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iL MALE MINORE NON ESISTE E SE ESISTE PORTA AL MALE

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2017 20:27
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10/01/2017 20:15
 
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Il “male minore” porta Male (6° parte: matrimonio gay)

01 matrimonio gay

Male minore e “nuovi diritti” reclamati

Strategia vincente non si cambia. Coloro che vogliono portare a casa ulteriori “nuovi diritti” continuano, logicamente, a usare le stesse “armi” che si sono dimostrate vincenti nel conquistare i vecchi “nuovi diritti” acquisiti in passato, che abbiamo fin qui esaminato. Come vedremo nelle pagine che seguono, costoro continuano a ripetere che c’è un “far west” da debellare, continuano a cambiare la realtà cambiando semplicemente il significato delle parole e, soprattutto, continuano a predisporre la trappola del “male minore”, certi che in questo modo potranno sicuramente contare sull’aiuto dei cattolici, i quali, incapaci di imparare dagli errori passati e stregati dalla “riduzione del danno”, abboccheranno sicuramente come allocchi.

È grazie al voto e all’impegno dei cattolici se l’Italia ha potuto avere tre leggi inique come quelle su divorzio, aborto e fecondazione in vitro, non tradiranno perciò le rosee aspettative dei nemici della vita, della famiglia e del Diritto Naturale, che oggi combattono per ottenere il matrimonio gay, la droga legale, l’eutanasia e la sua appendice: il testamento biologico.

 


INDICE:

1 ) “Male minore”, nuovo nome della barbarie?

Male minore e “nuovi diritti” legalizzati

2) Male minore e aborto

3) Male minore e fecondazione extracorporea

4) Male minore e divorzio

5) Male minore e contraccezione artificiale

Male minore e “nuovi diritti” reclamati

6) Male minore e matrimonio gay

7) Male minore e droga libera

8) Male minore, eutanasia e suicidio assistito

9) Male minore, eutanasia passiva e Testamento biologico

10) Conclusione

Bibliografia, Filmografia, Articoli e Studi

6) MALE MINORE e MATRIMONIO GAY

“Non è accettabile che in Italia non si sia ancora introdotta una legge che faccia uscire dal far west le convivenze stabili tra omosessuali, conferendo loro dignità sociale e presidio giuridico” ed “è intollerabile che questo Parlamento non sia riuscito a varare una legge contro l’omofobia e la transfobia”.

02 BersaniQuesta dichiarazione di Pier Luigi Bersani, ex segretario del Partito Democratico, espressa nel 2012 in un messaggio rivolto ai promotori del gay pride di Bologna, richiama una strategia che abbiamo ormai imparato a riconoscere: bisogna fare una legge per fermare il far west. Quando è stato approvato il divorzio c’erano da regolarizzare 5 milioni di persone coinvolte nelle separazioni coniugali; con l’aborto legale bisognava invece fermare la piaga dell’aborto clandestino: 2-3 milioni di aborti illegali annui e migliaia di donne che morivano a causa delle “mammane”; grazie alla legalizzazione della fecondazione extracorporea si sarebbe finalmente messo un argine alla “provetta selvaggia”. Insomma, niente di nuovo sotto il sole. In questo caso le cifre che vengono sparate parlano di 5-6 milioni di omosessuali in Italia e di un numero di figli che vivono in coppie omogenitoriali che va dai 100mila (secondo Arcigay) ai 200mila (secondo Arcilesbica), ma come in passato i numeri sono falsificati e gonfiati oltremisura. Se si va a leggere il rapporto Istat relativo al censimento del 2011, si può vedere che gli italiani che si dichiarano “omosessuali o bisessuali” sono 1 milione (circa l’1% della popolazione), che le coppie omosessuali sono appena 7.513 (13.990.000 sono le coppie composte da un uomo e una donna) e i figli che vivono con loro solo 529, dei quali la maggior parte frutto di una precedente unione eterosessuale e perciò, anche dal punto di vista anagrafico, con un padre e una madre. I numeri reali ci dicono in sostanza che non c’è nessuna emergenza nazionale o ipotetico far west da fronteggiare.

