di offrire una scorciatoia, o di edulcorare una verità dura, come solo quella che appartiene alla realtà ci può offrire.

C’è anche una bellezza senza confini nelle pieghe di queste pagine: la forza e la determinazione dell’amore. Quando è iniziata l’avventura che ha portato alla scrittura di questo volume, Luca ha palesato immediatamente una volontà: pubblicare questo libro per fare memoria di sé a stesso, a Mattia, per offrire la possibilità ad altri di confrontarsi con quel dolore di cui l’umanità è piena, per dare la possibilità ad altri padri, madri e figli di sentirsi meno soli dentro il dramma della malattia, della morte, della disperazione.

Ecco allora che le parole possono diventare salvifiche quando sanno incarnare la precarietà che ognuno di noi porta in dote come un bagaglio, una valigia, un macigno da sopportare. “Gli altri” questa è la chiave di lettura. Chi come Luca ha vissuto un’esperienza come quella narrata in queste pagine, ha solo due possibilità: o diventare cinico cercando legittima giustificazione nel dolore che lo ha pervaso, oppure guardare agli altri con lo sguardo di colui che è caduto e si è rialzato ed ora ha la possibilità di capire cosa vuole dire precipitare e salvarsi. 

Luigi Zoja, psicoanalista di fama mondiale, in un suo libro, “La morte del prossimo” scrive: “L’esperienza del prossimo è evaporata perché è diventato irreale lo spazio in cui la sentivamo”. Ecco, in un piccolo paese della bassa bergamasca, anche questa “sentenza” è stata confutata. Il prossimo accanto a Luca ha prevalso, lo spazio di vita è rimasto reale, concreto, anche duro nella sua cruda verità. Così, accanto alla suggestione di mettere nero su bianco i propri passi, il protagonista del libro ha da subito espresso la volontà di fare in modo che quella prossimità non fosse solamente un’attitudine del cuore, ma si potesse trasformare in qualcosa di concreto, in grado di guardare agli altri, di aiutare chi a differenza sua non ha avuto e non può avvalersi di una famiglia di origine in grado di sostenere la sfida, di reggere le fatiche e la sofferenza.

“Ti dico la verità” dunque si pone due obbiettivi, il primo intrinseco nelle ragioni stesse che caratterizzano qualsiasi pubblicazione, ossia fare cultura, promuovere una narrazione di senso che sappia entrare empaticamente in contatto con il lettore. Il secondo, di carattere sociale, ossia promuovere solidarietà, attraverso un progetto concreto di sostegno a famiglie con bambini e ragazzi che stanno vivendo un periodo di difficoltà dovuto ad avvenimenti simili o comunque affini a quanto è accaduto a Luca e alla sua famiglia. "Ti dico la verità", è la storia di una famiglia, al tempo stesso spezzata e tenuta in piedi, con una capacità esemplare di coraggio, restituendo a noi che la incontriamo una saggezza profonda, a tratti inesorabile, che ci accompagna lungo il loro cammino.





http://www.lanuovabq.it/it/sandra-la-fidanzata-santa-che-vedremo-sugli-altari 

Sandra, la fidanzata santa che vedremo sugli altari
ECCLESIA 26-03-2018

Racchiude tante delle virtù oggi dimenticate e a volte derise dal mondo, Sandra Sabattini, la ragazza per la quale il 6 marzo scorso papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che la dichiara Venerabile. Ecco la sua storia iniziata a 12 anni dopo aver conosciuto don Oreste Benzi. 

 

Racchiude tante delle virtù oggi dimenticate e a volte derise dal mondo, Sandra Sabattini, la ragazza per la quale il 6 marzo scorso papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che la dichiara Venerabile, tappa che precede la possibile beatificazione, la quale diverrà concreta nel caso le venisse attribuito un miracolo. Ma quali sono state le virtù eroiche di questa giovanissima testimone del XX secolo, che molti già chiamano la “fidanzata santa”?

Sandra nasce a Riccione il 19 agosto 1961 da una famiglia profondamente cristiana, che fino ai suoi quattro anni vive a Misano Adriatico: papà Giuseppe, mamma Agnese e il fratellino Raffaele. Con loro si trasferisce poi a Rimini presso la canonica della parrocchia retta dallo zio, don Giuseppe Bonini, respirando ancora di più la fede nei beni celesti, come dimostra il suo diario, scritto dall’età di dieci anni e mezzo, nel quale annota: “La vita vissuta senza Dio è un passatempo, noioso o divertente, con cui giocare in attesa della morte”. Cresce dedicandosi alle attività comuni a molte coetanee: fa sport, suona il pianoforte, canta in un coro, sprizza vita da tutti i pori. Ma dentro di sé va germogliando un carisma fuori dall’ordinario e a 12 anni conosce don Oreste Benzi, il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, che con il suo esempio di fede incarnata aiuterà Sandra a incamminarsi sulla via della perfezione cristiana.

