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iL MALE MINORE NON ESISTE E SE ESISTE PORTA AL MALE

Ultimo Aggiornamento: 10/01/2017 20:27
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10/01/2017 20:25
 
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Il “male minore” porta Male (9° parte: eutanasia passiva e testamento biologico)



Molti limiti presenta anche la legge spagnola n. 41 del 14 novembre 2002, con la quale il governo ha regolato, fra i numerosi aspetti, anche il “consenso informato” e le direttive anticipate, qui chiamate “istruzioni previe”. Eva Maria Martin Azcano – professoressa di Diritto Civile all’Università Rey Juan Carlos di Madrid – osserva che con l’approvazione di questa legge “non sembra che gli obiettivi siano stati raggiunti”:

“Il consenso informato non si è modificato a tal punto da poter affermare che a seguito della sua regolazione e adozione il rapporto medico-paziente sia migliorato in modo sostanziale. Il consenso informato è, invece, diventato uno strumento medico difensivo e un elemento di litigio giudiziario nel rapporto medico-paziente. Il medico riconosce la necessità di richiedere il consenso al paziente solo per evitare strategicamente denuncie e responsabilità professionali…

Inoltre, adempiere le direttive anticipate solleva gravi problemi ai professionisti della salute di fronte alla difficoltà di interpretazione della chiara volontà del paziente”.

09 advance directivesLa direttiva anticipata, infatti, può diventare obsoleta, visto che “la scienza medica, le tecniche di cura e i trattamenti sanitari sono in continua evoluzione”. Può pertanto accadere che i trattamenti sanitari da applicare nella situazione concreta siano diversi da quelli a suo tempo autorizzati dal paziente, ormai superati. A questo proposito – fa notare Azcano – ciò che “risulta inammissibile è la richiesta del paziente di somministrargli uno specifico trattamento quando la persona idonea per decidere le opzioni possibili è il medico”. Ma può anche accadere che il paziente “cambi la sua volontà alla luce della nuova circostanza”. Le istruzioni previe prevedono anche che si possa “rifiutare un trattamento che allunghi artificialmente la vita”, per cui se il Codice Penale spagnolo condanna espressamente l’eutanasia attiva, “di fatto non condanna l’eutanasia passiva”.

Queste e molte altre problematiche (“scarsa qualità del testo scritto che implica seri problemi di interpretazione”“mancanza di dettagli quando si regolarizzano certi aspetti, vedi le diverse ipotesi sulla scelta di rifiutare determinati trattamenti medici”; ecc.) presenti nella legge spagnola, ottengono il risultato di peggiorare il rapporto medico/paziente e rendono più complesse e confuse le questioni di salute e di fine-vita. Allora, forse, non è un caso se la Azcano rileva che “dai dati forniti dalle Comunità Autonome emerge che il numero di documenti concessi e registrati presso i rispettivi registri autonomi è inferiore all’1% della popolazione”. Insomma, il popolo spagnolo non ha mostrato il benché minimo interesse verso le nuove “opportunità” offerte dalla legge sulle “Istruzioni previe”, non ha avvertito l’esigenza di autodeterminare per iscritto i problemi di salute futuri, né il proprio fine-vita. Ciò porta a concludere che, in Spagna come altrove, la “buona morte” legale sia una questione che infiamma solo le lobby politiche e ideologiche.

Il 1 settembre 2009, il Bundestag tedesco (Parlamento Federale) modifica la legge che regolamenta la figura dell’amministratore di sostegno, riconoscendo l’istituto del testamento biologico scritto vincolante, oppure un succedaneo di esso costituito dall’individuazione delle “volontà presunte” del paziente, ricostruite sulla base di “indizi concreti”. Rientrano tra le cure passibili di rifiuto anche i sostegni vitali (idratazione e alimentazione) dai quali dipende la sopravvivenza del paziente. Tuttavia, appena nove mesi dopo le modifiche di legge, si assiste a un significativo passo avanti rispetto a quanto giuridicamente previsto, quando Wolfagang Putz – avvocato esperto in diritto sanitario – viene assolto dalla Corte di Cassazione.