03 Renzi Civil PartnerschipIl “comunista” Bersani non è riuscito a realizzare le unioni civili omosessuali, ma oggi, grazie al “cattolico” Renzi, l’obiettivo sembra che si possa finalmente concretizzare. Non c’è niente da fare, per l’introduzione delle norme inique bisogna aspettare l’arrivo dei cattolici… e del politically correct: tranquilli, non si tratta del “matrimonio gay” ma semplicemente delle “civil partnerships” all’inglese o alla tedesca.

Il Ddl sulle unioni civili in discussione alla commissione Giustizia del Senato, conferisce riconoscimento legale alle convivenze omosessuali assegnando loro gli stessi diritti che hanno marito e moglie: reversibilità della pensione, quota di legittima nella successione in caso di morte, iscrizione alle liste per l’assegnazione delle case popolari, diritto all’assistenza, assegno di alimenti in caso di cessazione del vincolo… una serie di diritti che per la maggior parte i conviventi possono già regolare in forma privata. Resta esclusa l’adozione di bambini, ma il divieto è solo formale, il Ddl prevede infatti la stepchild adoption, mediante la quale il partner omosessuale non biologico potrà adottare il figlio biologico del convivente, diventando anch’egli genitore del bambino a tutti gli effetti. Ora, poiché è indiscutibile che i figli possano nascere solo dall’unione di un uomo e una donna, i figli di un’unione civile non saranno altro che i bambini che le coppie gay si saranno fabbricati all’estero col ricorso alla fecondazione eterologa e all’utero in affitto, vietato in Italia. Per cui, se uno dei conviventi si procurasse un figlio all’estero, acquistando un ovocita che sarà fecondato con il suo seme e impiantato in un utero in affitto, il bambino che porterà in Italia sarà biologicamente suo e, dunque per legge, potrà essere adottato anche dal convivente. Lo stesso risultato si potrebbe ottenere anche nel caso in cui, invece di un figlio biologico, uno dei conviventi si procurasse un figlio adottivo in un Paese con una legge più permissiva di quella italiana. Osserva il sociologo Massimo Introvigne che – secondo quanto stabilito da una sentenza del Tribunale dei Minori di Bologna del 21 marzo 2013 – “un single che ha validamente adottato un bambino all’estero ha diritto a vedersi riconosciuta l’adozione anche in Italia”. In questo modo il partner dell’unione civile potrà adottare il figlio adottivo dell’altro partner, divenendone anche in questo caso il genitore effettivo. In entrambe le situazioni il risultato non cambia: il bambino si ritroverà con due genitori dello stesso sesso e privato di una figura genitoriale fondamentale.

Il divieto di adozione del Ddl sulle unioni civili assomiglia moltissimo ai paletti di cartone della legge 40, che formalmente introduceva il divieto di crioconservare gli embrioni, ma poi di fatto permetteva che si crioconservassero. Ma anche all’ipocrisia della legge 194, che all’art. 1 dice che lo Stato “tutela la vita umana dal suo inizio”, ma poi quella stessa vita permette di eliminarla con l’aborto.

Introvigne osserva che, anche nel caso in cui l’articolo sull’adozione dovesse essere eliminato dal Ddl, ci penserebbero poi la Corte Europea e Costituzionale a riconoscerla. La Corte Europea ha, infatti, stabilito che nessun Paese dell’UE è obbligato a introdurre istituti simili al matrimonio per le coppie omosessuali, ma se lo fa non può poi “discriminarle” rispetto alle coppie eterosessuali. Se dunque dovesse passare il Ddl sulle unioni civili senza l’articolo della stepchild adoption – scrive il sociologo italiano – “dopo pochi mesi la magistratura – italiana o europea – reintrodurrebbe le adozioni, non in base a una nuova giurisprudenza bensì a un orientamento chiaro e definito, che esiste già”.