Nell’estate del 1974 partecipa a un soggiorno estivo sulle Dolomiti, insieme a ragazzi con gravi disabilità. È un’esperienza che la segna, tanto che tornando a casa dirà alla madre: “Ci siamo spezzate le ossa, ma quella è gente che io non abbandonerò mai”. Allo stesso tempo matura una sempre più intensa relazione con Dio. Sandra prende sul serio i Sacramenti, prega, fa compagnia a Gesù nascosto nel tabernacolo, legge i Salmi, medita sulle Sacre Scritture e comprende di dover offrire a Dio la propria miseria. “Signore, sento che Tu mi stai dando una mano per avvicinarmi a Te; mi dai la forza per fare un passo in avanti. Accettarti io vorrei, prima però devo sconfiggere me stessa, il mio orgoglio, le mie falsità. Non ho umiltà e non voglio riconoscerlo, mi lascio condizionare terribilmente dagli altri, ho paura di ciò che possono pensare di me. […] Dio, mi sai accettare così come sono, piena di limiti, paure, speranze?”.

Con questi umanissimi sentimenti, Sandra dedica il suo tempo libero ad aiutare i disabili e i tossicodipendenti assistiti dalla comunità di don Benzi e va a cercare i bisognosi di casa in casa. Nel 1979 arriva il fidanzamento con Guido, conosciuto l’anno prima a una festa di Carnevale: “La prima immagine che ho di lei è mentre sta ballando a quella festa”, ha ricordato lui, che prima di conoscerla viveva la propria fede cristiana quasi come un “tappabuchi filosofico”. Al contrario di Sandra per cui la fede era tutto e perciò andava vissuta in tutto, come nel rapporto casto con il fidanzato, noncurante della cultura sessantottina che aveva pervaso la società. “Fidanzamento: qualcosa di integrante con la vocazione. Ciò che vivo di disponibilità e d’amore nei confronti degli altri, è ciò che vivo anche per Guido”. Nessuno spazio per il libertinaggio di moda, ma solo per una libertà autentica: “Liberi… liberi dalla carne, dalle cose materiali, dalle emozioni, dalle passioni: cioè vivere queste cose senza restarne imbrigliati, per aprirsi a Dio, al suo Amore, che è spazio infinito”.

È la stessa vocazione che spinge Sandra a scegliere di iscriversi alla facoltà di Medicina, una scelta non dettata dal desiderio di carriera bensì maturata dalla ricerca del progetto che Dio ha su di lei, per donarsi totalmente come Lui desidera. Sogna di fare il medico missionario in Africa, nel suo slancio giovanile vorrebbe partire anche subito dopo la maturità scientifica, ma ascolta il padre, che la induce saggiamente a fare un passo alla volta. Del resto, il saper attendere era un suo pregio peculiare: “La verità è che dobbiamo imparare nella fede l’attesa di Dio, e questo non è un piccolo sforzo come atteggiamento dell’anima. Questo attendere, questo non preparare i piani, questo scrutare il cielo, questo fare silenzio è la cosa più interessante che compete a noi. Poi verrà anche l’ora della chiamata, ma ciechi se in tale ora penseremo di essere gli attori di tali meraviglie: la meraviglia semmai è Dio che si serve di noi così miserabili e poveri”.

La mattina del 29 aprile 1984, appena scesa dalla macchina per andare a partecipare a un’assemblea della “Papa Giovanni” con il fidanzato e un amico, viene investita da un’altra auto. La morte arrivò tre giorni dopo, quando non aveva ancora compiuto ventitré anni. Consapevole delle sue virtù, don Benzi si attivò subito, assieme a coloro che avevano avuto la grazia di conoscerla, per chiedere alla Chiesa di aprire un’indagine sulla sua vita esemplare - modello sicuro per ogni giovane - e nel 1985 curò la prima edizione del Diario di Sandra. Durante l’inchiesta diocesana, aperta nel 2006 e conclusa due anni più tardi, sono state ascoltate una sessantina di testimonianze su questa ragazza, che ha vissuto nel mondo con lo sguardo fisso all’eternità. Una ragazza che ringraziava Dio perché “sei con me, è una gioia paragonabile a nessun’altra quella che sento in me” e diceva sicura: “Oggi c’è un’inflazione di buoni cristiani, mentre il mondo ha bisogno di santi”.



[Modificato da Caterina63 28/03/2018 12:07]
Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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