La vicenda che vede coinvolto Putz risale al 2007, quando consiglia alla figlia di Erika Küllmer – una 71enne in stato vegetativo dall’ottobre 2002 a causa di un’emorragia cerebrale – di reciderle con le forbici il sondino dell’alimentazione. Ottemperando al volere della madre che – secondo quanto riferito dalla figlia – aveva in passato espresso verbalmente la volontà di non essere mantenuta in vita artificialmente, le taglia la sonda, ma nella casa di riposo dove la donna è ricoverata se ne accorgono, le inseriscono un nuovo sondino e avvisano la polizia. Due settimane dopo la donna muore per un arresto cardiocircolatorio. La figlia e l’avvocato sono accusati di omicidio colposo, ma nell’aprile 2009 la prima viene assolta, mentre Putz è condannato a nove mesi di libertà vigilata e al pagamento di 20mila euro. Finché, il 25 giugno 2010, non arriva anche per lui la sentenza di proscioglimento della Cassazione, con la motivazione secondo la quale “l’interruzione del mantenimento in vita, operata in conformità alla volontà espressa dal paziente, non è punibile” e “l’accanimento terapeutico non può essere esercitato nemmeno su pazienti che non abbiano firmato il testamento biologico”. Ecco cosa succede quando i sostegni vitali sono equiparati alle “cure mediche”: basta invocare l’accanimento terapeutico per giustificare la loro interruzione, indipendentemente dal fatto che via sia oppure no un testamento biologico validamente sottoscritto.

La “sospensione” dei sostegni vitali alla signora Küllmer è stata considerata lecita nonostante mancassero sia il testamento biologico scritto, che un suo succedaneo basato su “indizi concreti”, come espressamente previsto dalla legge. Si è semplicemente deciso di dare credito alle dichiarazioni di un parente stretto, come avvenuto in Italia con Eluana Englaro, ma con una differenza sostanziale tra i due Paesi: la Germania, al contrario dell’Italia, la legge sul biotestamento ce l’ha, e nonostante ciò i casi “Eluana” si verificano lo stesso.

11 Mental Capacity ActLa pericolosità del testamento biologico si profila anche oltremanica. Il 7 aprile 2005 l’Inghilterra introduce il testamento biologico (“Mental Capacity Act”), con il quale una persona maggiorenne può indicare i trattamenti medici che intende rifiutare, sostegni vitali inclusi. I medici sono tenuti per legge a rispettare le direttive espresse dai pazienti, se non lo fanno rischiano di essere radiati o, addirittura, incriminati. Grazie a quest’ultima prospettiva una donna inglese di 26 anni ha potuto “portare a termine” il proprio tentativo di suicidio. Nel settembre 2007, Kerrie Wooltorton, affetta da sindrome depressiva, tenta il suicidio con una sostanza nociva, ma arrivata viva in ospedale muore il giorno seguente, a causa della non attivazione delle azioni di soccorso da parte dei medici, per il timore di essere denunciati se non avessero rispettato il testamento biologico che la donna aveva compilato prima di ingerire il veleno. I suoi familiari hanno protestato, dicendo che i medici avevano il dovere di salvarla. Altri hanno osservato che la sua storia di malattia mentale faceva sorgere dubbi circa la sua capacità di rifiutare le cure. E c’è chi ha fatto notare che il testamento biologico era stato introdotto per i malati terminali, non per le persone che intendevano suicidarsi. Ma i medici hanno ribadito la loro posizione: il non rispetto delle volontà della donna avrebbe significato “infrangere la legge” e rischiare la radiazione dall’Ordine. La questione della non attivazione di cure salvavita in presenza di direttive anticipate, è stata sollevata molte volte negli Stati che hanno introdotto il biotestamento, e rimane tuttora controversa e di non facile risoluzione.