05 aiuti solo ai gay - il giornaleV’è poi chi ha fatto notare che una discriminazione potrebbe essere riconosciuta anche nei confronti delle unioni civili eterosessuali alle quali il Ddl attribuisce di fatto meno diritti, come quello di non godere della pensione di reversibilità che invece è garantita alle coppie omosessuali. A questa obiezione il Governo ha risposto dicendo che, se le coppie eterosessuali vogliono anch’esse godere di tutti i diritti, non devono far altro che contrarre matrimonio. In realtà il vero, e più pragmatico, motivo è un altro: il premier Renzi vuole evitare l’errore che fece il governo britannico quando inaugurò il riconoscimento delle convivenze sia omo che etero, poi costretto a una repentina marcia indietro nei confronti delle coppie etero, perché le cifre astronomiche che si materializzarono rischiavano di far fallire il sistema di previdenza sociale. Ecco perché anche in Italia la civil partnership è destinata solo alle coppie omosessuali: poche migliaia di coppie gay (7.513 secondo i dati Istat) non dovrebbero costituire un pericolo per le casse dell’INPS, quasi un milione di coppie eterosessuali conviventi sì. Tuttavia, se in futuro dovesse essere riconosciuta una discriminazione di legge tra coppie conviventi gay ed eterosessuali, lo spauracchio della bancarotta del sistema previdenziale riemergerebbe in tutta la sua portata.

Oltre a questi problemi, v’è anche chi ha fatto notare l’insorgenza di possibili abusi, con la nascita di unioni civili solo per convenienza: per assicurarsi la pensione di reversibilità basterà “sposare” l’amico o l’amica titolare di pensione.

A questo punto sorge una domanda: ma se i diritti assegnati alle coppie gay dalla civil partnerschip sono già regolati dal diritto privato, perché fare una norma per introdurre la civil partnership? La risposta è evidente: per arrivare al matrimonio gay e alle adozioni! Dopo l’equiparazione sostanziale delle unioni civili alla famiglia fondata sul matrimonio, non tarderà ad arrivare anche il loro riconoscimento formale, come è successo prima in Inghilterra e poi in Irlanda. In Inghilterra le “unioni civili” sono state riconosciute nel 2005, il matrimonio gay è arrivato nel 2013. Cos’è cambiato nell’impianto della legge? Nulla, tutto era già stato scritto e previsto, è bastato solo modificare il nome da “civil partnership” in “same-sex marriage”. Quando è stata fatta quest’operazione – scrive Introvigne – la maggioranza degli inglesi se n’è accorta a stento, perché convinta che il matrimonio omosessuale ci fosse già. Infatti, se nella sostanza l’istituto dell’unione civile prevede diritti e doveri per la coppia del tutto analoghi a quelli della famiglia fondata sul matrimonio, lo si può chiamare come vuole, ma la realtà resta quella di un matrimonio. Osserva Introvigne al riguardo:

“Posso scrivere sulla bottiglia ‘champagne’ ma se dentro c’è della gazzosa non si trasforma miracolosamente in Dom Perignon… Un proverbio americano dice che se un animale cammina come un’anatra e starnazza come un’anatra tanto vale chiamarlo anatra. Con qualunque clausola cosmetica a uso degli ingenui, la legge Cirinnà [sulle unioni civili] è un’anatra che cammina come il matrimonio e dà i diritti del matrimonio, adozioni comprese”.

In Irlanda è accaduta una cosa analoga. Nel 2010 è stato creato il nuovo istituto giuridico delle unioni civili fra persone dello stesso sesso, in tutto uguali al matrimonio tra uomo e donna, a esclusione dell’adozione. Prima del referendum popolare del 22 maggio 2015, il Parlamento irlandese ha introdotto a tempo di record una legge che garantiva loro anche il diritto di adozione. A questo punto che cosa restava da decidere al popolo irlandese? Solo il nome, perché di fatto i diritti c’erano già tutti.

Questo è quello che succederà anche in Italia, se dovesse passare il Ddl sulle unioni civili del PD. Una volta creato l’istituto giuridico, in tutto uguale al matrimonio, le adozioni in un modo o nell’altro arriveranno e, a quel punto, non resterà altro da fare che cambiargli il nome da “unione civile” in “matrimonio”.