Anche in Italia è grazie alle sentenze creative se a un certo punto la politica subisce un’accelerazione verso la disciplina del testamento biologico. A luglio 2007 viene prosciolto il medico che aveva rimosso la ventilazione meccanica a Piergiorgio Welby, mentre il 9 febbraio 2009 muore Eluana Englaro, dopo l’interruzione dell’idratazione e della nutrizione che la tenevano in vita. Il via libera a rimuovere i sostegni vitali era arrivato il 25 giugno 2008, dalla Corte d’Appello di Milano, alla fine di un lungo e tortuoso percorso giudiziario.

L’eutanasia passiva di Eluana, avvenuta per sentenza, fa sentire forte la percezione di trovarsi di fronte a un pericoloso vuoto normativo, cui fa seguito la necessità di colmare quel vuoto. Il 26 marzo 2009, in sessione straordinaria, il Senato licenzia il progetto di legge “Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento”.

12 registri comunaliCiò che si trova alla base dell’esigenza di avere una legge ad hoc, proveniente soprattutto da esponenti di area cattolica, è ancora una volta il “male minore”: la legalizzazione del testamento biologico consentirebbe di contrastare le derive eutanasiche poste in atto dalle “sentenze creative” e il “far west” dei registri comunali dei biotestamenti, proliferati in tutta Italia grazie alle iniziative dei Radicali. Il tentativo di forzare la legge – afferma Eugenia Roccella:

“È evidente e si fa sempre più spavaldo. Quello che vogliono i radicali è creare una situazione di fatto capace, attraverso mille scappatoie e mille canali alternativi, di condizionare le decisioni del Parlamento”. Il quale, per questo motivo, “deve arrivare al più presto ad approvare finalmente la norma sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento capace di metterci al riparo dal far west dei registri comunali e dal proliferare delle singole dichiarazioni”.

Il deputato cattolico Enzo Carra, intervistato dal Corriere della Sera, dichiara:

“Io avrei preferito non votare alcuna legge ma una volta deciso che la legge doveva esserci non potevo che approvarla… Questa legge è frutto di un cambiamento improvviso del dibattito su questo tema avvenuto dopo la sentenza Englaro. Sarebbe stato meglio nessuna legge”.

Il testo è stato votato “perché si è trattato del male minore. Dopo il caso Englaro c’è stata una psicosi collettiva che ha portato all’esigenza immediata di mettersi al riparo, di mettere in sicurezza questo valore fondamentale. Soprattutto sulla questione dell’idratazione e dell’alimentazione, i veri punti sui quali c’è stato contrasto. La deriva eutanasica andava scongiurata”.

A marzo 2001, il quotidiano della Cei pubblica in prima pagina un “Appello al Parlamento” di dodici intellettuali cattolici in cui lo si sollecita a porre

“per legge limiti e vincoli precisi a quella giurisprudenza ‘creativa’ che sta introducendo surrettiziamente nel nostro Paese arbitrarie derive eutanasiche. Rilevanti e gravi decisioni giudiziarie hanno infatti reso possibile interrompere la somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, a persone non più in grado di esprimere il proprio consenso, e hanno ridotto il consenso informato alla ricostruzione ex post delle volontà di una persona, dedotte persino dai suoi ‘stili di vita’, ignorando la necessità di una volontà attuale basata su un’informazione medica adeguata”.

I dodici auspicavano, quindi, l’approvazione in “tempi rapidi” del disegno di legge sulle Dat – definito come “una proposta ragionevole, condivisibile, realmente liberale e oggi non più rinviabile” – per evitare che non diventi “sempre più difficile drenare una giurisprudenza orientata a riconoscere il ‘diritto’ a una morte medicalmente assistita, in altre parole all’eutanasia trasformata in atto medico”.

In realtà, il disegno di legge italiano sulle Dat presenta gli stessi difetti che sono stati rilevati nei Paesi che hanno già introdotto il biotestamento, e ha tutte le caratteristiche per far ritenere che, anziché fermare le sentenze creative eutanasiche, sarà proprio esso, se verrà approvato, a porre le basi in Italia per la “buona morte” legalizzata.

Osserva il professore Guido Vignelli:

“Qual è la ragion d’essere del ‘testamento biologico’ e dove conduce la sua logica? Esso si basa sulla seguente premessa: l’individuo deve diventare pienamente padrone della propria vita; egli ha diritto di decidere se tale vita ha una ‘qualità’ sufficientemente alta da valer la pena di mantenerla, o se è tanto bassa da richiedere di sopprimerla; se quindi l’adeguata ‘qualità vitale’ viene a mancare, egli ha diritto di suicidarsi preferendo la morte ad una vita compromessa nelle sue relazioni, soddisfazioni, piaceri.

Ma tale premessa è appunto quella stessa che giustifica l’eutanasia; la logica del ‘testamento biologico’ è quindi chiaramente eutanasica e conduce per coerenza al ‘suicidio assistito’. Se il centro del problema non è più salvare la vita umana ma tutelare una decisione soggettiva, o al massimo bilanciare la volontà del medico con quella del paziente, allora l’unico criterio decisionale diventa puramente soggettivo e lo scopo puramente utilitaristico. Una volta che la vita umana diventa un bene disponibile e mercanteggiabile nell’ambito del sistema sanitario, il confine con l’eutanasia diventa talmente labile dall’essere facilmente superabile.

Insomma, promuovere il ‘testamento biologico’ comporta promuovere una mentalità che conduce per coerenza all’eutanasia; legalizzarlo, non solo non impedirà ma anzi la faciliterà l’autorizzazione dell’eutanasia, preparandole la strada nell’opinione pubblica e nella pratica sanitaria. Accettare oggi il ‘testamento biologico’ è la premessa per dover domani accettare anche quella sua logica conseguenza che è l’eutanasia ‘libera, assistita e gratuita’”.

Dietro la promozione del testamento biologico si nasconde la solita trappola del “male minore”. Scrive Vignelli:

“Il ‘testamento biologico’ è insomma inammissibile. Ma i fautori del ‘cedere per non perdere’ non se la sentono di condannarlo; essi sostengono che bisogna accettarlo, almeno in una sua forma moderata, come alternativa all’eutanasia; secondo loro, questo sarebbe l’unico modo per arginare oggi la spinta propagandistica che reclama il ‘suicidio assistito’, evitando così di doversi domani piegare alle pressioni di chi, non avendo ottenuto il minimo, reclamerà il massimo”.

Ma così facendo si finisce per cadere nel tranello teso dai nemici della vita:

“La strategia avanzata dallo stesso Veronesi ce lo conferma. Egli da tempo propaganda tenacemente l’eutanasia; ma accorgendosi che la gente non è ancora disposta ad accettarla, ha ripiegato sul promuovere il ‘testamento biologico’, nella speranza che la gente, quando si sarà abituata a decidere sulle proprie terapie terminali, vorrà decidere anche sulla propria morte.

Nel frattempo, Veronesi incoraggia esperti, politici e giornalisti a parlare di eutanasia, affinché i moderati si spaventino e, nella illusione di evitarla, accettino il ‘testamento biologico’. Egli sa bene che la rivoluzione biologica può vincere solo se procede per gradi, se attua una strategia progressiva, chiedendo oggi quel poco che gli permetterà domani di ottenere molto e, dopodomani, tutto.

Si accorgeranno gli italiani della trappola? Sfuggiranno a quel rovinoso sofisma, secondo cui oggi bisogna concedere il minimo per domani evitare il massimo? Riusciranno a spezzare quella malefica spirale che, facendo accettare oggi il ‘male minore’, prepara a subire domani quello maggiore?”.