Dopo questa lunga, ma necessaria, premessa arriviamo all’argomento principale della nostra riflessione, ovvero il “male minore” e di come esso si concretizza nell’ambito della questione unioni civili. Ancora una volta dobbiamo, purtroppo, constatare che il compromesso del “male minore” proviene da esponenti del mondo cattolico:

“È necessario riconoscere le unioni delle persone dello stesso sesso, perché ci sono molte coppie che soffrono perché non vedono riconosciuti i loro diritti civili; quello che non si può riconoscere è che questa coppia sia un matrimonio”.

Quest’affermazione dell’arcivescovo Piero Marini, delegato pontificio per i Congressi Eucaristici, è stata rilasciata durante un’intervista al quotidiano La Naciòn il 20 aprile 2013, a margine del Congresso Eucaristico in Costa Rica. Un’affermazione che fa il paio con le parole pronunciate due mesi prima da monsignor Vincenzo Paglia, durante la sua prima uscita come presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Come ribadito anche in seguito, monsignor Paglia da un lato chiede che sia difesa l’unicità della famiglia naturale, ma dall’altro lato invoca una normativa sulle convivenze. A giugno 2015, dopo aver ricordato in un’intervista a Adnkronos che la famiglia a non dover essere “discriminata” è quella composta da “marito e moglie con i figli”, monsignor Paglia aggiungeva che “possono anche individuarsi altri modi di convivenza, applicando ad esempio in Italia l’articolo 2 della Costituzione la quale però all’articolo 29 individua con chiarezza cosa si deve intendere per famiglia”.

Ragionamenti di questo tipo si possono frequentemente incontrare anche sul quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, dove, per esempio in un editoriale del 13 aprile 2013, il professore Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, minimizzava le sconcertanti parole del presidente della Corte costituzionale, Franco Gallo, che aveva invitato il Parlamento italiano a riconoscere le unioni gay. D’Agostino aveva osservato che, in effetti, Gallo non aveva chiesto la parificazione delle unioni gay al matrimonio, ma semplicemente di garantire i diritti civili delle stesse. Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, il 14 luglio 2015 ha scritto della necessità, riaffermata più volte, “di trovare un percorso sensato – una ‘via italiana’ – che affronti il nodo [delle convivenze omosessuali] su un piano diverso da quello matrimoniale… Un piano patrimoniale (che può diventare un piano 08 Mons Nunzio Galantinodella solidarietà)”. E il segretario generale della CEI, Monsignor Nunzio Galantino, in un’intervista del 9 luglio 2015 ha ribadito la necessità da parte dello Stato di dover fare i conti con la realtà: “Dovessi io fare la legge – ha detto il Monsignore -, il Ddl Cirinnà non lo assumerei assolutamente, ma è chiaro che il governo deve fare i conti con la realtà che gli sta di fronte”. Del resto, sempre Galantino, ospite a Rai3 il 30 maggio 2015 nella trasmissione di Fabio Fazio, aveva perorato la causa del riconoscimento delle unioni omosessuali, purché non siano confuse con il matrimonio tra uomo e donna.

Il compromesso cattolico, o “via italiana”, alle unioni civili consisterebbe in sostanza nell’elaborazione di un testo che riconosca le unioni omosessuali, ma non le identifichi con il matrimonio. La posizione di questi cattolici è in altre parole questa qui: no al matrimonio tra omosessuali, ma sì al riconoscimento dei diritti civili e di forme di unioni o convivenze che non si chiamino matrimonio. In definitiva, per paura che venga legalizzato il “male maggiore” (matrimonio e adozioni gay), costoro accettano il compromesso del “male minore” (unioni civili), o, detto altrimenti, per prevenire il matrimonio e le adozioni gay (male maggiore) si dà ingenuamente il proprio assenso alle unioni civili (male minore), senza rendersi conto del fatto che l’introduzione delle unioni civili è esattamente il passaggio per arrivare al matrimonio gay e alle adozioni, come abbiamo mostrato all’inizio. L’azione del “male minore”, testata ampiamente sul campo, la conosciamo bene: porterà al sicuro verificarsi del male maggiore, farà insorgere ulteriori mali non preventivati, determinerà il trionfo completo del Male.

Ha scritto Mario Palmaro:

“Sta per essere girata una nuova puntata della telenovela cattolica dedicata al cosiddetto male minore. Da una decina d’anni, la dottrina del male minore si è impossessata come un demone di importanti fette del mondo cattolico. In base a questa strategia, i cattolici in politica – e gli organi di informazione e formazione che li spalleggiano – non devono più ‘limitarsi’ (sic) ad affermare i principi non negoziabili opponendosi alle iniziative legislative che li negano, ma devono assumere l’iniziativa legislativa promuovendo leggi che affermano quei principi solo in parte, ma che impediscono l’approvazione di leggi peggiori.[…]

Come si vede, la logica è sempre la stessa: la linea del Piave morale non è più tracciata da principi invalicabili proclamati anche con l’azione politica e giuridica. Non ci si assesta più su posizioni intransigenti, del tipo: no al divorzio, no all’aborto, no ai bambini in provetta, no all’eutanasia, no al riconoscimento dell’omosessualità come valore che genera uno status giuridico. Per carità, queste posizioni non sono apertamente negate. Semplicemente, scompaiono dal dibattito pubblico.

Il politico di riferimento, al quale i cattolici hanno appaltato i temi eticamente sensibili, su questi principi tace. E diventa molto loquace nel sostenere le soluzioni di compromesso – ovviamente lodate come punto di equilibrio alto e civile – che verranno sostenute in sede parlamentare. Dunque la linea del Piave morale per i cattolici si sposta continuamente: in un certo momento coincide con il rifiuto dei matrimoni gay; in un momento successivo, arrivate le nozze gay, coincide con il rifiuto delle adozioni per i gay; in un momento ancora successivo, giunte le adozioni, il politico cattolico sposta la trincea al punto in cui si richiede che i gay siano conviventi da almeno cinque anni, e facciano la raccolta differenziata correttamente e allevino un cucciolo di cane da almeno tre. E così via. […]

Ma almeno, uno potrebbe chiedere, questa ‘dottrina del male minore’ porta davvero dei risultati? Sì: il disastro. Quando ero bambino, mio padre mi ripeteva spesso l’apologo della diga. Per quanto grande e robusta possa essere una diga – mi diceva – se in quel cemento armato si apre un piccolo forellino, e l’acqua comincia a passarci attraverso, è solo questione di tempo, e prima o poi la diga viene giù tutta quanta. Ecco, la dottrina del male minore ignora che ogni concessione fatta pubblicamente al male e alla menzogna è un buco nella diga della verità. Prima o poi, tutto è travolto dalla logica, distruttiva, del compromesso”.

Quali conseguenze porterà con sé il compromesso delle unioni civili se saranno approvate? Un nuovo colpo all’istituto del matrimonio e alla stabilità e tenuta sociale della famiglia, già fortemente indeboliti dal divorzio breve; la legittimazione della pratica barbara dell’utero in affitto; l’attacco alla sana complementarità uomo-donna e al Diritto Naturale; la normalizzazione, non solo giuridica, dell’omosessualità, da orientamento contro natura e infecondo a normale inclinazione sessuale, e perciò alla sua propagazione nella società, soprattutto tra i giovani che “potranno essere indotti a dichiarare la loro sessualità in un momento in cui è normale avere una certa confusione di genere” (Dottor Lachlan Dunjey, australiano; e American College of Paediatricians).

10 predominio loveDal punto di vista giuridico, il matrimonio gay sancirà la legittimità delle emozioni, dell’amore, del sentimento a discapito dell’oggettività delle cose e del bene comune. Se le emozioni vengono elevate a diritti, il diritto stesso diviene arbitrio, predominio del più forte, del più influente, di chi urla di più (in questo caso la potente e onnipresente lobby gay). In questo modo tutto potrà diventare lecito se, chi vuole legalizzare le proprie voglie, ha voce, forza e potere a sufficienza. La conseguenza è l’anarchia, la morte della giustizia e del diritto in quanto tale.