La convinzione di molti cattolici secondo cui, dopo le sentenze creative, ci si trovi nella condizione di dover per forza scegliere il “male minore” (biotestamento/Dat) per prevenire il “male maggiore” (eutanasia), è solo un abbaglio poiché questa materia è già ampiamente presidiata dall’ordinamento giuridico italiano. Scrive il Comitato Verità e Vita:

“Nonostante alcune apparenze e alcuni espedienti linguistici, l’approvazione della cosiddetta ‘legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento’ costituirebbe un ulteriore passo nella direzione della cultura della morte, e aprirebbe la strada all’eutanasia legalizzata.

La legge sul fine vita è un successo. Ma è un successo per coloro che in questi anni si sono impegnati nella costruzione di casi mediatici – su tutti la vicenda di Eluana Englaro, fatta morire di fame e di sete – allo scopo di ‘costringere’ il Parlamento a legiferare in una materia già ampiamente presidiata dall’ordinamento giuridico, mediante il principio costituzionale di indisponibilità del diritto alla vita.

Oggi, in Italia non è lecito togliere la vita anche a chi ne faccia richiesta (omicidio del consenziente); non è lecito togliere la vita a chi non abbia potuto o voluto chiederlo (omicidio volontario); non è lecito aiutare qualcuno a uccidersi (istigazione al suicidio). Di più: il legislatore – ben consapevole che rendere efficace la volontà di farsi uccidere spalanca la porta ad uccisioni che prescindono da qualunque manifestazione di volontà – ha comunque reso del tutto inefficaci le richieste di morte provenienti da soggetti incapaci o in stato di deficienza psichica o minacciati, ingannati o suggestionati.

Come aggirare, allora, questo solido ostacolo alla discriminazione nei confronti delle categorie di uomini in stato di debolezza? La soluzione è una, anche se ha molti nomi: testamento biologico, dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), living will. L’idea è semplice: approvare una qualunque legge che, pur dichiarando nei suoi preamboli il divieto di ogni eutanasia, preveda l’efficacia giuridica di volontà espresse in precedenza. In questo modo viene svuotato dall’interno il divieto di suicidio assistito, così da permettere che certi malati non siano curati e nemmeno nutriti e idratati.

Così – senza nemmeno usare le parole ‘omicidio’ o ‘suicidio’ – diventerà possibile procurare la morte di pazienti che si trovano in determinate condizioni. La fittizia autodeterminazione porta automaticamente in sé la sostanza di ciò che si vuole ottenere: l’eutanasia dei malati. Anche in assenza della loro volontà”.

Un aspetto che emerge anche quando ci si cala all’interno dei singoli articoli del Ddl. Per esempio, al punto 2 dell’art. 6 inerente alla figura del “fiduciario”, si trova scritto:

“Il fiduciario, se nominato, è l’unico soggetto legalmente autorizzato ad interagire con il medico e si impegna ad agire nell’esclusivo e migliore interesse del paziente, operando sempre e solo secondo le intenzioni legittimamente esplicitate dal soggetto nella dichiarazione anticipata”.

13 miglior interesseOra, come abbiamo precedentemente notato, il “miglior interesse del paziente” è un termine generico “letale” che spunta fuori ogni qualvolta si vuole che un paziente muoia. Nel Maryland, la rimozione del sondino a Rachel Nyirahabiyambere è avvenuta nel “suo interesse” su decisione del legale rappresentante nominato dal giudice, contro la volontà di tutti i suoi familiari. In Inghilterra una cosa analoga è accaduta a Anthony Bland, in stato vegetativo da quattro anni, morto a seguito della sospensione di alimentazione e idratazione, dopo che l’Alta Corte ha stabilito che lo stato vegetativo persistente non rientra nel “miglior interesse” del paziente giacché non gli arreca “alcun beneficio”. Sempre in Inghilterra, all’ospedale per bambini “Alder Hey”, i neonati con anomalie congenite e poche speranze di vita vengono fatti morire di fame e di sete, secondo il protocollo “Liverpool Pathway for the Dying Child”, in accordo con i loro genitori, dopo che i medici hanno comunicato loro che si tratta di una soluzione adeguata nel “miglior interesse” dei piccoli, visto che la loro sopravvivenza è “inutile”. In Belgio, il 17% dei medici ad aver praticato eutanasie senza il consenso dei pazienti, ha dichiarato di averlo fatto perché si trattava del “miglior interesse del paziente”. Insomma, ogni volta che si sente invocare il “miglior interesse” dopo c’è sempre qualcuno che muore.