Quali scivolamenti legislativi ci regalerà il matrimonio gay? Se basta l’amore per diventare titolare di diritti, nessuno potrà impedire che vengano riconosciute anche le unioni poligamiche, il poliamore (unione fra più di due persone), l’incesto, la pedofilia, l’unione tra amici (per usufruire di benefici) e – perché no? – anche la convivenza con il proprio cane o gatto. Infatti, se nella formazione del matrimonio il sentimento prende il posto della complementarità sessuale tra non consanguinei, non esiste più una base di principio per negare l’estensione del matrimonio a tutte le possibili forme di relazioni qualificate da un sentimento.

Esempi in tal senso già ci sono. In Nuova Zelanda, appena un anno dopo l’entrata in vigore del matrimonio omosessuale, il movimento Lgbt ha iniziato a reclamare proprio la legalità dell’unione poliamorosa. Sempre in Nuova Zelanda, a settembre 2013, due giovani uomini, eterosessuali dichiarati, uniti da una grande amicizia e dalla passione per il Rugby, si sono sposati unicamente per poter partecipare a un concorso – riservato solo a coppie omosessuali maschili sposate – che metteva in palio due biglietti per il Rugby World Cup 2015. A luglio 2014 il giudice australiano Garry Neilson ha affermato che presto l’incesto e la pedofilia non potranno più essere considerati tabù dalla società, esattamente come è avvenuto con le relazioni omosessuali, oggi maggiormente accettate rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta. In Germania, sempre nel 2014, il Comitato etico si è espresso a favore della depenalizzazione dell’incesto, invitando le autorità competenti a modificare la parte del codice penale che prevede sanzioni per consanguinei che hanno rapporti sessuali tra loro. E in America, dopo la legalizzazione delle nozze gay da parte della Corte suprema, il poligamo Nathan Collier del Montana e le sue due “mogli” hanno presentato domanda di licenza matrimoniale. Collier ha fatto sapere che, se gli dovesse essere negata, andrà fino in fondo facendo causa all’amministrazione comunale, perché “se si tratta di uguaglianza del matrimonio, non si può avere quello gay senza la poligamia”.

Rimane da considerare tra le conseguenze quelle che colpiscono i soggetti più deboli, i bambini cresciuti in unioni gay, per i quali sono state evidenziate gravi ripercussioni a livello fisico, psicologico e sociale, sia da una vasta e autorevole letteratura scientifica, realizzata su campioni significativi, che dalle testimonianze dei diretti interessati una volta diventati adulti.

12 Gay ParentingTanto per iniziare, i figli di coppie gay che sono stati fabbricati attingendo al mercato globale dei gameti e ricorrendo all’utero in affitto, soffrono di quel medesimo vuoto biologico difficile da colmare, che affligge tutti i figli concepiti con fecondazione eterologa. In questo caso non vi sono differenze tra coppie omosessuali ed eterosessuali: lo “smarrimento genealogico”, la crisi di identità e la confusione – dovuti al fatto di non avere risposte certe alla domande fondamentali “chi sono?”, “da dove vengo? – colpisce in egual misura i figli di entrambe le unioni. Tuttavia, dal punto di vista sessuale e psicologico, i figli di coppie omosessuali hanno dei problemi di identità in più, derivanti dal fatto di crescere anche privati di una figura genitoriale fondamentale. Spiega lo psicanalista Claudio Risè:

“In assenza del genitore del proprio sesso, sarà molto difficile per quel bambino sviluppare la propria identità psicologica corrispondente. La psiche maschile e quella femminile sono molto diverse e l’identità complessiva si forma anche a partire dalla propria identità sessuale. Nel caso di maternità surrogata, lo sviluppo psicologico, affettivo, cognitivo di una bimba con due genitori di sesso maschile sarebbe in forte difficoltà: avrebbe problemi nel riconoscersi nel proprio sesso. Lo stesso accade al piccolo maschio.