Per questo motivo, Gian Luigi Gigli manifesta la necessità “di interrogarsi sui poteri del ‘fiduciario’” contenuti nel disegno di legge italiano, in particolare sul fatto

“importantissimo che nel testo sulle Dat sia mantenuto fermo il concetto che l’azione del legale rappresentante deve avere ‘come scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita dell’incapace’, invece che il suo ‘miglior interesse’”. Infatti, se questa clausola non dovesse passare, “potremmo presto accorgerci che, invece del ‘migliore interesse’ (definito da altri), rischiano di entrare nel processo decisionale valutazioni che nulla hanno a che fare con la clinica, e ancor meno con il rispetto della vita”.

Vi è poi da dire che il Ddl non prevede alcun divieto di sospensione della respirazione artificiale – che è sostegno vitale al pari di nutrizione e idratazione – alle persone disabili in stato di incoscienza. O il fatto che il testo prevede la possibilità per il dichiarante di “rinunciare a ogni forma di trattamento terapeutico” ritenuto “di carattere sproporzionato”, una “rinuncia” che potrà spianare la strada alla non attivazione di terapie salvavita da parte del personale medico, com’è accaduto in Florida a Hanford Pinette, o in Inghilterra a Kerrie Wooltorton. Anche il disegno di legge italiano conduce alla burocratizzazione del rapporto medico-paziente, con tutte le conseguenze che ne derivano, come quelle verificatesi in Spagna in dieci anni di applicazione della legge, evidenziate dalla professoressa Azcano.

Questi e ad altri aspetti negativi – scrive il Comitato Verità e Vita – portano a concludere che:

“Il testo approvato alla Camera fallisce proprio nel suo obiettivo originario: mai più l’uccisione di un’altra Eluana Englaro. Con una normativa così complessa ed equivoca, i Tribunali si riempiranno di cause dirette a forzare i limiti della norma o a sostenere interpretazioni in senso eutanasico.

L’Italia non ha bisogno di questa legge: auspichiamo che venga respinta, consapevoli che – a prescindere dalle intenzioni di chi la sostiene e da alcune dichiarazioni di principio condivisibili – essa introduce l’eutanasia legale nel nostro Paese.

Il testo proclama di ‘riconoscere e tutelare la vita umana quale diritto inviolabile e indisponibile’ (articolo 1 comma 1 lettera a), ma vi è in questo un’inquietante analogia con il legislatore della legge 194, che affermava di ‘tutelare la vita dal suo inizio’, e poi rendeva lecito l’aborto a richiesta.

Non esiste nessun male minore da evitare: per impedire il ripetersi di altri casi come quello di Eluana Englaro basterebbe una legge che vietasse l’interruzione di alimentazione e idratazione artificiale ai soggetti incoscienti, che siano in grado di riceverla con beneficio.

Solo mantenendo integro il divieto di omicidio del consenziente e di suicidio assistito, e valorizzando l’arte e la professionalità dei nostri medici, potremo davvero rispettare la vita e la dignità di ogni uomo”.

Più chiaro di così!





Fraternamente CaterinaLD

"Siamo mendicanti e chiediamo agli altri anche le loro idee, come la staffetta della posta che riceve il documento dalle mani di uno e poi corre per darlo ad un altro. Faccio una timida parafrasi delle parole di chi ci ha preceduto nel cammino della fede, per annunciarle ad altri."
(fr. Carlos Alfonso Azpiroz Costa OP
Maestro dell’Ordine)
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