La vita umana è inscritta in due ordini: il dato naturale, biologico, e quello simbolico che il bambino ha iscritto nella propria psiche, conscia e inconscia. Entrambi presiedono allo sviluppo, alla manifestazione di una capacità progettuale, alla crescita di un’affettività equilibrata. Il padre è un individuo di genere maschile che ha scritto nel suo patrimonio genetico, antropologico, affettivo e simbolico la storia del proprio genere. Proprio perché è un maschio e non è una donna, non può avere né il sapere naturale profondo, né quello simbolico materno. I due codici simbolici, paterno e materno, sono molto diversi: la madre è colei che soddisfa i bisogni, il padre è colui che dà luogo al movimento e propone il limite: indica la direzione e stabilisce dove non si può andare. Nei paesi anglosassoni e del nordeuropa da tempo ci sono casi di coppie omosessuali con figli: studi sul campo hanno provato che la mancanza di genitori di sesso diverso è fonte di problemi, il più evidente dei quali (quando i genitori sono del sesso opposto al tuo), è la formazione della tua immagine sessuale profonda”.

Sono ormai moltissimi gli studi scientifici ad aver dimostrato che l’orientamento omosessuale dei genitori influenza significativamente quello dei figli, i quali sono più inclini a essere attratti da persone dello stesso sesso e ad avere relazioni omosessuali, rispetto ai loro coetanei provenienti da famiglie eterosessuali, ma anche a manifestare confusione e incertezza circa il proprio orientamento sessuale.

13 Mark RegnerusTra le tante ricerche scientifiche disponibili, ne riporto in questa sede solo una, quella del sociologo Mark Regnerus, dell’Università di Austin (Texas)[1]. Regnerus ha realizzato una delle migliori ricerche mai condotte in questo campo, sia per il fatto di aver preso in esame un campione molto numeroso, casuale e rappresentativo, sia per aver condotto lo studio su persone ormai adulte (18-39 anni) e indipendenti, cioè che non vivevano più nelle case dei genitori gay che li avevano cresciuti. Lo studio ha scoperto che i figli cresciuti in famiglie omosessuali sono dalle 25 alle 40 volte più svantaggiati rispetto ai coetanei cresciuti in famiglie normali. In particolare, i primi sono risultati 3 volte più soggetti alla disoccupazione (solo il 26% aveva un lavoro fisso contro il 60% della media) e 4 volte più soggetti a ricevere assistenza pubblica (sono stati supportati dai servizi sociali il 69% dei ragazzi cresciuti da omosessuali contro il 17% di quelli provenienti da famiglie etero). I figli di genitori gay si sono inoltre dimostrati più propensi al tradimento (40% contro 13%), ad avere un maggior numero di relazioni e partner sessuali, a ricorrere alla psicoterapia (19% contro 8%), e molto più soggetti a essere arrestati, a dichiararsi colpevoli di atti criminali, a fumare, a drogarsi e a pensare al suicidio (il 12% vi ha pensato di recente, contro il 5%).

Ma lo studio di Regnerus ha messo in luce anche altri aspetti più allarmanti. Il 23% dei figli cresciuti con una madre lesbica ha dichiarato di essere stato palpeggiato, contro il 2% dei giovani cresciuti in una famiglia eterosessuale. Il 31% di chi è cresciuto con una madre lesbica e il 25% di chi è cresciuto con un padre gay sono stati abusati sessualmente e costretti al sesso forzato, contro l’8% di chi è cresciuto con genitori eterosessuali. Il 25% di coloro che sono cresciuti con genitori gay ha contratto malattie sessualmente trasmissibili, contro l’8% degli altri. Infine, si è definito eterosessuale solo il 61% dei figli di madre lesbica e il 71% di quelli di padre gay, contro il 90% di chi è cresciuto con genitori eterosessuali.

E chissà cos’altro ci riserverà in futuro questo sciagurato “nuovo diritto”, visto che il “male minore” sa riservare amare sorprese, in termini di male, anche a distanza di tempo.

 

[1] Un riepilogo delle problematiche, degli studi scientifici, comprese alcune testimonianze personali, si può trovare nel seguente articolo: “L’APA continua a mentire sulle differenze”, Libertà e Persona, 6 maggio 2013.



Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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